Archivio Categoria: Friuli Venezia Giulia - Pagina 2

PER GIURASTANTE RICHIESTA LA RIAPERTURA DELLE INDAGINI E L'INTERVENTO DELLA DNA

 

RICHIESTO L’INTERVENTO DELLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA E LA RIAPERTURA DELLE INDAGINI PER LE MINACCE MAFIOSE ALL’AMBIENTALISTA ROBERTO GIURASTANTE.

Trieste 26.11.2010 – Il 13 ottobre 2010 il G.I.P. di Trieste decretava l’archiviazione dell’inchiesta sulla minaccia di morte di stampo mafioso nei confronti di Roberto Giurastante, ambientalista triestino responsabile dell’associazione Greenaction Transnational e portavoce della rete Alpe Adria Green. 

Giurastante, è autore di rilevanti inchieste sul traffico dei rifiuti nel Nord Est, sul disastro ambientale della provincia di Trieste, sulle frodi di denaro pubblico e dei finanziamenti comunitari (progetti di sviluppo turistico utilizzati come copertura per discariche di rifiuti tossici ed altri traffici), sulla violazione delle gare d’appalto, sulla violazione delle normative comunitarie sulla sicurezza degli impianti industriali (direttiva Seveso), sulla violazione delle norme EURATOM sul rischio degli incidenti nucleari, sulle irregolarità dei progetti dei terminali di rigassificazione nel Golfo di Trieste. Molte delle inchieste sono sfociate in denunce alla Commissione Europea, al Parlamento Europea e all’Ufficio Europeo per la lotta antifrode (OLAF), ponendo non pochi problemi ad un sistema di malaffare istituzionalizzato. A seguito delle denunce dell’ambientalista l’Unione Europea ha avviato  numerose indagini che hanno portato all’apertura di procedimenti di infrazione, deferimenti alla Corte di Giustizia, revoca di contributi comunitari.

E’ perfettamente comprensibile quindi come Giurastante sia persona “sgradita” agli ambienti trasversali del malgoverno del Nord Est, ed infatti era già stato oggetto di intimidazioni e minacce. Ma nonostante la sua posizione certamente scomoda e a rischio, Giurastante si è venuto a trovare in un perfetto isolamento istituzionale. Un vero abbandono da parte dello Stato che in questa maniera presenta il suo aspetto più negativo ed evidente: quello collusivo con il sistema delle illegalità. L’ambientalista sotto attacco è stato sottoposto ad un regime di sicurezza minima. Regime di sicurezza minima che infatti non è servito ad evitare l’ultima e chiara minaccia di morte. Sulla quale peraltro la stessa autorità giudiziaria si è espressa molto chiaramente con una indagine senza esito  durata appena 26 giorni e consistita solo nella distruzione del corpo del reato (la testa della capra utilizzata come macabro avviso) senza alcuna analisi. Un messaggio fin troppo chiaro nei confronti di un cittadino ritenuto “indesiderabile”. 

Sulla vicenda di questa inaccettabile archiviazione e su quanto sta accadendo nella città giuliana all’ombra delle coperture istituzionali è stata ora presentata richiesta di riapertura delle indagini alla Direzione Nazionale Antimafia. Sono stati inoltre informati gli organi di controllo della Magistratura.  Ma questo non è solo un esempio, per quanto preoccupante, di logica follia di schegge impazzite delle istituzioni, bensì la dimostrazione di quel degrado inarrestabile che ha trasformato l’Italia, dal Nord al Sud, in un vero antistato dell’illegalità nell’Unione Europea dei diritti e delle regole. 

SPECULAZIONI TURISTICHE COSTIERE: CHIESTO L’INTERVENTO DELL’OLAF E DELL’ANTIMAFIA SULLA BAIA DI SISTIANA

 

SPECULAZIONI TURISTICHE COSTIERE: CHIESTO L’INTERVENTO DELL’OLAF E DELL’ANTIMAFIA SULLA BAIA DI SISTIANA

CHE FINE HANNO FATTO I 14 MILIONI DI EURO DI FINANZIAMENTI PUBBLICI SUI QUALI L’AUTORITA’ GIUDIZIARIA NON HA VOLUTO INDAGARE?
Trieste 2 dicembre 2010 – Greenaction Transnational ha presentato alla Direzione Investigativa Antimafia, alla Procura della Repubblica di Bologna ed all’OLAF (Ufficio Europeo Lotta Antifrode) un esposto   con “richiesta urgente di indagini coordinate e riapertura di quelle pretermesse dalla Procura della Repubblica di Trieste sulla realizzazione nella Baia di Sistiana (Comune di Duino Aurisina), con grave danno ambientale e paesaggistico, di complessi edilizi residenziali privati di lusso presentati quali villaggi turistici per ottenere le deroghe urbanistiche ed i finanziamenti pubblici destinati allo sviluppo di tale settore produttivo”.
Il caso riguarda il progetto di sviluppo turistico dell’unica baia della regione Friuli Venezia Giulia, quella di Sistiana, piccolo gioiello naturalistico dell’alto Adriatico, incastonata tra le vertiginose falesie di Duino e la costiera triestina.
L’attuale e invasivo progetto prevede la realizzazione di un villaggio turistico, di un marina, di strutture alberghiere, ottenute tramite imponenti lavori di escavazione sulle pareti carsiche che sprofondano nel mare con la creazione di un nuovo golfo artificiale.
Ma dietro a questo progetto si nasconde una lunga storia trentennale di fallimenti finanziati anche con soldi pubblici. Almeno 180 milioni di euro sarebbero spariti nel “buco nero” della Baia. Fallimenti che sarebbero serviti ad alimentare un “sistema” di governo politicamente trasversale. Ed anche sull’ultimo progetto si è stesa l’ombra dei finanziamenti occulti. Quattordici milioni di euro di fondi pubblici che hanno permesso alla società proponente di vedersi autorizzare il progetto. Quattordici milioni di euro che non potevano essere assegnati e che ora sembrano spariti nel nulla. Perché la Procura della Repubblica di Trieste non ha voluto indagare su questo nuovo scandalo del Nord Est?

