TRIESTE. CORRUZIONE ALLA GUARDIA DI FINANZA?

S.O.S. IN GUARDIA DI FINANZA (amianto e altri scandali)  

Non cessa, per vari motivi, la contraddizione all’interno del Corpo della Guardia di Finanza. Mentre le gerarchie del Corpo sembrano concentrate a negare alle Fiamme Gialle d’Italia i previsti benefici previdenziali per la pericolosa esposizione alla fibra killer dell’amianto, avvenuta in più luoghi di servizio, risaltano – tra le cronache di queste ore – episodi sconcertanti su presunti comportamenti illegali del personale; ne giunge circostanziata informazione in una nota (pervenuta in data odierna e a firma di Lorenzo Lorusso) della Presidenza dell’associazione Movimento dei Finanzieri Democratici, con sede a Trieste, di cui riportiamo un sintetico stralcio:

Oggetto: episodio di presunta concussione a Trieste, il caso del maresciallo della Guardia di Finanza Fabio Latini arrestato a seguito di una denuncia di due rigattieri. Non si è ancora spenta l’eco dei due sottufficiali della Guardia di Finanza indagati per corruzione a Vicenza lo scorso agosto che oggi si apprende di un nuovo caso di presunta concussione a Trieste. E purtroppo, nel Triveneto, è dagli anni Novanta che si verificano continui casi di corruzione e concussione, dai più eclatanti della Tangentopoli del Veneto, che videro coinvolti gli alti ufficiali del Corpo Petrassi e Guaragna, ai meno importanti ma pur sempre significativi episodi che toccarono finanzieri in servizio al Nucleo di Polizia Tributaria di Trieste e dell’allora 19^ Legione (ora denominato Comando Provinciale). Sarebbe proprio il caso di ripescare la celeberrima frase di Tito Livio “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”  per rimarcare che se da un lato ci sono stati, in questi ultimi anni, numerosi finanzieri che hanno chiesto a viva voce di percepire i diritti previsti dalla Legge 257/1992 (più comunemente conosciuta come benefici a favore degli esposti all’amianto) vedendoseli sistematicamente negare nonostante siano stati iscritti nel Registro Regionale degli esposti, dall’altro lato continuano a verificarsi saltuariamente episodi di presunta corruzione o concussione…”.

Per informazioni: Lorenzo Lorusso (Presidente del Movimento dei Finanzieri Democratici) – tel. 040-573881, cel. 347-5471026, e-mail: ilmovimentofd@yahoo.it.

Con preghiera di pubblicazione e/o divulgazione.

Fedele  Boffoli (in Facebook)

info@fedeleboffoli.it

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posted 9.9.2010

LA MAFIA ORDINATA DEL NORD EST: UN SISTEMA DI GOVERNO PERFETTO?

LA MAFIA ORDINATA DEL NORD EST: UN SISTEMA DI GOVERNO PERFETTO?

Mafia S.p.a.: la principale impresa italiana

 La criminalità organizzata in Italia è la principale impresa del Paese. La Mafia S.p.a. che raggruppa Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, Stidda, ha un fatturato annuo stimato di 170 miliardi di euro (fonte Il Sole 24 ore). A questi si dovrebbero aggiungere i 250 miliardi dell’evasione fiscale spesso collegata alle mafie. Quattrocentoventi miliardi di euro. Un quarto della ricchezza prodotta ogni anno in Italia. Questi sarebbero i proventi delle attività illegali nel “bel paese”. Proventi che devono essere poi reinvestiti e fatti fruttare. E qui entrano in gioco le mafie dei colletti bianchi. Quelle delle acquisizioni societarie. Così la Mafia S.p.a. è riuscita negli anni ad estendere il proprio impero finanziario a livello planetario. D’altronde chi ha tanti soldi da investire non ha che da scegliere. Imprese commerciali, finanziarie, banche, organi di informazione, società ad alta tecnologia, energia, edilizia. Nessun problema. I denari arrivano a cascata, e i prestanome sono sempre disponibili. Così fioriscono nuove figure di imprenditori “illuminati”. Quelli che spuntano dal nulla. I cosiddetti “self-made men”. Miracoli della finanza creativa e della globalizzazione. Globalizzazione mafiosa però. 

Ma queste mafie polimorfi non si occupano solo – ed ai più alti livelli – di economia. In Italia sono pure riuscite, con un’avanzata inarrestabile frutto di un’accurata pianificazione, ad infiltrarsi in ogni ganglo vitale delle istituzioni e ad occupare la stessa politica. Questa imperiosa scalata al potere è stata eseguita con metodologia militare, mettendo sotto controllo le posizioni nevralgiche del Paese. Un sistema basato sulla corruzione sistematica ha consentito di consolidare rapidamente le conquiste. Nel libro paga della Mafia S.p.a. si trovano imprenditori, magistrati, poliziotti, giornalisti, medici, insegnanti, amministratori pubblici, politici, avvocati… Un’intera nazione sotto controllo e sotto ricatto.
 
 Mafie del cemento a Nord Est: Trieste un “sistema perfetto”?
Tra le più conosciute ed affidabili fonti di alimentazione di questo inossidabile sistema di corruttele vi è certamente quella che comunemente viene definita come mafia o partito del cemento. Lavori e appalti pubblici e privati sono uno dei principali collettori per le enormi masse di denaro riciclate dalla Mafia S.p.a.. E nel nostro Paese sono proprio le “ricche” regioni del Nord ad attrarre la “ricca” criminalità in necessità di investire i proventi delle attività criminose. Qui infatti si può operare in relativa tranquillità e con migliore reddittività rispetto all’ormai saturo  Meridione. Il colore dei soldi è quello della ricchezza, non quello del sangue e delle sofferenze che vi sono dietro.
Il Nord Est è ancora più interessante di questi tempi perché colpito duramente dalla crisi economica. Molte imprese da rilevare facilmente quindi. Molti buoni affari da concludere nel nome dello sviluppo e delle garanzie occupazionali. Ecco così che il vento della rivoluzione mafiosa ha investito impetuosamente queste zone spazzando via ogni ostacolo.
La piccola e degradata provincia di Trieste non fa eccezione nel deprimente panorama nazionale. Qui il partito del cemento si identifica in toto con la pubblica amministrazione ed è rappresentato da un potente cartello dei costruttori. La città giuliana è un caso speciale quanto esemplare di come la convivenza pacifica tra Stato e criminalità abbia anestetizzato ogni possibile difesa della società civile. Permettendo così la stratificazione dell’illegalità diffusa ad ogni livello ed entrata inconsciamente nella mentalità dei cittadini, privati dei loro diritti e ridotti sempre di più a sudditi. Una vera cultura dell’illegalità ora molto difficile da sradicare.
A Trieste la mafia esiste da tempo, ma è strettamente intrecciata alla potente massoneria locale e ai servizi segreti deviati. A Trieste la mafia non uccide perché tutti i picciotti sono inquadrati, disciplinati, obbedienti. Un sistema di governo “perfetto” quindi che ha consentito negli anni traffici di ogni tipo. Dalle armi, alla droga, ai rifiuti tossico nocivi. E il controllo completo degli appalti. Il settore prediletto dalle mafie del cemento, una delle travi portanti di questa economia criminale.
 
