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STATO E MAFIA UNA "COSA SOLA". L'AGENTE NINO AGOSTINO ATTENDE GIUSTIZIA DA 21 ANNI

PROVOCATORIAMENTE, nel 2006 il padre dell’agente ucciso 21 anni fà denunciava agli “Stati generali dell’Antimafia”: “Sono pronto a tutto, e se lo Stato continua a non darmi risposte, sono disposto persino a chiedere aiuto alla mafia purchè sia fatta luce sull’uccisione di mio figlio Nino”.  Così si esprimeva Vincenzo Agostino padre del poliziotto ucciso insieme alla moglie, Ida Castellucci (incinta di 5 mesi) a Villagrazia di Carini, Palermo, lanciando il suo disperato appello.  Pare che nell’uccisione dell’agente e della moglie siano coinvolti come al solito i “servizi segreti” e che sia da collegarsi al noto episodio del rinvenimento di un ordigno esplosivo nell’estate del 1989 presso la villa estiva all’Addaura del giudice Falcone, come risulterebbe da due memoriali consegnati dai familiari dell’Agostino e di un altro agente ucciso al Gip per riaprire le indagini.  Sembra che seppure ufficialmente l’Agostino risultasse solo un agente del commissariato San Lorenzo, addetto alle volanti, in realtà avrebbe svolto missioni antimafia delicate, e soprattutto coperte. “Mi confidò che collaborava con i servizi segreti per la cattura di Provenzano”, ha svelato ai magistrati un collega di Agostino. Ma i servizi segreti hanno sempre negato, frapponendo infine anni fa, di fronte all’ennesima richiesta dei pm, il segreto di stato. Dall’agosto di 21 anni la famiglia di Nino attende ancora di sapere chi siano i mandanti e gli esecutori di quell’omicidio per il quale non ha pagato ancora nessuno.  La madre non ha ancora tolto il lutto, mentre il padre dal quel tragico 5 di agosto del 1989 non ha più tagliato barba e capelli che sono cresciuti lunghi e canuti sulle sue spalle tanto da renderlo ormai un’icona dei familiari delle vittime della mafia, giurando di farli crescere fino a che non saprà perchè hanno ammazzato suo figlio Nino.
A tutt’oggi, sull’omicidio grava ancora il peso del segreto di Stato, un osceno sigillo applicato a storie di sicuro interesse pubblico. Cerchiamo la verità su Cogne e  Garlasco, ha sottolineato Sonia Alfano, e non sul barbaro assassinio di un servitore dello Stato?  D’altronde, osserviamo noi, la verità non è di questo Paese in cui da oltre 50 anni a questa parte pur cambiando i governi (destra o sinistra nulla è mai cambiato) resta governato da amici di mafiosi dove è difficile distinguere i contorni tra Stato e antistato.  Nel 2006, quando il padre di Agostino lanciò la sua provocazione a Roma agli “Stati generali dell’Antimafia”, Presidente del Consiglio era Romano Prodi, vicino alla Loggia di San Marino e Ministro della Giustizia il faccendiere Clemente Mastella, esponente della camorra e nulla è stato fatto. Ora che capo del governo è l’esponente di una’altra nota loggia massonica (la P2),  che ha fondato il suo partito-azienda con Dell’Ultri, non si vede quali speranze possano sensatamente nutrire i familiari delle vittime di mafia, in un regime dove le logge, le corporazioni e i partiti sono una “cosa sola” con lo Stato.

