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In onore di Franco Mastrogiovanni

In onore di Franco Mastrogiovanni, assassinato da “T.S.O.”. Per dire no alla tortura e alla contenzione psichiatrica!mastrogiovanni3

Per dire no alla banalità del male e dell’ingiustizia!

I Motivi per cui Avvocati senza Frontiere ha chiesto al P.G. di Salerno di impugnare la sentenza d’appello che, ribaltando le pene e sanzioni inflitte, garantisce sostanziale impunità a medici ed infermieri (link atto)

L’avevamo promesso. Ed, infatti, sin dall’inizio, il nostro impegno è stato quello di monitorare il corretto svolgimento del processo, evitando le solite facili assoluzioni dei “colletti bianchi”, troppo spesso protetti dalla magistratura inquirente e giudicante, più propensa a perseguire per resistenza, oltraggio, minacce, diffamazione o calunnia, chi denuncia i reati contro la pubblica amministrazione e i cittadini inermi, vittime di violenze e abusi di ogni ordine e specie, piuttosto che chi li commette (forze dell’ordine, pubblici ufficiali, professionisti, politici, magistrati). Come accaduto al povero Franco Mastrogiovanni, perseguitato per oltre 30 anni dalle Autorità locali, fino alla sua atroce morte, che aveva preannunciato implorando: “non portatemi a Vallo perché là mi ammazzano!”.E’ così è stato. Proprio là, nel lager psichiatrico di Vallo della Lucania la sua profezia si è avverata. Lì, è stato lasciato, cinicamente, morire, dopo oltre 86 ore di incessante agonia, legato mani e piedi, senza acqua né cibo, ignorando ogni sua supplica e invocazione di aiuto a coloro che avrebbero dovuto assisterlo, curarlo e proteggerlo, nel rispetto della vita umana e dei codici internazionali etici per lo svolgimento della professione, dallo statuto delle Organizzazioni mediche mondiali (1948) allo statuto dell’Associazione psichiatrica mondiale (1976).

Ed, ora, i suoi torturatori (primario, medici e infermieri), possono tornare indisturbatamente ad esercitare la“professione medica e paramedica”, grazie alla sentenza della Corte d’Appello di Salerno, che pur riconoscendone la penale responsabilità, revoca le misure interdittive, concede le attenuanti e sospende la pena, riducendo le condanne al di sotto dei minimi edittali, rispetto a quelle già assai miti inflitte in primo grado (da un 1 anno e 2 mesi per gli infermieri, fino ad un massimo di 2 anni per i medici e il benemerito primario). Tutto può tornare come prima. E, a Vallo della Lucania, come in altri ospedali, si continuerà a morire di “contenzione di comodo”: cioè, legare i pazienti, non perché vanno “fuori di testa” o per esigenze terapeutiche, ma per mera comodità di medici ed infermieri, disumanità, cinismo, assenza di controlli, carenza di personale, ma, principalmente, certezza di impunità, come denunciato dallo stesso P.M. Francesco Rotondo, che prima di venire trasferito a Salerno [promuovere per rimuovere] aveva fatto in tempo a disporre il giudizio immediato degli imputati, chiedendo le misure cautelari, oggi, incautamente revocate, sebbene la sentenza di primo grado avesse interdetto per 5 anni tutti i medici dai pubblici uffici. 

Di fronte a questa scandalosa assoluzione di fatto e realtà sanitaria non possiamo tacere. Abbiamo pazientemente atteso il deposito della sentenza di appello per capire più a fondo il senso, ove di senso si possa parlare, del dispositivo pronunciato all’udienza del 15.11.2016. Ma, ora, dopo aver valutato attentamente lo svolgimento dei primi due gradi di giudizio, durati quasi 8 anni, come avevamo promesso, è nostro precipuo dovere mettere a nudo i fatti e le responsabilità delle parti. E, lo facciamo pubblicando la richiesta da noi trasmessa, lo scorso 5 aprile 2017, al P.G. di Salerno, quali parti civili, affinchè impugni in cassazione la sentenza n. 2296/16, resa dalla Corte d’Appello penale di Salerno, depositata il 6.3.2017, e notificataci nei giorni scorsi (creare link sent. appello).

E’ la solita giustizia all’italiana, “forte con i deboli, debole con i forti”, dove anche la più atroce delle morti – [s’intende: quelle altrui] – finisce a “tarallucci e vino”, rimettendo ognuno al proprio posto, così da scoraggiare ogni futura azione di vittime, associazioni e magistrati “fuori controllo”, onde garantire l’intangibilità degli equilibri di potere delle massomafie che controllano il territorio, con particolare riferimento alla sanità campana, ma anche a quella di aziende ospedaliere del Nord, sciolte per mafia, a partire da Napoli, Locri, Palmi, Caserta, Pavia, dove sono state riscontrate forme di condizionamento da parte delle locali organizzazioni criminali, ramificate su scala nazionale, senza si sia mai istituita una commissione di inchiesta monocamerale sulla corruzione nella sanità, nonostante varie proposte di legge in tal senso, né tantomeno introdotto anche in Italia il reato di tortura, come richiesto dalle Nazioni Unite e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

L’impunità è sempre odiosa, ma lo è ancor di più quando la morte è provocata mediante torture, spietata indifferenza e complicità di coloro che dovrebbero proteggere i cittadini che fiduciosamente si affidano, prima al sistema sanatario nazionale, eppoi a quello giudiziario, nell’illusione di trovare un’equa riparazione agli errori medico-ospedalieri e ai torti subiti, a volte dagli stessi magistrati, come nel caso di Franco Mastrogiovanni, dove il pm d’udienza Martuscelli, dopo il trasferimento dell’originario titolare (pm Rotondo), il quale aveva svolto le indagini e formulato i capi d’accusa, ha fatto di tutto per minimizzare le fonti di prova, circa la lampante colpevolezza degli imputati, cercando di coprire ad oltranza le gravi responsabilità del personale sanitario, oltrechè delle forze dell’ordine e delle Autorità amministrative che avevano autorizzato il T.S.O., da ultimo dichiarato illegittimo dal Tribunale di Vallo della Lucania, condannando i medici per sequestro di persona, morte come conseguenza di altro delitto e falso in atto pubblico”, grazie all’attività di denuncia, prontamente da noi svolta unitamente alle altre Associazioni e parti civili costituite.

In linea di principio, ambedue le sentenze di primo e grado hanno riconosciuto il ruolo propulsivo delle Associazioni, smentendo e censurando il pm Martuscelli, ma hanno reso giustizia solo a metà, avendo affermato la responsabilità penale degli imputati solo in maniera virtuale o simbolica. 

Dapprima, in quanto gli infermieri erano stati mandati assolti, in spregio ad ogni contraria evidenza, adducendo avessero agito per ordini superiori – eppoi – sebbene la Corte d’Appello abbia accolto l’impugnazione delle parti civili e del pm, riconoscendo come da noi sottolineato che anche il personale infermieristico è portatore di una posizione di garanzia, ex art. 40 c.p., nei confronti dei pazienti sottoposti alla loro cura e vigilanza – in quanto le condanne inflitte sono talmente miti e insignificanti, da svuotare di qualsiasi significato l’intero giudizio e il contenuto sanzionatorio delle norme penali violate, che prevedono pene severe e l’interdizione dai pubblici uffici, come aveva disposto in un primo tempo il tribunale, con condanne fino a 3 anni e 6 mesi di reclusione.

In altri termini è stato fatto un uso a dir poco “improprio” delle norme penali violate e dell’istituto delle attenuanti, in quanto trattandosi di sequestro di persona (art. 605 c.p.), che ha causato la morte della vittima (586 c.p.), come affermato in entrambi i gradi, dovevano applicarsi le aggravanti, prevalenti sulle attenuanti, vertendosi nell’ipotesi di condotte aggravate, sia ex art. 605 c. 4 c.p., sia ex art. 61 c. 1 nn. 4, 5, 9 c.p. Dal momento che, come emerge dalle telecamere di sorveglianza, l’illegittima contenzione è stata posta in essere con particolare crudeltà, indifferenza e sevizie, consistite nell’assoluta mancanza di cure al paziente, lasciato languire nudo, legato mani e piedi, per oltre tre giorni consecutivi, sino a procurarne morte, senza cibo né acqua, e con ferite profonde e sanguinanti, privo di qualsiasi adeguata assistenza e forma di soccorso, limitandosi ad applicare una soluzione fisiologica inferiore a quella del fabbisogno, impedendo agli stessi parenti di visitare il proprio congiunto e di accertare i disumani trattamenti subiti e lo stato di assoluto abbandono.

Altro che attenuanti e benefici di legge! Tali gravissime condotte criminose andavano sanzionate a norma di legge, con il necessario rigore imposto in casi consimili di inaudita ferocia e disumanità.