I filtri del “sistema”: come inattivare l’autorità giudiziaria.
 Cosa accade quando questo sistema “perfetto” viene minacciato? Ovvero quando qualche rappresentante della società civile ne contesta l’operato e chiede il rispetto della legalità fino in sede giudiziaria? Scatta l’allarme rosso, e tutti i componenti del sistema si attivano per bloccare l’aggressione. E chi ha osato mettere a repentaglio la “cosca” deve essere reso innocuo. E punito. La punizione pubblica in un simile sistema deviato è necessaria per dimostrare che il potere (mafioso) costituito è ben saldo, e che nessuno deve permettersi di contestarlo. E’ una necessità vitale: solo facendo vivere nel terrore i sudditi se ne può ottenere il rispetto. Ma la punizione da queste parti è in genere incruenta, o meglio dolorosa ma senza spargimento di sangue diretto (solo così può essere tollerata dalle istituzioni che del sistema fanno parte). Ed è una punizione che, paradossalmente, può anche passare indirettamente per l’autorità giudiziaria, il guardiano di questo “ordine”. Hai voluto denunciare gli illeciti? Ora finirai tu sotto processo come perturbatore dell’ordine (disordine) costituito. A me è capitato. A chi, nel nostro gruppo di ambientalisti, si è opposto a questo “sistema” è capitato. Le accuse vanno dal classico reato d’opinione (la famosa diffamazione che vale solo per te, non per i tuoi avversari che possono avviare nei tuoi confronti campagne di intimidazione e denigrazione pubblica rimanendo impuniti), all’interruzione di servizio pubblico (ad esempio se chiedi l’accesso a documenti pubblici ti possono pure denunciare perché con le tue richieste hai rallentato il lavoro dell’amministrazione pubblica…), al procurato allarme (se tu segnali un inquinamento esistente possono denunciarti per allarmismo), alla manifestazione non organizzata e sediziosa (in Italia vale ancora la legge fascista che non consente ai cittadini di ritrovarsi in luogo pubblico se superano il numero di tre). E poi il massacro continua con le cause civili per risarcimento dei danni.
Alla base dell’inertizzazione delle azioni degli ambientalisti (e in generale dei gruppi organizzati che sono considerati ovviamente più pericolosi rispetto ai singoli cittadini) ci deve comunque   essere una “struttura” che garantisca che le denunce presentate all’autorità giudiziaria vengano insabbiate, ovvero non portino ad alcun risultato. Questa struttura a Trieste è estremamente efficace e permette in tempi rapidi di risolvere casi anche complessi. Ma se le denunce degli ambientalisti sono fondate e basate su prove documentali inattaccabili come è possibile non procedere? Semplice, si applica una giustizia che potremmo definire “creativa”.  Ovvero una libera, o meglio disinvolta, interpretazione delle leggi che porta ad un unico risultato: l’archiviazione. Archiviazione che può avvenire con varie motivazioni basate sempre comunque sull’infondatezza della notizia di reato. Qualche volta, se non è sufficiente e per maggior sicurezza, si utilizza anche la formula della mancanza di legittimità ad agire nel caso specifico da parte dell’organizzazione non governativa e di chi la rappresenta, e non lo si avvisa quindi nemmeno della richiesta di archiviazione, che così passa tranquillamente senza opposizioni. Quindi se si vuole intervenire per bloccare un danno ambientale, le cui  conseguenze ricadono sulla collettività,  pur essendo portatori di interessi diffusi non si ha diritto a denunciare il reato. Solo l’amministrazione pubblica (che quasi sempre è direttamente partecipe a quel reato) può farlo. E  ovviamente questo non accadrà mai: chi sarebbe così stupido da autodenunciarsi? 
 Ma prima di questo filtro (utilizzato spesso dal GIP che decreta così l’archiviazione definitiva delle inchieste) ce n’è un altro a monte utilizzato direttamente in fase di indagine preliminare e che consiste nello svolgere le inchieste in maniera sbrigativa e superficiale già indirizzandole verso  l’archiviazione. Come può accadere questo? Entriamo più in dettaglio nei meccanismi della macchina della giustizia affrontando i casi che qui ci interessano relativi alla speculazione edilizia. 
Una delle particolarità della Procura della Repubblica di Trieste (organo inquirente) è di avere in organico un gruppo di P.G. (Polizia Giudiziaria) dei vigili urbani del Comune di Trieste con specifiche competenze in materia di polizia edilizia. Ed è a questo nucleo che vengono affidate quasi tutte le inchieste in materia di urbanistica. Ma come, direbbe chiunque, indagini così delicate su illeciti urbanistici nei quali sono direttamente coinvolti i comuni locali, vengono affidate a dipendenti delle stesse amministrazioni? Come è possibile questo? E l’esito è ovviamente scontato (c’è da dubitarne?): le denunce per illeciti urbanistici in cui siano coinvolte amministrazioni pubbliche non vanno avanti.  Basterebbe questo per far sorgere legittimi dubbi sul funzionamento di un siffatto apparato di giustizia. Ma non basta. Gli stessi ufficiali di P.G. dei vigili urbani hanno potuto svolgere anche il ruolo di P.M. (pubblico ministero) nel dibattimento in procedimenti in cui una delle parti in causa era un Comune direttamente collegato a quello da cui loro dipendevano. Anche qui ovviamente non ci sono dubbi su come sia andata a finire: ha vinto il Comune… 
Quando le inchieste devono essere archiviate ancora più sbrigativamente e non è nemmeno necessaria la “competenza” dei vigili urbani vengono affidate ai carabinieri. Stesso risultato in tempi ancora più rapidi. 
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Chi designa la P.G.? Il P.M. che dovrebbe stare assai attento alle più che evidenti incompatibilità. Proprio il nuovo Procuratore della Repubblica di Trieste Michele Dalla Costa (cognato del potente avvocato – nonché parlamentare – Niccolò Ghedini legale del premier Silvio Berlusconi) al suo insediamento aveva messo in evidenza che la P.G. doveva comportarsi con la massima correttezza. Evidentemente aveva ricevuto delle informazioni non proprio positive sull’operato di tale organo della Procura nella città giuliana all’epoca della conduzione del suo predecessore, Nicola Maria Pace. Quest’ultimo è relativamente noto per essere assurto all’onore delle cronache nazionali avendo ingiustamente accusato un cittadino innocente, l’ing. Elvo Zornitta di Pordenone, di essere il terrorista bombarolo Unabomber e rovinandogli l’esistenza (Pace dichiarò – ad indagini in corso – di avere individuato il colpevole su prova certa che si rivelò poi contraffatta dalla stessa Polizia Giudiziaria). Peccato che poi alle parole del nuovo Procuratore non siano seguiti i fatti. Dopo un lungo periodo di “rodaggio” di un anno e mezzo, si può tranquillamente affermare che nulla è cambiato sotto il cielo della Procura di Trieste. Con buona pace (in memoria del vecchio procuratore) dei poveri cittadini-peones.
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Ma certo il top in fatto di “sveltine” (intese come indagini rapide) è rappresentato da quelle inchieste che si svolgono senza indagini. In questo caso il P.M. ne chiede direttamente l’archiviazione de plano a “vista” accampando magari motivazioni contraddittorie, spesso incomprensibili e che magari non riguardano nemmeno il procedimento in esame. E se anche si presenta opposizione il solito GIP ne decreta l’inammissibilità in quanto l’operato del PM è “insindacabile”. Discorso chiuso. E il denaro che questi progetti si portano può così riprendere a scorrere.
 