Inquinamento mitili del Golfo di Trieste

Inquinamento mitili del Golfo di Trieste: Greenaction Transnational si rivolge alla Commissione Europea. A rischio la salute dei consumatori europei.
In corso di presentazione esposti alle Procure di Torino e Bologna
Trieste 5 ottobre 2010 – L’intossicazione di centinaia di persone in tutta Italia a seguito del consumo di mitili provenienti dagli impianti del Golfo di Trieste avrà ora ulteriori sviluppi sul fronte giudiziario e su quello comunitario. L’associazione Greenaction Transnational aderente alla rete internazionale di Alpe Adria Green sta infatti interessando le Procure della Repubblica di Torino e di Bologna del pesante inquinamento del Golfo di Trieste e delle sue ripercussioni sui numerosi allevamenti di mitili. La presenza di numerose discariche costiere e gli scarichi a mare di rifiuti tossico nocivi protrattisi per anni hanno creato infatti condizioni di grave rischio anche per la salute pubblica con contaminazione diffusa dell’ecosistema marino. 
Il pericolo era emerso con tutta la sua evidenza nel caso di una discarica illecita –   coperta dalle amministrazioni pubbliche – realizzata al confine con la Slovenia (cosiddetta discarica Acquario) proprio davanti ad uno degli impianti di mitilicoltura ora oggetto delle indagini della Procura di Torino. Nella discarica erano stati scaricati senza alcuna barriera di contenimento fanghi industriali con abbondanza di mercurio, piombo e idrocarburi che avevano così investito l’allevamento di mitili posto a poche decine di metri. Nonostante l’accertamento da parte dell’autorità giudiziaria locale del grave livello di inquinamento nessuna misura di tutela della salute pubblica era stata adottata, e così i mitili al mercurio e idrocarburi sono potuti finire per anni sul mercato comunitario.
Greenaction Transnational, vista la situazione di estrema gravità, presenterà una denuncia alla Commissione Europea chiedendo urgentemente l’intervento della D.G. Ambiente e della D.G. Salute Pubblica e tutela dei consumatori (SANCO) anche al fine di accertare le responsabilità delle istituzioni italiane. 
Attualmente e sempre su denuncia di Greenaction è già in corso un procedimento di infrazione contro l’Italia per violazione delle direttive 91/271/CEE, 76/160/CEE per l’inquinamento del Golfo di Trieste prodotto dagli scarichi dei depuratori fognari malfunzionanti (inadeguato trattamento biologico delle acque reflue).
Allegati: l’articolo sul caso dei mitili inquinati uscito sul settimanale Il Tuono di Trieste e la deposizione dei periti della Procura della Repubblica di Trieste sulla contaminazione dei mitili di fronte alla discarica Acquario a Muggia e sulle conseguenze per la salute pubblica.
 