Tutti gli imputati dovevano venire riconosciuti responsabili di omicidio preterintenzionale, ai sensi dell’art. 584 c.p., e, non già del mero omicidio colposo, essendo la morte di Franco Mastrogiovanni diretta conseguenza di una condotta programmaticamente rivolta contro l’incolumità individuale. Basta ricordare che il solo reato di cui all’art. 476 c.p., in relazione alla falsificazione delle cartelle cliniche, in cui non è stata riportata la contenzione, prevede la reclusione da tre a dieci anni. Mentre per il sequestro di persona (605 c. 2), è prevista una pena fino a 10 anni, qualora il soggetto agente rivesta la qualità di pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni, come nel caso di specie, in cui vi è, altresì, l’aggravante della morte della vittima. Lo stesso dicasi per quanto attiene l’art. 586 c.p., dalle cui previsioni normative fanno eccezione sia i delitti di percosse (581), sia di lesioni personali (582), “dal momento che se da tali condotte deriva la morte della vittima, si ha omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p.”, norma secondo cui è prevista una pena edittale da un minimo di 10 anni sino a 18 anni di reclusione

In buona sostanza, una sentenza di compromesso. Un’operazione gattopardiana da terzo millennio, in chiave giudiziaria, di chi finge di adattarsi ai cambiamenti in atto, dando a vedere di apprezzarli e sostenerli, ma solo per poter conservare i privilegi delle caste, come affermava Tancredi, nipote di Don Fabrizio, principe di Salina: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», nell’illuminante romanzo storico del principe siciliano Giuseppe Tomasi Di Lampedusa.

L’unico pregio delle decisioni in esame è quello di avere spezzato il clima persecutorio e d’odio politico nei confronti di Franco Mastrogiovanni, anche da morto, vittima dagli anni ’90 di reiterati abusi da parte delle forze dell’ordine e dello stesso pm Martuscelli, in relazione a un arresto illegale, per fatti da cui è stato poi completamente assolto, con condanna dello Stato Italiano al risarcimento dei danni da ingiusta detenzione. Ciononostante, i Giudici non sono stati in grado di far luce sulle ragioni di tale accanimento nei confronti della vittima e sulle oscure protezioni di cui hanno sinora goduto i suoi aguzzini e detrattori, come da noi denunciate, smascherando, tra l’altro, il maldestro tentativo del pm Martuscelli di manlevare il primario da ogni responsabilità, assecondando contro ogni diversa evidenza, immortalata dai filmati della video-sorveglianza, la versione dei fatti propinata dal Di Genio, secondo cui si sarebbe trovato in ferie, esibendo un ordine di servizio falso. 

La risibilità della motivazione di appello, secondo cui si tratterebbe: a) di “comportamenti diffusi” che non riguardano il solo personale sanitario di Vallo della Lucania, e b) di protocolli di “recente formazione” (2006), riferendosi alle linee guida dell’Ospedale Niguarda di Milano, come abbiamo sottolineato nei motivi di impugnazione, si commenta da sé e non merita ulteriori parole o censure, ricordando che la preziosità del bene della vita, il rispetto dei protocolli sanitari e delle leggi, ovvero l’importanza delle cure mediche che dovrebbero essere riservate ad un paziente affidato al servizio sanatario nazionale di un paese civile e progredito, come il nostro, che si vanta di essere la “culla del diritto” e la settima potenza industriale del mondo, non possono venire sviliti e neutralizzati da una sofferta pronuncia di compromesso, intervenuta a distanza di quasi 8 anni dai fatti, la quale più che rendere giustizia alle vittime, affermando principi di civiltà giuridica, si pone, invero, piuttosto, come “salvacondotto” di sostanziale impunità e stimolo alla reiterazione di reati analoghi da parte dei baroni e di chi opera nella sanità pubblica. E’ lo stesso Raffaele Cantone, Presidente dell’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), dal quale attendiamo ancora risposta alle nostre segnalazioni, a parlare di controllo della sanità pubblica come strumento per consolidare il potere della camorra sul territorio e che il primo scioglimento di una ASL appartiene alla Campania (da “I Gattopardi”).

A nostro parere, fatti-reato di tale gravità, così odiosi, turpi e contrastanti con ogni principio di civiltà giuridica e di umanità, che hanno provocato la morte atroce di un uomo sano, non possono di certo venire sanzionati mediante una condanna virtuale, a poco più di un anno di reclusione, paragonabile a quelle inflitte per reati bagatellari, privi di qualsiasi offensività e allarme sociale, quali la mera ricettazione di un telefono cellulare, resistenza, oltraggio o reati di natura ideologica.

Tutto ciò è inaccettabile ed il Movimento per la Giustizia continuerà fino in fondo la sua battaglia civile, se sarà necessario portando il caso avanti la Corte EDU e ad altri organismi internazionali, non già per “giustistialismo”, “vendetta” o “ragioni mediatiche”, come qualcuno maliziosamente potrà affermare, ma per mero senso di giustizia ed affermare in concreto il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e di certezza della pena, anche per i cd. “colletti bianchi” e coloro che se ne rendono complici, aderendo ad ordini illeciti, affinchè casi del genere non accadano più, introducendo il reato di tortura in Italia e ponendo fine agli abusi della psichiatria e alla coercizione per imporre trattamenti invasivi che si sono dimostrati distruttivi al di là di ogni ragionevole dubbio. 

La vita umana, il dovere di cura, di assistenza e di soccorso non possono, infatti, venire considerati alla stregua di un “cartello stradale” di divieto di sosta apposto nottetempo, trattandosi di violazioni inescusabili nella maniera più ferma e rigorosa, salvo non volere ridurre il diritto e le leggi ad una applicazione discrezionale, tipica dei paesi privi di diritti certi. La morte annunciata di Francesco Mastrogiovanni è un caso eclatante di malasanità e malagiustizia, che non può rimanere impunita. Diversamente, il “maestro più alto del mondo”, come lo chiamavano affettuosamente i suoi alunni, è morto due volte, prima togliendogli brutalmente la vita nel lager psichiatrico, nel quale implorava di non essere trasportato, eppoi nelle aule di giustizia, in un processo di irragionevole lungaggine, trascinato sino ai limiti della prescrizione, sebbene sorto col rito speciale del “giudizio immediato”, dove i suoi carnefici sono stati di fatto “manlevati” da ogni sostanziale responsabilità penale e civile, ovvero da qualsiasi concreta forma di risarcimento dei danni, senza riconoscere, neppure, una minima provvisionale in favore dei parenti e delle parti civili, sebbene richiesta e di norma per riconosciuta, quando interviene una sentenza di condanna, come a volerli “punire”di essere andati fino in fondo, denunciando la malasanità e le deviazioni del sistema giudiziario. 

La stessa liquidazione delle spese legali appare come una ulteriore dimostrazione di ingiustificata benevolenza nei confronti degli imputati e/o di prevenzione e malanimo nei confronti della vittima e delle parti civili, tenuto conto trattarsi di un processo della durata complessiva di ben quasi 8 annicon 37 udienze in primo gradooltre 10 in appello18 imputati10 parti civilinumerosi testi, periti d’ufficio e consulenti tecnici di parte, la cui imponente mole di atti da esaminare e attività defensionali non possono di certo venire compensati per il giudizio di appello con soli € 1300,00 complessivi, in favore di ciascuna parte civile, e posti a carico solidale dei 6 medici e della ASL (importo di norma riconosciuto per una udienza preliminare del G.I.P. di facile e pronta soluzione). Tantomeno, con soli € 3000,00, per il doppio grado di giudizio (47 udienze totali), posti a carico solidale dei 12 infermieri e della ASL, in relazione alla posizione di questi ultimi, dapprima mandati assolti – e da ultimo virtualmente condannati a seguito dell’impugnazione del pm e delle parti civili, il cui importante impegno professionale dei propri legali ha garantito che il processo non venisse da subito deviato su un binario morto, come nelle iniziali intenzioni del pm d’udienza, dr. Martuscelli, il quale ha cercato di ribaltare l’ineccepibile impianto accusatorio dell’originario P.M. dr. Rotondo, che aveva richiesto ed ottenuto il rinvio a giudizio immediato, disposto con decreto del G.I.P. presso il Tribunale di Vallo della Lucania, risalente al 1 febbraio 2010.

Da qui il sospetto ben più grave che lo spietato omicidio preterintenzionale, preannunciato dallo stesso Mastrogiovanni – a tal punto consapevole della tremenda fine che lo attendeva da implorare: «Se mi portano a Vallo non ne esco vivo» – possa promanare da una preordinata vendetta politica, maturata negli ambiti dell’estrema destra, che forse non ha mai perdonato al maestro elementare, la morte del missino Carlo Falvella, dirigente del FUAN di Salerno, a cui era del tutto estraneo, e la sua fede anarchica che lo spingeva a continuare a ricercare la verità sulla strage di Piazza Fontana. 

Il Movimento per la Giustizia e Avvocati senza Frontiere invitano perciò la Società civile e i media a sollecitare il Procuratore Generale di Salerno ad impugnare la sentenza di appello, contestando agli imputati l’omicidio preterintenzionale, affinché siano comminate giuste condanne a medici ed infermieri, nonché a riaprire i procedimenti archiviati sulle violenze subite da Francesco Mastrogiovanni e l’illegittimità del T.S.O., che lo ha portato alla morte.

Aiutateci a fare sentire la voce di chi non può più gridare aiutoaffinchè possa manifestarsi anche la “banalità del bene e non solo quella del male, in grado di piegare lo stato di diritto ad interessi perversi.

 

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Aiutateci a fare sentire la voce di chi non può più gridare aiutoaffinchè possa manifestarsi anche la “banalità del bene e non solo quella del male, in grado di piegare lo stato di diritto ad interessi perversi.