Come il “sistema” punisce gli oppositori
Parlavo prima delle conseguenze per chi si espone in questa lotta contro questo “sistema mafioso”. Le ribellioni nel nome della legalità non possono infatti essere tollerate e devono quindi venire adeguatamente represse. Se i cittadini cominciassero ad associarsi in queste battaglie e la cultura della legalità si diffondesse il “sistema” sarebbe messo a serio rischio. E questa è una cosa che in una dittatura seppur imperfetta quale è l’Italia, non può essere permessa. Posso riportare in merito la mia esperienza personale essendo fresco di condanna riportata per avere denunciato e provato un illecito urbanistico.
Come già detto, la piccola provincia di Trieste è stretta nella morsa della cementificazione imposta dal potente cartello dei costruttori. Una delle maggiori valvole di sfogo per questa colata di cemento è rappresentata dalla gradevole, antica cittadina costiera di Muggia al confine con la Slovenia. Il Comune di Muggia vanta anche il triste primato dell’inquinamento essendo stato negli ultimi 50 anni uno dei principali recettori di quel vasto sistema di smaltimento incontrollato di rifiuti tossico nocivi che ne ha deturpato irrimediabilmente il territorio. Un Comune devastato quindi e facile preda  di imprenditori senza scrupoli e delle mafie associate.

In attesa che si sviluppi l’affare delle bonifiche con i lucrosi giri di finanziamenti pubblici e di riciclaggio di denaro che esse porteranno, gli interventi più redditizi rimangano quelli legati all’edilizia d’assalto, che qui significa centri commerciali: il nuovo Eden dello sviluppo economico. Almeno così vengono presentati. Ecco che quindi  che in pochi anni i centri commerciali spuntano come funghi, in un’area che non ne avrebbe proprio bisogno trovandosi a poche centinaia di metri dal confine con la Slovenia, dove esistono analoghe e più convenienti strutture. E infatti una volta realizzati si riveleranno fallimentari. Ma l’importante è fare girare denaro.

L’unica opposizione a questi mostri di cemento è stata quella della nostra associazione, all’epoca gli Amici della Terra di Trieste da me rappresentata. Nel 2003 presentavo numerosi esposti alla Procura della Repubblica di Trieste nei confronti dei due principali progetti, quello del centro commerciale Freetime e quello del centro commerciale MCC. Le violazioni erano molteplici andando dalla mancata predisposizione della Valutazione Ambientale Strategica, alla violazione dei vincoli ambientali e paesaggistici gravanti sulle aree, al mancato rispetto delle norme urbanistiche regionali. Ma tutto finiva nel nulla. Le indagini consistevano semplicemente nel chiamare a deporre  i funzionari dell’ufficio tecnico del Comune di Muggia – da ritenersi quindi indagati – che confermavano che le autorizzazioni concesse erano in regola; e sulla base di questa autocertificazione venivano archiviate le inchieste senza altre verifiche. 
I centri commerciali d’altronde erano un cospicuo affare. Il solo Freetime della Coopsette prevedeva un’investimento di 120 milioni di euro. E i soldi comprano tutto e spazzano via ogni ostacolo. Ma non poteva finire lì. L’ambientalista che aveva messo i bastoni tra le ruote e che con le sue denunce continuava a rappresentare un pericolo per il “sistema” doveva essere messo a tacere. Bisognava dargli una dura lezione. Così mi venne ritorto contro il mio stesso esposto sulla clamorosa irregolarità urbanistica dell’altro centro commerciale realizzato dalla società MCC (l’attuale centro Castorama di Muggia). L’accusa era di avere offeso la pubblica amministrazione ovvero il Comune di Muggia rappresentato dalla commissione edilizia. Venni rinviato a giudizio e condannato in primo grado al termine di un processo in cui il ruolo dell’accusa (P.M.) venne affidato dalla Procura ai vigili urbani di Trieste, cioè a dipendenti amministrativi del sindaco Dipiazza, già assuntore e amico del sindaco di Muggia (querelante) Gasperini, mentre il giudice risultava essere un avvocato ex candidato alle elezioni amministrative locali nello stesso partito dei querelanti (Forza Italia-Polo delle Libertà).
La condanna venne confermata in appello da un giudice monocratico, essendomi stata negata la possibilità di essere giudicato da un collegio come sarebbe dovuto avvenire vista l’accusa di offesa ad un corpo politico-amministrativo, nonostante riuscissi nuovamente a dimostrare l’illecito urbanistico commesso dai querelanti che era alla base della mia denuncia e origine della loro successiva querela. 
Nel corso del processo d’appello riuscii inoltre a dimostrare che i querelanti avevano reso falsa testimonianza collettiva al fine di ottenere la mia condanna. Ma il giudice ed il P.M. che avrebbero dovuto esercitare l’obbligatoria azione penale non lo fecero lasciando così impuniti i querelanti. L’apertura del procedimento penale contro i falsi testimoni avrebbe determinato il collasso delle accuse contro di me nel processo e l’avvio di indagini effettive sulla liceità della realizzazione del centro commerciale, ponendolo a rischio.
Ad una verifica successiva emerse che la mia opposizione alla richiesta di archiviazione dell’esposto sull’illegittimità urbanistica del centro commerciale era stata inserita in altro fascicolo relativo ad un altro mio esposto sulle irregolarità di un progetto di sviluppo turistico nello stesso Comune. Tale manipolazione degli atti si è rivelata poi determinante per gli sviluppi del caso. Infatti il GIP ha archiviato sia il procedimento relativo al centro commerciale in fittizia assenza di opposizione, sia quello relativo al progetto di sviluppo turistico poiché l’opposizione in atti non riguardava quel procedimento. Risulta inoltre che gli atti erano stati ritrasmessi al P.M. che pur in presenza della contestazione del GIP non provvedeva a disporre la reintegrazione dell’atto oppositivo al fascicolo di pertinenza per sanarne l’archiviazione illegittima. Dando così via libera al Comune di Muggia per presentare la querela nei miei confronti. Querela che veniva immediatamente recepita dalla Procura affidando l’inchiesta allo stesso P.M. e allo stesso ufficiale di P.G. dei carabinieri indaganti dunque su proprie indagini – i cui comportamenti omissivi avevano consentito sia l’archiviazione per l’illecito urbanistico, sia la presentazione della querela nei miei confronti.
La condanna è stata poi confermata rapidamente dalla Cassazione pur in presenza di elementi che avrebbero dovuto portare alla revisione dell’intero processo. La sentenza non è stata peraltro  ancora resa disponibile nonostante mia richiesta diretta motivata tra l’altro con la necessità di produrla quanto prima alla Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo dove ho presentato ricorso per violazione delle norme sull’equo processo, sul divieto di discriminazione, sulla libertà di opinione e di espressione.

Per avere denunciato nel pubblico interesse un illecito urbanistico grave e documentato commesso in forma associativa da personaggi influenti per consentire una grossa operazione speculativa sono stato processato e condannato su loro denuncia calunniosa al pagamento complessivo di circa 40.000 euro. Ecco quale è la risposta del “sistema”. Giustizia è fatta. Salvi gli interessi del partito del cemento e pubblica punizione per il contestatore che dovrà pure pagare i danni.