TRIESTE NEL MIRINO DELLA COMMISSIONE EUROPEA: VIOLAZIONE DELLA DIRETTIVA SEVESO

Trieste 1 ottobre 2010 – La Commissione Europea ha confermato il procedimento di infrazione (n. 2007/4717) nei confronti dell’Italia per la violazione della direttiva Seveso nella provincia di Trieste. All’Italia viene contestato di non avere fornito alla popolazione informazioni sufficienti in merito alle misure di sicurezza e al comportamento da tenere in caso di incidenti agli impianti industriali. L’Italia avrà ora due mesi di tempo per rispondere e per sanare le irregolarità. Scatterà altrimenti il deferimento alla Corte di Giustizia Europea.
Il procedimento è stato avviato a seguito delle denunce e della petizione (483/07) presentate nel 2007 alla Commissione Europea e al Parlamento Europeo da Roberto Giurastante responsabile dell’associazione Greenaction Transnational.  Nella denuncia alle istituzioni comunitarie veniva evidenziata la sistematica violazione della legge Seveso nella provincia di Trieste dove, in presenza di otto impianti industriali a rischio di incidente rilevante ubicati in pieno contesto urbano, non erano state adottate le misure di sicurezza necessarie, a partire dalla predisposizione di effettivi piani di emergenza esterni (PEE) e per arrivare all’obbligatoria informazione da fornire ai cittadini, per affrontare le emergenze. Nella denuncia veniva inoltre contestato che in presenza di una simile e grave situazione di rischio fosse stato approvato, in sostanziale elusione della direttiva Seveso, il progetto di un terminale di rigassificazione nel porto di Trieste (adiacente alle industrie a rischio).
Proprio recentemente (agosto 2010) la denuncia è stata ancora integrata con nuovi rilevanti documenti sulle violazioni in corso. Greenaction Transnational ha anche attivato sul proprio sito internet un sondaggio per verificare il livello di conoscenza da parte della popolazione delle misure di sicurezza previste dalla legge Seveso. I risultati purtroppo si commentano da soli e confermano la drammaticità della situazione: il 98% dei votanti non è a conoscenza dei piani di emergenza degli stabilimenti industriali a rischio.
L’attuale procedimento di infrazione e il possibile deferimento dell’Italia alla Corte di Giustizia Europea, rappresentano un ulteriore ostacolo per il progetto del rigassificatore nel porto di Trieste. Se infatti al momento il procedimento non coinvolge ancora direttamente il progetto del terminale della Gas Natural a Zaule, è innegabile che gli effetti dell’inchiesta rischiano di travolgerlo. L’impianto dovrebbe infatti sorgere in mezzo agli stabilimenti industriali che sono oggetto della procedura di infrazione comunitaria. Il problema ovviamente non è rappresentato solo dalla mancata informazione alla popolazione delle misure di sicurezza da seguire in caso di incidente alle industrie. La mancata campagna informativa nasconde anche il mancato addestramento della gente sul campo (compresi i piani di evacuazione di interi quartieri cittadini e dei vicini Comuni di Muggia e S.Dorligo-Dolina). In discussione sono quindi gli stessi piani di emergenza esterni delle industrie pericolose sulla base dei quali è stato costruito lo scenario dell’effetto domino per il progetto del rigassificatore della Gas Natural nel porto di Trieste. Una sottovalutazione voluta del rischio che espone i cittadini a gravissime conseguenze e  che vede le amministrazioni pubbliche schierate a difesa degli interessi dei privati a danno della collettività. Una situazione che non può essere tollerata nell’Unione Europea dei diritti.
www.greenaction-transnational.org

TRIESTE. PERCHE' LA PROCURA INSABBIA LE MINACCE MAFIOSE CONTRO GIURASTANTE?

La domanda è ovviamente retorica e la risposta potrà venire facilmente trovata nell’insabbiamento sistematico da parte della procura triestina di ogni inchiesta che riguardi i poteri forti che controllano il territorio scaturita dalle coraggiose denunce di Roberto Giurastante, coraggioso leader ambientalista (N.d.R.). 

NUOVA AGGRESSIONE CONTRO ROBERTO GIURASTANTE

Trieste 27.09.2010 – L’ambientalista triestino Roberto Giurastante è stato oggetto di una nuova aggressione. Nella giornata di domenica 26 settembre ignoti presentatisi davanti alla porta di casa della abitazione della sua famiglia hanno cercato di scardinare e sfondare la porta di ingresso distruggendo anche la pulsantiera del campanello. Giurastante, responsabile dell’associazione Greenaction Transnational e portavoce per l’Italia dell’associazione Alpe Adria Green, aveva subito il 6 aprile scorso una pesante e macabra intimidazione di stampo mafioso trovando davanti alla porta della propria abitazione una testa di capra. Ma le indagini dei carabinieri per conto della Procura della Repubblica di Trieste erano state chiuse infruttuosamente in un tempo record di appena un mese, ed il PM incaricato (Pietro Montrone) aveva pure ordinato la distruzione del corpo del reato (la testa dell’animale ucciso) precludendo così ogni accertamento successivo (la richiesta di archiviazione della Procura è stata infatti impugnata davanti al GIP).

Nonostante le minacce continuate Giurastante non ha ricevuto alcun tipo di protezione da parte delle autorità di pubblica sicurezza italiane. Non si può quindi che esprimere la massima preoccupazione per quanto sta accadendo. Se dopo l’intimidazione mafiosa (la prima di questo tipo a Trieste) l’inchiesta della Procura non fosse stata bloccata e se fossero state adottate quelle minime misure di sicurezza che il caso avrebbe consigliato, probabilmente sarebbero già emersi elementi utili per individuare i responsabili, scoraggiando inoltre ulteriori aggressioni. 

Roberto Giurastante è autore di rilevanti denunce all’Unione Europea sul sistema di smaltimento illecito dei rifiuti nel Nord Est, sulla violazione delle norme sugli appalti, sulle carenze della legislazione italiana in materia di prevenzione dei rischi degli incidenti agli impianti industriali (Legge Seveso), sul nucleare (violazione delle norme Euratom) e sugli inquinamenti transfrontalieri. E’ anche uno dei principali oppositori dei progetti dei terminali di rigassificazione nel Golfo di Trieste. E’ autore del libro denuncia “Tracce di legalità” inchiesta sugli affari sporchi e sui disastri ambientali nel capoluogo del Friuli Venezia Giulia.

www.greenaction-transnational.org
Per leggere il caso completo clicca qui e scarica il .pdf