Aiutateci a mobilitare tutte le migliori risorse della Società civile per contrastare le massomafie e la dilagante corruzione nei palazzi del potere, le cui mura trasudano “del puzzo del compromesso che si contrappone al fresco profumo della libertà“, come affermava Paolo Borsellino, prima di venire lasciato uccidere, come Falcone e tanti altri magistrati coraggiosi e fedeli servitori delle istituzioni, da quello stesso Stato a cui  avevano offerto le loro vite.

 

Giustizia e Verità per Franco Mastrogiovanni! Giustizia e Verità per tutte le vittime di Stato!

Ecco il video della tortura che ha scioccato l’Italia, ma non a tal punto i giudici di merito:
http://www.youtube.com/watch?v=WFtO-VJyN9M

http://video.corriere.it/agonia-mastrogiovanni-maestro-lasciato-morire-ospedale/cae4f01e-0a30-11e2-a442-48fbd27c0e44

mastrogiovanni

 

NAPOLI UNA CITTA’ CHE NON SI PIEGA. W LUIGI DE MAGISTRIS SINDACO ANTIMASSONERIA!

“Questa è una città che non si piega e la mia è una vicenda surreale…” ha dichiarato commosso il Sindaco Luigi de Magistris, nel corso di una conferenza stampa, a seguito della decisione del T.A.R. che, in accoglimento del suo ricorso giurisdizionale, lo ha reintegrato con effetto immediato nelle sue funzioni di primo cittadino della capitale campana. Funzioni che, peraltro, non aveva mai abbandonato, continuando a fare il “Sindaco di strada”, come lui amava autoironicamente definirsi.
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”Ho subito troppe ingiustizie da uomo delle istituzioni – ha sottolineato – una delle più grandi dal C.S.M. presieduto dal Capo dello Stato”, riferendosi all’inchiesta “Why not” e alle successive vicende giudiziarie che, da ultimo, dopo l’altrettanto illegittima condanna, da parte del Tribunale di Roma, con l’accusa di preteso “abuso d‘ufficio”, ne hanno provocato l’ingiusta sospensione dalla carica di Sindaco, mediante una “procedura lampo” e a dir poco sospetta attuata dal Prefetto di Napoli, in applicazione retroattiva della legge Severino, in relazione alle cause di incandidabilità.
Legge e decisioni, la cui legittimità vengono oggi, però, messe in discussione dai giudici del T.A.R., che hanno deciso all’unanimità di inviare gli atti alla Consulta, ritenendo la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 10 e 11, in relazione all’applicazione retroattiva della Legge Severino, che si pone in contrasto con gli articoli “2, 4, 51 e 97 della Costituzione”.
“Vado avanti continuando ad avere fiducia, sono uomo di istituzioni” – ha aggiunto Luigi De Magistris, tra gli applausi e la gioia dei suoi sostenitori – “Sono contento che una parte della ferita sia stata sanata dalle istituzioni perché questo mi dà speranza”. ”Mi viene riconosciuto un diritto costituzionale, cioè quello di poter continuare a fare il sindaco di Napoli…”. “Da oggi, la mia azione politica è mutata e sarà rivolta sempre più verso le istanze sociali e chi è in strada. Mi sento più carico di prima con la voglia di lavorare giorno e notte. “Vado avanti continuando ad avere fiducia perché – ha concluso De Magistris – rimanendo uomo delle istituzioni, è un segnale credere che all’interno di esse ci sia una spinta anche di rinnovamento forte”.
Noi siamo al suo fianco e lo sosterremo insieme ai cittadini della Campania e di tutta Italia che credono nella giustizia e nella legalità, contrastando la dilagante corruzione di stampo massonico-politico-giudiziaria che sta divorando il Paese.
IL CASO DE MAGISTRIS IN BREVE E LA LUNGA MANO DELLA MASSONERIA PER AFFOSSARE LE SCOMODE INCHIESTE “WHY NOT”, “POSEIDONE” e “TOGHE LUCANE”.
La vicenda risale al 18.1.08 quando su decisione del C.S.M., l’ex P.M. Luigi De Magistris è condannato al trasferimento da Catanzaro e dalle sue funzioni, sottraendogli in tal modo le scomode inchieste che stava conducendo sui comitati d’affari che avevano messo le mani sui finanziamenti europei destinati all’Ambiente e sugli intrecci affaristici tra politica, imprenditoria, massoneria e poteri occulti.
Le inchieste sono note come “Why Not”, “Poseidone” e “Toghe Lucane”.
L’affare non riguarda solo la Calabria, ci sono di mezzo la Compagnia delle Opere, l’alta finanza, un asse che viaggia da Catanzaro, a Roma, a Bruxelles, fino alla loggia di San Marino, di cui faceva parte anche l’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi.
Tutti i procedimenti verranno poi affossati, seppure dalle indagini svolte dall’ex P.M. De Magistris emergeva la spartizione di denaro pubblico, il finanziamento ai partiti, il ruolo di lobby e poteri occulti deviati.
Nei confronti dell’ex P.M. viene disposta anche la sanzione della censura, essendo stato riconosciuto colpevole di aver asseritamente “violato i suoi doveri e norme di procedura nella conduzione di alcune inchieste”. Il suo trasferimento non era però, come richiesto dal Ministro di Giustizia, immediatamente esecutivo. De Magistris interroga testimoni, dispone perquisizioni, iscrive nel registro degli indagati personaggi illustri, del calibro di Clemente Mastella, all’epoca Ministro della Giustizia, o di Romano Prodi, all’epoca Presidente del Consiglio.
La condanna del C.S.M. riguarda sei delle undici accuse contestate inizialmente a De Magistris.
Due in particolare i provvedimenti adottati da De Magistris ritenuti “abnormi” dai suoi detrattori: il primo quello con cui l’ex P.M. aveva disposto che i nomi di due degli indagati (il senatore di Forza Italia Pittelli ed il generale Cretella, fossero chiusi in un armadio blindato, unitamente al decreto di perquisizione nei confronti del P.G. di Potenza Tufaro). Il secondo, per la trasmissione del fascicolo Poseidone alla Procura di Salerno, dopo che il procuratore gli aveva revocato la delega, per non aver informato i superiori di alcuni provvedimenti adottati, e per la mancata richiesta di convalida di 26 fermi. Nessuna responsabilità invece per le fughe di notizie sulle sue inchieste, come quella sull’iscrizione di Prodi nel registro degli indagati.
Nelle motivazioni della condanna il C.S.M. aveva sostenuto che De Magistris avrebbe violato “regole di particolare rilievo”, dimostrando – (sic!) – “insufficienti diligenza, correttezza e rispetto della dignità delle persone”. Il Ministro della Giustizia Luigi Scotti, il 31 marzo 2008 impugnava la sentenza del CSM ritenendo che De Magistris non doveva essere assolto dall’accusa di non aver adottato tutte le misure necessarie per impedire la fuga di notizie sulle sue inchieste, a cominciare da quella sull’iscrizione del presidente del Consiglio Prodi tra gli indagati nella Why Not. Né tanto meno dalla contestazione di aver diffuso sospetti senza prove nei confronti di superiori e colleghi.
Le dimissioni dalla magistratura e la persecuzione politico-giudiziaria
Nonostante le dimissioni dalla magistratura, l’ex P.M. viene condannato con una abnorme sentenza dal Tribunale di Roma, territorialmente incompetente, alla pena di un anno e tre mesi per preteso “abuso d’ufficio” nella conduzione delle indagini dell’inchiesta “Why Not”.
Pur in pendenza del procedimento di appello e il carattere non definitivo della condanna giungiamo così alla sbrigativa e frettolosa sospensione dalla carica di primo cittadino di Luigi De Magistris.
E’ la conferma di un complotto ad orologeria in danno di un uomo coraggioso che ha incarnato prima come magistrato e poi come Sindaco gli ideali di uguaglianza e giustizia sociale dell’Italia onesta, seguendo le orme di Falcone e Borsellino.

Dalla parte di De Magistris

L’Italia per bene è dalla parte di De Magistris vittima dei poteri criminali e della massomafia giudiziaria che controllano lo Stato. E’ un preciso dovere denunciare la corruzione della magistratura di regime asservita ai poteri forti e alla massoneria internazionale.
Lo Stato mafioso-camorristico ha sospeso a tempi di record lo scomodo Sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Prima lo hanno costretto a dimettersi da magistrato per le scomode inchieste sui rapporti tra mafia, politica e massoneria. Ora vogliono impedirgli anche di fare il Sindaco di Napoli, calpestando la volontà popolare. Il prefetto della città, Francesco Antonio Musolino, dopo avere ricevuto copia della sentenza di primo grado che condanna a un anno e tre mesi per abuso d’ufficio l’ex pm nel processo “Why Not”, nonostante la palese illegittimità della condanna, peraltro sub judice, ha deciso sbrigativamente che Luigi De Magistris verrà sospeso dalla carica di primo cittadino. E’ la conferma di un complotto ad orologeria in danno di un uomo coraggioso che ha incarnato prima come magistrato e poi come Sindaco gli ideali di uguaglianza e giustizia sociale dell’Italia onesta, seguendo le orme di Falcone e Borsellino. Il Sindaco De Magistris, che per noi e per tutti i napoletani per bene rimane tale, ha ribadito che non ha alcuna intenzione di dimettersi dalla carica e che la sentenza è indegna e sarà annullata in appello. E che, se costretto farà «il sindaco in strada». In effetti ha ragione: ci sono “fior di delinquenti nella magistratura” e risulta del tutto ingiustificato sul piano processuale che l’abnorme condanna dell’ex P.M. di Catanzaro sia giunta dal Tribunale di Roma, la cui incompetenza territoriale ex art. 11 c.p.p. è ben nota anche agli studenti del primo anno di scienze giuridiche e alla casalinga. Ma questa è la giustizia italiana: forte con i deboli debole con i forti.
Vedi l’intervista di Fazio e Gramellini a Luigi De Magistris su Rai tre:

Sosteniamo Luigi De Magistris e mobilitiamoci per fermare i disegni criminogeni governatvi e del C.S.M. e dell’Associazione Nazionale Magistrati.