Devo dire che io ho denunciato queste situazioni aberranti di malagiustizia e privazione dei diritti fondamentali del cittadino agli organi disciplinari dell’autorità giudiziaria. Ma questo non è “gradito”  ai magistrati. Il suddito non deve permettersi di alzare la testa e nemmeno sfiorare con lo sguardo il potente padrone. Le sentenze devono sempre essere accettate e non si discutono (le possono contestare solo i potenti, ovviamente). E’ questo quello che si sente sempre ripetere il povero cittadino italiano nel corso di tutta la sua esistenza in virtù di quel principio (ormai ammuffito) di sacralità delle istituzioni. Ma se lo Stato è mafioso? Il cittadino deve subire supinamente e stare zitto? Scusate, ma io non ce la faccio. Anche se poi mi condannano.

Spesso mi sento chiedere (soprattutto dai giornalisti stranieri per la verità, visto che quelli italiani sono appiattiti sul sistema che li ha generati…) come se ne esce. Ovvero come l’Italia potrà – se potrà – uscire da questa oppressione controllata, da questo degrado che sembra inarrestabile. La risposta non può che essere una: la rivoluzione della Legalità. Una rivoluzione che deve partire dal basso. Non saranno certo le istituzioni corrotte (i gattopardi) ad autoriformarsi. Devono essere i cittadini ad esercitare i loro diritti e a smetterla di essere sudditi. Basta con la delega (il voto) ai partiti corrotti. I cittadini devono raggrupparsi nel nome della Legalità e lottare per la Legalità ogni volta che è necessario. E coloro che si trovano in prima fila per affermare questi diritti collettivi e che sono quindi facile bersaglio per i poteri deviati mafiosi, non possono essere abbandonati al loro destino. Attorno a loro deve essere eretto un muro insormontabile da parte dei cittadini onesti: un muro di Legalità. La rivoluzione della Legalità è la battaglia civile principale in questo nostro Paese. Ma per fare partire questa rivoluzione ognuno di noi deve trovare il coraggio dettato dalla dignità e vincere la paura. Nessuno allora potrà arginare questa piena.
E il nostro Paese potrà finalmente riconquistare la sua Libertà.
Roberto Giurastante (Presidente Greenaction transnational)
info@greenaction-transnational.org
da: www.lavocedirobinhood.it

Il sacco di Casalnuovo sui terreni dell'Augustissima Arcinconfraternita. Collusioni tra alti prelati, magistrati, pezzi dello Stato e potere politico.

L’INCREDIBILE ODISSEA GIUDIZIARIA DI LUIGI IOVINO.

C’è di mezzo la Augustissima Arciconfraternita dei Pellegrini, elitaria compagine fra poteri occulti e religione comprendente magistrati, alti prelati, medici e pezzi dello Stato, nel calvario quotidiano degli ultimi 15 anni di Luigi Iovino, il blogger divenuto famoso per essersi incatenato dinanzi al palazzo del Consiglio Superiore della Magistratura.

Luigi Iovino nel 1993 stipula un preliminare di compravendita per un appartamento all’interno del Parco delle Ginestre, a Casalnuovo. L´immobile in questione rientra in una lottizzazione richiesta dalla “Arciconfraternita degli ospedali e Santissima Trinità dei Pellegrini e dei Convalescenti“, di cui “la Voce”, nel 2002, divulgò gli elenchi segreti.

E’ il Comune di Casalnuovo a rilasciare la concessione edilizia n. 133 del 1990, successivamente girata alla società “Del Vecchio Costruzioni spa”. Casalnuovo è uno di quei comuni a rischio nella zona nord di Napoli su cui sorgono interi villaggi di cemento abusivi. A un anno dal preliminare di vendita, Iovino prende possesso («come consegnatario») della casa, ma non salda il prezzo concordato, perché scopre che «la società non era in grado di regolarizzare la vendita e che i documenti catastali e amministrativi non erano legali».  Ma con la solita logica della magistratura di regime, usando due pesi due misure, nei confronti dei poveracci, la famiglia Iovino è costretta a sloggiare dagli immobili costruiti in violazione alle norme di legge, mentre nulla sfiora i potenti costruttori e i religiosissimi padroni dei terreni, ignorando vergognosamente che gli Iovino per acquistare quell’appartamento avevano speso un’intera vita di lavoro, vedendosi volatilizzare tutti i loro risparmi.

Poco dopo la sentenza del tribunale il tenace Iovino scopre però che lo stesso appartamento che è stato costretto a rilasciare dai giudici civili partenopei è stato venduto ad altra famiglia. Da questo momento comincia una vera e propria guerra giudiziaria prima in sede civile e poi penale. Iovino fa i nomi e i cognomi di chi lo avrebbe truffato. Nelle sue denunce chiama in causa il Comune di Casalnuovo, la Curia di Napoli, il Gruppo Ferlaino. Poi gli stessi magistrati che accusa di “truffa processuale”.

Iovino dedica la sua vita a ottenere la restituzione della caparra (circa 87.500.000 di vecchie lire su un totale di 175.000.000) versata per una casa che lui definisce «abusiva» e soprattutto per «avere giustizia». Quindici anni di processi, un blog (www.luigiiovino.it) ben documentato e pieno di documenti e denunce sui giornali da L’Espresso e la Repubblica a giornali locali.

Circa due anni fa, a seguito del clamore suscitato dli articoli apparsi sulla stampa, finalmente il procuratore capo di Nola (Procura competente per gli abusi edilizi) chiede un incontro urgente al magistrato che sta curando il “fascicolo Iovino”, Francesco Raffaele. I carabinieri raccolgono tutte le denunce e preparano un dossier per il procuratore Mancuso, partendo dalla prima denuncia (1998) per vizi strutturali dell´immobile (tra cui il giardino) e la mancanza di documenti. Nel dossier, le denunce prodotte negli anni da Luigi Iovino (sia in sede civile che penale) ruotano attorno a due reati: abusivismo edilizio e falsità documentale. Il primo reato è legato a una domanda di condono edilizio, ancora in fase di definizione. Mentre “la falsità documentale” potrebbe essere inficiata da tre domande di sanatoria presentate dalla “Del Vecchio” e per cui la Procura di Napoli nel dicembre 2005 aveva già chiesto l´archiviazione. Insomma un processo sul filo burocratico-amministrativo e con un forte rischio di prescrizione dei reati, causato dalla ingiustificata inerzia degli organi giudiziari e dall’omesso tempestivo esercizio dell’azione penale.

Nella lettera aperta e Denuncia del 21.7.09, pubblicata sul suo blog, Iovino ricostruisce il calvario giudiziario della sua famiglia e gli abusi subiti dalle Procure di Napoli e Roma, dove aveva ottenuto l’apertura di un fascicolo sulle indagini archiviate troppo velocemente nel 2005 dalla Procura di Napoli e sull’operato del personale di giustizia nei processi civili e penali.

Ma anche la procura di Roma rimane del tutto inerte e quindi il procedimento passa nelle mani della procura di Perugia, nota roccaforte massonica e punto di approdo degli insabbiamenti romani, che “more solito” pare cerchi di mettere tutto a tacere, senza alcuna indagine.

