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LA MAFIA ORDINATA DEL NORD EST: UN SISTEMA DI GOVERNO PERFETTO?

LA MAFIA ORDINATA DEL NORD EST: UN SISTEMA DI GOVERNO PERFETTO?

Mafia S.p.a.: la principale impresa italiana

 La criminalità organizzata in Italia è la principale impresa del Paese. La Mafia S.p.a. che raggruppa Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, Stidda, ha un fatturato annuo stimato di 170 miliardi di euro (fonte Il Sole 24 ore). A questi si dovrebbero aggiungere i 250 miliardi dell’evasione fiscale spesso collegata alle mafie. Quattrocentoventi miliardi di euro. Un quarto della ricchezza prodotta ogni anno in Italia. Questi sarebbero i proventi delle attività illegali nel “bel paese”. Proventi che devono essere poi reinvestiti e fatti fruttare. E qui entrano in gioco le mafie dei colletti bianchi. Quelle delle acquisizioni societarie. Così la Mafia S.p.a. è riuscita negli anni ad estendere il proprio impero finanziario a livello planetario. D’altronde chi ha tanti soldi da investire non ha che da scegliere. Imprese commerciali, finanziarie, banche, organi di informazione, società ad alta tecnologia, energia, edilizia. Nessun problema. I denari arrivano a cascata, e i prestanome sono sempre disponibili. Così fioriscono nuove figure di imprenditori “illuminati”. Quelli che spuntano dal nulla. I cosiddetti “self-made men”. Miracoli della finanza creativa e della globalizzazione. Globalizzazione mafiosa però. 

Ma queste mafie polimorfi non si occupano solo – ed ai più alti livelli – di economia. In Italia sono pure riuscite, con un’avanzata inarrestabile frutto di un’accurata pianificazione, ad infiltrarsi in ogni ganglo vitale delle istituzioni e ad occupare la stessa politica. Questa imperiosa scalata al potere è stata eseguita con metodologia militare, mettendo sotto controllo le posizioni nevralgiche del Paese. Un sistema basato sulla corruzione sistematica ha consentito di consolidare rapidamente le conquiste. Nel libro paga della Mafia S.p.a. si trovano imprenditori, magistrati, poliziotti, giornalisti, medici, insegnanti, amministratori pubblici, politici, avvocati… Un’intera nazione sotto controllo e sotto ricatto.
 
 Mafie del cemento a Nord Est: Trieste un “sistema perfetto”?
Tra le più conosciute ed affidabili fonti di alimentazione di questo inossidabile sistema di corruttele vi è certamente quella che comunemente viene definita come mafia o partito del cemento. Lavori e appalti pubblici e privati sono uno dei principali collettori per le enormi masse di denaro riciclate dalla Mafia S.p.a.. E nel nostro Paese sono proprio le “ricche” regioni del Nord ad attrarre la “ricca” criminalità in necessità di investire i proventi delle attività criminose. Qui infatti si può operare in relativa tranquillità e con migliore reddittività rispetto all’ormai saturo  Meridione. Il colore dei soldi è quello della ricchezza, non quello del sangue e delle sofferenze che vi sono dietro.
Il Nord Est è ancora più interessante di questi tempi perché colpito duramente dalla crisi economica. Molte imprese da rilevare facilmente quindi. Molti buoni affari da concludere nel nome dello sviluppo e delle garanzie occupazionali. Ecco così che il vento della rivoluzione mafiosa ha investito impetuosamente queste zone spazzando via ogni ostacolo.
La piccola e degradata provincia di Trieste non fa eccezione nel deprimente panorama nazionale. Qui il partito del cemento si identifica in toto con la pubblica amministrazione ed è rappresentato da un potente cartello dei costruttori. La città giuliana è un caso speciale quanto esemplare di come la convivenza pacifica tra Stato e criminalità abbia anestetizzato ogni possibile difesa della società civile. Permettendo così la stratificazione dell’illegalità diffusa ad ogni livello ed entrata inconsciamente nella mentalità dei cittadini, privati dei loro diritti e ridotti sempre di più a sudditi. Una vera cultura dell’illegalità ora molto difficile da sradicare.
A Trieste la mafia esiste da tempo, ma è strettamente intrecciata alla potente massoneria locale e ai servizi segreti deviati. A Trieste la mafia non uccide perché tutti i picciotti sono inquadrati, disciplinati, obbedienti. Un sistema di governo “perfetto” quindi che ha consentito negli anni traffici di ogni tipo. Dalle armi, alla droga, ai rifiuti tossico nocivi. E il controllo completo degli appalti. Il settore prediletto dalle mafie del cemento, una delle travi portanti di questa economia criminale.
 