GORIZIA, IL NAUFRAGIO DELLA GIUSTIZIA

In tema di malagiustizia a Nordest segnaliamo questa interessante denuncia giornalistica sul naufragio delle inchieste per le morti dell’amianto di Stato (Fincantieri di Monfalcone). A completamento della quale occorre ricordare che il Procuratore della Repubblica di Gorizia Carmine Laudisio, principale responsabile dell’insabbiamento delle inchieste,  è stato trasferito e promosso alla Procura Generale di Trieste. Mentre, il  procuratore generale  Deidda (che non era intervenuto contro l’inerzia di Laudisio) è stato a sua volta promosso e trasferito (è il nuovo procuratore generale di Firenze). Si chiama progressione automatica di carriera a cui hanno diritto tutti i magistrati. Da parte sua, l’ex procuratore della Repubblica di Trieste Nicola Maria Pace (quello di Unabomber di cui abbiamo segnalato le gravi responsabilità nel relativo articolo) è stato pure promosso e trasferito. Ora è il nuovo Procuratore della Repubbliica di Brescia. Ma in cambio ha lasciato qui sua figlia che è sostituto procuratore a Udine. Tradizione di famiglia… (N.d.R.).

GORIZIA, IL NAUFRAGIO DELLA GIUSTIZIA.

Risultati sconcertanti dell’ultima ispezione ministeriale. Le responsabilità del procuratore della Repubblica e dei vertici di tribunale e corte d’appello. Ferme da 10 anni le indagini sugli operai morti per amianto nei cantieri di Monfalcone.

A cura di Roberto Ormanni

Una procura della Repubblica che si è fatta prescrivere tra le mani centinaia di casi di morte per amianto, un tribunale fermo da due anni, una corte d’appello dove presidente e procuratore generale stanno a guardare nonostante siano al corrente di quanto accade in tribunale e in procura. Questo in sintesi il quadro devastante della giustizia a Gorizia, dove da alcune settimane gli ispettori del ministero della Giustizia sono alle prese con una realtà raccapricciante, che supera di gran lunga anche la più fervida immaginazione.

Non è la prima volta che l’ufficio ispettivo di via Arenula si imbatte in “anomalie” (chiamiamole così) nella giustizia della città triestina. Ogni cinque anni il ministero manda gli ispettori a verificare il funzionamento degli uffici giudiziari: sono le ispezioni ordinarie. Iniziative di routine. Già cinque anni fa i funzionari ministeriali lasciarono Gorizia consegnando una serie di “prescrizioni”, ossia indicazioni ai responsabili degli uffici su cosa fare e come per rimettere in sesto, alla meno peggio, la baracca.

Poi, dopo qualche tempo, come prevede la procedura, un’altra nota del ministero chiedeva conto delle correzioni apportate all’organizzazione giudiziaria. A questo documento i capi degli uffici di Gorizia risposero: fatto, tutto a posto.

Invece non è stato fatto nulla anzi, la situazione è precipitata. La giustizia a Gorizia si trova, oggi, in fondo ad un baratro. Un buco nero nel quale ha cominciato a scivolare due anni fa, senza che nessuno abbia osato segnalare i problemi. Sa, qui siamo tutti amici, si sono giustificati alcuni magistrati interrogati dagli ispettori…

Magistrati e giudici onorari sono rimasti in silenzio, presidente del tribunale e procuratore della Repubblica non hanno aperto bocca (anzi, il problema principale è stato causato proprio dal procuratore della Repubblica) il presidente della corte d’appello e il procuratore generale non ne hanno parlato con nessuno. E neanche gli avvocati, di solito sempre pronti a protestare per il cattivo funzionamento della macchina giudiziaria, questa volta hanno detto nulla. Evidentemente faceva comodo, per diverse ragioni, a tutti.

Ma vediamo in cosa si sono imbattuti gli ispettori del ministero della Giustizia.

La procura della Repubblica di Gorizia sarebbe l’ufficio inquirente competente a indagare sulle morti per amianto verificatesi nei cantieri navali di Monfalcone.

Una lunghissima serie di decessi, verniciatori, costruttori, operai, meccanici: tutti riconducibili alle scorie di amianto. Per anni, prima che venisse accertato dagli studi scientifici quanto fosse nociva la sostanza, moltissimi cantieri hanno largamente fatto uso di amianto, lega utilissima, efficace, a basso costo e di facile lavorazione.

Le polveri, le scorie, i residui, i fumi si sono sedimentati per anni nei polmoni, sono filtrati nel sangue, hanno causato la morte. Lentamente, progressivamente, inesorabilmente.

Alla procura di Gorizia ci sono circa 750 fascicoli d’indagine per altrettante ipoesi di omicidio colposo. Indagini che, però, sono ferme da 12 anni. Nei fascicoli non c’è nulla oltre la denuncia, il certificato di morte dell’operaio, la causa di morte secondo i sanitari.

In alcuni casi i pubblici ministeri non hanno firmato nemmeno la delega d’indagine. In pratica, nessuno sta indagando. A dispetto delle centinaia di denunce, delle manifestazioni organizzate dalle associazioni di parenti delle vittime che si sono susseguite in questi anni. A dispetto, soprattutto, delle dichiarazioni pubbliche che sono state fatte, spesso, proprio da quei magistrati, come il procuratore capo di Gorizia o il procuratore generale di Trieste, secondo i quali sarebbe stato garantito il massimo impegno per ricostruire fatti e responsabilità. Ma quale impegno: nemmeno uno straccio di consulenza tecnica è stata disposta.