A VALLO DELLA LUCANIA SI MUORE DI MALAGIUSTIZIA

Da Vallo della Lucania un’altra storia di malagiustizia, un’altra odissea giudiziaria, finita in tragedia, senza giustizia. Cambiano solo le vittime, gli autori siedono sempre in Procura.
A scriverci è la Signora Martino Concettina, per richiamare l’attenzione sul caso della sua famiglia che si protrae da oltre 7 anni, nel corso dei quali Funicello Raffaele, il suo caro marito è morto stroncato da un infarto, non riuscendo a darsi pace per le ingiustizie subite.
Una storia costellata di abusi edilizi, denunce, esposti, sequestri e dissequestri, illecite connivenze istituzionali e assoluta inerzia del P.M. di Vallo della Lucania, e delle varie A.G. adite che, anziché tutelare la legalità e il rispetto dei diritti, appaiono protese a favorire ad oltranza gli interessi dei forti in danno delle parti più deboli che credono fermamente nella giustizia.
La vedova Martino ci racconta che il marito è morto senza ricevere risposte dalle Autorità preposte alle quali si era fiduciosamente rivolto, confidando fino alla fine nella giustizia e nei valori di legalità. E’ morto amaramente perché sono rimaste lettera morta tutte le sue numerose denunce presentate presso i Carabinieri di Perdifumo, la Guardia di Finanza di Casalvelino Marina e la Procura della Repubblica di Vallo della Lucania che ancora oggi a quanto pare non hanno ancora preso gli opportuni provvedimenti, circa gli abusi edilizi segnalati.
La triste vicenda trae origine dalla violazione di elementari norme edilizie ed urbanistiche da parte del confinante, violazioni non opportunamente e tempestivamente sanzionate dal Comune di Montecorice e degli altri Uffici tecnici preposti, che si sono invece adoperati per coprire gli abusi edilizi, lasciando mano libera di rompere con martelli pneumatici il muro di confine della casa di abitazione della famiglia Funicello, costruita con i sacrifici di una vita di lavoro.
I lavori di costruzione e completamento del fabbricato del confinante devono ritenersi infatti in contrasto con la normativa in vigore poiché hanno per oggetto una zona a rischio sismico, denominata Vecchi Centri, tra l’altro sottoposta a tutela ambientale e vincoli paesaggistici.
A fronte di ciò il Comune di Montecorice, anziché rilevare e sanzionare l’abuso perpetrato, assume falsamente in ogni sede che il fabbricato in questione sarebbe “conforme alla normativa edilizia ed urbanistica vigente”, tanto da influire sulla decisione del Tribunale Collegiale di Vallo della Lucania, che ha provveduto a dissequestrare l’immobile di proprietà di G.G., senza tenere in considerazione i punti cardini oggetto del sequestro come la violazione della normativa sismica, consentendo al confinante la prosecuzione di una costruzione abusiva quant’anche essa sia in contrasto con il piano di fabbricazione e il DPR 380/2001, come accertato dai CTU nominati dalla Procura ing. A.A. e Geometra D.D..
Vi sono altresì da sottolineare ulteriori aspetti inquietanti di connessioni ed interessenze che hanno molto probabilmente inquinato le indagini: ed infatti, la vedova Funicello si domanda come mai l’Ufficio Tecnico del Comune di Montecorice, nella persona del Geometra G.G., ha rilasciato false attestazioni, e forse una delle ragioni è da ricercarsi nei rapporti di parentela tra la figlia di quest’ultimo geometra collaboratrice dell’Ingegnere A.V., che risulta aver redatto gli elaborati progettuali relativi alla costruzione posta in essere dal confinante del Funicello o probabilmente il Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Montecorice geometra G.G., tende a far si che vengano assolti gli imputati nel Procedimento Collegiale nr. 180/10 visto che tra gli indagati troviamo anche l’ing. A.V. marito di G.F, che a sua volta risulta, anche essere nipote di terzo grado del Tecnico Comunale Geometra G.G..
La signora Martino, denuncia perciò il fatto che, nonostante le macroscopiche illeicità commesse, i lavori continuano ininterrottamente e nessuno faccia nulla per fermarli, nonostante il fatto che il fabbricato in questione sia stato dissequestrato solo in relazione ad alcuni dei motivi per il quali era stato posto sotto sequestro, mentre permangono in essere le violazioni attinenti alla normativa sismica, al doppio della volumetria realizzata, al fatto che in quella zona è prevista la demolizione senza ricostruzione, tutti aspetti di gravi violazioni legislative, incomprensibilmente “dimenticati” forse dal P.M. che ha autorizzato il dissequestro o dall’Organo Collegiale del Tribunale di Vallo della Lucania che lo ha disposto, consentendo ad oggi la continuazione di quei reati già contestati e la prosecuzione di un’opera illegittima che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, avrebbe dovuto comportare, oltre al risarcimento del danno, la demolizione del fabbricato.
Il povero Sig. Funicello, pressoché ogni settimana, si recava in Procura con il suo legale per cercare di capire le ragioni del contegno omissivo assunto dalla Magistratura, che consentiva la prosecuzione dei lavori, senza nessuno che si ponesse il problema di fermarli.
Probabilmente, tutto ciò, è stato stressante a tal punto da distruggere l’equilibrio psicofisico del defunto Sig. Funicello, il quale si è trovato esposto quotidianamente al rumore insopportabile dei martelli pneumatici che danneggiavano il muro di confine dell’abitazione di sua pertinenza senza poter fare alcunché e con il pensiero di essere stato abbandonato dalla Giustizia e dalle Istituzioni a cui si era rivolto.
La vedova Funicello si appella perciò anche al Presidente della Repubblica e al Ministro della Giustizia, affinché si faccia luce e chiarezza sulle responsabilità del caso, e sull’impunità conseguente all’intervenuto sostanziale affossamento di tutte le numerose denunce presentate dal marito e dalla medesima, nonché delle relative indagini.
Questa è la non lusinghiera “fotografia” della giustizia italiana amministrata nella costiera cilentana che emerge dalla vicenda sopra narrata.