I filtri del “sistema”: come inattivare l’autorità giudiziaria.
 Cosa accade quando questo sistema “perfetto” viene minacciato? Ovvero quando qualche rappresentante della società civile ne contesta l’operato e chiede il rispetto della legalità fino in sede giudiziaria? Scatta l’allarme rosso, e tutti i componenti del sistema si attivano per bloccare l’aggressione. E chi ha osato mettere a repentaglio la “cosca” deve essere reso innocuo. E punito. La punizione pubblica in un simile sistema deviato è necessaria per dimostrare che il potere (mafioso) costituito è ben saldo, e che nessuno deve permettersi di contestarlo. E’ una necessità vitale: solo facendo vivere nel terrore i sudditi se ne può ottenere il rispetto. Ma la punizione da queste parti è in genere incruenta, o meglio dolorosa ma senza spargimento di sangue diretto (solo così può essere tollerata dalle istituzioni che del sistema fanno parte). Ed è una punizione che, paradossalmente, può anche passare indirettamente per l’autorità giudiziaria, il guardiano di questo “ordine”. Hai voluto denunciare gli illeciti? Ora finirai tu sotto processo come perturbatore dell’ordine (disordine) costituito. A me è capitato. A chi, nel nostro gruppo di ambientalisti, si è opposto a questo “sistema” è capitato. Le accuse vanno dal classico reato d’opinione (la famosa diffamazione che vale solo per te, non per i tuoi avversari che possono avviare nei tuoi confronti campagne di intimidazione e denigrazione pubblica rimanendo impuniti), all’interruzione di servizio pubblico (ad esempio se chiedi l’accesso a documenti pubblici ti possono pure denunciare perché con le tue richieste hai rallentato il lavoro dell’amministrazione pubblica…), al procurato allarme (se tu segnali un inquinamento esistente possono denunciarti per allarmismo), alla manifestazione non organizzata e sediziosa (in Italia vale ancora la legge fascista che non consente ai cittadini di ritrovarsi in luogo pubblico se superano il numero di tre). E poi il massacro continua con le cause civili per risarcimento dei danni.
Alla base dell’inertizzazione delle azioni degli ambientalisti (e in generale dei gruppi organizzati che sono considerati ovviamente più pericolosi rispetto ai singoli cittadini) ci deve comunque   essere una “struttura” che garantisca che le denunce presentate all’autorità giudiziaria vengano insabbiate, ovvero non portino ad alcun risultato. Questa struttura a Trieste è estremamente efficace e permette in tempi rapidi di risolvere casi anche complessi. Ma se le denunce degli ambientalisti sono fondate e basate su prove documentali inattaccabili come è possibile non procedere? Semplice, si applica una giustizia che potremmo definire “creativa”.  Ovvero una libera, o meglio disinvolta, interpretazione delle leggi che porta ad un unico risultato: l’archiviazione. Archiviazione che può avvenire con varie motivazioni basate sempre comunque sull’infondatezza della notizia di reato. Qualche volta, se non è sufficiente e per maggior sicurezza, si utilizza anche la formula della mancanza di legittimità ad agire nel caso specifico da parte dell’organizzazione non governativa e di chi la rappresenta, e non lo si avvisa quindi nemmeno della richiesta di archiviazione, che così passa tranquillamente senza opposizioni. Quindi se si vuole intervenire per bloccare un danno ambientale, le cui  conseguenze ricadono sulla collettività,  pur essendo portatori di interessi diffusi non si ha diritto a denunciare il reato. Solo l’amministrazione pubblica (che quasi sempre è direttamente partecipe a quel reato) può farlo. E  ovviamente questo non accadrà mai: chi sarebbe così stupido da autodenunciarsi? 
 Ma prima di questo filtro (utilizzato spesso dal GIP che decreta così l’archiviazione definitiva delle inchieste) ce n’è un altro a monte utilizzato direttamente in fase di indagine preliminare e che consiste nello svolgere le inchieste in maniera sbrigativa e superficiale già indirizzandole verso  l’archiviazione. Come può accadere questo? Entriamo più in dettaglio nei meccanismi della macchina della giustizia affrontando i casi che qui ci interessano relativi alla speculazione edilizia. 
Una delle particolarità della Procura della Repubblica di Trieste (organo inquirente) è di avere in organico un gruppo di P.G. (Polizia Giudiziaria) dei vigili urbani del Comune di Trieste con specifiche competenze in materia di polizia edilizia. Ed è a questo nucleo che vengono affidate quasi tutte le inchieste in materia di urbanistica. Ma come, direbbe chiunque, indagini così delicate su illeciti urbanistici nei quali sono direttamente coinvolti i comuni locali, vengono affidate a dipendenti delle stesse amministrazioni? Come è possibile questo? E l’esito è ovviamente scontato (c’è da dubitarne?): le denunce per illeciti urbanistici in cui siano coinvolte amministrazioni pubbliche non vanno avanti.  Basterebbe questo per far sorgere legittimi dubbi sul funzionamento di un siffatto apparato di giustizia. Ma non basta. Gli stessi ufficiali di P.G. dei vigili urbani hanno potuto svolgere anche il ruolo di P.M. (pubblico ministero) nel dibattimento in procedimenti in cui una delle parti in causa era un Comune direttamente collegato a quello da cui loro dipendevano. Anche qui ovviamente non ci sono dubbi su come sia andata a finire: ha vinto il Comune… 
Quando le inchieste devono essere archiviate ancora più sbrigativamente e non è nemmeno necessaria la “competenza” dei vigili urbani vengono affidate ai carabinieri. Stesso risultato in tempi ancora più rapidi. 
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Chi designa la P.G.? Il P.M. che dovrebbe stare assai attento alle più che evidenti incompatibilità. Proprio il nuovo Procuratore della Repubblica di Trieste Michele Dalla Costa (cognato del potente avvocato – nonché parlamentare – Niccolò Ghedini legale del premier Silvio Berlusconi) al suo insediamento aveva messo in evidenza che la P.G. doveva comportarsi con la massima correttezza. Evidentemente aveva ricevuto delle informazioni non proprio positive sull’operato di tale organo della Procura nella città giuliana all’epoca della conduzione del suo predecessore, Nicola Maria Pace. Quest’ultimo è relativamente noto per essere assurto all’onore delle cronache nazionali avendo ingiustamente accusato un cittadino innocente, l’ing. Elvo Zornitta di Pordenone, di essere il terrorista bombarolo Unabomber e rovinandogli l’esistenza (Pace dichiarò – ad indagini in corso – di avere individuato il colpevole su prova certa che si rivelò poi contraffatta dalla stessa Polizia Giudiziaria). Peccato che poi alle parole del nuovo Procuratore non siano seguiti i fatti. Dopo un lungo periodo di “rodaggio” di un anno e mezzo, si può tranquillamente affermare che nulla è cambiato sotto il cielo della Procura di Trieste. Con buona pace (in memoria del vecchio procuratore) dei poveri cittadini-peones.
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Ma certo il top in fatto di “sveltine” (intese come indagini rapide) è rappresentato da quelle inchieste che si svolgono senza indagini. In questo caso il P.M. ne chiede direttamente l’archiviazione de plano a “vista” accampando magari motivazioni contraddittorie, spesso incomprensibili e che magari non riguardano nemmeno il procedimento in esame. E se anche si presenta opposizione il solito GIP ne decreta l’inammissibilità in quanto l’operato del PM è “insindacabile”. Discorso chiuso. E il denaro che questi progetti si portano può così riprendere a scorrere.
 
Come il “sistema” punisce gli oppositori
Parlavo prima delle conseguenze per chi si espone in questa lotta contro questo “sistema mafioso”. Le ribellioni nel nome della legalità non possono infatti essere tollerate e devono quindi venire adeguatamente represse. Se i cittadini cominciassero ad associarsi in queste battaglie e la cultura della legalità si diffondesse il “sistema” sarebbe messo a serio rischio. E questa è una cosa che in una dittatura seppur imperfetta quale è l’Italia, non può essere permessa. Posso riportare in merito la mia esperienza personale essendo fresco di condanna riportata per avere denunciato e provato un illecito urbanistico.
Come già detto, la piccola provincia di Trieste è stretta nella morsa della cementificazione imposta dal potente cartello dei costruttori. Una delle maggiori valvole di sfogo per questa colata di cemento è rappresentata dalla gradevole, antica cittadina costiera di Muggia al confine con la Slovenia. Il Comune di Muggia vanta anche il triste primato dell’inquinamento essendo stato negli ultimi 50 anni uno dei principali recettori di quel vasto sistema di smaltimento incontrollato di rifiuti tossico nocivi che ne ha deturpato irrimediabilmente il territorio. Un Comune devastato quindi e facile preda  di imprenditori senza scrupoli e delle mafie associate.

In attesa che si sviluppi l’affare delle bonifiche con i lucrosi giri di finanziamenti pubblici e di riciclaggio di denaro che esse porteranno, gli interventi più redditizi rimangano quelli legati all’edilizia d’assalto, che qui significa centri commerciali: il nuovo Eden dello sviluppo economico. Almeno così vengono presentati. Ecco che quindi  che in pochi anni i centri commerciali spuntano come funghi, in un’area che non ne avrebbe proprio bisogno trovandosi a poche centinaia di metri dal confine con la Slovenia, dove esistono analoghe e più convenienti strutture. E infatti una volta realizzati si riveleranno fallimentari. Ma l’importante è fare girare denaro.

