Guida alla separazione

 

“LA LEGGE NON E’ UGUALE PER TUTTI

…NEPPURE PER CHI SI VUOLE SEPARARE!

Nonostante il nostro ordinamento preveda, espressamente, il diritto dei cittadini di presentare personalmente le domande di separazione e divorzio consensuale (secondo lo stesso indirizzo interpretativo delle vigenti norme in materia, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, e in osservanza all’art. 6 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, che prevede il diritto di autodifesa legale), nei Tribunali italiani vige la più assoluta anarchia, per cui non vi è uniformità applicativa in merito alla possibilità di presentare il ricorso per separazione e divorzio congiunto senza il patrocinio di un avvocato, come ci si dovrebbe aspettare in uno Stato di Diritto.

Con la conseguenza che i Tribunali di una stessa regione, quali ad esempio Milano, Torino, Genova, Roma e Agrigento si muovono in maniera del tutto opposta a quelli di Sondrio, Asti, Savona, Civitavecchia, Palermo, Firenze, Trento e tutti gli altri sottoelencati, dando prova che in questo Paese non esiste alcuna sovranità della Legge e del Diritto. I cittadini vengono così costretti a rivolgersi agli avvocati-stregoni del divorzio, vedendosi ingiustamente gravare di pesanti quanto inutili spese legali.

Ciò, nell’evidente proposito di favorire le lobbies di pressione affaristico-giudiziaria, che fanno capo ai locali Consigli dell’Ordine Avvocati e agli Uffici di Presidenza dei rispettivi Tribunali e Corti di Appello.

LA SEPARAZIONE GIUDIZIALE

Viene pronunciata dal Tribunale su richiesta di uno dei coniugi. Può essere richiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare pregiudizio all’educazione della prole.

In caso di separazione consensuale, ex art. 711 c.p.c., non è necessaria l’assistenza tecnica di un legale, seppure in genere giudici, cancellieri e avvocati tendano a scoraggiare l’autodifesa personale delle parti.
IL PROCEDIMENTO DI SEPARAZIONE GIUDIZIALE

La competenza in materia è affidata al Tribunale del luogo in cui risiede il convenuto. La fase iniziale si svolge davanti al Presidente del Tribunale, al quale spetta la fissazione della data in cui dovranno comparire entrambi i coniugi: in questa sede egli tenterà di conciliarli, sentendoli prima separatamente e poi insieme; se la conciliazione riesce o se il coniuge che ha proposto ricorso rinunzia al giudizio, il presidente ordina la redazione del verbale di conciliazione o di rinuncia all’azione. Nel caso di fallimento del tentativo di conciliazione o di mancata comparizione del coniuge convenuto, il presidente provvede anche d’ufficio con ordinanza inoppugnabile a regolare gli atti provvisori e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e dei figli. Si tratta di provvedimenti temporanei emessi in attesa della sentenza, che riguardano soprattutto l’autorizzazione a vivere separatamente, l’obbligo dell’assegno di mantenimento, l’affidamento dei figli, l’assegnazione dell’uso dell’abitazione familiare anche qualora questa appartenga all’altro coniuge. Il presidente nomina poi il giudice istruttore dinnanzi al quale proseguirà la causa secondo il rito ordinario fino all’emissione della sentenza: questi può decidere di revocare o modificare il contenuto dell’ordinanza del tribunale. A seguito della separazione i coniugi decadono dal dovere di coabitazione; per quanto riguarda il dovere di fedeltà, la giurisprudenza ritiene che sia da considerare estinto, ma viene fatto divieto di comportamenti lesivi della dignità dell’altro coniuge. La legge disciplina le conseguenze della separazione solo in relazione alla prole, all’aspetto patrimoniale e al cognome della moglie.
I PROVVEDIMENTI VERSO I FIGLI

Qualora vi siano figli minorenni, il giudice deve emettere tutti i provvedimenti necessari nei loro confronti con esclusivo riferimento al loro interesse morale e materiale. Innanzitutto, dichiarare a quale dei coniugi essi saranno affidati. Potrà, in presenza di gravi motivi, ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona o, nell’impossibilità, in un istituto di educazione. Inoltre, stabilirà la misura e il modo con cui l’altro coniuge deve contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi: ciò significa che dovrà quantificare l’assegno di mantenimento a favore del coniuge affidatario e le modalità del diritto di visita riguardanti il non affidatario. In ogni caso deve tener conto di quanto pattuito tra le parti senza però che ciò vincoli in alcun modo la decisione del tribunale. Il coniuge cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della potestà su di essi e , salvo che sia diversamente stabilito, le decisioni giornaliere e ordinarie sono di competenza del genitore affidatario; per le scelte determinanti nella vita del figlio occorre il consenso di entrambi i coniugi. Qualora il coniuge affidatario decida su una questione di maggiore interesse senza rispettare quanto pattuito da entrambi è ammissibile il ricorso al giudice. Il coniuge cui i figli non sono affidata conserva sempre il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e conseguentemente può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.

L’ABITAZIONE NELLA CASA FAMILIARE

Per quanto concerne l’abitazione nella casa familiare, esso spetta di preferenza, e ove ciò sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli, anche se la casa non è di sua proprietà. Questa disposizione, volta a consentire al figlio di vivere nel luogo in cui è cresciuto, si ritiene estendibile anche al coniuge affidatario di figli maggiorenni, e riguarda solo la prima casa. Il giudice dà inoltre disposizioni circa l’amministrazione dei beni dei figli e, nell’ipotesi che l’esercizio della potestà sia affidata a entrambi i genitori, il concorso degli stessi al godimento dell’usufrutto legale. Infine i coniugi hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di esse e le disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.