Il “j’accuse” di Iovine si concentra soprattutto sul fatto che gli immobili realizzati, grazie al “sacco di Casalnuovo” (sette palazzi su un totale di 135 abitazioni) sono ancora in piedi, tutti “regolarmente” abitati e i frutti economici dello scempio vanno ancora oggi a beneficio dei costruttori proprietari dei terreni, nonostante le tante sentenze penali che avevano riconosciuto le violazioni edilizie. Le procure via via adite non potevano quindi non riconoscere le gravissime responsabilità dell’Amministrazione Comunale di Casalnuovo sia nelle costruzioni abusive ma anche e soprattutto in relazione alla frode amministrativa e giudiziaria in atto, i cui mandanti secondo i difensori della famiglia Iovino non possono che essere gli enti di Culto controllati dalla Curia di Napoli che prima favorirono la costruzione di 135 appartamenti abusivi, omettendo ogni tipo di controllo sugli abusi edilizi ed amministrativi e da ben 15 anni a questa parte si godono i frutti degli illeciti commessi, cioè i canoni di locazione di 40 appartamenti abusivi, costruiti con i soldi ricavati dalla vendita di altri 95 appartamenti abusivi a famiglie ignare di avere acquistato immobili non commerciabili.

Conclusivamente, il blog di denuncia chiude affermando che deve necessariamente esistere un “patto tra operatori deviati” di Chiesa, Stato, magistratura, forze dell’ordine e colletti bianchi, in danno di chi cerca giustizia contro una delle componenti del patto mafioso. “Un patto che non esclude il riscorso alla violenza, alla prevaricazione, alla negazione dei diritti e della giustizia, con l’unico scopo di salvaguardare gli interessi illeciti dell’uno e dell’altro, in un carosello che travolge ogni legittima aspirazione dei cittadini comuni”.

http://www.luigiiovino.it/default.asp?idSettore=72&idPagina=79&what=testopagina

 

 

VITTIMA DELL'USURA E DELLO STATO MAFIOSO

Ecco un incoraggiamento a non denunciare il racket…

Quando l’antimafia non paga, la storia di Bernardo Raimondi

Legalità è una parola che ha un suo peso, assume le forme di giudici coraggiosi, associazioni che tutelano i cittadini ed i commercianti, può avere la forma dello Stato, ma scegliere la via della legalità non è sempre facile.  Ne sa qualcosa un artigiano molto ricercato per i suoi lavori, Bernardo Raimondi, vittima per anni del racket che decise di ribellarsi a quella morsa così soffocante per affidarsi ad una associazione che lo tutelasse. Anni di peripezie, richieste più o meno palesi di “sponsorizzazioni importanti” per entrare nel circuito di protezione nelle vittime del racket, alla fine Raimondi era riuscito a trovare una soluzione, portando in giro i suoi prodotti e recentemente aveva riaperto il suo laboratorio artigianale a Borgo Molara, una frazione tra Palermo e Monreale. Proprio mentre gli affari ricominciavano a girare, con alcune commesse chieste da turisti in visita, il locale è stato dichiarato inagibile. Mancavano un paio di mensilità arretrate ma il lavoro andava bene, Raimondi sarebbe riuscito a mettersi in pari, poi l’ultima tegola. Nonostante la sua storia sia più volte finita sui media nazionali, Raimondi non riesce ad ottenere lo status di vittima dell’usura, in un silenzio che dopo ben due anni si fa assordante.

Pubblicato da Francesco Quartararo il 22 luglio 2010

http://www.blogpalermo.it/2010/07/22/quando-lantimafia-non-paga-la-storia-di-bernardo-raimondi/

 

CASO CUPIC: INSABBIATA LA DENUNCIA E L'INTERROGAZIONE

INTERROGAZIONE PARLAMENTARE
Atto a cui si riferisce:
C.4/05555 [Le gravi denunce della signora Cupic]
Atto Camera
Interrogazione a risposta scritta 4-05555 presentata da ANTONIO BORGHESI
martedì 22 dicembre 2009, seduta n.261
BORGHESI. – Al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
la signora Milica Cupic, cittadina italiana, lamenta una serie di comportamenti quanto meno opinabili di organi della giustizia militare e civile in ordine a fatti da lei denunciati;
in più occasioni ed in data 4 ottobre 2003 la signora Cupic ha denunciato gravi fatti a sua detta ascrivibili a personaggi identificati e identificabili. In particolare riferiti al suo ex marito, generale a due stelle e dunque alta carica dell’Esercito italiano, che ella ebbe a denunciare già nel 1996 in relazione alla morte violenta della propria figlia e di un sottoufficiale dell’Esercito avvenuta il 3 febbraio 1986;
secondo quanto riferito dalla stessa signora Cupic ella avrebbe altresì avuto modo di segnalare come un alto grado della Guardia di Finanza avrebbe favorito la promozione al suo ex marito. Tale personaggio sarebbe poi diventato Comandante Generale della Guardia medesima;
la Procura della Repubblica di Roma, dopo aver ricevuto l’esposto firmato dalla signora Cupic, lo avrebbe trasmesso al Procuratore Aggiunto, dottor Ettore Torri, come esposto anonimo, mentre, ad avviso dell’interrogante, ne risultava esattamente identificato il soggetto che lo aveva inviato;
tali denunce sono state archiviate, ma è evidente che in tal caso la signora Cupic avrebbe dovuto essere indagata per calunnia, cosa che non è mai avvenuta;
sembra per la verità che la denuncia della signora Cupic in merito alla morte del Sottoufficiale sia stata archiviata, giustificandola con il fatto che la signora sarebbe affetta da «sindrome delirante lucida» e che di ciò la procura militare sarebbe stata informata, per quanto riferito dall’interessata, in modo improprio dal direttore del Policlinico Militare di Roma, dottor Ballarini. La Cupic fu effettivamente visitata nel 1996 presso il Policlinico Militare dal Capitano medico Marco Cannavicci, il quale fece in effetti un rapporto al direttore sullo stato psicologico della signora, nel quale tuttavia mai pronunciò la diagnosi che avrebbe portato all’archiviazione;
in data 15 gennaio 2005 la signora Cupic presentò alla procura militare di Roma una formale denuncia contro il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Giulio Fraticelli, per «omissioni in atti d’ufficio», in relazione alle denunce presentate nei confronti dell’ex marito ed alla documentazione a suo dire inviata al generale Pompegnani. Il generale Fraticelli avrebbe comunicato alla signora Cupic di aver relazionato al procuratore Intellisano, il quale per altro in un incontro avvenuto con la Cupic il 7 dicembre 2004 negò di aver mai ricevuto nulla;
della denuncia di cui sopra esiste traccia nella lettera che la procura militare della Repubblica presso il tribunale militare di Roma ha inviato allo studio legale Lombardi in data 16.05.2005 (Numero 8/C/04INT «mod. 45» di protocollo) a firma del Procuratore Intellisano;
nel dicembre 2004 la Cupic ebbe a presentare una denuncia alla Procura Militare contro il Ten. Col. Ballarini inviandola al A.G. Maresciallo Cervelli -:
di quali informazioni dispongano sulla vicenda e se intendano adottare iniziative nell’ambito delle proprie competenze. (4-05555)

Palermo, tenta di darsi fuoco davanti al Tribunale

Palermo, tenta di darsi fuoco davanti al Tribunale

“Al Tribunale” PalermoSi è cosparso di benzina, pronto a darsi fuoco. Poco più di 250 euro al mese per vivere, una causa di divorzio in corso che non gli rende giustizia, una leucemia che complica gravemente le cose. Lo racconta il cartello che ha tenuto in mano finché non ha preso la tanica da 5 litri per svuotarsela addosso. I vestiti zuppi di benzina, in mano un accendino.

È al centro della strada, davanti all’ingresso del vecchio Palazzo di Giustizia di Palermo.