AVELLINO: INTRECCI TRA CAMORRA, GIUDICI, "STIMATI PROFESSIONISTI" E FALLIMENTI

CASO ORSINO-ESPOSITO/CLAN VOLLARO. COLLUSIONI DIGOS E MAGISTRATURA.
Pubblichiamo l’allarmante appello di due onesti imprenditori avellinesi schiacciati dalle omertose connivenze e contiguità tra organizzazioni camorristiche e Pubblica Amministrazione.
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La nostra attività imprenditoriale (mia e di mia moglie Esposito Giuseppina) inizia nel 1979, all’epoca eravamo studenti, con l’apertura di un piccolo negozio di mobili in Portici (Na).
Nel tempo la nostra attività si ingrandì e arrivammo a possedere 2 aziende, una ditta individuale ed una S.r.l., proprietarie di 3 negozi di abbigliamento in Portici, di un grosso negozio di arredamenti sempre in Portici e di un ancor più grande negozio di arredamenti in Sant’Anastasia.
Ovviamente avevamo molti dipendenti ed eravamo divenuti benestanti.
Comperammo una villa al mare in Calabria, due proprietà a S. Sebastiano al Vesuvio (villa con giardino e dependance con giardino), un appartamento di lusso ad Ercolano e due appartamenti in pieno centro di Roccaraso ( circa 130 mq + 60 mq), un locale commerciale in Portici.
Ad un certo punto entrammo nelle mire del clan Vollaro che pretese cifre sempre più consistenti per farci lavorare in pace, ovviamente ad ogni nostra resistenza corrispondevano minacce, atti intimidatori e attentati.
L’esosità degli estorsori ci costrinse a ricorrere all’aiuto finanziario di una persona, che credevamo essere nostro amico e con cui effettivamente intrattenevamo rapporti di amicizia a livello familiare, tale individuo si offerse di prestarci il denaro per poter tacitare le richieste estorsive dei camorristi.
In seguito questa persona, noto professionista napoletano, si rivelò essere un avido usuraio che in complicità con altri svolgeva questa ignobile attività.
In seguito l’usuraio si rivelò essere un personaggio molto pericoloso ed aggressivo, arrivando a minacciarmi con una pistola ed a vantarsi dei suoi stretti legami con il feroce clan camorristico dei Vollaro.
Quest’individuo arrivò a pretendere interessi che, fatti i dovuti calcoli e grazie ad un perverso meccanismo, arrivavano a raggiungere finanche il 400%.
Sempre questo viscido personaggio, quando non potei onorare prontamente i prestiti, si appropriò con minacce ed atti violenti delle mie proprietà di Ercolano e di Roccaraso, una vera e propria estorsione perpetrata usando la violenza per vincere la mia riottosità.
L’eccessiva avidità dei camorristi e del loro affiliato, e forse una sopravvalutazione delle mie disponibilità finanziarie, causarono il tracollo economico delle mie aziende ed il loro conseguente fallimento.
Ovviamente tutti i miei beni furono pignorati a favore dei creditori, tra cui per altro avevano avuto la sfacciataggine d’inserirsi anche gli usurai.
Il Giudice delle esecuzioni immobiliari del Tribunale di Nola si rifiutò di voler considerare il caso nel suo insieme e ritenne che non era sua competenza valutare i risvolti penali (intanto avevo denunciato il tutto alla Procura della Repubblica), in tal modo equiparava il mio caso, di fatto, ad un fallimento doloso, quanto in realtà era sempre stato, e tale riconosciuto dallo stesso tribunale fallimentare, fallimento semplice non fraudolento.
E’ pur vero che il giudice è tenuto a salvaguardare i diritti dei creditori ma è altrettanto vero che egli è tenuto a verificare la validità dei crediti vantati. Tra i miei creditori vi sono gli usurai e banche che si sono comportate come usurai e continuano a farlo tutt’ora. Le banche hanno applicato l’anatocisma finchè la legge non ha comparato tale pratica all’usura, ora applicano comunque pratiche che fungono da moltiplicatore del debito, va, inoltre considerato che le stesse banche hanno commesso atti illegali, dimostrati, ma su cui il Giudice civile non ha mai indagato.
Il G.E. si è limitato a dichiararsi incompetente a ripartire tra i creditori il ricavato delle vendita all’asta dei miei beni, compreso la casa in cui abitavo con la famiglia.
Veniamo al risvolto penale della vicenda: Nel 2004 presentammo denuncia alla Procura della Repubblica contro usurai ed estorsori, tale denuncia, su consiglio pro bono di un giovane legale, tracciava per grandi linee la vicenda perché ci aspettavamo di essere convocati da un magistrato per poter scendere nei particolari. La denuncia fu presentata alla Procura e non alle locali forze dell’ordine perché negli anni precedenti si erano verificati episodi di collusione tra tali organismi e la malavita organizzata, i fatti ebbero grande rilevanza e furono promosse azioni giudiziarie, inoltre noi stessi avemmo a costatare strani comportamenti. Ascoltati dai CC di San Sebastiano rendemmo dettagliata deposizione circa i fatti riguardanti l’usura ma fummo più vaghi sugli estorsori, per le ragioni già dette. Dal 2004 al 2010 nessuno ci ha ascoltato, ad eccezione dei CC 2 volte, in ogni caso mai nessun giudice, ed anzi la procedura è stata divisa in due tronconi, uno per l’usura ed uno per l’estorsione, nonostante noi avessimo dimostrato che i reati erano contigui e perpetrati da personaggi in complicità tra loro, Proc. N° 52969/05 e 11335/10.
A giugno del 2010 il Giudice che si occupava delle indagini sull’usura ha archiviato la procedura senza neanche avvertirci, privandoci del nostro diritto di fare opposizione. Inoltre non si spiega come mai lo stesso magistrato, su nostra richiesta ci abbia concesso i benefici previsti dall’art. 20 della legge 44/1999 (il 25/11/2009) che prevede la sospensione dei termini esecutivi per le vittime della criminalità organizzata, riconoscendoci, dunque, tale status, e poi poco dopo (comunque prima dello scadere dei canonici 300 gg) archivia il tutto, senza per altro ritirare la concessione dell’art. 20, bloccando in tal modo la nostra richiesta di poter accedere ai fondi di solidarietà destinati alle vittime di camorra.
Veramente la spiegazione è che il Signor Giudice in 5 anni non ha fatto indagini ma ha tenuto la pratica a raccogliere polvere, dopo di che dovendo rispondere della sua ignavia si è cavato d’impaccio archiviando. La motivazione dell’archiviazione “perché non eravamo credibili in quanto esistevano rapporti antecedenti con gli usurai” è una vera beffa. Tali rapporti li avevamo già riferiti noi nella nostra denuncia, specificandone la natura e furono proprio tali rapporti a far conoscere agli usurai la nostra florida situazione finanziaria (l’usuraio era il nostro commercialista sin dal lontano 1979, mai avevamo prima sospettato la sua vera attività). Inoltre egli asserisce che i prestiti potevano avere carattere amichevole, tassi che vanno da un minimo del 120% annui fino ad un massimo del 370% annui non ritengo abbiano nulla di amichevole.
Ancora maggiormente inspiegabile è tale archiviazione se si considera il fatto che abbiamo prodotto prove non solo testimoniali (testimonianza mia e di mia moglie) ma anche prove documentali incisive e verificabili.
Anche per la procedura contro gli estorsori è stata proposta l’archiviazione, con motivazioni assolutamente pretestuose: “I fatti sono avvenuti prima del 1997” assolutamente non vero, sono continuati ben oltre tale data. “Mancanza di credibilità perché denunciato in ritardo”, io e mia moglie abbiamo ben chiarito che denunciammo solo nel 2004 perché non solo eravamo sottoposti a continue pressioni da parte dei malavitosi ma anche perché la situazione, nella zona in cui operavamo, era molto grave con le forze dell’ordine gravemente e fortemente colluse con la malavita organizzata. Inoltre il giudice, sempre nelle motivazioni dell’archiviazione asserisce di non ravvedere continuità tra i fatti denunciati e i gravi episodi di intimidazioni e minacce, anch’essi regolarmente denunciati, che ancor oggi si verificano.
Contro entrambe le archiviazioni abbiamo presentato richiesta di revisione e opposizione.
Incomprensibile è stato anche creare due procedure quando abbiamo dimostrato esservi contiguità tra reati di usura ed estorsione, lo stesso usuraio si vantò di far parte del clan camorristico che ci perseguitava in più occasioni si fece da intermediario ed egli stesso ci estorse degli immobili di grande valore.
Nel frattempo tutti i miei beni sono stati venduti forzosamente dal Tribunale, la casa in cui abitavamo è stata anch’essa venduta e il 13 novembre 2009. L’Ufficiale Giudiziario, con l’appoggio della forza pubblica, mi voleva gettare materialmente per strada, solo le mie precarie condizioni di salute e l’intervento del Sindaco del mio comune di residenza (San Sebastiano al Vesuvio, Napoli) lo hanno costretto a rinviare.
In quale modo noi si possa sopravvivere senza più una casa, senza un lavoro, nell’indigenza più assoluta, io gravemente cardiopatico, con tre by-pass, e mia moglie malata anch’essa, nessuno mi ha mai spiegato.
Tutti gli sforzi fatti in questi anni per rientrare nel tessuto produttivo (vari tentativi di iniziare una nuova attività) sono stati vanificati dall’aggressività dei criminali che mi hanno perseguitato e continuano ancor oggi.
Nel tempo abbiamo subito minacce, intimidazioni ed attentati di ogni genere: spari contro i nostri esercizi (molte volte), furti di automezzi carichi di merce, spari conto la mia casa e la mia vettura, furti negli esercizi, rapimento di mio figlio (durato pochi minuti per fortuna), auto con mia moglie a bordo spinta fuori strada, percosse a me e a mia moglie, uccisione del nostro amato cane a colpi d’arma da fuoco. E ultime in ordine di tempo atti vandalici contro la mia vettura (settembre 2010), un ordigno incendiario gettato nel cortile di casa (07/12/2010) che ha causato un principio d’incendio da me domato con un estintore, dopo di che sono intervenuti i CC.
Il 3 gennaio 2011 un messaggio anonimo contenente una minaccia, scritto su un biglietto d’auguri, è stato lasciato nella buca delle lettere.
Il 17 gennaio 2011 un individuo introdottosi nel giardino di casa ha aggredito mia moglie,verso le ore 19, picchiandola e poi spingendola per le scale interne al giardino stesso. Evidentemente i malavitosi vogliono mantenere costante la pressione su di noi ed anzi rincarano vieppiù la dose.
Il 21 marzo 2011 un individuo aggredì in giardino mia moglie ponendo in essere un tentativo di strangolamento.
Lo stato economico attuale è disastroso.
Faccio notare che per volere del comitato per l’ordine e la sicurezza siamo sottoposti a protezione di tipo 4, cioè i Carabinieri della locale caserma passano più volte al giorno a controllare che non vi siano pericoli incombenti. Sicuramente la costanza e la tenacia del Comandante la stazione di San Sebastiano al Vesuvio, prima, e il Comandante della stazione di Castel Baronia ora e i militi ai loro ordini hanno evitato che nuove e, forse più gravi, violenze fossero commesse a nostro danno.
Ci risulta incomprensibile come sia possibile proteggerci se saremo ridotti a vivere in strada (realmente, non retoricamente).
Come è incomprensibile che la polizia si mobiliti in otto, dico otto, agenti, alcuni della DIGOS per sfrattarci mentre contemporaneamente il Comandante dei CC e il suo vice erano presenti per garantirci la protezione. Una assurda ed incomprensibile contraddizione.
Il 23 novembre 2011 l’ufficiale giudiziario accompagnato da un buon numero di poliziotti, con l’ambulanza pronta nel caso mi dovesse venire un altro infarto, erano pronti buttarmi in strada in strada, con la famiglia, a calci nel di dietro.
Se fossi stato il boss Provenzano forse mi avrebbero trattato meglio.
E’ molto facile fare i forti con i deboli, salvo poi a farsi deboli con i forti.
In extremis arriva una delibera del Comune di San Sebastiano che integrando un piccolo contributo provinciale con un altro piccolo obolo mettevano a nostra disposizione una modesta cifra.
Tale cifra è servita per fittare una casa, effettuare il trasloco, allacciare le utenze e quanto altro è stato necessario per abbandonare la casa entro e non oltre il 10 gennaio 2012.
Non è certo una vittoria, sono stato costretto a lasciare la casa che mi era costata tanti sacrifici e tanti anni di duro di lavoro, anzi è costato duro lavoro a tutta la mia famiglia: mia moglie lavorava con me e mio figlio è cresciuto nell’azienda, fin dai primi mesi di vita.
Tutto perso, tutto finito. Se solo avessero considerato che con le nostre denunce abbiamo indicato personaggi occulti che agivano all’ombra della camorra forse non ci avrebbero umiliato come hanno fatto. L’elemosina che ci è stata fatta, e di cui siamo grati, è anch’essa un’umiliazione perché in quanto vittime avremmo avuto diritto ad accedere ai fondi di solidarietà come stabilisce la legge 44/99. Almeno avremmo sentito la vicinanza dello Stato e non il dolore di dover chiedere la carità, avremmo anche potuto ritornare a produrre reddito rientrando nel tessuto produttivo. Ora, senza un lavoro come potrò pagare la pigione della casa in cui mi sono dovuto trasferire?
Il 6 febbraio 2012 sono stato buttato fuori di casa dall’Ufficiale Giudiziario, con l’ausilio della forza pubblica. La mia casa è stata consegnata a coloro che l’avevano acquistata all’asta, persone, che ho scoperto, essere solo i prestanome dei delinquenti che hanno inquinato la mia vita e quella della mia famiglia. Lo Stato, dispensatore di giustizia, toglie alle vittime per dare ai carnefici.
Anche in questa piccola e umilissima abitazione in cui attualmente viviamo, in un paesino dell’Alta Irpinia, io e la mia famiglia, siamo stati raggiunti dalle minacce e intimidazioni dei camorristi.
Ben sette intimidazioni, regolarmente denunciate alle forze dell’ordine, ci hanno fatto ben comprendere, se mai ce ne fosse stato bisogno, che i malavitosi non si sono dimenticati di noi e che non intendono farlo.
Luigi Orsino