Come non bastasse, su nessuno di quei fascicoli c’è indicato neanche il nome di un presunto, ipotetico responsabile. Eppure quelle aziende avevano, tutte, un amministratore delegato, un responsabile della sicurezza. Ma i pubblici ministeri di Gorizia non sanno niente. Ufficialmente. Tutte le indagini sono ancora oggi, dopo anni, contro ignoti.

I fascicoli avrebbero potuto essere riuniti in un’unica indagine, o magari in due o tre tronconi, e procedere speditamente. Ma anche questo era troppo lavoro, evidentemente. Su 750 morti sono stati celebrati nemmeno una decina di processi, tutti diversi, qualcuno è ancora in corso, e in udienza non sono presenti neppure i pubblici ministeri togati, quelli che hanno svolto l’indagine. Il procuratore Laudisio ci spedisce giovani onorari, che hanno enormi difficoltà a ricostruire storie vecchie di anni.

E in decine di casi la strada seguita dalla procura di Gorizia è stata quella dell’archiviazione: “visto che la vittima ha lavorato per diverse aziende nel corso degli anni, e dal momento che non è possibile stabilire con precisione quando è cominciata la patologia che ne ha causato la morte, si archivia non essendo possibile individuare responsabilità certe per il reato di omicidio colposo”. Ecco come sono motivate le archiviazioni. Peccato che non si sia nemmeno tentato di trovarli i responsabili, non si è nemmeno provato ad affidare una perizia che potesse stabilire in quanto tempo la malattia ha portato l’operaio alla morte e dunque in che periodo della sua vita è insorta e, di conseguenza, in quale fabbrica – delle tante che facevano uso di amianto –  lavorara all’epoca.

Il pubblico ministero si è così sostituito al giudice: ha deciso che le prove sono insufficienti prima ancora di avviare il processo. Le sanno, queste cose, i familiari dele vittime? Chiedono verità da anni, ma l’unica verità è che nessuno fino ad ora l’ha cercata, la verità.

Da quando l’ispezione del ministero è in corso, qualche magistrato ha rilasciato interviste alla stampa locale: “certo, c’è qualche ritardo – ha detto in sostanza parlando dell’incredibile inerzia della procura – ma ora tutto è a posto e le indegini ripartiranno”. Non c’è nulla da far ripartire, nella maggior parte dei casi.

L’inefficienza degli uffici giudiziari di Gorizia non si ferma qui: due anni fa il procuratore Carmine Laudisio ha consegnato al presidente del tribunale, Matteo Giovanni Trotta, una comunicazione: finché non saranno coperti i posti di viceprocuratore onorario questa procura della Repubblica non invierà più magistrati a partecipare alle udienze in tribunale. Una singolare forma di protesta per la mancanza di magistrati, si potrebbe pensare. Un modo per poter avere uomini e mezzi necessari a far fronte alle esigenze di giustizia. Chi dovesse pensare questo sbaglia.

Il procuratore di Gorizia, Carmine Laudisio, ha in organico sei pubblici ministeri togati e 6 onorari. In servizio ce ne sono 6 togati e 2 onorari. A conti fatti, gli mancano quattro magistrati onorari. Questo è tutto. A fronte di otto pubblici ministeri la procura deve seguire tre udienze al giorno. E un carico di lavoro investigativo di circa duemila fascicoli l’anno, in tutto. A Napoli un pm, un solo magistrato, ne segue tremila all’anno. Da solo. A Roma siamo a circa duemila, come a Milano. A Gorizia ce ne sono duemila diviso otto. Anche se fossero quattromila…

Invece secondo il procuratore di Gorizia se non arrivano altri quattro magistrati onorari la procura non può seguire i processi. E per questo da due anni i processi vengono sistematicamente rinviati.

Proprio così: sono saltate tutte le udienze. Centinaia, migliaia di udienze. I giudici onorari aprivano l’udienza e la rinviavano “per assenza del pm”, quelli togati non l’aprivano nemmeno, la rinviavano a scatola chiusa. La ragione della differenza sta nel fatto che gli onorari se non aprono l’udienza non incassano i dieci euro o giù di lì previsti per l’udienza. Dunque, il ministero della Giustizia, le casse pubbliche, per due anni hanno pagato giudici onorari inutilmente.

Quei provvedimenti di rinvio “per assenza del pm” non sono mai arrivati oltre i confini della corte d’appello di Trieste. Nessuno, anche in questo caso, ha creduto di dover denunciare nulla. Peccato che da nessuna parte del codice di procedura pernale, o dell’ordinamento giudiziario, sia previsto un rinvio per assenza del pubblico ministero. Anche perché, è bene precisarlo, in questo caso i termini di prescrizione non si interrompono, perché il rinvio è colpa del sistema giudiziario, non dell’imputato o della difesa.

Il risultato è stata la cancellazione di decine di processi per prescrizione.