L’unica opposizione a questi mostri di cemento è stata quella della nostra associazione, all’epoca gli Amici della Terra di Trieste da me rappresentata. Nel 2003 presentavo numerosi esposti alla Procura della Repubblica di Trieste nei confronti dei due principali progetti, quello del centro commerciale Freetime e quello del centro commerciale MCC. Le violazioni erano molteplici andando dalla mancata predisposizione della Valutazione Ambientale Strategica, alla violazione dei vincoli ambientali e paesaggistici gravanti sulle aree, al mancato rispetto delle norme urbanistiche regionali. Ma tutto finiva nel nulla. Le indagini consistevano semplicemente nel chiamare a deporre  i funzionari dell’ufficio tecnico del Comune di Muggia – da ritenersi quindi indagati – che confermavano che le autorizzazioni concesse erano in regola; e sulla base di questa autocertificazione venivano archiviate le inchieste senza altre verifiche. 
I centri commerciali d’altronde erano un cospicuo affare. Il solo Freetime della Coopsette prevedeva un’investimento di 120 milioni di euro. E i soldi comprano tutto e spazzano via ogni ostacolo. Ma non poteva finire lì. L’ambientalista che aveva messo i bastoni tra le ruote e che con le sue denunce continuava a rappresentare un pericolo per il “sistema” doveva essere messo a tacere. Bisognava dargli una dura lezione. Così mi venne ritorto contro il mio stesso esposto sulla clamorosa irregolarità urbanistica dell’altro centro commerciale realizzato dalla società MCC (l’attuale centro Castorama di Muggia). L’accusa era di avere offeso la pubblica amministrazione ovvero il Comune di Muggia rappresentato dalla commissione edilizia. Venni rinviato a giudizio e condannato in primo grado al termine di un processo in cui il ruolo dell’accusa (P.M.) venne affidato dalla Procura ai vigili urbani di Trieste, cioè a dipendenti amministrativi del sindaco Dipiazza, già assuntore e amico del sindaco di Muggia (querelante) Gasperini, mentre il giudice risultava essere un avvocato ex candidato alle elezioni amministrative locali nello stesso partito dei querelanti (Forza Italia-Polo delle Libertà).
La condanna venne confermata in appello da un giudice monocratico, essendomi stata negata la possibilità di essere giudicato da un collegio come sarebbe dovuto avvenire vista l’accusa di offesa ad un corpo politico-amministrativo, nonostante riuscissi nuovamente a dimostrare l’illecito urbanistico commesso dai querelanti che era alla base della mia denuncia e origine della loro successiva querela. 
Nel corso del processo d’appello riuscii inoltre a dimostrare che i querelanti avevano reso falsa testimonianza collettiva al fine di ottenere la mia condanna. Ma il giudice ed il P.M. che avrebbero dovuto esercitare l’obbligatoria azione penale non lo fecero lasciando così impuniti i querelanti. L’apertura del procedimento penale contro i falsi testimoni avrebbe determinato il collasso delle accuse contro di me nel processo e l’avvio di indagini effettive sulla liceità della realizzazione del centro commerciale, ponendolo a rischio.
Ad una verifica successiva emerse che la mia opposizione alla richiesta di archiviazione dell’esposto sull’illegittimità urbanistica del centro commerciale era stata inserita in altro fascicolo relativo ad un altro mio esposto sulle irregolarità di un progetto di sviluppo turistico nello stesso Comune. Tale manipolazione degli atti si è rivelata poi determinante per gli sviluppi del caso. Infatti il GIP ha archiviato sia il procedimento relativo al centro commerciale in fittizia assenza di opposizione, sia quello relativo al progetto di sviluppo turistico poiché l’opposizione in atti non riguardava quel procedimento. Risulta inoltre che gli atti erano stati ritrasmessi al P.M. che pur in presenza della contestazione del GIP non provvedeva a disporre la reintegrazione dell’atto oppositivo al fascicolo di pertinenza per sanarne l’archiviazione illegittima. Dando così via libera al Comune di Muggia per presentare la querela nei miei confronti. Querela che veniva immediatamente recepita dalla Procura affidando l’inchiesta allo stesso P.M. e allo stesso ufficiale di P.G. dei carabinieri indaganti dunque su proprie indagini – i cui comportamenti omissivi avevano consentito sia l’archiviazione per l’illecito urbanistico, sia la presentazione della querela nei miei confronti.
La condanna è stata poi confermata rapidamente dalla Cassazione pur in presenza di elementi che avrebbero dovuto portare alla revisione dell’intero processo. La sentenza non è stata peraltro  ancora resa disponibile nonostante mia richiesta diretta motivata tra l’altro con la necessità di produrla quanto prima alla Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo dove ho presentato ricorso per violazione delle norme sull’equo processo, sul divieto di discriminazione, sulla libertà di opinione e di espressione.

Per avere denunciato nel pubblico interesse un illecito urbanistico grave e documentato commesso in forma associativa da personaggi influenti per consentire una grossa operazione speculativa sono stato processato e condannato su loro denuncia calunniosa al pagamento complessivo di circa 40.000 euro. Ecco quale è la risposta del “sistema”. Giustizia è fatta. Salvi gli interessi del partito del cemento e pubblica punizione per il contestatore che dovrà pure pagare i danni.

Devo dire che io ho denunciato queste situazioni aberranti di malagiustizia e privazione dei diritti fondamentali del cittadino agli organi disciplinari dell’autorità giudiziaria. Ma questo non è “gradito”  ai magistrati. Il suddito non deve permettersi di alzare la testa e nemmeno sfiorare con lo sguardo il potente padrone. Le sentenze devono sempre essere accettate e non si discutono (le possono contestare solo i potenti, ovviamente). E’ questo quello che si sente sempre ripetere il povero cittadino italiano nel corso di tutta la sua esistenza in virtù di quel principio (ormai ammuffito) di sacralità delle istituzioni. Ma se lo Stato è mafioso? Il cittadino deve subire supinamente e stare zitto? Scusate, ma io non ce la faccio. Anche se poi mi condannano.

Spesso mi sento chiedere (soprattutto dai giornalisti stranieri per la verità, visto che quelli italiani sono appiattiti sul sistema che li ha generati…) come se ne esce. Ovvero come l’Italia potrà – se potrà – uscire da questa oppressione controllata, da questo degrado che sembra inarrestabile. La risposta non può che essere una: la rivoluzione della Legalità. Una rivoluzione che deve partire dal basso. Non saranno certo le istituzioni corrotte (i gattopardi) ad autoriformarsi. Devono essere i cittadini ad esercitare i loro diritti e a smetterla di essere sudditi. Basta con la delega (il voto) ai partiti corrotti. I cittadini devono raggrupparsi nel nome della Legalità e lottare per la Legalità ogni volta che è necessario. E coloro che si trovano in prima fila per affermare questi diritti collettivi e che sono quindi facile bersaglio per i poteri deviati mafiosi, non possono essere abbandonati al loro destino. Attorno a loro deve essere eretto un muro insormontabile da parte dei cittadini onesti: un muro di Legalità. La rivoluzione della Legalità è la battaglia civile principale in questo nostro Paese. Ma per fare partire questa rivoluzione ognuno di noi deve trovare il coraggio dettato dalla dignità e vincere la paura. Nessuno allora potrà arginare questa piena.
E il nostro Paese potrà finalmente riconquistare la sua Libertà.
Roberto Giurastante (Presidente Greenaction transnational)
info@greenaction-transnational.org
da: www.lavocedirobinhood.it

IL TRIBUNALE DI PORDENONE AMMETTE LO “SFRATTO CAUTELARE” ANTI-IMMIGRATI

 

UNA DELLE ULTIME TROVATE XENOBE E RAZZISTE DI CERTUNA MAGISTRATURA. 

Il caso è sicuramente unico nel suo genere. La denuncia ci perviene dai nostri legali locali di Avvocati senza Frontiere.

Dopo il decreto Pisanu, a favorire l’espulsione immediata degli immigrati ci pensa il Tribunale di Pordenone con l’ultima trovata di sapore xenofobo e razzista, in base alla quale è ammesso lo sfratto, anche “inaudita altera parte” e pur in assoluta assenza di qualsiasi forma di morosità e a contratto di locazione vigente. A condizione si tratti di prostituta extracomunitaria.

In altre parole, l’intraprendente tribunale ha ammesso l’immediata esecuzione di rilascio di un appartamento sito nel centro di Pordenone, di proprietà di un avvocato locale, senza neppure peritarsi di citare l’inquilina extracomunitaria (asseritamente prostituta), disponendone l’immediato rilascio, ciò nonostante il contratto fosse pienamente vigente e la locatrice avesse versato tutti i canoni di locazione pattuiti, offrendone tra l’altro prova una volta venuta a conoscenza dell’ordinanza di sfratto.