La Scheda: La storia dell’ agente di polizia, Nino Agostino, ucciso il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini, insieme alla moglie Ida Castellucci, in cinta di cinque mesi di una bambina, è certamente una delle più drammatiche ed oscure vicende della storia di un’ Italia retta, allora come adesso, da poteri deviati e da un’ antistato che troppo spesso diviene Stato.
Sulla morte di Nino Agostino non è ancora stata fatta luce ed i suoi assassini, insieme ai mandanti, sono a tutt’oggi uomini liberi esattamente come qualsiasi altro onesto padre di famiglia. Sul fascicolo relativo alle indagini sul suo assassinio è stato apposto quello che non esitiamo a definire “il sigillo della vergogna” ovvero il Segreto di Stato.
Nino e Ida, quel giorno, si trovavano davanti alla villa di famiglia per partecipare al compleanno della sorella di Nino. Furono trivellati di colpi da due sicari in motocicletta sotto gli occhi dei genitori Vincenzo ed Augusta.
Suo padre, Vincenzo Agostino, un anziano uomo che ha percorso qualsiasi strada pur di ottenere giustizia da quello Stato per il quale suo figlio Nino ha consapevolmente sacrificato la vita, ha promesso di non tagliare più la propria barba bianca fino a che non otterrà quello che gli spetta; giustizia per suo figlio, per la sua famiglia, per la nuora Ida e per sua nipote mai nata.
Di recente, nel registro degli indagati in merito all’inchiesta sulla morte di Nino Agostino e della moglie Ida Castellucci, è stato iscritto Guido Paolilli, poliziotto in pensione, indagato per favoreggiamento aggravato e continuato a Cosa Nostra. Il collega e amico di Nino Agostino, che svolse le indagini immediatamente dopo la sua morte, fornì una pista che conduceva ad un “delitto passionale”. In Sicilia questa è quasi una tradizione che se non fosse perchè si tratta di omicidi verrebbe a buon diritto inserita negli alamnacchi di storia e cultura popolare; prima li ammazzano e poi li fanno passare per pazzi o puttanieri.
L’ iscrizione nel registro degli indagati è scattata in seguito ad una conversazione intercettata a marzo nella sua casa di Montesilvano a Pescara. Paolilli ed ill figlio stavano ascoltando, su RAI UNO, Vincenzo Agostino, padre dell’ agente, che in quel frangente citava le parole scritte su un biglietto trovato nel portafogli di Nino: “Se mi succede qualcosa andate a cercare nell’armadio di casa”. Il figlio di Paolilli, chiedendo al padre quale fosse il contenuto dell’armadio, si sentì rispondere: “Una freca di carte che ho distrutto”. Sul conto di Paolilli anche Vincenzo Agostino ha rivelato elementi interessanti: “un giorno Guido Paolilli, che era amico di mio figlio, insistette per venire con noi al cimitero. Incalzato dalle nostre domande sulle indagini, disse che la scoperta della verità non avrebbe fatto piacere. Disse pure che avrebbe fatto il possibile per mostrarci sei fogli”.