SALERNO: CASO GRIMALDI-BNL MALABANCA=MALAGIUSTIZIA

Caso Grimaldi: un caso aberrante di malabanca.

Ma andrà meglio con la giustizia?

Una vicenda davvero incredibile che inizia da una banale operazione finanziaria stipulata da un imprenditore che aveva bisogno di ampliare la propria attività.  Antonio Grimaldi è il nome dell’amministratore della Comesa, la società che contrae un mutuo di 413.000 euro  con la Banca Nazionale del Lavoro sede di Salerno che chiede in garanzia, come sempre accade, l’ipoteca sullo stabilimento valutato oltre un milione di euro. Grimaldi paga regolarmente le prime rate, circa € 67.000,  ma poi subisce un infarto  e deve affrontare un delicato intervento chirurgico. In tutto questo non versa alcune rate del mutuo. Certo, errore suo, ma da questo disguido scaturiscono conseguenze aberranti.
 
Non  appena si rimette in salute, Grimaldi corre in banca per ripianare la sua posizione debitoria che peraltro era assicurata con una polizza pretesa a parte all’atto del finanziamento. Si presenta con un assegno circolare da € 30.000 ma la banca non l’accetta.  Cosa era successo? Semplice: la banca aveva venduto il credito per l’intero importo senza detrarre nemmeno le rate pagate per ben 67.000 euro.  Il credito era stato cartolarizzato alla Cordusio srl  che a sua volta l’aveva ceduto alla  Calliope Srl, che a sua volta aveva dato procura alla Pirelli Re Crediting. Di questi “passaggi” il signor Grimaldi non ha mai saputo niente. Ha scoperto tutte queste evoluzioni del suo mutuo soltanto quando ufficialmente ha chiesto alla BNL di rientrare dalla rate scadute.  Nel frattempo la banca aveva proposto istanza di fallimento presso il tribunale di Salerno pur avendo già ceduto il credito, ma l’istanza viene respinta dal Giudice.
A questo punto Grimaldi cerca di trattare, il figlio chiede a sua volta un mutuo di 250.000 euro per arrivare con sicurezza a una possibile soluzione,  Grimaldi si reca alla Pirelli Re Crediting di Napoli che di industria meccanica poco conosce, e propone 367.000 euro per riavere la sua azienda. L’offerta è buona, ammettono alla Pirelli, ma va migliorata. Grimaldi passa a 380.000€, ma ancora non bastano, Grimaldi passa a 400.000 € ma nemmeno basta.
Arriva la richiesta ufficiale: vogliono 490.000€. Il signor Grimaldi non ce la fa e deve rifiutare.
Nel frattempo la Calliope srl, unico creditore della Comesa,  propone il pignoramento di una parte dell’immobile e non di tutto solo perché  viene commesso un errore procedurale sul pignoramento. 
Il signor Grimaldi si oppone e nel frattempo la stessa Calliope tramite la Pirelli Re Crediting  ripropone anche l’istanza di fallimento, già rifiutata a sua volta alla BNL dallo stesso giudice che questa volta invece decide per il fallimento pur non essendoci nuovi debitori, la posizione è esattamente come nella precedente istanza della BNL e quindi tutte le procedure di opposizione del Grimaldi vengono di fatto congelate.  Il signor  Grimaldi Antonio perde tutto e perde anche i 250.000 euro prestati dal figlio Vincenzo in quanto vanno nelle mani della curatrice fallimentare.
 
Infatti l’imprenditore  che aveva  trovato tanta ostilità nella Calliope, per inciso unico creditore della Comesa,  si reca con € 250.000 euro in assegni intestati alla Calliope presso lo studio del curatore fallimentare della Comesa srl,  ingenuamente tali assegni furono lasciati a quest’ultimo la quale li incassò e li ascrisse all’attivo fallimentare, mentre l’intento del  Grimaldi era quello di devolverli a favore della Calliope srl a cui li aveva intestati  cercando invano di salvare la sua azienda.
La Calliope tramite la Pirelli Re crediting che ne è la procuratrice si insinua nel passivo della Comesa Srl per ben 608.000 euro e tutto viene accettato dalla curatela fallimentare senza nessun problema.
A nulla sono valse nemmeno le opposizioni fatte dalla famiglia Grimaldi alla dichiarativa di fallimento infatti le stesse venivano respinte dal tribunale di Salerno.
Nel frattempo veniva promossa anche la vendita immobiliare  dello stabilimento alla cui asta si presentava un unico offerente, la CDM Costruzioni Generali srl di Sant’Antonio Abate (NA),  la quale si avvaleva del falso presupposto, asserito dal delegato alla vendita, un certo  Ugo Sorrentino, che dichiarava che gli immobili erano liberi mentre invece erano stati affittati alla Comeg srl e alla Ficm srl,  con contratti regolarmente registrati,  e nonostante che la stessa curatrice fallimentare, una certa Simona Romeo, aveva regolarmente incassato gli affitti senza rilasciare oltretutto alcuna quietanza agli inquilini.  Non ci crederete ma il 15/06/2012 la Comeg srl (ossia l’inquilino) malgrado il contratto registrato e il regolare pagamento dell’affitto,  ha subito l’estromissione dallo stabilimento da parte dell’ufficiale giudiziario di Mercato San Severino che sotto ordine del Giudice dell’esecuzione immobiliare Dott. Brancaccio e  con l’aiuto di ben 15 carabinieri  ha apposto i sigilli al capannone,  con l’aggravante che  all’interno dello stesso vi fossero  macchinari meccanici indispensabili per la lavorazione di proprietà della stessa  Comeg Srl per il valore di oltre 1 milione  e mezzo di euro, le commesse dei clienti in corso, e 15 dipendenti sono stati gettati sulla strada.
Fatti, questi, che hanno catturato l’attenzione dei media locali. Tutto ciò accadeva malgrado l’opposizione in corso, presentate al G.E.  Dott. Brancaccio  presso il Tribunale di Salerno che per questo ora dovrà rispondere della mancata sospensione dell’esecuzione.
Il Grimaldi ha sporto denuncia penale contro la BNL e la Calliope srl per estorsione, appropriazione indebita, usura e altre illiceità su cui la Guardia di Finanza sta indagando dietro incarico del PM Dott.ssa De Angelis che nel contempo ha chiesto la sospensione dell’esecuzione, anche ai sensi della Legge  n. 3 del 23.1.2012, ma fino ad oggi il PM non si è ancora pronunciato.
Contemporaneamente è iniziata azione civile da parte dei nuovi legali del Grimaldi, Avvocato Umberto Spadafora contro il fallimento e per la restituzione dei 250 mila euro versati e indebitamente trattenuti, nonché è stata espressa riserva sull’operato del professionista delegato alla vendita all’asta il quale con la sua mendace attestazione ha favorito l’acquirente che si è aggiudicato gli immobili per un valore di almeno quattro volte inferiore a quello reale. La stessa condotta del G.E. Doti.Alessandro Brancaccio è stata posta in discussione e ritenuta quantomeno arbitraria e con abuso di potere e di diritto, in quanto non ha controllato la veridicità delle asserzioni del delegato alla vendita e non ha sospeso l’asta neppure in presenza di una relazione di un ctu da lui stesso nominato che denotava l’anomalia delle costruzioni affette da parziale abuso edilizio non ancora sanato.
Il signor Grimaldi era uno stimatissimo imprenditore, aveva un’impresa che andava a gonfie vele, tanto che aveva avuto la necessità di ampliare l’azienda, ma ancora una volta, grazie alle banche, alle leggine costruite ad hoc sulle famose cartolarizzazioni e i vari giochi derivanti,  le imprese vengono soppresse, i loro beni mandati all’asta per una manciata di pane, con l’assoluta “allegria” di curatori e vari professionisti che in un Paese civile agirebbero ben diversamente.
Daniela Russo
http://www.liberoreporter.it/index.php/2012/09/banche/caso-grimaldi-un-caso-aberrante-di-malabanca-ma-andra-meglio-con-la-giustizia.html