Il provvedimento di rilascio risulterebbe essere stato emesso dal G.U. dr.ssa Zoso.

Il caso è stato denunciato ad Avvocati senza Frontiere da DE LOS SANTOS SUFRAN MIRIAM, 53enne, di origine Domenicana, che viveva già da oltre 20 anni in Italia, dopo aver convolato a nozze con un cittadino italiano, da cui ha avuto una figlia. 

Dal punto di vista giuridico non vi erano quindi ragioni di sorta per legittimare il provvedimento e dare corso all’esecuzione di sfratto, anche in considerazione del fatto che la Signora De Los Santos  risultava regolarmente abitare da tempo nell’immobile, oggetto della singolare esecuzione, per cui non ha mai ricevuto nessuna formale richiesta di rilascio, sino al giorno dello sfratto.

A questo punto, appare quindi naturale domandarsi con quale machiavellico espediente i giudici pordenonensi e il proprietario dell’appartamento, di professione avvocato,  siano riusciti ad aggirare la legge che garantisce a tutti i conduttori, senza distinzione di razza e professione,  di godere della cosa locata per tutta la durata del contratto. In punto va precisato che in materia di rilascio di immobili ad uso abitativo, anche in caso di asserita occupazione abusiva, vi è l’obbligo di citare la parte resistente e di emettere l’ordinanza di rilascio in contraddittorio tra le parti. 

L’avvocato-proprietario chiede con ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. che l’alloggio, formalmente intestatato a tale P.A. (detenuto in attesa di giudizio), venga immediatamente liberato, assumendo che questi, accusato di reati inerenti il favoreggiamento della prostituzione, lo avrebbe utilizzato a suo dire “per ritrovi a tutte le ore del giorno e della notte, provocando nocumento agli inquilini e  al pubblico decoro“. Ed è così che il Giudice, dr.ssa Toso, prendendo per oro colato le non certo disinteressate dichiarazioni del legale, ritiene di potere eludere le procedure di legge, disponendo lo sfratto coattivo, senza neppure convocare la convivente domenicana e la figlia minore sentendo le loro ragioni difensive. 

Che le cose non stessero proprio come affermato dall’avvocato-proprietario, ben poteva desumersi dal fatto che, seppure sollecitato dai difensori della resistente, non volle concedere neppure un breve rinvio di gg. 10, temendo evidentemente nella revoca del provvedimento di rilascio inaudita altera parte. Senza parlare della macroscopica lesione del diritto difesa, derivante dal fatto che l’intestatario originario del contratto era in carcere e nell’impossilità di comparire e difendersi.

Non si vede quale urgenza abbia mosso il giudice a provvedere al frettoloso rilascio coattivo dell’abitazione, anche tenuto conto del fatto che l’esecutata viveva lì con la figlia minore, senza disporre di altra dimora, e che l’eventuale accertanda responsabilità penale ascritta al suo convivente è personale. La Signora De Los Santos non era infatti accusata di alcun reato, risultando per contro pagare regolarmente l’affitto e vivere nell’immobile da lungo tempo.  Lo stesso Ufficiale Giudiziario, dando prova di civismo e rispetto della legalità, dietro richiesta dei legali di Avvocati senza Frontiere, ritenne sospendere lo sfratto, rivolgendo al Giudice incidente di esecuzione, richiedendo una breve proroga, onde consentire alla De Los Santos di presentare opposizione e/o reperire altra abitazione. Ciò nonostante, la dr.ssa Zoso confermava di procedere immediatamente, senza, neppure concedere all’inquilina dominicana, la possibilità, prevista dalla legge, di ritirare mobili ed effetti personali, come di norma avviene in ogni parte d’Italia, tra persone civili, dotate di senso di umanità e giustizia.

Alla minaccia di denunciare sia il giudice che l’avvocato procedente per concorso in violenza privata aggravata, abuso continuato in atti di ufficio, falso ideologico e violazione di domicilio, la reazione delle pubbliche Autorità locali a cui la vittima si è rivolta è stata quella di impedire alla sig.ra De Los Santos di ottenere persino “asilo politico dal parroco, a scopo umanitario.

Con i soliti metodi e avvicinamenti fu riferito al parroco, pare dai carabinieri, che la persona che si accingeva ad ospitare con la figlia era  una “ex prostituta”. Raccomadazione che non solo impediva alla povera donna priva di mezzi di trovare ospitalità e altra idonea dimora in loco, ma addirittura  di ritirare i propri effetti personali e arredi che senza alcun motivo, subito dopo l’illegittimo sfratto, venivano immediatamente bruciati nell’inceneritore, quasi a voler simbolicamente mondare e punire chi si era macchiato della “colpa” di avere la pelle nera e di avere denunciato il potere.

La persecuzione non finirà qui ma quella è un’altra storia.

TRIESTE AFFOGA NELL'INQUINAMENTO MA CONDANNA L'AMBIENTALISTA CHE LO DENUNCIA!

CHI DENUNCIA L’INQUINAMENTO   IN SLOVENIA E CROAZIA FINISCE PER COMMETTERE REATO.

E’ la solita giustizia alla rovescia. Il segretario degli Amici della Terra – Friends of the Earth di Trieste e consigliere nazionale degli Amici della Terra Italia, Roberto Giurastante, è stato condannato dal Tribunale locale per avere presentato una denuncia alle autorità italiane ed europee contro gli inquinamenti dell’aria e del mare prodotti in Italia, Slovenia e Croazia dall’inceneritore e dal depuratore della città. La magistratura locale ha infatti emesso contro di lui un “decreto penale”, che in Italia consente di accusare, indagare e condannare una persona senza nemmeno avvisarla (e senza processo), affermando che egli non rappresenterebbe la sua stessa associazione. Questa condanna assurda serve in realtà a negare a Giurastante ed all’associazione ambientalista locale il diritto legale di opporsi all’archiviazione di una denuncia che tocca interessi e responsabilità degli influenti amministratori, politici ed organi giudiziari di Trieste che non hanno ancora fatto cessare questi ed altri inquinamenti gravi e documentati. I Friends of The Earth di Trieste e lo stesso Giurastante sono gli autori delle principali indagini e denunce, anche a livello europeo, contro gli inquinamenti industriali nella provincia di Trieste, la violazione delle norme di sicurezza sugli impianti industriali pericolosi (Legge Seveso) e la violazione dell’obbligo di informazione e prevenzione sul rischio nucleare relativo al porto ed alla vicina centrale sloveno-croata di Krsko.L’associazione locale triestina, che ha piena autonomia giuridica, ha subìto anche pesanti attacchi dalla dirigenza nazionale politicizzata di “Amici della Terra Italia” (Roma), che per questo motivo è ora sotto inchiesta da parte di Friends of The Earth International.

Il Segretario di Greenaction Transnational Paolo G. Parovel

LA STORIA IN SINTESI.

L’Associazione Amici della Terra Trieste affronta da anni con coraggio e fermezza potenti, radicati cartelli imprenditoriali e politici locali dello smaltimento illecito di enormi quantità di rifiuti tossici e degli appalti (ne hanno monopolizzati illecitamente per oltre mille miliardi di lire negli ultimi vent’anni), e le loro connessioni e protezioni nazionali radicate in reti di corruzione ordinaria e mafiosa. Sono le camorre del settentrione, affini e collegate a quelle del resto del Paese. L’Associazione ottiene successi e consenso, ma subisce minacce anche gravi. Si finanzia da sola e tiene duro da anni con difficoltà personali e collettive immaginabili.