I sei fogli non sono mai stati mostrati alla famiglia Agostino ne ve ne è più traccia.
Paolilli ha dichiarato che i sei fogli vennero sequestrati durante la terza perquisizione nell’appartamento di Nino Agostino. Negli atti della Squadra Mobile risultano però solo due perquisizioni. Un’ altra incongruenza di non poco conto nelle dichiarazioni di Paolilli è quella relativa alle mansioni svolte. Paolilli ha dichiarato di svolgere servizio presso il nucleo scorte ma diversi suoi colleghi hanno asserito, smentendolo, che l’indagato svolgeva attività antimafia.
Paolilli era persona di fiducia di Bruno Contrada ed ha testimoniato a sua difesa nel processo a suo carico. Si riferiva proprio a Paolilli l’agente Agostino quando disse ad un collega: “Sto collaborando con un amico per la cattura di latitanti?”.
Ad oggi esiste un solo pentito che ha raccontato di questo omicidio, Oreste Pagano, il quale ha affermato: “Ero al matrimonio di Nicola Rizzuto, in Canada. C’era un rappresentante dei clan palermitani, Gaetano Scotto. Alfonso Caruana mi disse che aveva ucciso un poliziotto perché aveva scoperto i collegamenti fra le cosche ed alcuni componenti della questura. Anche la moglie sapeva, per questo morì”.
I servizi segreti italiani hanno sempre negato che l’agente Agostino abbia svolto servizio presso il SISMI ma la recente riapertura delle indagini sarebbe giustificata dal ritrovamento di nuovi documenti nell’archivio della Squadra Mobile che attesterebbero l’attività di antimafia del poliziotto tra le fila dei servizi segreti. Inoltre, una nota riservata del 1993, a firma del capo del centro di controspionaggio di Palermo alla prima divisione Sismi di Roma, testimonia il grande interesse dei servizi nei confronti dell’ operato dei giudici inquirenti sulla morte del poliziotto: “Centro controspionaggio di Palermo. Riservato. Oggetto: riapre l’indagine sul delitto Agostino. Data 5 marzo 1993. Secondo quanto è stato possibile apprendere il gip titolare dell’inchiesta sarebbe in possesso di due memoriali consegnati dai familiari dell’Agostino e del Piazza che avrebbero indotto il magistrato a riaprire i due casi, unificandoli. Nei memoriali di cui sopra, acquisiti dal gip, pare che siano contenute affermazioni di una certa gravità in merito al noto episodio del rinvenimento di un ordigno esplosivo nell’estate del 1989 presso la villa all’Addaura del dottor Falcone”. http://www.familiarivittimedimafia.com/index.php?option=com_content&view=article&id=897:nino-agostino&catid=104:sto&Itemid=278