NUOVI MOTIVI DI APPELLO PER MASTROGIOVANNI?

Questa mattina è giunta sulla scrivania del Procuratore Generale di Salerno una nuova istanza da parte dell’Associazione Movimento per la Giustizia Robin Hood – Avvocati senza Frontiere, volta a sollecitare un’integrazione degli scarni motivi di appello proposti dal pm Martuscelli che già aveva preso le difese degli imputati avverso la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania. Sentenza come si ricorderà che condannava per sequestro di persona e morte conseguente altro delitto colposo a pene del tutto miti  il primario e i medici del lager psichiatrico di Vallo della Lucania, assolvendo invece del tutto incongruamente gli infermieri che lasciavano morire Franco Mastrogiovanni, ignorando cinicamente le sue ripetute richieste di aiuto riprese dalle telecamere interne.
Su quelle fatidiche 84 ore di ininterrotto supplizio e agonia, ove in una struttura sanitaria è stata clamorosamente negata a un essere umano la necessaria assistenza, l’Associazione chiede sia fatta piena luce, chiamando a rispondere tutti i responsabili, anche in sede politica, che hanno autorizzato il TSO e la successiva ingiustificata prolungata contenzione, a seguito della quale “per effetto di logiche criminogene” – come si legge nell’istanza al P.G. di Salerno – veniva barbaramente tolta la vita a Franco Mastrogiovanni“.
In buona sostanza l’Associazione censura non solo l’attività del pm Martuscelli ma anche la scelta del Procuratore Capo che nonostante la discussa gestione del giudizio di primo grado, le molteplici negligenze, omissioni e violazioni procedimentali, ha affidato la stesura dei motivi d’appello congiunto allo stesso Martuscelli, il quale in stridente contrasto con l’inpianto accusatorio del primo P.M. Dott. Rotondo, aveva chiesto la derubricazione in omicidio colposo, prendendo apertamente le difese degli imputati e in particolare del primario Dott. Di Genio.
Motivi di appello che a giudizio dei legali di Avvocati senza Frontiere risultano molto scarni ed eccessivamente superficiali nella ricostruzione dei fatti e delle responsabilità di medici ed infermieri.

Una nuova patata bollente torna quindi nelle mani del P.G. di Salerno chiamato a integrare i motivi di appello, anche ex art. 585 co. 4 c.p.p.  – come prosegue la nota dell’Associazione – “tenuto conto che la Procura di Vallo ha omesso qualsiasi richiesta di refomatio in pejus sostanziale (per omicidio preterintenzionale, etc. …), limitandosi al computo delle circostanze aggravanti, senza peraltro fornire elementi concreti per la prevalenza delle aggravanti, come invece circostanziatamente e diffusamente indicate nelle istanze ex artt. 570 e 572 c.p.p. di cui in premessa e nell’atto di appello dell’esponente Associazione, a cui si rimanda e ci si riporta integralmente”.

“Alla luce di ciò e della gravità dei reati che rischiano di restare impuniti – conclude l’Associazione – si rende pertanto necessario ed opportuno sollecitare le A.G.  in indirizzo, melius re perpensa, a voler richiedere una diversa e più grave qualificazione giuridica a carico sia degli infermieri sia dei medici ex art. 597 c.p.p., nonché a voler meglio approfondire le risultanze probatorie e riesaminare le singole responsabilità di medici ed infermieri, in particolare per quanto le posizioni di Casaburi, De Vita, Tardio e Russo, tutti responsabili di avere concorso e praticato senza soluzione di continuità sia le cc.dd. contenzioni di “polizia”, per “comodità”, per “tipo di autore” e “precauzionale”.
Nei prossimi giorni verrà anche depositato l’atto di appello nell’interesse della parte civile censurando la sentenza anche in relazione alla mancata liquidazione di una provvisionale in favore delle parti civili.
Per info: Segreteria A.s.F. 02-36582657- 329-2158780

ACCOLTO L'APPELLO PER DIRE NO AGLI ASSASSINI DI FRANCESCO MASTROGIOVANNI

Stamani la Procura Generale di Salerno ha reso noto al Movimento per la Giustizia Robin Hood – Avvocati senza Frontiere che il Procuratore e il P.M. di Vallo della Lucania, in accoglimento dell’istanza presentata dalla Associazione, costituita parte civile, hanno impugnato la sentenza di primo grado che pur condannando il primario e i medici, peraltro a pene del tutto miti, aveva incongruamente assolto gli infermieri per l’uso illegittimo della contenzione e trattamenti disumani assimilabili alla tortura, praticati nel lager psichiatrico di Vallo della Lucania.
«Si tratta di un risultato molto importante – commenta Pietro Palau Giovannetti (Presidente della Onlus), che oltre a rendere giustizia a Franco, almeno da morto, evidenzia quale ruolo possano svolgere le Associazioni nei processi e la pressione della Società Civile, per l’affermazione della legalità e del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge».
«L’impunità è sempre odiosa – denunciava l’Associazione alcuni giorni fa – ma lo è ancor di più quando la morte di una persona indifesa viene provocata mediante crudeli torture e la complicità di chi dovrebbe rappresentare la Pubblica Accusa, come nel caso di Mastrogiovanni e il pm Martuscelli, che ha cercato di minimizzare le responsabilità degli assassini».
«Ci siamo costituiti parte civile – proseguiva il comunicato – per impedire i soliti “inciuci giudiziari” e affermare la libertà di cure contro i TSO, tutelando l’interesse comune di potere accedere ad una giustizia giusta e uguale per tutti, inscindibilmente connesso alla più generale tutela del rispetto della persona umana, per cui nessuno può essere sottoposto a torture, tanto più in strutture sanitarie. Alla luce del tentativo di deviare il processo su un binario morto ci siamo posti come una spina nel fianco della Pubblica Accusa e ne abbiamo denunciato le deviazioni. Siamo così riusciti ad infondere coraggio e far luce sugli anomali comportamenti endoprocessuali e le frequentazioni del pm Martuscelli con taluni imputati (del caso se ne sta occupando il P.M. di Napoli)».
Alla luce di ciò è indubbio che il provvedimento del Procuratore e del pm di Vallo della Lucania costituiscano un’inversione di tendenza, che accoglie in pieno le istanze della Società Civile, aprendo nuove prospettive nell’ambito della tutela giurisdizionale dei diritti umani sul terreno dell’uso della contenzione nei reparti psichiatrici e sul rapporto tra persona umana e istituzioni.
A riguardo, occorre ricordare, che l’impugnata sentenza, pur riconoscendo il ruolo propulsivo delle Associazioni, ha reso giustizia solo a metà, anche se ha avuto il pregio di spezzare il clima persecutorio nei confronti di Franco, anche da morto, senza essere in grado di far piena luce sulle pratiche medievalistiche che coinvolgevano il personale sanitario, invece incongruamente assolto, senza tenere conto delle palesi responsabilità e indifferenza degli infermieri, verso l’altrui atroce sofferenza, come risultanti provate dall’impianto accusatorio del P.M. Rotondo e dalle video-registrazioni, elementi inchiodanti che sono state incomprensibilmente ignorati.
A pag. 175 della sentenza si afferma infatti assurdamente che la condotta degli infermieri possa venire ricondotta all’art. 51 c. 3 c.p., ritenendo che gli imputati mandati assolti non avrebbero potuto accorgersi dell’illegittimità dell’ordine di contenzione e del suo ingiustificato prolungamento. Tale conclusione è assolutamente paradossale poiché si è omesso di cogliere che anche il personale infermieristico è portatore di una posizione di garanzia ex art. 40 c.p. nei confronti dei pazienti sottoposti alla loro cura e vigilanza e, pertanto, è da ritenersi pacificamente responsabile ogni qualvolta violi gli obblighi di legge.
Ci auguriamo quindi che le pene scandalosamente miti comminate nei confronti dei medici, verranno quantificate correttamente nel grado di appello, condannando anche gli infermieri, tenendo conto della notevole gravità e allarme sociale dei reati consumati in danno di Franco, per cui è configurabile il reato di “omicidio preterintenzionale”. Nel caso di specie sussiste infatti sia il cd. “animus laedendi“, stante che la contenzione è stata attuata senza cure sino alla morte sia il cd. “animus necandi” che significa che l’agente non deve agire necessariamente con dolo di omicidio, ricadendo altrimenti nell’ipotesi di cui all’art. 575 c.p., bensì basta la previsione della morte, previsione di certo percepibile dal personale medico e paramedico, ben a conoscenza dei possibili esiti fatali di un regime contenitivo prolungato senza mai slegare la vittima per oltre 3 gg., lasciandolo privo di alimentazione e di idonea idratazione.
Da qui il sospetto ben più grave che il cinico e vile omicidio preannunciato dallo stesso Franco – il quale era a tal punto consapevole della fine che lo attendeva che implorò: «Se mi portano a Vallo non ne esco vivo» – possa promanare da una preordinata “vendetta politica”, maturata negli ambiti dell’estrema destra, che forse non ha mai perdonato al maestro elementare la morte del missino Carlo Falvella dirigente del FUAN di Salerno e la sua fede anarchica che lo spingeva a continuare a ricercare la verità sulla strage di Piazza Fontana.
Venerdì 28 giugno, ore 17,30, a Salerno, presso il punto Einaudi, Piazzetta Barracano, adiacente Corso Vittorio Emanuele, si terrà il dibattito su “il caso Mastrogiovanni”, promosso dal Comitato Verità e Giustizia per Francesco Mastrogiovanni, con la partecipazione dell’Avv. Michele Capano, legale di parte civile della Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood, Grazia Serra, Giuseppe Galzerano e Giuseppe Tarallo, Dott. P. Sangiorgio, Direttore UOSM Asl Roma H e Luigi Manconi, Presidente della Commissione Parlamentare sui Diritti Umani del Senato della Repubblica.
Per info: Segreteria Avvocati senza Frontiere 02/36582657 – 329/2158780