Almeno, intanto, la procura avesse utilizzato il tempo libero per svolgere indagini… nemmeno questo è accaduto, visto che i morti per amianto sono sempre in attesa di una giustizia che, a questo punto, non arriverà mai più.

Nonostante il folle provvedimento del procuratore Laudisio fosse stato trasmesso sia al presidente del tribunale, Trotta, sia al procuratore generale della corte d’appello di Trieste Beniamino Deidda, sia al presidente dela corte d’appello Carlo Dapelo, nessuno dei capi degli uffici giudiziari ha informato il ministero.

Ora spetterà agli ispettori decidere quali siano le responsabilità disciplinari.

Noi ci limitiamo ad osservare che se il dirigente di un ospedale interrompesse le prestazioni di pronto soccorso perché l’organico dei medici non è completo, verrebbe arrestato.

Basta, tutto questo, per avere un’idea della situazione della giustizia a Gorizia? No, non basta ancora.

Oltre alle indagini mai avviate, ai processi saltati, all’inerzia dei capi (il procuratore generale è il titolare dell’azione disciplinare) anche i processi, civili e penali, che sono riusciti miracolosamente ad arrivare a sentenza, hanno dovuto attendere tempi biblici per avere le motivzioni delle sentenze. In alcuni casi tra la decisione e il deposito della motivazione sono trascorsi oltre mille giorni. Di media, per avere la motivazione di una sentenza, a Gorizia, è necessario aspettare circa un anno. Contro i 90 giorni previsti dalla legge.

Per non parlare dell’esecuzione delle pene: le sentenze di condanna di primo grado sono state sistematicamente sospese quando anche uno solo degli imputati presentava appello. Una strana regola: uno per tutti, tutti per uno. Se un imputato impugnava la condanna in secondo grado bastava una richiesta della cancelleria al giudice del tribunale che aveva emesso la condanna: cosa dobbiamo fare con la sentenza per coloro che non hanno impugnato? E il giudice rispondeva: lasciate tutto fermo, vediamo l’appello come va. Anche in questo caso, una regola che non esiste: il codice, infatti, prevede che per gli imputati che non fanno appello la condanna passa in giudicato e deve essere eseguita. Se poi, al termine del processo d’appello avviato da uno degli imputati, la pena viene ridotta, allora la riduzione si applica anche a chi non ha fatto appello. Ma intanto la condanna deve essere eseguita.

La legge, però, a Gorizia conta poco. Ciò che conta è la follia e l’inefficienza. Questa volta l’ispettorato del ministero della Giustizia è deciso ad andare fino in fondo. Noi ci auguriamo che anche la procura della Repubblica di Bologna, competente a valutare eventuali reati commessi dai magistrati del distretto di Trieste, voglia verificare cosa è successo a Gorizia.
http://www.ilparlamentare.it/Articolo.aspx?id=1&idAr=108&lingua=I&super=Parlamentare&sender=elenco&time=all&idPag=6
 

SINDACO E CONSIGLIERI SI BEFFANO DI CITTADINI E MAGISTRATURA

Ci stanno trattando da scemi, noi cittadini e la magistratura.

Come abbiamo già denunciato e documentato, il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza si è fatto una speculazione personale da 200.000 euro acquistando illegalmente e rivendendo a costruttori consapevoli un terreno del Comune, con la complicità attiva e passiva continuata di funzionari, assessori e consiglieri di maggioranza e di opposizione.

Continuano a coprire la speculazione personale illecita di Dipiazza.

Non succede neanche nelle regioni di mafia, dov’è accaduto qualcosa di simile l’autorità si è mossa subito, e i bandi d’asta immobiliare dei Comuni precisano tutti il divieto di acquisto per sindaco e consiglieri. E non rientra nella loro discrezionalità politica, ma tra gli illeciti commessi in veste di pubblici ufficiali, ed in ipotesi di reati associativi, pluriaggravati e continuati che vanno dall’abuso d’ufficio all’omissione d’atti, alla truffa. Greenaction Transnational ne ha fatta denuncia alla Procura della Repubblica già nel novembre scorso, con prove documentali complete e pubbliche (atti tavolari) che consentivano perciò di procedere immediatamente. Il quotidiano locale ne diede la notizia, ma poi tacque, come le istituzioni.

Abbiamo perciò lanciato noi, che siamo nati a maggio, la necessaria campagna giornalistica di indagine e denuncia, chiedendo le spiegazioni o dimissioni dei responsabili. Che hanno invece mantenuto compatti un silenzio omertoso, di fronte al quale abbiamo chiesto a Prefetto e Regione il commissariamento del Comune, ed io ho presentato personalmente nuove denunce alle Procure della Repubblica e della Corte dei Conti, alla quale si è rivolta anche Greenaction.

Quando noi siamo andati in pausa ferie Sindaco e consiglieri hanno finalmente reagito, ma con dichiarazioni menzognere al quotidiano locale che le ha pubblicate di nuovo senza verifica. Dipiazza ha infatti dichiarato falsamente che la compravendita era regolare, scaricandone comunque la responsabilità sul Consiglio comunale che l’aveva discussa ed approvata a maggioranza.