Più giù, in strada, gli automobilisti ignari procedono a rilento, la chiazza di combustibile si allarga al centro della strada. V.C., 65 anni, è pronto ad azionare l’accendino. Un carabiniere gli piomba addosso, bloccandolo e riuscendo a togliergli l’accendino. Nel frattempo arrivano i rinforzi: in pochi istanti la zona è presidiata dalle forze dell’ordine.

Per strada il traffico rallenta, qualcuno pensa al morto ammazzato, all’attentato di mafia. Per fortuna non è morto nessuno.

Arriva l’ambulanza, ma V.C. non vuol essere trasportato in ospedale. Cercano di sedarlo, di tranquillizzarlo, ma lui non può. Ha tanto da raccontare, tanto da chiedere. Vuole tornare in strada, i vestiti che ancora puzzano di benzina: gli infermieri gli fanno togliere almeno la giacca, che viene appesa allo sportello dell’ambulanza ferma accanto all’ingresso del tribunale. I passanti rallentano per capire cos’è successo. Al carabiniere che tenta di farlo ragionare risponde con toni esagitati, continuando a inveire. Il carabiniere gli dice che possono costringerlo a restare dov’è e allora V.C. si accende di nuovo, si toglie di scatto l’apparecchietto che gli monitora le pulsazioni cardiache e scende dall’ambulanza. “Mi arresti, mi metta le manette! Se è un uomo, mi metta le manette” dice esagitato, puntandogli il dito contro.

06-11-2008 | Autore. siciliainformazioni.com

 http://castelvetranoselinunte.it/al-tribunale-palermo-tenta-di-darsi-fuoco/1950/

MALASANITA'. DONNA SI DA FUOCO DAVANTI AL QUIRINALE

Ha ustioni sul 60 per cento del corpo: sul suo caso nel 2004 un’interrogazione senza risposta.

Si è cosparsa di benzina e si è data fuoco, a sei metri dall’area che delimita l’ingresso del Quirinale. Marianna Randazzo, 64 anni, originaria di San Cono (Catania), in pochi attimi si è trasformata in una torcia umana per protestare contro la sanità.
La donna, malata da tempo, voleva morire ma è stata salvata da due poliziotti e da un vice questore di guardia alla piazza, che si sono immediatamente dati da fare per soccorrerla, e l’hanno consegnata nelle mani del servizio sanitario del Quirinale. Ora si trova nel reparto Grandi Ustianati del S. Eugenio, insieme all’agente Francesco Marcisano che, nel lanciarsi con una coperta sulla poveretta per spegnere le fiamme, si è bruciato le mani. Non è la prima volta che il Quirinale viene scelto come luogo per un tentativo di suicidio: il 26 settembre 2000 un uomo di 33 anni aveva inscenato una protesta puntandosi un cacciavite al petto, ma era stato bloccato e arrestato dai carabinieri. Doveva scontare due anni di carcere per reati contro il patrimonio.
Marianna Randazzo, invece, era malata da tempo e le sue disavventure negli ospedali pubblici, le sue vicessitudi con i medici, le sue delusioni sull’assistenza pubblica, le ha raccolte in un dossier che teneva nella borsa, poggiata su un muretto poco distante. In un biglietto ha scritto le sue ultime volontà, poi ha atteso l’attimo buono e si è completamente cosparsa di alcol, accendendo la fiamma. Ma sono intervenuti i poliziotti, i sanitari del Quirinale e un’ambulanza del 118, che l’ha trasportata in codice rosso al Reparto Grandi Ustionati del S. Eugenio, dove è stata ricoverata per bruciature di secondo e terzo grado sul 60 per cento del corpo, in particolare su torace, braccia e volto. Il caso è ora nelle mani dell’Ispettorato di polizia del Quirinale. La vicenda di Marianna Randazzo era stata già nel 2004 al centro di un’interrogazione al ministro della Salute.
L’interrogazione segnalava che la Randazzo si era sottoposta nel 2001 a una isteroscopia per un adenocarcinoma endometriale e poi a un intervento chirurgico presso la divisione ginecologia e ostetricia dell’Azienda Ospedaliera Pisana. La donna aveva segnalato all’equipe chirurgica la sua allergia ai metalli, e in modo specifico al nichel. Dal giorno dopo l’intervento avrebbe cominciato ad avvertire una sensazione di atrofizzazione della parte superiore della gamba sinistra, causata probabilmente da un errore durante l’intervento. Piano piano sarebbe diventata invalida al 70 per cento e, come se non bastasse, sarebbe caduta in depressione.

www.ilgiornale.it  (30 maggio 2008)

CLAUDIA MORI DENUNCIA: LA RAI MI HA CENSURATO FICTION SULLA PEDOFILIA

Non ci meraviglia i santuari della pedofilia sono sempre stati protetti dalla politica e dalla magistratura di regime… Leggi in calce: 

L’INSOSPETTABILE MERCATO INTERNAZIONALE DELLA PEDOFILIA

http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=123

CLAUDIA MORI: LA RAI HA RIFIUTATO FICTION SU PEDOFILIA

TV: Claudia Mori, “La RAI mi ha censurato

 fiction sulla pedofilia” 

(IRIS) – ROMA, 7 LUG – “La Rai ha tagliato due delle fiction sulla violenza sulle donne che erano in progetto”.Claudia Mori, in conferenza stampa al RomaFictionFest dove le è stato assegnato il premio all’impegno produttivo, rivela che la tv pubblica ha rifiutato i progetti che affrontano il tema della pedofilia e della tratta delle ragazze nigeriane.

“Del progetto iniziale quindi, sono rimaste quattro fiction: due con la regia di Marco Pontecorvo, sullo stalking e la violenza via web, una di Liliana Cavani sulla prostituzione ed una di Margarethe Von Trotta sulla violenza in famiglia”.

Tra gli altri progetti della ‘Ciao Ragazzi’, Claudia Mori ne annuncia uno su Caruso, uno su Fred Buscaglione ed uno in sei puntate sul gioco d’azzardo. A sorpresa poi rivela “sto pensando ad una fiction su Tortora. Un caso che ho vissuto come una tragedia personale e che in questo periodo penso sia più interessante che mai. Potrei farlo con Sky, anche se loro ancora non lo sanno!”

[ via IrisPress.it ]

L’INSOSPETTABILE MERCATO INTERNAZIONALE DELLA PEDOFILIA

http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=123

Vassallo e Mastrogiovanni. Un Sindaco e un anarchico. Due omicidi senza movente?

Vassallo e Mastrogiovanni. Un Sindaco e un anarchico. Due omicidi senza movente? 

E’ stato sicuramente terribile per tutti apprendere la tragica notizia dell’assassinio del sindaco Vassallo che, ininterrottamente, per 15 lunghi anni ha amministrato Pollica, un piccolo comune della provincia di Salerno. Dalle colonne di Repubblica di oggi ne parla persino Roberto Saviano.

E’ stata la camorra? O altro?

E’ certo che con la morte di Vassallo viene messo definitivamente a tacere il mistero del T.S.O. (Trattamento sanitario obbligatorio), da lui abusivamente disposto presso il locale “lager psichiatricodi Vallo della Lucania, nei confronti del povero maestro di scuola Francesco Mastrogiovanni che lo ha condannato a morte la scorsa estate 2009.