Per bloccarci, questi poteri forti, ci denuncia il suo Presidente,  hanno esercitato pressioni sulla nostra associazione nazionale. Che alla fine ha deciso di revocarci l’autorizzazione all’uso del nome e del marchio.  Ci siamo opposti a tale illegittima decisione richiedendo l’intervento dell’associazione internazionale Friends of the Earth di cui facciamo parte. La federazione internazionale ha deciso quindi un procedimento di  ispezione nei confronti di Roma riservandosi ad esito dello stesso di sospendere gli AdT Italia dell’associazione internazionale. L’accusa è di comportamento antidemocratico e violazione dei principi di Friends of the Earth International. Rosa Filippini (presidente AdT Italia), sotto ispezione internazionale, si è rivolta all’autorità giudiziaria italiana avviando cause civili e proponendo quelle penali contro di noi. Il Tribunale Civile di Trieste ha inspiegabilmente accolto in appello il ricorso di Roma. Inspiegabilmente, e senza motivazioni in quanto, in primo grado il ricorso era stato rigettato per mancanza dei presupposti (eravamo accusati di portare un danno all’associazione nazionale e internazionale, ma non sono riusciti a dimostrarlo visto che con le nostre azioni difendiamo solo l’ambiente e i diritti dei cittadini, e questo non è un danno …. semmai ….). La decisione è stata presa da un collegio giudicante presieduto dal presidente del Tribunale di Trieste Arrigo De Pauli (gli altri due componenti erano Riccardo Merluzzi e Arturo Picciotto).

Sul piano penale la Procura della Repubblica di Trieste  procedeva a richiedere l’archiviazione delle nostre denunce escludendoci dai procedimenti come parte offesa e civile. Si arrivava così all’illegittima archiviazione di alcune importanti inchieste senza che noi potessimo opporci.  Si trattava di casi, solo per citare i più importanti, quali l’inquinamento del terrapieno di Barcola (una delle principali discariche a mare di diossina e rifiuti industriali della provincia di Trieste) e della gare d’appalto pubbliche truccate (caso parcheggi). Alcuni di questi procedimenti venivano archiviati nonostante fosse in corso un’istruttoria da parte della Commissione Europea e da parte di altri organi giudiziari. Nei procedimenti che venivano archiviati gli indagati erano quasi sempre influenti politici e imprenditori della nostra regione.

Le nostre denunce venivano quindi trasformate in azione penale contro di noi, senza svolgere alcuna indagine, con l’arbitraria accusa di avere falsamente rappresentato l’associazione Amici della Terra. Da qui il decreto penale di condanna richiesto dal Procuratore di Trieste Nicola Maria Pace. Nel capo di imputazione si legge: “Per avere con più azioni esecutive di un medesimo disegno crminoso, al fine di procurarsi il vantaggio costituito dalla maggiore rappresentatività delle denunce sporte in quanto all’apparenza riconducibili ad una associazione ambientalista di rilevanza nazionale avente titolo ….. indotto in errore i magistrati del pubblico ministero presso il Tribunale di Trieste e dell’ufficio GIP presso il Tribunale di Bologna, loro indirizzando nel primo caso l’esposto denuncia 9/3/2007 nei confronti del sindaco di Trieste e nel secondo atto in data 10/4/07 contenente opposizione alla richiesta di archiviazione ed integrazione della precedente denuncia, attribuendo a se, in entrambi gli atti, redatti su carta intestata Friends of the Earth la falsa qualità di segretario del Club di Trieste Amici della Terra, benché tale qualità, cui la legge riconnette gli effetti giuridici di cui all’art. 91 c.p.p. citato, fosse venuta meno per effetto di revoca dell’autorizzazione all’utilizzo del simbolo e del nome del Club precedentemente intervenuta da parte della direzione nazionale dell’associazione Amici della Terra.

La denuncia a cui si fa riferimento riguardava l’inquinamento dell’inceneritore e del depuratore di Trieste. All’interno di questa denuncia veniva anche messo in evidenza che il sindaco di Trieste aveva pubblicamente affermato che i magistrati dovevano vergognarsi per avere parzialmente sequestrato l’inceneritore a tutela della salute pubblica. Qualsiasi cittadino avesse dichiarato tanto sarebbe stato rinviato a giudizio. Nel caso del sindaco di Trieste invece accadeva che nessun magistrato triestino si riteneva offeso dalle sue dichiarazioni. La Procura di Bologna (competente sul caso) richiedeva l’archiviazione della mia denuncia senza indagini, travisandone tra l’altro il contenuto, e la Procura di Trieste avviava l’azione penale nei miei confronti. L’inceneritore era stato intanto dissequestrato.

L’accusa nei miei confronti non si regge perché:

– Il Club di Trieste degli Amici della Terra ha da statuto completa autonomia giuridica;

– Il logo e il nome dell’associazione appartengono a quella internazionale e non a quella nazionale;

– L’associazione internazionale Friends of the Earth non solo non ha avallato l’illegittimo comportamento degli AdT Italia, ma anzi ha avviato, su nostra denuncia, un’azione di ispezione nei confronti dell’associazione nazionale riservandosi di sospenderla;

– le denunce erano da me presentate come segretario del Club di Trieste di Friends of the Earth – Amici della Terra gruppo autonomo, e con piena autorità giuridica, dagli Amici della Terra Italia;

– ogni cittadino può presentare, se riscontra una violazione, di legge denuncia alle autorità competenti le quali devono procedere.

Sono preoccupanti le affermazioni del Procuratore di Trieste Pace secondo il quale le denunce hanno un peso diverso a seconda di chi le presenta (maggior rappresentatività per le denunce …..).

Ad ogni modo, per maggiore sicurezza, avevamo fin dal novembre 2006 provveduto ad informare la Procura della Repubblica di Trieste della situazione determinatasi tra noi e Roma depositando tra gli altri anche i documenti inviatici dalla Federazione Internazionale di Friends of the Earth in cui si comunicava l’avvio dell’ispezione nei confronti degli AdT Italia. Ribadivamo inoltre la nostra completa autonomia giuridica che ci consentiva (e ci consente) di agire senza alcuna delega da parte dell’associazione nazionale. L’autonomia giuridica ci  è peraltro riconosciuta dallo stesso Stato visto che abbiamo un nostro codice fiscale.

Tutto questo veniva dimostrato con prove documentali pure al Tribunale di Trieste nelle cause civili intentate dagli AdT Italia.

Sia la Procura della Repubblica che il Tribunale di Trieste non tenevano, senza motivazione, in alcuna considerazione le prove da noi presentate.

Dal codice etico dei Magistrati:

Art. 13 – La condotta del Pubblico Ministero

Il pubblico ministero si comporta con imparzialità nello svolgimento del suo ruolo.

Indirizza la sua indagine alla ricerca della verità acquisendo anche gli elementi di prova a favore dell’indagato e non tace al giudice l’esistenza di fatti a vantaggio dell’indagato o dell’imputato.

Evita di esprimere valutazioni sulle persone delle parti o dei testi, che non siano conferenti rispetto alla decisione del giudice e si astiene da critiche o apprezzamenti sulla professionalità del giudice e dei difensori.

Non chiede al giudice anticipazioni sulle sue decisioni, nè gli comunica in via informale conoscenze sul processo in corso.