I consiglieri, pseudo-opposizione compresa, hanno scaricato la responsabilità sui funzionari, affermando falsamente che per legge sarebbero loro, e non il Consiglio, a decidere queste compravendite immobiliari, ed attribuendo simile tesi ai funzionari stessi, avvocatura comunale inclusa. I quali sembrano acconsentire tacendo, come gli assessori coinvolti, ed in particolare quelli al patrimonio di allora, il Giorgio Rossi che lasciò vendere illecitamente il terreno comunale al sindaco, e di adesso, il Claudio Giacomelli che dovrebbe agire per recuperarlo, ed è pure avvocato.

Ma con oggi usciamo di nuovo in edicola noi. E vi confermiamo che tutti costoro ci stanno prendendo per scemi.  Perché non possono non sapere tutti benissimo che la vendita al sindaco era ed è espressamente vietata dall’art. 1471 del codice civile, con precise conseguenze anche penali ed erariali. E che i poteri di decisione finale sulle compravendite immobiliari del Comune sono espressamente assegnati al Consiglio – il quale li ha infatti esercitati – dal Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 267/2000, art. 42, 2, l), in forza del quale gli illeciti da essi compiuti determinano anche l’impossibilità di ricoprire la carica di sindaco e di consigliere (artt. 77, 2 e 63).

Il Comune di Trieste ha 45 consiglieri, un vicesindaco, 9 assessori, e nove tra partiti e liste, il tutto di una mediocrità già disastrosa. Nessuno di essi, anche tra i non responsabili dell’illecito originario, ha mostrato sinora la dignità ed il coraggio di dissociarsene ammettendolo pubblicamente: né quando venne commesso, né dopo, e nemmeno di fronte alle denunce penali e di stampa. E così i loro politici e partiti di riferimento provinciali e regionali.

Questo scandalo pubblico non coinvolge perciò soltanto il Sindaco Dipiazza ed i suoi, ma tutto il potere politico locale. E la copertura concorde di un illecito così grave rivela tutto un sistema trasversale corrotto di complicità in spregio alla legge ed ai cittadini. Lo stesso che da decenni vediamo estendersi ancora impunito nel settore degli appalti, nei piani regolatori ed a quant’altro già oggetto di non poche indagini giudiziarie.

E questi politicanti, di maggioranza e opposizione, così indulgenti tra di loro sono anche gli stessi che mandano o lasciano mandare la polizia municipale in caccia empia ai più deboli: mendicanti, affamati che frugano nelle immondizie, vittime della prostituzione, miseri venditori di minuzie, poveri artisti di strada. Noi, da cittadini prima che da giornalisti, non siamo disposti a lasciarci ancora parassitare né prendere in giro da questo genere di prepotenti, quali che ne siano il colore o le cariche.  E la magistratura?

Paolo G. Parovel

4 Settembre 2010 

http://www.iltuono.it/A2010/10-09-04.pdf
 
 
 
 
 

 

UNABOMBER. UNA PERSECUZIONE TERRORISTICO-GIUDIZIARIA IN PIENA REGOLA. LO STATO CHIEDERA' I DANNI ALL'EX PROCURATORE CAPO NICOLA MARIA PACE?

Unabomber. Una persecuzione di stampo terroristico-giudiziario in piena regola. Adesso, dopo il proscioglimento, c’è da domandarsi se lo Stato Italiano chiederà i danni all’ex Procuratore capo di Trieste Nicola Maria Pace.

Ingiustamente accusato di essere il terrorista Unabomber e addidato al pubblico ludibrio, quale autore di ripetuti atti criminali, l’ingegnere aeronautico pordenonese Elvo Zornitta ha avuto vita e lavoro distrutti, ora dopo essere stato completamente scagionato da ogni pretstuosa accusa chiede giustamente allo Stato un adeguato risarcimento danni.

E lo Stato dovrebbe dunque chiederne ragione all’allora Procuratore capo di Trieste Nicola Maria Pace, che anticipò addirittura alla stampa di avere in mano il colpevole (Zornitta) in base a “prova certa”. 

La prova – un pezzo di lamierino tagliato con una forbice – si rivelò poi contraffatta in laboratorio di Polizia Giudiziaria. Le conseguenti inquietanti analogie con similari falsificazioni di prove della strage di Peteano hanno portato molti osservatori a supporre una preordinata azione di copertura e depistamento di indagini, deviando i sospetti sull’ignaro Ing. Zornitta, quale vittima sacrificale da dare in pasto all’opinione pubblica, al posto di soggetti criminali vicini ad ambienti politico-terroristici dei soliti servizi segreti deviati. 

4 settembre 2010

http://www.iltuono.it/A2010/10-09-04.pdf

 

 

INCHIESTA POLITICA SULLA GUARDIA DI FINANZA?

Finanzieri e manette

di Vincenzo Cerceo (Colonnello della Guardia di Finanza in congedo)

E’ di questi giorni l’arresto dell’ennesima “Fiamma Gialla”, questa volta a Trieste, per i soliti e ricorrenti fatti di corruzione. Soffocando la malinconia di ex appartenenti al Corpo che mai hanno infangato la divisa proviamo un po’ ad analizzare questo fenomeno, perché il considerarlo non serio e non grave equivarrebbe a volere sfuggire da una realtà spiacevole.