Come molti ricorderanno per il suo preannunciato assassinio a sangue freddo sono già stati rinviati a giudizio ben 18 imputati, a partire dal Primario del reparto di psichiatria e da altri cinque medici del reparto per avere formato false cartelle cliniche, occultando i disumani trattamenti, da torturatori medioevali, a cui era stato sottoposto Francesco Mastrogiovanni, durante il T.S.O., il quale veniva barbaramente legato mani e piedi per oltre 80 ore, sino a provocarne la morte.

Il processo, dapprima fissato con rito immediato, per il 28 giugno scorso avanti al Tribunale monocratico di Vallo della Lucania, è stato rinviato al 30.11.2010 per i soliti “difetti di notifica“, con cui spesso la storia giudiziaria insegna mafiosi e colletti bianchi riescono a farla franca.

Con Vassallo non sarà quindi più possibile approfondire nelle sedi competenti la questione dell’anomalo T.S.O. eseguito nel territorio di un altro comune, disposto, purtroppo, proprio dallo stesso Sindaco Vassallo, assassinato da mani ignote, il quale era il principale teste che avrebbe potuto svelare gli oscuri retroscena di un altro omicidio politico-mafioso, legalizzato dallo Stato Italiano. Quello di Francesco Mastrogiovanni, reo di essere “anarchico”.

Per amore di verità con riferimento al suo operato di amministratore il Sindaco Vassallo non è stato solo campione di legalità come scrivono più o meno tutti i giornali.

Nel suo comune ormai non aveva più avversari politici.

L’ultima volta si è presentata solo la sua lista. E tranne la parentesi di qualche mese per aggirare la legge sulla elezione diretta del sindaco, era sindaco da una quindicna di anni.

C’erano varie denunce nei suoi confronti – secondo quanto si apprende dalle fonti giornalistiche – per estorsione, concussione e reati contro l’amministrazione della giustizia.

Anche il Comitato Verità e Giustizia per Francesco Mastrogiovanni aveva presentato un esposto denuncia anche contro di lui, in relazione ai tragici fatti del 31 luglio 2009.

A riguardo, lo stesso Sindaco Vassallo in un intervista ammise essere un provvedimento eccezionale ed averne firmati al massimo tre in tutta la sua vita. 

E allora perché proprio nei confronti dell’innocuo Franco? Mentre stava tranquillamente trascorrendo alcuni giorni di vacanza in un campeggio a San Mauro del Cilento.

Perché i Carabinieri vanno a prelevarlo per l’ennesima volta con la forza?

Perché circondano il suo bungalow con un inusitato spiegamento di forze neppure si trattasse di un pericoloso latitante o di un mafioso, seppure non avesse commesso alcun reato?

Perché viene ordinato di portarlo presso il famigerato reparto psichiatrico di Vallo della Lucania, dove Franco scongiurava, senza opporre alcuna forma di resistenza,  di non essere ospedalizzato, certo che questa volta non ne sarebbe uscito vivo? 

A chi dava fastidio o cosa sapeva e aveva denunciato Franco Mastrogiovanni?  

Le risposte ufficiali sinora date non sono convincenti.

Quello che appare come un dispiegamento di forze per catturare un importante criminale viene giustificato da ragioni pressoché banali e del tutto fumose, fermamente contestate dai parenti e conoscenti della vittima. Mastrogiovanni, la sera del 30 luglio avrebbe generato caos e panico guidando a forte velocità la sua auto nel centro abitato del comune di Acciaroli, la mattina successiva la cosa si sarebbe ripetuta nel centro di Agnone Cilento, provocando il tamponamento di una vettura. Ma è stranamente il Sindaco di Pollica A. Vassalo, ad avvisare la polizia municipale e sarà sempre lui a sottoscrivere l’ordine di ricovero ospedaliero.

Singolarmente, a riguardo non risulta alcuna denuncia da parte di chicchesia e l’autovettura di Franco non riporta alcuna forma di danno, neppure lieve. Era quindi fondato il sospetto del povero Mastrogiovanni che se lo avessero riportato nel lager psichiatrico di Vallo della Lucania non ne sarebbe uscito vivo. 

La circostanza riferita dai vigili urbani di Pollica  e quindi anche dal sindaco Vassallo, secondo cui Francesco la sera del 30 luglio 2009 avrebbe attraversato con la sua auto a folle velocità l’isola pedonale di Acciaroli è stata smentita anche da un indagine giornalistica di Massimo Romano giornalista del mensile “Il Cilento”, che recatosi sul posto nei giorni successivi al verificarsi dei fatti, ha potuto appurare che nessuna delle diverse persone intervistate ha visto mai una scena del genere (auto a folle corsa nell’isola pedonale). Anzi un locale operatore turistico riferisce di aver assistito all’attraversamento dell’isola pedonale da parte di Francesco con la sua auto, in MODO NORMALE, A PASSO LENTO e non a folle corsa. Ma, singolarmente, i vigili scrivono contraddittoriamente che aveva lo sguardo fisso nel vuoto e andava ad altissima velocità la sera del 30 luglio 2009.

C’è da chiedersi come si può andare ad alta velocità ed avere lo sguardo fisso nel vuoto? E, come si fa a vedere lo sguardo di una persona alla guida di un auto che va ad altissima velocità?

Lo stesso Sindaco Vassallo aveva denunciato collusioni e deviazioni tra le forze dell’ordine.

A questo punto c’è da chiedersi chi aveva interesse a rappresentare al Sindaco di Pollica una falsa situazione di pericolo, tanto da indurlo a disporre un T.S.O.?  

Nell’esposto presentato contro Sindaco, Vigili, Carabinieri (questi ultimi scrivono che la mattina del 31 alle ore 8.30 scendono da Pollica ad Acciaroli per fare il TSO al Mastrogiovanni), etc.,  i parenti di Francesco chiedono  al P.M. di verificare la sussistenza della contestazione di eventuali infrazioni al codice della strada. Se è vero quello che hanno detto a proposito del comportamento di Francesco alla guida della sua auto la serata del 30 luglio, come mai i vigili non hanno elevato delle contravvenzioni? 

Come mai quel fatidico 31 luglio 2009 Francesco viene ugualmente sottoposto a T.S.O., seppure non abbia opposto alcuna resistenza alla sedazione farmacologica?

Come mai è il Vassallo, Sindaco TERRITORIALMENTE INCOMPETENTE a disporre tale disumano trattamento? Come mai il primo  T.S.O. – nel 2002 – Francesco lo subiva proprio nello stesso Comune di Pollica?

I parenti denunciano tra l’altro di non avere mai capito i motivi di tale primo TSO.

Noi il perché non lo sappiamo, ma è chiaro che la Procura territorialmente competente dovrà svelare le ragioni di entrambi gli omicidi.

Alla fiaccolata a cui diamo la ns. adesione dovrà venire perciò ricordato per amore di verità e giustizia anche Francesco Mastrogiovanni, affinché non sia dimenticato e venga fatta luce sul perché di quell’ingiustificato provvedimento amministrativo che ne ha provocato la morte.

http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=201&titolo=T.S.O.: CURA O TORTURA? ASSASSINIO MASTROGIOVANNI. LA LEGGE BASAGLIA32 ANNI DOPO .

Avvocati senza Frontiere

Posted, 7 settembre 2010

ATTO DI ACCUSA E DENUNCIA CONTRO I GIUDICI DELLA CORTE D'APPELLO DI BRESCIA

 ATTO DI ACCUSA E DENUNCIA IN MERITO ALLA SENTENZA n. 837/2007 DELLA I ^ SEZIONE CIVILE DELLA CORTE  DI APPELLO DI BRESCIA. A cura di Francesco Di Lorenzo.