Nel mio caso il P.M. (Procuratore della Repubblica di Trieste Nicola Maria Pace) pur essendo a conoscenza delle prove a mio discarico le ha completamente omesse inducendo cosý in errore anche il G.I.P. che doveva decidere sul decreto penale di condanna.

 Roberto Giurastante

TRIBUNALE DI TOLMEZZO MORTE SOSPETTA DI UN ALPINO

 

TRIBUNALE DI TOLMEZZO MORTE SOSPETTA DI UN ALPINO

ANGELO GARRO e ANNA CREMONA

Via Castel Morrone 5 – 20129 Milano

Telefax: 02.7389527 Cell. 338.9351886

E-mail: angelogarro@libero.it

http://www.alpinorobertogarro.it

Milano, 12 gennaio 2004

…… ………………………………………………………

Ad: Avvocati Senza Frontiere

<avvocatisenzafrontiere@hotmail.com> < movimentogiustizia@yahoo.it>

Io e mia moglie Anna, milanesi, siamo i genitori di un giovane militare di 19 anni, nostro unico figlio, deceduto con tre altri commilitoni, in circostanze misteriose e mai volute chiarire, durante il servizio di leva negli alpini, in Friuli, il 9 giugno 1998. Morte attribuita (riteniamo falsamente) ad un “incidente stradale”, ma, invero, avvenuta a seguito di un inspiegato scoppio e conseguente disintegrazione dell’auto (la circostanza è confermata a verbale) su cui nostro figlio viaggiava.

Anziché indagare sulle cause all’origine del preteso incidente stradale e dell’anomala esplosione che aveva provocato una strage di persone innocenti, la Procura di Tolmezzo si è da subito affrettata a richiedere del tutto ingiustificatamente l’archiviazione del caso, consentendo al conduttore bosniaco dell’autoarticolato investitore di sparire nel nulla. Come se vi fosse un interesse a coprire qualcosa o le responsabilità di qualcuno, dopo soli nove giorni il camion fu illegittimamente dissequestrato e rispedito in Austria, senza alcuna perizia (nonostante si trattasse di corpo di reato che avrebbe dovuto rimanere nella disponibilità degli organi inquirenti).

Singolarmente nessuno ha mai ritenuto interrogare n° 5 commilitoni testimoni oculari né tantomeno parlare della morte di un’anziana donna e svolgere la benché minima indagine sui fatti, mentre il P.M. dr. Enrico Cavalieri avoca a sé ogni nostra denuncia.

Nel frattempo viene smantellato e trasferito tutto lo Stato Maggiore della Caserma.

Ma andiamo con ordine.

La sera del 9 giugno 1998, ormai superato l’8° mese di naja, (naja che svolgeva con molto entusiasmo, tanto da firmare due giorni prima la “rafferma” quale V.F.B. volontario a per un altro anno), dopo averlo sentito al telefonino alle ore 22,30 come solevamo fare tutte le sere, cioè solo cinque minuti prima del Suo decesso; veniamo svegliati in piena notte da una telefonata in cui il Suo comandante col. Paolo Plazzotta ci annunciava la Sua morte e ci invitava per il mattino successivo a presentarci in caserma a Venzone in Friuli per il dovuto riconoscimento.

Riconoscimento che il mattino dopo in caserma ci fu impedito con una serie di giustificazioni che in seguito si rivelarono solo menzogne, impedendoci così anche di dare un ultimo addio al nostro unico figlio; ma il Comando di quella caserma andò oltre, quando alla nostra domanda: quando si svolgeranno i funerali? Ci fu risposto che, essendo le salme sotto magistratura i tempi sarebbero stati lunghi, tanto da convincerci a tornarcene a casa, e così fu per tutti i genitori presenti in quella circostanza, e in attesa di essere richiamati.

Invece il mattino successivo, e in assenza di tutti i genitori dei militari caduti, nel cortile della caserma, (e neanche in chiesa), si svolse la “cerimonia di commiato” come vollero chiamarla, dei quattro militari, dal Reggimento, dai commilitoni, dalla caserma.

Grandi assenti i genitori mai avvisati.

Ma non finì qui la serie di soprusi ingiustificabili avvenuti: Un filmato in nostro possesso ottenuto fortunosamente, documenta la cerimonia, le parole dette, e la partenza di quattro Carri Funebri con le quattro bare separatamente e singolarmente, per i luoghi d’origine dei militi fra cui nostro figlio; Milano, Modena, Parma e Taranto.

Purtroppo, a Milano, dove noi genitori, avvisati appena in tempo stavamo aspettando e nonostante le “scorte armate”, arrivò un volgare e anonimo furgoncino da mercato (truffa ai danni dello Stato) contenente due bare anonime avvolte nella bandiera Tricolore. Quindi consegnata la “nostra” bara, il furgoncino proseguì per Modena per un’altra “consegna”.

Ci sono voluti tre anni di proteste, di manifestazioni per le vie di Milano, una raccolta di 17mila firme, Interrogazioni Parlamentari presentate da tutti i partiti presenti in Parlamento, l’interessamento del Presidente del Senato Mancino e del Presidente della Camera Violante che incontrammo entrambi nei Loro uffici a Roma, due Mozioni del Consiglio Comunale di Milano votale all’unanimità, una Mozione del Consiglio Provinciale di Como, per ottenere finalmente la riesumazione della salma di nostro figlio onde poterne accertare finalmente la vera identità e sapere se fosse veramente tornato definitivamente a casa, o continuare a considerarlo un desaparecido avendo sempre sospettato e temuto uno scambio di salme fra i quattro militari che nessuno aveva mai visto dopo la morte. Ma dovemmo inoltre subire una serie di intimidazioni anche gravi da parte di alcuni alti ufficiali delle FF.AA. nel tentativo di dissuaderci dal continuare nella nostra battaglia per conoscere la verità. Nonostante tutto ciò, vincemmo! Ma a quale prezzo! E con quale risultato!

Il prosieguo della nostra vicenda è ancor più drammatico in quanto a riesumazione avvenuta e avendo fortunatamente ritrovato nostro figlio (per le altre tre famiglie i dubbi restano), abbiamo dovuto constatare e scoprire anche il “vilipendio a cadavere art. 410 c.p.” avendolo il Suo Comando gettato nella bara completamente nudo, sporco e scomposto (tutto è documentato con fotografie e Relazione Medico Legale rilasciata dall’Istituto di Medicina Legale di Milano e dalla magistratura milanese intervenuta per Rogatoria).

Una serie di denunce presentate alla Procura di Tolmezzo competente per territorio ottengono sempre l’immediata archiviazione senza indagini. Sono ormai quattro le denunce presentate e fra Avvisi di archiviazioni (spesso vergognose e assurde che siamo pronti ad esibire), Opposizioni all’archiviazione e quindi definitive Archiviazioni, nonché nuove denunce; tanto da rivolgerci alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo (che ci rispose positivamente), infine, abbiamo finito con il denunciare anche questo magistrato al C.S.M. al Ministro della Giustizia (incontrandolo di persona), ecc. ecc. per la sua ostinata ed arrogante presunzione dimostrata rifiutandosi in cinque anni di incontrarci ed ascoltarci, rifiutando anche di incontrare il nostro ultimo legale. (Per le avversità incontrate siamo stati costretti a cambiare ben quattro Studi Legali…).

Ormai da troppo tempo ci chiediamo come sia stato possibile in un Paese così “civile” e così cattolico che avvenimenti così vergognosi possano accadere! E perché!?

Inoltre perché nessuno risponde mai ai nostri tanti appelli? (n° 19 al solo Capo dello Stato).