Per risalire all’epoca relativamente recente, fu nel 1980 che venne arrestato il Comandante Generale del Corpo, Giudice, il quale, col suo capo di Stato Maggiore, Loprete, e con una schiera di altri appartenenti al Corpo, aveva creato, al Comando Generale, una vera e propria associazione per delinquere finalizzata al contrabbando.

Il capo delle guardie che era anche il capo dei ladri: roba da repubblica delle banane. Ma il potere politico sorvolò sul fatto che tanti altri generali sapevano ed avevano taciuto, e tutto finì in gloria. Intanto, all’interno del Corpo si dava una caccia feroce ai finanzieri che, disgustati da tutto ciò, parlavano di riforma seria del Corpo. Tralasciamo la vicenda della Loggia P2 e delle altre logge coperte ed illegali, tutte con folta ed autorevole presenza degli altri gradi del Corpo (tranne ovviamente alcuni) e veniamo allo scandalo di Tangentopoli, a Milano ed altrove.

Almeno cinque anni prima che ciò fosse reso noto alla giustizia, all’interno del Corpo si sapeva, e se ne discuteva nelle caserme, del  sistema milanese, istituzionalizzato e verticalizzato, per cui il comandante di sezione, nell’affidare la pratica di servizio alle pattuglie, indicava anche la somma minima di tangente che quella pratica avrebbe dovuto fruttare; la somma poi andava all’Ufficio Operazioni, il quale ripartiva a secondo un vero e proprio manuale Cencelli delle mazzette, a Milano ed anche fuori di Milano. Non dimentichiamo queste cose.

Venne poi il caso Veneto del colonnello Petrassi, lasciato fino al giorno dell’arresto in importanti comandi; prima vi era stato il caso dell’ufficiale di Novara, e così via. Qualche anno fa un Magistrato di Pinerolo, parlò, in sentenza, di “tendenza genetica degli appartenenti alla Guardia di Finanza alla corruzione”.

A noi, che corrotti non eravamo, la cosa dispiacque, ma dopo analoghi episodi sono continuati alla spicciola così come quello di Trieste.

E’ possibile che quel modo di fare che abbiamo letto sui giornali sia un caso anomalo, un atto di follia? Vogliamo sperarlo, di cuore, ma nessuno ci prenda per ingenui. A quando una seria inchiesta politica sul Corpo?

Vincenzo Cerceo

Colonnello della Guardia di Finanza (in congedo)

TRIESTE. CORRUZIONE ALLA GUARDIA DI FINANZA?

S.O.S. IN GUARDIA DI FINANZA (amianto e altri scandali)  

Non cessa, per vari motivi, la contraddizione all’interno del Corpo della Guardia di Finanza. Mentre le gerarchie del Corpo sembrano concentrate a negare alle Fiamme Gialle d’Italia i previsti benefici previdenziali per la pericolosa esposizione alla fibra killer dell’amianto, avvenuta in più luoghi di servizio, risaltano – tra le cronache di queste ore – episodi sconcertanti su presunti comportamenti illegali del personale; ne giunge circostanziata informazione in una nota (pervenuta in data odierna e a firma di Lorenzo Lorusso) della Presidenza dell’associazione Movimento dei Finanzieri Democratici, con sede a Trieste, di cui riportiamo un sintetico stralcio:

Oggetto: episodio di presunta concussione a Trieste, il caso del maresciallo della Guardia di Finanza Fabio Latini arrestato a seguito di una denuncia di due rigattieri. Non si è ancora spenta l’eco dei due sottufficiali della Guardia di Finanza indagati per corruzione a Vicenza lo scorso agosto che oggi si apprende di un nuovo caso di presunta concussione a Trieste. E purtroppo, nel Triveneto, è dagli anni Novanta che si verificano continui casi di corruzione e concussione, dai più eclatanti della Tangentopoli del Veneto, che videro coinvolti gli alti ufficiali del Corpo Petrassi e Guaragna, ai meno importanti ma pur sempre significativi episodi che toccarono finanzieri in servizio al Nucleo di Polizia Tributaria di Trieste e dell’allora 19^ Legione (ora denominato Comando Provinciale). Sarebbe proprio il caso di ripescare la celeberrima frase di Tito Livio “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”  per rimarcare che se da un lato ci sono stati, in questi ultimi anni, numerosi finanzieri che hanno chiesto a viva voce di percepire i diritti previsti dalla Legge 257/1992 (più comunemente conosciuta come benefici a favore degli esposti all’amianto) vedendoseli sistematicamente negare nonostante siano stati iscritti nel Registro Regionale degli esposti, dall’altro lato continuano a verificarsi saltuariamente episodi di presunta corruzione o concussione…”.

Per informazioni: Lorenzo Lorusso (Presidente del Movimento dei Finanzieri Democratici) – tel. 040-573881, cel. 347-5471026, e-mail: ilmovimentofd@yahoo.it.

Con preghiera di pubblicazione e/o divulgazione.

Fedele  Boffoli (in Facebook)

info@fedeleboffoli.it

www.Artepensiero.it/Fedele_Boffoli.htm

www.Anforah.Artenetwork.net

posted 9.9.2010