CATANIA & LIBERTA' DI INFORMAZIONE: COME AI TEMPI DEL FASCISMO

Dalla città “senza mafia“, dove la magistratura ha storicamente insabbiato i maggiori scandali edilizi e intrecci politico-affaristico-mafiosi, denunciati sin dagli anni ’70 dal Prof. Giuseppe D’Urso, eminente urbanista e studioso, gli eredi di quella casta di toghe intoccabili che furono oggetto del cosiddetto “caso Catania”,  portato anche sui banchi del C.S.M. dall’allora Presidente Pertini, ci propinano oggi una giurisprudenza che tanto ricorda i tempi del fascismo, prima della soppressione della libertà di stampa e di manifestazione del pensiero. (N.d.R.)

 

50 mila blog chiusi per stampa clandestina?

 

di Enzo Di Frenna

All’inizio di maggio una sentenza della prima sezione penale della Corte di Appello di Catania ha equiparato un blog ai giornali di carta stampata.

Dunque commette il reato di stampa clandestina chiunque abbia un diario in Internet e non lo registra come testata giornalistica presso il tribunale competente, come prevede la legge sulla stampa n 47 del 1948.

La vicenda
è paradossale e accade in Italia. Lo storico e giornalista siciliano Carlo Ruta
aveva un blog: si chiamava Accadeinsicilia e si occupava del delicato
tema della corruzione politica e mafiosa. In seguito a una denuncia del
procuratore della Repubblica di Ragusa, Agostino Fera, quel blog è stato sequestrato e chiuso
nel 2004 e Ruta ha subito una condanna in primo grado nel 2008. Ora la Corte di
Appello di Catania, nel 2011, ritiene che quel blog andava considerato come un
giornale qualsiasi – ad esempio La Repubblica, Il Corriere della Sera o
Il Giornale
– è dunque doveva essere registrato presso il “registro della
stampa” indicando il nome del direttore responsabile e l’editore. La notizia
farà discutere a lungo la blogosfera italiana: cosa succederà ora?

Massimo Mantellini se la prende con Giuseppe Giulietti
e Vannino Chiti
per aver presentato in Parlamento la Legge 62 sull’editoria, che è stata poi
approvata, con la quale si definisce la natura di prodotto editoriale
nell’epoca di Internet. Ma il vero problema, a mio avviso, è la completa o scarsa
conoscenza di cosa sia la Rete
da parte di grandi pezzi dello
Stato, incluso la magistratura. Migliaia di burocrati gestiscono quintali di
carta e non sanno quasi nulla di cosa accade in Internet e nei social network.
Questa sentenza, quindi, è un regalo alla politica cialtrona che tenterà ora di
far chiudere i blog scomodi. Proveranno a imbavagliarci.

In Italia ci sono oltre 50 mila blog. Soltanto BlogBabel ne monitorizza 31 mila. Nel mondo esistono almeno 30 milioni di blog e forse sono anche di più. I blog nascono come diari liberi on line, può aprirne uno chiunque. Una casalinga. Uno studente. Un professore universitario. Un operaio.
Un filosofo. Chiunque. Ma adesso in Italia non è più possibile e possiamo dire che inizia il Medioevo Digitale. Nel mondo arabo i blog e i social network hanno acceso il vento della democrazia, il presidente americano Barack Obama plaude il valore di Internet e la libertà d’informazione, Wikileaks apre gli archivi
segreti delle diplomazie, e noi, in Italia, in un polveroso palazzo di giustizia, celebriamo la morte dei blog.

Ma la vogliamo fare una rivoluzione?

Vogliamo scendere in piazza come gli Indignados spagnoli e inventarci qualcosa che faccia notizia in tutto il mondo?
Vogliamo innalzare una grande scritta davanti alla Corte Costituzionale con lo slogan “Io bloggo libero, non sono clandestino!”. Eggià: perché gli avvocati di Ruta faranno appello in Cassazione e a quei giudici bisognerà far sapere che in Italia ci sono 50 mila persone libere che hanno un blog e confidano nell’articolo 21 della Costituzione, che permette la
libertà di espressione con qualunque mezzo.

 

Che ne
dite? Ci proviamo?

“Il Fatto” on-line, 28 maggio 2011

 

 

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