Noi delle risposte ce le siamo date, ma essendo solo supposizioni, non supportate da prove certe, vengono considerate solo inutili illazioni di due genitori sconvolti a cui è stato scippato l’unico figlio. Ma tanto è successo a noi!

E’ amaro constatare che, in tutta questa storia, dalla morte sospetta dei quattro militi, ai funerali non di stato e blindati all’interno della caserma Feruglio, al trasporto fraudolento e oltraggioso tacitamente approvato, dalla violata Consegna Militare inspiegabile ma non troppo, per arrivare al vilipendio di cadavere, questi Ragazzi al servizio dello Stato siano stati trattati al pari di carne senza valore, calpestandone ogni parvenza di rispetto per la dignità umana. Eppure il nostro Capo dello Stato, di questo Rispetto si riempie quotidianamente la bocca, dimostrando così di predicar bene, ma razzolar male; tanto come già detto, non si tratta dei suoi figli,ma figli dei suoi sudditi.

Rendendoci conto che quanto narrato sia già lungo, mi fermo qui per non annoiare, anche se la storia è più lunga e più complessa, fatta anche di estorsioni di denaro da parte di avvocati disonesti e di una infinità di domande senza risposte, come per esempio:

– Perché ci fu impedito di fare il dovuto riconoscimento a nostro figlio previsto per legge ed essendo presenti e darGli un ultimo addio?

– Perché mentirono dicendoci che tutti i militi erano completamente a pezzi?

– Perché non furono ricomposti cristianamente e dignitosamente?

– Perché non ci fu permesso di partecipare alle esequie militari in caserma?

– Perché non furono eseguite autopsie, perizie, e quanto altro?

– Perché fu fatto sparire il testimone chiave bosniaco?

– Perché le indagini si chiusero in soli cinque giorni?

– Perché non si indagò sullo scoppio dell’auto a benzina?

– Perché non si indagò nemmeno sull’Unabomber?

– Perché non si indagò in una possibile faida interna alla caserma (nonnismo)?

– Perché fummo “invitati” a dimenticare?

– Perché ogni nostra denuncia finisce sempre nelle mani dello stesso magistrato che ha dimostrato di esserci avverso archiviandoci sempre tutto?

– Perché si rifiuta da sempre di incontrarci? (lo stesso succede ai genitori di Ilaria Alpi)

– Perché abbiamo dovuto lottare per tre anni per sapere dove era veramente sepolto nostro figlio?

– Perché e cosa si vuole nascondere dietro queste morti?

– Ma soprattutto: chi mise la bomba sull’auto del Bergonzini?

In tal modo vengono ingannate e snobbate migliaia di famiglie colpite da questa catastrofe che è la morte di un proprio congiunto al servizio dello Stato, tanto che di altre storie simili di famiglie sparse per l’Italia abbiamo notizie certe, ma nessuno ne parla; Perché?

Riteniamo di poter affermare che lo Stato Italiano, gioca con carte truccate e bara verso i suoi cittadini che tanto ignari non sono, eppure Esso riesce ancora a gabbarli.

Ci rivolgiamo alla Vs. attenzione per denunciare ed informare la pubblica opinione dell’ingratitudine che il nostro Paese riserva ai suoi caduti; considerando che tale trattamento viene riservato anche ai caduti delle Forze dell’Ordine.

Conclusione: nessuna giustizia per chi muore al servizio dello Stato!

Distinti saluti

Angelo Garro e Anna Cremona

 

TRIBUNALE DI PORDENONE CASO CARNIER

 

TRIBUNALE DI PORDENONE
(Caso CARNIER)
USURA BANCARIA LEGALIZZATA DA GIUDICI E PREFETTURA

 

Un caso emblematico di profonda malagiustizia, quello del prof. Pietro Arrigo Carnier, noto e stimato storico che, anch’egli con la sua famiglia rischia nei prossimi giorni di febbraio 2004 di venire spogliato della propria unica abitazione e vedersi gettare in mezzo ad una strada alla veneranda età di 76 anni, a seguito di usura bancaria e di una procedura esecutiva illegittima.

Per chi non avesse avuto modo di leggere i molteplici articoli sul caso, apparsi sulla stampa locale, il Prof. Carnier si è trovato costretto a denunciare alla Procura di Bologna, vari giudici di Pordenone, tra cui i dott.ri Manzon, Zaccardi, Lazzaro ed altri, per l’ipotizzato favoreggiamento di alcuni Istituti di credito e concorso in usura, in relazione alla vendita all’asta della sua abitazione, che ritiene illegittima, in quanto effettuata nonostante la pendenza di una causa di opposizione alla vendita, ove vengono contestati i tassi anatocistici praticati dalle banche (con punte in taluni casi di oltre il 110%).

L’art. 569 c. 4^ c.p.c. prevede, infatti, che il Giudice non possa disporre l’asta, sino all’esito della sentenza che decide sull’opposizione alla vendita (all’epoca non ancora intervenuta, mentre l’asta era invece già stata abusivamente eseguita in data 26.2.03). Da qui la denuncia per abuso di ufficio e falso ideologico, finalizzati all’estorsione dell’immobile, alienato a soli 180.000 Euro, contro una stima di quasi Lire 1 miliardo.

La storia di ordinaria malagiustizia riguarda alcune banche Venete che, a seguito di un’erronea dichiarazione di protesto per appena 5.000.000 delle vecchie lire (che ha provocato la revoca di ogni affidamento bancario e lo strangolamento finanziario), hanno imposto di mettere all’asta l’abitazione degli anziani coniugi Carnier del valore di quasi un miliardo di lire!
A nulla è valso chiedere ripetutamente la sospensione della vendita e una Perizia Contabile, volta a stabilire la reale situazione debitoria, onde potere accedere alla conversione del pignoramento, facendo rilevare ai Giudici Manzon e Zaccardi, nonché al Presidente del Tribunale, dr. Lazzaro, con una serie di reclami, che risulta del tutto assurdo pretendere che il debitore estorto paghi crediti gravati da tassi usurari con punte del 110%, come attestato dallo Studio Murer, uno dei maggiori studi di revisori dei conti del Veneto, a cui la famiglia Carnier si è rivolta, che ha certificato che la somma pretesa va ridotta di ben Lire 365.247.460!

I Giudici incaricati (prima il Manzon, eppoi Zaccardi, dopo la ricusazione del primo), omettendo di ricalcolare gli interessi, hanno così avvallato le pretese usurarie delle banche e quest’ultimo non si è, neppure, voluto astenere, seppure a sua volta ricusato e denunciato alla Procura di Bologna (territorialmente competente per i reati commessi da Giudici del Veneto) per favoreggiamento, falso ideologico, concorso in usura, omissione e abuso continuato in atti di ufficio.

Scandalosamente, la locale Prefettura ha altresì negato alla famiglia Carnier i benefici previsti dalle recenti Leggi antiusura (proroga di 300 gg. dello sfratto e fondo di solidarietà), adducendo a pretesto contrariamente alle evidenze documentali e all’attestazione della Procura di Bologna che il Presidente del Tribunale di Pordenone, dr. Lazzaro, anch’egli indagato, avrebbe dato parere negativo, dichiarando (n.d.r.: falsamente) che il procedimento penale sarebbe stato (sic!) “archiviato”.