PER DIRE NO AGLI ASSASSINI DI FRANCO MASTROGIOVANNI: FATE GIRARE SUL WEB L'APPELLO AL P.G. DI SALERNO

L’impunità è sempre odiosa ma lo è ancor di più quando la morte di una persona indifesa viene provocata mediante crudeli torture e la complicità di chi dovrebbe rappresentare la Pubblica Accusa, come nel caso di Francesco Mastrogiovanni e il pm Martuscelli, che ha cercato di minimizzare le responsabilità degli assassini.
Ci siamo costituiti parte civile per impedire i soliti “inciuci giudiziari” e affermare la libertà di cure contro i TSO, tutelando l’interesse comune di potere accedere ad una giustizia giusta e uguale per tutti, inscindibilmente connesso alla più generale tutela del rispetto della persona umana, per cui nessuno può essere sottoposto a torture, tanto più in strutture sanitarie.
Alla luce del tentativo di deviare il processo su un binario morto ci siamo posti come una spina nel fianco della Pubblica Accusa e ne abbiamo denunciato le deviazioni.
Siamo così riusciti ad infondere coraggio e far luce sugli anomali comportamenti endoprocessuali e le frequentazioni del pm Martuscelli con taluni imputati (del caso se ne sta occupando il P.M. di Napoli). In linea di principio la sentenza ha riconosciuto il ruolo propulsivo delle Associazioni, smentendo e censurando il Martuscelli, ma ha reso giustizia solo a metà, anche se ha avuto il pregio di spezzare il clima persecutorio e d’odio politico nei confronti di Franco anche da morto.
Purtuttavia non è stata in grado di far piena luce sulle pratiche medievalistiche presso il lager psichiatrico di Vallo che coinvolgevano tutto il personale sanitario, invece incongruamente assolto, senza tenere conto delle palesi responsabilità e indifferenza degli infermieri, verso l’altrui atroce sofferenza, come risultanti provate dall’impianto accusatorio del primo P.M. dott. Rotondo e dalle video-registrazioni, elementi inchiodanti che sono state incomprensibilmente ignorati.
A pag. 175 della sentenza si afferma infatti assurdamente che la condotta degli infermieri possa venire ricondotta all’art. 51 c. 3 c.p., ritenendo che gli imputati mandati assolti non avrebbero potuto accorgersi dell’illegittimità dell’ordine di contenzione e del suo ingiustificato prolungamento.
Tale conclusione è assolutamente paradossale in quanto si è omesso di considerare che anche il personale infermieristico è portatore di una posizione di garanzia ex art. 40 c.p. nei confronti dei pazienti sottoposti alla loro cura e vigilanza e, pertanto, è da ritenersi pacificamente responsabile ogni qualvolta violi gli obblighi di legge.
I comportamenti contrari ai doveri di ufficio del pm sono stati da noi denunciati anche al P.G. di Salerno con istanza ex art. 570 c.p.p. chiedendo di sostituire il pm per incompatibilità e proporre motivato appello, non essendo consentito alle parti civili la diretta appellabilità che spetterebbe – sic! -allo stesso pm Martuscelli!
La sentenza avverso la quale auspichiamo il P.G. di Salerno vorrà proporre appello ha comminato peraltro pene scandalosamente miti, nei confronti dei medici, pur in presenza di reati di notevole gravità e allarme sociale, senza tener conto delle ns. diverse prospettazioni, secondo cui è configurabile il reato di “omicidio preterintenzionale”.
Nel caso di specie sussiste infatti sia il cd. “animus laedendi“, stante che la contenzione è stata attuata senza cure sino alla morte sia il cd. “animus necandi” che significa che l’agente non deve agire necessariamente con dolo di omicidio, ricadendo altrimenti nell’ipotesi di cui all’art. 575 c.p., bensì basta la previsione della morte, previsione di certo percepibile dal personale medico e paramedico, ben a conoscenza dei possibili esiti fatali di un regime contenitivo prolungato senza mai slegare la vittima per oltre 3 gg., lasciandolo privo di alimentazione e di idonea idratazione.
Da qui il sospetto ben più grave che il cinico e vile omicidio preannunciato dallo stesso Franco – il quale era a tal punto consapevole della fine che lo attendeva che implorò: «Se mi portano a Vallo non ne esco vivo» – possa promanare da una preordinata “vendetta politica”, maturata negli ambiti dell’estrema destra, che forse non ha mai perdonato al maestro elementare la morte del missino Carlo Falvella dirigente del FUAN di Salerno e la sua fede anarchica che lo spingeva a continuare a ricercare la verità sulla strage di Piazza Fontana.
Avvocati senza Frontiere invita pertanto la Società Civile e la stampa a sollecitare il Procuratore Generale di Salerno e la il Procuratore Capo di Vallo della Lucania ad impugnare la sentenza di primo grado, affinché siano comminate giuste condanne ai medici e affermata la resposabilità anche degli infermieri quali esecutori di ordini illegittimi come alla Diaz di Genova per i fatti del G8.
Scarica il testo integrale dell’istanza al Procuratore Capo di Vallo della Lucania e al P.G. di Salerno.

MASTROGIOVANNI. Una sentenza pionieristica da una parte e di compromesso all'italiana dall'altra che rende giustizia solo a metà

SENTENZA MASTROGIOVANNI. Una sentenza pionieristica da una parte e di compromesso all’italiana dall’altra, che rende giustizia solo a metà. Se infatti la sentenza si pone come una pietra miliare capace di abbattere il muro di omertà in materia di responsabilità medica e di misure di contenzione, purtuttavia non è stata in grado di far piena luce sulle pratiche medievalistiche in essere presso il lager psichiatrico di Vallo della Lucania che coinvolgevano tutto il personale sanitario, invece incomprensibilmente assolto.
Il Giudice nella pregiudievole situazione ambientale del Tribunale di Vallo della Lucania ha mostrato comunque notevole coraggio nel prendere le opportune distanze dal P.M. Martuscelli che aveva cercato di demolire l’impianto accusatorio originario, svolgendo le difese dei medici, sebbene la sentenza abbia poi inflitto pene molto lievi che corrispondano più o meno a quelle richieste dallo stesso P.M., il quale aveva modificato i capi d’accusa configurando il solo reato di omicidio colposo, facendo decadere l’accusa di sequestro di persona, chiedendo peraltro la condanna anche degli inferimieri… Avvocati senza Frontiere, pur dando atto trattarsi di una importante sentenza che, oltre a riconoscere il ruolo delle Associazioni no profit, quali parti civili, lascerà un segno, aprendo la strada ad una regolamentazione dei metodi di contenzione nei reparti di psichiatria e dei trattamenti sanitari obbligatori, preannuncia che proporrà appello, richiedendo al Procuratore Generale che faccia altrettanto affinché sia affermata la resposabilità anche degli infermieri quali esecutori di ordini illegittimi come alla Diaz di Genova per i fatti del G8.
La lettura integrale del dispositivo:
http://www.ondanews.it/vallo-della-lucania-processo-mastrogiovanni-condannati-i-medici-e-assolti-gli-infermieri_3053835.html