Dobbiamo morire, sì; ma non essere assassinati dalle Istituzioni!

Dobbiamo morire, sì; ma non essere assassinati dalle Istituzioni!

Con l’art.7 del decreto legge 29 marzo 2004 n.80 il consiglio dei ministri ha modificato l’art.58 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali consentendo la candidatura ed il mantenimento della carica a chi é stato condannato con sentenza irrevocabile per il delitto di peculato d’uso. La norma può correttamente essere definita “salva Buzzanca” sindaco di Messina decaduto dalla carica per tale condanna. In allegato il testo trasmesso alle principali testate di stampa ed agenzie. Sollecito le Vs. valutazioni e la massima diffusione. grazie aurora notarianni CON LA VIVISSIMA PREGHIERA D’INTERESSARE ANCHE L’EDIZIONE CARTACEA DEL GIORNALE Gentilissimo Direttore, sicura della sensibilità della Sua testata, ricorro per l’urgenza e la ristrettezza dei mezzi alla posta elettronica per invitarLa caldamente ad interessarsi e dare il rilievo necessario al caso emblematico di noi Cittadini messinesi che eravamo ricorsi alla Giustizia e poi ……… Ora parte importante delle speranze di quei Cittadini sono nelle Sue mani. So che non si tirerà indietro perché si tratta di notizia d’interesse generalissimo che tocca le radici dei temi della democrazia nel nostro Paese. Grazie, resto a Sua disposizione e Le porgo i miei più cordiali saluti Aurora Notarianni Allego: 1) testo della petizione (anche reperibile sul sito www.auravvocato.it) 2) testo dell’appello 3) sommaria esposizione dei fatti Sintesi Antefatto – nella Sicilia dei 61 a 0 (ultime politiche), degli sperti e dei malandrini (come dice Alfio Caruso) i primi mesi della primavera 2003 ha inizio la campagna elettorale di Giuseppe Buzzanca (AN) per la candidatura a Sindaco della città con lo slogan “Adesso tocca a Messina” (più una minaccia che una promessa, penso io). Il candidato, nato a Barcellona P.G., residente a Milazzo, ha rivestito la carica di Presidente della Provincia per ben 10 anni (ecco spiegato lo slogan). Fatto – Nel 1995 il Nostro convola a giuste nozze e decide di trascorrere la luna di miele in crociera partendo da Bari. Purtroppo i collegamenti con la città della Puglia sono assai disagevoli. Non treni, né autobus, né aerei. (…..) Pur di non andar con l’asino il Presidente, decide di utilizzare l’auto blu. Prima di partire però fa un salto in Provincia, saluta gli amici, lascia le ultime direttive (almeno così dice), prende la novella sposa, da il via all’autista alla volta di Bari. Naturalmente al rientro dal viaggio auto blu ed autista erano lì pronti per riaccompagnare a Messina i piccioncini. Sfortuna volle che un consigliere di minoranza, troppo diligente ed assai ficcanaso, nel verificare il bilancio dell’ente non riesce a far quadrare i conti e perciò interpella il Presidente, la Giunta ed il Consiglio sulle ragioni di una trasferta a Bari. Il Presidente si difende assumendo di non essere preparato sull’argomento svolgendo la professione di medico. Certo poiché aveva già commesso un errore – dimenticando la guardia medica che svolgeva nell’isola di Pantelleria per cui era sottoposto a procedimento penale per interruzione di pubblico servizio (reato poi prescritto ……. le lungaggini della giustizia, ahimè) – questa volta per non sbagliare aveva chiesto un parere ad un esperto in diritto amministrativo (avv. Andrea Lo Castro) che lo aveva rassicurato sulla legittimità dell’uso dell’auto blu anche per fini personali. La Procura della Repubblica, intanto, avvia procedimento, acquisisce gli atti e contesta al Nostro i reati di abuso d’ufficio e peculato. Condanna – Dopo varie vicissitudini (il procedimento é dapprima archiviato, il provvedimento impugnato dalla Procura generale, annullato dalla Suprema Corte, poi rimesso al GIP di Reggio Calabria, poi di nuovo a Messina per il dibattimento) e lunghissimi anni di processo la Corte d’appello di Messina condanna il nostro alla pena di 6 mesi di reclusione per i reati di peculato d’uso e abuso d’ufficio, oltre pene accessorie di legge. Nonostante ciò e nonostante il chiaro dettato della normativa sul diritto all’elettorato passivo – inibito, fra l’altro, a chi ha riportato condanne per reati contro la pubblica amministrazione – il dr. Buzzanca, con la benedizione dei parlamentari Domenico Nania (AN) e Rocco Crimi (FI) propone la sua candidatura ……. Supera la competizione elettorale (voti 77.529) e conquista la