GLI EFFETTI SUI RAPPORTI PATRIMONIALI TRA I CONIUGI

L’obbligo di contribuzione al mantenimento dell’altro coniuge sussiste solo se la separazione non sia in alcun modo addebitabile al richiedente e a condizione che quest’ultimo non possegga adeguati redditi propri. In caso di pronunzia di addebitabilità è applicabile l’assegno alimentare e non quello di mantenimento. Il giudice può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale, se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento dell’obbligo, e , in caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare a terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto. Tutti i provvedimenti emessi in relazione ai rapporti patrimoniali tra i coniugi e ai figli possono essere revocati o modificati, anche quando la sentenza sia passata in giudicato, qualora sopravvengono giustificati motivi.

SUCCESSIONE A SEGUITO DI SEPARAZIONE

Qualora muoia uno dei coniugi separati, l’altro è ammesso a succedergli in qualità di erede legittimo o necessario, ma a condizione che non gli sia stata addebitata la separazione. Se si è invece in presenza di una pronunzia di addebito già passata in giudicato, il coniuge sopravvissuto decade dal diritto dell’eredità, tuttavia gli è dovuto un assegno vitalizio, se percepiva gli alimenti. Allo stesso modo, la separazione non estingue il diritto all’assistenza medica mutualistica, alla pensione di reversibilità e ai contributi dovuti in base al trattamento di fine rapporto, ma sempre a condizione che non sussista alcuna pronunzia di addebito a carico del coniuge richiedente.

USO DEL COGNOME DEL MARITO

Il giudice può vietarlo alla moglie quando tale uso sia gravemente pregiudiziale al marito e può parimenti autorizzarla a non usarlo, qualora possa derivarle grave pregiudizio.

LA RICONCILIAZIONE

I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice, con un’espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione. Ciò si verifica, ad es., quando due coniugi separati riprendono a convivere e ristabiliscono la comunione spirituale e materiale tra loro; rapporti sessuali occasionali non comportano invece la riconciliazione. A seguito della riconciliazione cessano gli effetti della sentenza di separazione. Essa inoltre preclude che la separazione possa essere nuovamente pronunziata per fatti e comportamenti avvenuti prima della riconciliazione: una nuova separazione può essere dichiarata solo a seguito di fatti avvenuti dopo di essa. Quando la riconciliazione avviene prima della sentenza produce l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta.

LA SEPARAZIONE CONSENSUALE

Si svolge con un procedimento più rapido e permette ai coniugi di non sottoporre le proprie questioni private dinnanzi al giudice e di procedere con maggior economia: per tale ragione risulta essere più diffusa rispetto alla separazione giudiziale. Requisiti essenziali sono il consenso tra le parti e l’omologazione del giudice. L’accordo deve vertere su tutti i punti richiesti perché possa attuarsi lo stato di separazione: dunque i coniugi devono determinare a chi saranno affidati i figli, le modalità di contribuzione al mantenimento degli stessi e del coniuge legittimato, la disponibilità della casa familiare. Inoltre, qualsiasi clausola stabilita tra i coniugi che sia in contrasto con norme imperative è nulla: ad es., il coniuge cui spetti l’assegno alimentare non può rinunciarvi; allo stesso modo, non può esimersi dal mantenimento dei figli, a meno che non versi in stato di bisogno. Raggiunto l’accordo è necessario ricorrere al giudice affinché pronunci l’omologazione; il ricorso deve essere presentato da entrambi i coniugi o da uno solo; il presidente del tribunale deve ascoltarli e cercare di conciliarli: qualora la riconciliazione non riesca si dà atto nel processo verbale del consenso alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi e i figli.

 

TRIBUNALI CHE AMMETTONO IL DIVORZIO CONGIUNTO

SENZA L’ASSISTENZA DI UN AVVOCATO

ABRUZZO LANCIANO, PESCARA, TERAMO
CALABRIA REGGIO CALABRIA
CAMPANIA BENEVENTO, S. ANGELO DEI LOMBARDI
FRIULI VENEZIA GIULIA TOLMEZZO, UDINE, GORIZIA
LAZIO CASSINO, CIVITAVECCHIA, FROSINONE, RIETI
LIGURIA IMPERIA, LA SPEZIA, SANREMO, SAVONA
LOMBARDIA CREMA, CREMONA, LODI, SONDRIO
MARCHE ANCONA, CAMERINO, FERMO, URBINO
MOLISE ISERNIA, LARINO
PIEMONTE ACQUI TERME, ALBA, ALESSANDRIA, ASTI, CASALE MONFERRATO, TORTONA, VERCELLI
PUGLIA BARI, FOGGIA, LECCE, TARANTO
SARDEGNA CAGLIARI, LANUSEI, ORISTANO, SASSARI
SICILIA AGRIGENTO, BARCELLONA POZZO DI GOTTO, ENNA, MARSALA, MODICA, PALERMO, RAGUSA, SCIACCA, SIRACUSA, TERMINI MESERE
TOSCANA FIRENZE, GROSSETO, MASSA, SIENA
TRENTINO TRENTO, ROVERETO
UMBRIA SPOLETO
VENETO ROVIGO

Se il tribunale della tua città non è in questa lista puoi scriverci una mail a movimentogiustizia@yahoo.it, indicando, senza impegno, i comuni di residenza dei due coniugi già separati. Ove possibile, cercheremo di assisterti con un nostro avvocato fiduciario presente nella tua città, in base a tariffe convenzionate e assolutamente contenute.
Stiamo anche valutando l’opportunità di denunciare gli uffici giudiziari che non consentono ai cittadini di accedere al diritto di autodifesa, chiedendo accertarsi l’ordine di interessi che genera una simile disparità di comportamenti tra le diverse sedi giudiziarie.

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