REPLICA AL PRESIDENTE LAZZARO DELLL’A.N.M. PORDENONESE E INVITO ALL’ASSOCIAZIONE MAGISTRATI AD UN PUBBLICO DIBATTITO SUL CASO CARNIER E ALTRI CONSIMILI

Sulla vicenda è intervenuto lo stesso Presidente del Tribunale di Pordenone, dr. Antonio Lazzaro e il Segretario della locale sottosezione dell’A.N.M. Rodolfo Piccin, che con una nota alla stampa, in relazione alle contestazioni mosse dai legali di “Avvocati senza Frontiere”, hanno sostenuto che il Tribunale “non sarebbe tenuto a conoscere come sia sorto il debito e perché non sia stato onorato”, concludendo che “il comportamento del giudice ricusato, dr. Enrico Manzon, sarebbe sempre stato equilibrato e che le denunce di Carnier sarebbero state archiviate dalla competente autorità giudiziaria di Bologna per la loro inconsistenza”.
A queste affermazioni risponde Avvocati Senza Frontiere, ricordando che le cose non stanno così e il Presidente del Tribunale di Pordenone ben avrebbe fatto a documentarsi meglio.
Il procedimento penale a carico del dr. Manzon e di altri giudici di Pordenone è infatti, tuttora subjudice, avanti alla Suprema Corte di Cassazione e non può, quindi, considerarsi tecnicamente “archiviato”.
Il dr. Lazzaro ben dovrebbe sapere che un conto è la richiesta di archiviazione e un altro è il provvedimento definitivo che ne statuisce il passaggio in giudicato.
Con l’ovvia conseguenza che i giudici Manzon, Zaccardi, Fontana, Moscato, Zoso, Botteri e Cobucci Riccio non avrebbero potuto continuare a giudicare (proteggendosi a vicenda) i vari ricorsi, reclami e ricusazioni proposte nei loro confronti, per manifesta incompatibilità e conflitto di interessi.
Va, infine, decisamente, confutato l’assunto della locale A.N.M., secondo cui il prof. Carnier “avrebbe impedito al giudice di prendere in considerazione la domanda di differimento dell’asta, non avendo provveduto al deposito del quinto ritenuto necessario”.
Il Giudice, infatti, come già detto, in pendenza di opposizione aveva l’ineludibile obbligo di sospendere la vendita, sino all’esito della causa, e disporre una Perizia contabile per stabilire le somme, effettivamente spettanti, sgravate dai tassi usurari, come previsto per legge e dalle note sentenze della Cassazione e Corte Costituzionale che vietano le clausole contrattuali nei contratti di conto corrente che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi, introducendo il principio del tasso bancario usurario.
In stridente contrasto con tali norme e principi di diritto il Tribunale di Pordenone ha invece pretestuosamente negato la Perizia contabile, demandando l’accertamento alla fase della distribuzione del ricavato, cioè a vendita eseguita, rendendo, pertanto, materialmente, impossibile alla famiglia dell’anziano professore di accedere alla procedura della conversione del pignoramento e conoscere l’esatta misura del quinto da versare.
Questi non possono certo ritenersi comportamenti equilibrati, come sostenuto dal Presidente del Tribunale di Pordenone che invitiamo con la locale A.N.M., se esiste in loro un minimo di onestà intellettuale, a un pubblico dibattito a TeleSerenissima sul tema e su altri casi eclatanti che ci sono stati segnalati, da parte di tanti legali e persone inermi che ritengono la giustizia più sensibile agli interessi delle banche che a quelli sacrosanti dei cittadini vittime dell’usura.

COME LA CASSAZIONE RIESCE AD ELUDERE LA LEGGE PINTO

 COME LA CASSAZIONE RIESCE AD ELUDERE LA LEGGE PINTO

Il Sig. B. L. della provincia di Udine, di professione agente di commercio, nel lontano 1982 si opponeva all’ingiunzione di pagamento dell’imposta locale sui redditi (ILOR) per l’anno 1979, unitamente alla moglie Sig.ra G. F., ricorrendo alla locale Commissione Tributaria di primo grado, poi a quella di grado successivo in appello.
In entrambe le occasioni la Commissione Tributaria di Udine respingeva i ricorsi.

A questo punto il Sig. B. L., nell’anno 1984, ricorreva alla Commissione Tributaria Centrale con sede in Roma, che nel gennaio del 2005, dopo quasi 23 anni di contenzioso, accoglieva il ricorso, stabilendo che il pagamento di tale imposta non ero dovuto da parte del ricorrente.
Il Sig. B. L., patrocinato dall’Associazione Avvocati Senza Frontiere di Milano, a questo punto, in considerazione dell’irragionevole durata del contenzioso, proponeva ricorso secondo quanto previsto dalla legge Pinto (n.89/2001) presso la Corte d’Appello di Bologna, competente per territorio.

Purtroppo le possibilità di accoglimento della richiesta di risarcimento sono limitate.
Forse che i Giudici del distretto emiliano ritengono che un contenzioso possa durare la bellezza di 23 anni senza che vi sia violazione della normativa comunitaria?
Nient’affatto.. Il punto è un altro: come si suol dire fatta la legge, trovato l’inganno…

Con due recenti sentenze la prima n. 17139/04, la seconda 18739/04, la prima sezione della Corte di Cassazione ha affermato che la disciplina sull’equa riparazione, ex lege 89/2001, per violazione del termine ragionevole di durata del processo, non è applicabile alla materia tributaria, a meno che la contestazione esorbiti dalle vertenze aventi ad oggetto la pretesa fiscale dello Stato e sia, invece, riconducibili a controversie relative a diritti e doveri di carattere civile o assimilabile alla materia penale.

Tale giurisprudenza è assolutamente sconcertante in quanto stravolge il dettato normativo dell’articolo 3, comma 3, della legge 89/2001 che testualmente stabilisce : ” il ricorso è proposto nei confronti […] del ministro delle Finanze quando si tratti di procedimenti del Giudice tributario..
Con tale decisione la Legge Pinto viene privata di ogni sostanziale autonomia nell’ordinamento interno, ne riduce la funzione di assicurare piena tutela ai diritti riconosciuti in materia giurisdizionale, segnatamente al diritto di avere un giudizio in tempi ragionevolmente accettabili, in attuazione del dettato di cui all’art. 111 della Costituzione, laddove prescrive la ragionevole durata di “ogni” processo, ivi compreso quello tributario.
A tali conclusioni perviene la totalità degli operatori del diritto, come si può leggere nel commento della sentenza da parte della Dr.ssa Laura Triassi riportato nel numero 36 di sabato 9 ottobre 2004 di Diritto e Giustizia.

Il punto è un altro e non è giuridico…

Presso la Commissione Tributaria Centrale di Roma, rimasta in vigore solo per i contenziosi ante riforma 1992, i tempi decisori erano a dir poco biblici: in media 20 anni…Poiché le Casse dello Stato languono e non si riesce a far fronte alla spesa corrente (salvo levare l’ICI agli immobili ecclesiastici anche di natura commerciale…) la Suprema Corte ha pensato bene di stravolgere la normativa per impedire i risarcimenti ai cittadini vittime della lunghezza processuale!

Un bizantinismo certamente poco onorevole e che ha un’unica conseguenza: ancora una volta paga il cittadino…

Friuli Venezia Giulia

 

Prima di accingerVi a leggere i vari casi, pensate che si tratta di storie vere, per cui molti uomini sono morti e tante famiglie sono state distrutte dal dolore, senza ricevere alcuna tutela, da parte delle varie Autorità a cui fiduciosamente si erano rivolte. Pensate che non si tratta di casi isolati e non crediate che ciò che è capitato agli altri non possa, prima o poi, capitare, anche, a Voi od, a qualche stretto congiunto. Sarebbe il più grave errore che potreste commettere, dal quale genera l’indifferenza verso i mali della giustizia e su cui si fonda il dominio del male e della menzogna sulla Verità.