poltrona di Sindaco. Sta già cominciando la spartizione quando la Cassazione il 5.6.2003 respinge il suo ricorso avverso la sentenza di condanna che diviene quindi irrevocabile, definitiva. (per il testo integrale www.lexitalia.it copertina novembre o www.cittadinolex.kataweb.it). La notizia del deposito delle motivazioni ha clamore sulla stampa nazionale. In sintesi estrema: Il politico che utilizza l’auto blu per accompagnare la propria signora commette il reato di peculato, in quanto la consorte è estranea alle esigenze di servizio. Il responsabile dell’amministrazione territoriale, “(a prescindere dalla sua professione quale privato) ha il dovere giuridico di conoscere le normative che attengono al ruolo pubblico ricoperto, non affidatogli per decreto dell’autorità, ma conseguito per libera scelta al momento della presentazione delle liste elettorali, al momento in cui il gruppo di appartenenza politica consegue la maggioranza, al momento in cui la sua stessa maggioranza lo elegge al vertice dell’amministrazione pubblica locale”. Sussurri – Inizia così un lento, insopportabile mormorio. Che fare, cosa conviene ….. Le forze politiche di centro sinistra temono accuse (?) di giustizialismo. Confondono, come spesso accade, il sostantivo GIUSTIZIA dall’aggettivo sostantivato in senso peggiorativo LISMO. Taluni impugnano innanzi al Tribunale la delibera di proclamazione sostenendone la nullità, ma il Tribunale respinge. Il dr. Buzzanca poteva essere proclamato Sindaco, la definitività della condanna è successiva. Sembrano tutti acquietarsi. Il motto principale è “teniamo famiglia”. Si sospettano spartizione di sottogoverno. Alla domanda che mi viene più volte e da più parti rivolta “ma la gente di sinistra, quella di strada non di partito, che fa?” un sabato rispondo. Azione popolare – E’ lo strumento conferito dal legislatore ai cittadini elettori per far valere, fra l’altro, le cause di decadenza dalla carica di Sindaco nelle ipotesi di condanna irrevocabile per determinati reati, tra cui il peculato. Il decreto legislativo 267/2000 è il Testo Unico delle leggi sull’ordinamento egli enti locali e prevede le cause di incandidabilità, ineleggibilità, incompatibilità, sospensione e decadenza volte alla salvaguardia di interessi dell’intera nazione, connessi a valori costituzionali di primario rilievo. L’art.58 stabilisce al comma 1 lett. B) che “non possono essere candidati alle elezioni (…) e non possono comunque ricoprire le cariche di (…) sindaco (…) coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti previsti dagli art. 314 (peculato) …. ” Il testo della norma ci sembra, nonostante il caldo estivo, di solare chiarezza. Riusciamo in pochissimi giorni e di gran corsa a predisporre il ricorso, farlo sottoscrivere a 35 cittadini (me compresa), depositarlo il 26.6.2003, ottenere la fissazione di una udienza preferiale e quindi a notificare ricorso e decreto al dr. Buzzanca (previe accurate ricerche sulla sua residenza anagrafica). Intanto altri ricorsi si aggiungono. Vengono recapitati quattro proiettili allo studio dell’avv. Marcello Scurria uno dei due avvocati difensori. La città è in fermento. Anche i palazzi romani lo sono. Interviene per il Ministro dell’Interno il Capo di gabinetto con autorevole (?) parere consultivo del 24.6.2003 affermando che la sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 5 giugno 2003 “non produce alcuna implicazione sulla permanenza in carica dell’amministratore locale …. Un’esegesi ispirata a principi di ragionevolezza, coerenza, logica e proporzionalità induce ad apprezzare che la ratio della normativa di cui agli srtt.58 e 59 d.lgs. 267/2000 sottolinei la volontà di pervenire alla decadenza dalla carica ricoperta in presenza di una condanna definitiva per il delitto previs