Di seguito pubblichiamo il testo integrale della denuncia in oggetto, come pervenutaci dal diretto interessato a cui manifestiamo tutto il ns. appoggio e solidarietà. 

“In premessa va comunque precisato che la sentenza era meritevole  di un  ricorso per Cassazione. Purtroppo ciò non si è verificato per le disastrose condizioni  economiche del sottoscritto causate dal comportamento di un avvocato del quale è inutile fare il nome perché ormai il fatto è risaputo. Dopo aver bussato a mille porte, nessuno ha ritenuto di fargli credito. La Cassazione avrebbe senz’altro rilevato i grossolani errori commessi in fase di  appello. Primo fra tutti, quello di giudicare inammissibile  una querela di falso senza dare la benché minima motivazione sulla decisione ed in tempi congrui atti a potersi opporre.

Col presente documento, il sottoscritto DENUNCIA ed ESPONE quanto segue:

La   I ^ sezione civile della Corte d’Appello di Brescia, nella  sentenza n. 837/2007  del 4.7.2007 giudica inammissibile una “querela di falso” presentata dal sottoscritto nel corso della causa civile con Bergamo 2 srl per una lettera falsificata dal legale di quest’ultima e così prodotta nel fascicolo principale della causa, quello del giudice.

Ciò gli fu consentito, a mia insaputa, dal mio avvocato che tradì il mandato.

Senza entrare nei particolari aberranti dei 20 anni di causa trascorsi tra umiliazioni, furti e saccheggi da parte di questi assatanati che grazie all’inerzia dei giudici del Tribunale e al tradimento di un avvocato disonesto, hanno causato danni irrimediabili a me e alla mia famiglia. Dopo 17 anni il GOA di Bergamo mi attribuisce la ragione. Costoro prima tentano di trattare  ma poi decidono per l’appello. L’esecuzione del I° grado viene sospesa dalla Corte. Si decide col mio legale di presentare appello incidentale e la predetta querela di falso. Quest’ultimo con mille pretesti tentò di ostacolare la presentazione di questa querela attraverso motivazioni poco convincenti e penso che il suggerimento di non presentare il documento sia venuto proprio da qualcuno che aveva interesse in tal senso. C’è da dire che se la querela di falso fosse stata ammessa, alla fine l’avvocato Vittoni avrebbe subìto un processo per falso come prevede il Capo III – della falsità in atti del C.P. e in modo anche continuato, ai sensi art. 81C.P.  poiché la lettera falsificata l’ha proposta in tutte le memorie prodotte nei 20 anni di causa. Finanche nella fase d’interpello ai sensi dell’art. 222 c.p.c. nel corso dell’istruttoria della querela, aveva deciso di avvalersi del documento. Il fatto che il mio avvocato ( Rocchi – del quale conservo la lettera !) continuasse  ad ostacolare la presentazione della querela di falso, sostenendo che era un fatto penale e non civile. Mi ha dato molto da pensare, dopo l’esito della causa. Perché non voleva il mio avvocato che si presentasse questo documento?  Io mi ero informato e sapevo che aveva importanza sull’esito della causa civile, come sostiene la Corte di Cassazione nella sentenza n. 12399 del 28.05.2007. Pertanto ritengo che questi giudici abbiano deciso in quel modo, soprattutto per salvare l’avvocato da un possibile procedimento penale poiché questo si era reso responsabile nel produrre un documento della controparte in modo  contraffatto e poiché nella sua funzione di avvocato difensore, funge anche da pubblico Ufficiale,  è perseguibile ai sensi degli art. relativi al capo III °- della falsità in atti- del C.P. ( come già esposto) ed ai sensi dell’art. 374 C.P. per la frode processuale, e dell’art. 81 C.P.  poiché per quanto già esposto, il reato non è mai cessato, quindi si tratta anche di reato continuato. Credo che di questo il mio avvocato fosse al corrente, ma tentava di dissuadermi su mandato dell’avversario o di chi aveva interesse in questo.

Ritenevo importante che il documento fosse acquisito agli atti nella sua integralità in quanto rappresentava un ostacolo alla lettera di diffida inviata dalla controparte all’inizio della causa. Fu appunto la lettera falsificata, che metteva in mora la società ancora prima che questa decidesse di inviare lettera di diffida. La società tralasciò di rispondere a quella lettera che chiedeva legittimamente di avere prove della propria situazione debitoria presente nella fattura n. 17 nella quale appariva , tra le altre cose una richiesta che si riteneva illecita ma nessuno seppe dare certezza alla cosa. Solo recentemente si è saputo dall’ Istituto bancario che quella era una richiesta illegittima e quindi, come io giustamente pensavo,  appariva come un tentativo di estorsione di denaro a tutti i condomini, e  che,comunque,  si trattava di interessi passivi non dovuti che gravavano soltanto su chi aveva ricevuto e utilizzati i soldi di quell’anticipazione, cioè la società Bergamo 2 srl. 

Ritengo responsabili della cosa sia l’avvocato difensore (Vittoni), sia la società Bergamo 2 Srl. Chiedo l’intervento della  la S.V. su questa vicenda sulla quale si sono consumati numerosi reati quali: furti; sequestri di mobili ed effetti personali non più ritrovati; utenze peraltro pagate e 14.250.000 di Lire versate quali rate anticipate e non rimborsate le quali, oggi ammonterebbero a circa € 23.000 con interessi e rivalutazione. Va detto inoltre che una famiglia è stata messa allo sbando per questa vicenda dove ha subìto ed anche pagato le pretese del primo avvocato che ha tradito ( ne  è a conoscenza l’Ordine di Bergamo, ma non l’hanno mai voluto mettere per iscritto, anzi l’hanno assolto) e dei suoi eredi che grazie a degli stratagemmi legali hanno acciuffato oltre 22.000 €  oltre quello già pagato a  mani del congiunto.

Questo quale premio per aver rovinato la vita mia e della mia famiglia in combutta con l’atro filibustiere. I due hanno distrutto la serenità, l’avvenire dei figli e di una famiglia che potrà sopravvivere, non so per quanto ancora, soltanto attraverso carità cristiana e questo non mi sembra giusto per chi ha dato anni di vita allo Stato Italiano. Altro che costoro, difensori soltanto del proprio benessere e della Casta a cui appartengono. Mi appello alla coscienza di chi è chiamato a rendere giustizia. Sembra, però, che questo non importi a nessuno perché sono state presentate denunce, esposti al C. S. M.,  al Capo dello Stato, al Governo, al Ministero della Giustizia ed anche agli organi di stampa italiani ed anche esteri: sembra che sia stato costruito un muro a protezione per queste persone che non so più come definire.  

Chiedo infine di essere informato ai  sensi  di legge e di essere avvisato sulle decisioni che La  S.V. prenderà in merito. Gli allegati sono  parte integrante della denuncia.

Allegati alla denuncia:

            1 – Esposto   inviato al C.S.M. (ad oggi nessuna risposta  neanche  su esplicito        

                 invito del Presidente della Repubblica)                  

2- Notizie (verificabili) sui trascorsi della società

3- Lettera dal Quirinale

4- Ultima lettera per il Capo dello Stato e p.c. Ministero Giustizia.

5- Considerazioni sulla sentenza              

In fede   Francesco Di Lorenzo