COME LA CASSAZIONE RIESCE AD ELUDERE LA LEGGE PINTO

 COME LA CASSAZIONE RIESCE AD ELUDERE LA LEGGE PINTO

Il Sig. B. L. della provincia di Udine, di professione agente di commercio, nel lontano 1982 si opponeva all’ingiunzione di pagamento dell’imposta locale sui redditi (ILOR) per l’anno 1979, unitamente alla moglie Sig.ra G. F., ricorrendo alla locale Commissione Tributaria di primo grado, poi a quella di grado successivo in appello.
In entrambe le occasioni la Commissione Tributaria di Udine respingeva i ricorsi.

A questo punto il Sig. B. L., nell’anno 1984, ricorreva alla Commissione Tributaria Centrale con sede in Roma, che nel gennaio del 2005, dopo quasi 23 anni di contenzioso, accoglieva il ricorso, stabilendo che il pagamento di tale imposta non ero dovuto da parte del ricorrente.
Il Sig. B. L., patrocinato dall’Associazione Avvocati Senza Frontiere di Milano, a questo punto, in considerazione dell’irragionevole durata del contenzioso, proponeva ricorso secondo quanto previsto dalla legge Pinto (n.89/2001) presso la Corte d’Appello di Bologna, competente per territorio.

Purtroppo le possibilità di accoglimento della richiesta di risarcimento sono limitate.
Forse che i Giudici del distretto emiliano ritengono che un contenzioso possa durare la bellezza di 23 anni senza che vi sia violazione della normativa comunitaria?
Nient’affatto.. Il punto è un altro: come si suol dire fatta la legge, trovato l’inganno…

Con due recenti sentenze la prima n. 17139/04, la seconda 18739/04, la prima sezione della Corte di Cassazione ha affermato che la disciplina sull’equa riparazione, ex lege 89/2001, per violazione del termine ragionevole di durata del processo, non è applicabile alla materia tributaria, a meno che la contestazione esorbiti dalle vertenze aventi ad oggetto la pretesa fiscale dello Stato e sia, invece, riconducibili a controversie relative a diritti e doveri di carattere civile o assimilabile alla materia penale.

Tale giurisprudenza è assolutamente sconcertante in quanto stravolge il dettato normativo dell’articolo 3, comma 3, della legge 89/2001 che testualmente stabilisce : ” il ricorso è proposto nei confronti […] del ministro delle Finanze quando si tratti di procedimenti del Giudice tributario..
Con tale decisione la Legge Pinto viene privata di ogni sostanziale autonomia nell’ordinamento interno, ne riduce la funzione di assicurare piena tutela ai diritti riconosciuti in materia giurisdizionale, segnatamente al diritto di avere un giudizio in tempi ragionevolmente accettabili, in attuazione del dettato di cui all’art. 111 della Costituzione, laddove prescrive la ragionevole durata di “ogni” processo, ivi compreso quello tributario.
A tali conclusioni perviene la totalità degli operatori del diritto, come si può leggere nel commento della sentenza da parte della Dr.ssa Laura Triassi riportato nel numero 36 di sabato 9 ottobre 2004 di Diritto e Giustizia.

Il punto è un altro e non è giuridico…

Presso la Commissione Tributaria Centrale di Roma, rimasta in vigore solo per i contenziosi ante riforma 1992, i tempi decisori erano a dir poco biblici: in media 20 anni…Poiché le Casse dello Stato languono e non si riesce a far fronte alla spesa corrente (salvo levare l’ICI agli immobili ecclesiastici anche di natura commerciale…) la Suprema Corte ha pensato bene di stravolgere la normativa per impedire i risarcimenti ai cittadini vittime della lunghezza processuale!

Un bizantinismo certamente poco onorevole e che ha un’unica conseguenza: ancora una volta paga il cittadino…

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