to dall’art.314 cp soltanto per le ipotesi contemplate dal comma 1 del richiamato articoli. E’ infatti desumibile ex lege che gli effetti della sentenza siano ricondotti non alla sola tipologia della condotta criminosa di peculato, ma invero essenzialmente alla maggiore offensività che in concreto la stessa condotta ha arrecato” (null’altro che sic!) La sentenza di primo grado – (per il testo integrale www.auravvocato.it) Il Tribunale il 18 luglio respinge i ricorsi ritenendo, in estrema sintesi, che essendo la definitività della condanna successiva alla elezione il Sindaco può mantenere l’incarico. L’affermazione dell’esistenza dell’interesse pubblico alla salvaguardia dell’esito della consultazione elettorale sino al completamento del mandato è la vera aberrazione della pronuncia. L’ordinamento giuridico e democratico sembra essere scardinato dalle fondamenta. Il voto sana, attribuisce l’impunità per la durata del mandato. Il delirio di onnipotenza dilaga in città dopo questa pronunzia. Il tentativo di destabilizzazione del sistema di diritto ci spaventa. Restiamo allibiti, comunque sereni. La pesante condanna alle spese di giudizio, che data la specificità dell’azione popolare sono in genere compensate, ha il sapore di una punizione. (per le ulteriori censure puoi leggere il testo del ricorso in appello pubblicato su www.auravvocato.it). Lavoriamo con la calura estiva ed il sol leone di agosto. Prima del 15 di agosto è pronto il ricorso in appello. Depositiamo. La decadenza – ( per il testo integrale www.auravvocato.it) Con sentenza del 24 novembre, depositata il 3 dicembre, la Corte d’Appello di Messina dichiara la decadenza del dr. Buzzanca dalla carica di Sindaco di Messina, carica che non può più ricoprire essendo definitiva la condanna per peculato d’uso. La sentenza è esecutiva per legge, alle ore 17,30 è notificata ed il Sindaco lascia immediatamente la poltrona. L’Assessore avrebbe dovuto nominare un commissario ma ha preferito (?) attendere le motivazioni della sentenza prima ed ora ancora non si sa. La Corte supera la miriade di eccezioni procedurali sollevate (dedicando ben 36 pagine di motivazione sui punti) ed illustra la ragioni che hanno portato all’accoglimento degli appelli ed alla dichiarazione di decadenza. In particolare la Corte afferma che: ” …. sussistono degli indici interpretativi, sia di genere lessicale che di carattere logico, che già prima facie orientano a ritenere che il sistema non può tollerare ed in effetti non permette che conservi la carica di sindaco chi abbia perduto i requisitti soggettivi necessari per assumerla” ; ed ancora che ciò vale ” …anche sul piano non secondario della ragionevolezza (art.3 Cost.). Quella ragionevolezza che induce chiunque a respingere l’idea che chi non ha i requisiti morali per concorrere ad un ufficio pubblico elettivo possa tuttavia mantenerlo …”; e poi “A restare sul piano giuridico non si riesce a comprendere, infatti, come il successo nella competizione elettorale possa fare premio sulla mancanza di un requisito indispensabile del diritto di elettorato passivo, quasi che, una volta eletti, l’ordinamento si acquieti davanti alla volontà della maggioranza degli elettori e perda di vista quelle esigenze di salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, di tutela della libera determinazione degli organi elettivi, di buon andamento e trasparenza delle amministrazioni locali, che pur costituiscono,per consolidato orienatamento del giudice delle leggi, primari valori costituzionali”; ed infine che ” quello elettorale è solo un procedimento di selezione della persona destinata a svolgere una pubblica funzione e che, di conseguenza, non avrebbe senso una incapacità circoscritta alla candidatura che non intercetti anche la funzione perché è proprio il momento dell’esercizio dell’ufficio quello decisivo ai fini pubblici, e rispetto ad esso il procedimento selettivo soltanto strumentale e servente.” Insomma, abbiamo con piena nostra soddisfazione visto rinsaldare le travi portanti del sistema di diritto, la legalità, l’onestà, la politica come munus ….. Il seguito La questione rappresenta un buon precedente. Torniamo a parlare di ETICA, MORALITA’, POLITICA COME MUNUS. Intanto il Sindaco decaduto propone ricorso per cassazione e mentre la Suprema Corte anticipa su nostra richiesta al 14.4.2004 l’udienza di discussione già fissata per il 10 maggio (data non utile alla eventuale competizione elettorale per le amministrative in concomitanza con le europee), il governo il 25 marzo ultimo scorso introduce una norma in un decreto legge (che serve per regolare casi indifferibili ed urgenti) per dire che il cittadino condannato con sentenza irrevocabile per peculato d’uso può candidarsi, essere eletto, mantenere la carica. Meglio di così …. Alcuni cittadini, anche consorti di lite, chiedono con istanze del 26, 27 e 29 marzo al Presidente della Repubblica di non firmare il decreto; altri cominciano seriamente a pensare di rinunziare alla cittadinanza italiana e/o di formalizzare una richiesta di asilo politico …… Attendiamo gli eventi.

AUGUSTA: Un'altra strage preannunciata con la complicità dello Stato e della mafia?

AUGUSTA: Un’altra strage preannunciata con la complicità dello Stato e della mafia?

Dobbiamo morire, sì; ma non essere assassinati dalle Istituzioni!

C’era una volta… MARINA DI MELILLI.

Non è l’inizio di una favola, ma una delle pagine più oscure e vergognose della storia italiana.

Io sono un cittadino di Augusta, quarantamila abitanti, una città tra Catania e Siracusa, dove c’era anche MARINA DI MELILLI.

Il nome di Augusta, di solito, ormai, si trova unito a PRIOLO e MELILLI, con le quali condivide un destino amaro: l’olocausto industriale.

Forse, un giorno, questa tragedia entrerà a pieno titolo nei libri di storia come Bhopal, Chernobyl, Minamata, Seveso, Hiroshima, Auschwitz.

Sono poche, credo, in Italia, le città che come Augusta, si trovano esposte a ben tre rischi: sismico, chimico-industriale e militare. Ma di questa città e del suo triste destino si preferisce non parlare.

Ma quando se n’è parlato, lo si è fatto quasi sempre perché era successo qualcosa di grave.

Non è di tutti questa sorta di “guiness dei primati”: su 40 kmq di territorio sono state concentrate 12 industrie ad alto rischio (tre centrali termoelettriche, una fabbrica di cloro a celle di mercurio, quattro raffinerie, un cementificio, un inceneritore, una fabbrica di magnesio, un depuratore, ed altro).

Un territorio con viabilità fatiscente ed insufficiente, disseminato di discariche – non se ne conoscerà mai il numero esatto; un territorio più volte interessato da eventi sismici rilevanti; un territorio su cui insistono basi militari italiane, NATO ed USA; un territorio con una grave emergenza igienico-sanitaria in atto (accertato tasso di mortalità per cancro superiore al 30%; 1000 bambini nati malformati negli ultimi dieci anni; patologie legate al degrado ambientale del territorio; mare non balneabile dove è stato scaricato perfino mercurio in enormi quantità…

Su un territorio dichiarato dal Ministero dell’Ambiente nel 1990 ad alto rischio di crisi ambientale, e recentemente definito dal prof. Corrado Clini, assimilandolo a Porto Marghera, area in piena crisi ambientale, come se tutto ciò non bastasse, per decisione dell’attuale classe politica dirigente della Regione Sicilia, una centrale termoelettrica sarà, in parte, riconvertita a carbone ed in parte trasformata a “termovalorizzatore” per il trattamento di 500.000-650.000 tonnellate annue di rifiuti urbani indifferenziati provenienti dalle province di Enna, Catania, Siracusa e Ragusa.

Rimane irrisolto un altro problema: dove saranno smaltite le altre 173.000 tonnellate/anno di rifiuti tossici e nocivi della zona industriale di Augusta-Priolo?

Non c’è da preoccuparsi: detti rifiuti è stato decretato che verranno smaltiti nella progettata piattaforma polifunzionale che, guarda caso, sarà costruita anch’essa ad Augusta.

All’inquinamento attuale, che si protrae da oltre 50 anni, si aggiungerà anche quest’altro voluto dal Presidente della Regione Cuffaro.

Se mettessimo insieme il numero dei morti e dei feriti degli incidenti industriali, degli infortuni sul lavoro, e se unissimo ad essi il numero di morti per tumori ed il numero dei bambini malformati, potremmo parlare, senza alcuna retorica, di strage: ma di UNA STRAGE DI STATO.

Forse un giorno, verranno le telecamere a documentare l’ennesimo disastro, ad innescare polemiche, dibattiti e passerelle.

Ma non sarebbe opportuno che le telecamere venissero ora per evitare ulteriori disastri?

Distinti saluti.

Sac. Prisutto Palmiro

 

STORIA DI MOBBING ALLA GUARDIA DI FINANZA.

SEDE DI CATANIA: STORIA DI MOBBING ALLA GUARDIA DI FINANZA.

Apriamo le pagine web dedicate alla Regione Sicilia, con il caso del Maresciallo Antonio Laurino della Guardia di Finanza di Catania, suo malgrado sottoposto dalle alte gerarchie militari ad una vera e propria odissea giudiziaria che si trascina da svariati anni, con un numero impressionante di procedimenti civili, penali e amministrativi, tra loro connessi, per avere cercato di fare valere i propri diritti civili ed il rispetto della persona umana, che non possono venire negati, neppure, ai militari di carriera.

Qui di seguito pubblichiamo la denuncia del Maresciallo Laurino che, dopo il corso Sottufficiali presso la G.d.F. di Catania, dal 1997 si trova vittima di una vera e propria persecuzione per essersi opposto ad ingiuste sanzioni disciplinari mediante ripetuti ricorsi al T.A.R. della Regione Sicilia che, secondo il cattivo costume largamente diffuso nei Tribunali Amministrativi del Paese, volto ad insabbiare tutti i procedimenti ritenuti scomodi, per assecondare le varie mafie, legali e non, che occupano le sfere di comando delle istituzioni, non sono mai stati discussi, nonostante i ripetuti solleciti di fissazione (in gergo tecnico: istanze di prelievo) e le innumerevoli denunce penali nei confronti dei Magistrati inadempienti, su cui pure, allo stato, risulta che la Procura della Repubblica di Messina non avrebbe ancora adottato provvedimenti di sorta.

La tecnica diffusa nei tribunali italiani, incidentalmente messa in luce anche in vari procedimenti penali dei magistrati antimafia e anticorruzione che indagavano sulle Tangentopoli giudiziarie ed i collegamenti tra mafia, politica e magistratura, è quella di procrastinare “sine die” le decisioni di tutti quei procedimenti che potrebbero in qualche modo intaccare gli interessi del Regime occulto e dei poteri forti che controllano il territorio e le stesse istituzioni giudiziarie.

Quanto accade al Maresciallo Antonio Laurino è ciò che quotidianamente accade nei Tribunali amministrativi, civili, penali e nelle Procure, non solo della Sicilia, ma di tutto il Paese, che può capitare a chiunque si trovi a contrapporsi a gruppi di pressione politico-affaristici od organismi istituzionali in posizione dominante, organizzati come vere e proprie mafie, in grado di fare venire meno qualsiasi principio di legalità e rispetto delle più elementari procedure di legge, poste a base del nostro Ordinamento giuridico.

I sistemi usati sono sempre gli stessi: isolare i mobbizzati dal loro ambiente, sottoporli a continui trasferimenti a catena, demolirli moralmente e psicologicamente, affossare le indagini, accanirsi giudizialmente contro di essi, sino a sottoporre le vittime a plurimi procedimenti penali per reati inesistenti, inventati di sana pianta da magistrati zelanti e di parte, quali calunnia, diffamazione, oltraggio, vilipendio, etc. Magistrati pronti a prestarsi in ogni sede inquirente e giudicante a porre in essere ogni tipo di ritorsione, rinvio a giudizio e condanna, onde indurre al totale silenzio i soggetti passivi di tali subdole deviazioni del nostro sistema giudiziario, usato come mezzo per opprimere i cittadini, anziché per tutelare i soggetti più deboli.

Il caso è seguito da alcuni bravi legali siciliani e negli ultimi mesi dalla nostra corrispondente per la Sicilia, che ha vagliato il materiale fattoci pervenire dal Maresciallo Laurino, consentendoci di predisporre la presente presentazione, cosa che continueremo a fare per tutti coloro che vorranno segnalarci i loro casi, dando la loro adesione al Movimento per la Giustizia Robin Hood, che si propone di diffondere un’etica universale dei diritti umani e tutelare le persone indifese dai torti e soprusi del potere.
Al momento non riusciamo ancora a seguire legalmente i tanti casi che ci vengono segnalati da ogni parte d’Italia, essendo la rete di Avvocati senza Frontiere ancora in fase di espansione, ma quanto sicuramente possiamo fare è di dare voce ai più deboli, pubblicando sul sito le loro storie, in modo da spezzare il silenzio di regime su vicende di cui nessuno saprebbe nulla, in modo che i giudici ricordino che la Legge è uguale per tutti e deve venire rispettata per primi da loro stessi.

 

Sicilia

 

Prima di accingerVi a leggere i vari casi, pensate che si tratta di storie vere, per cui molti uomini sono morti e tante famiglie sono state distrutte dal dolore, senza ricevere alcuna tutela, da parte delle varie Autorità a cui fiduciosamente si erano rivolte. Pensate che non si tratta di casi isolati e non crediate che ciò che è capitato agli altri non possa, prima o poi, capitare, anche, a Voi od, a qualche stretto congiunto. Sarebbe il più grave errore che potreste commettere, dal quale genera l’indifferenza verso i mali della giustizia e su cui si fonda il dominio del male e della menzogna sulla Verità.