Archivio Categoria: Sardegna

PROCESSO D'APPELLO PER ANDREA DESSENA IL GIOVANE PASTORE SARDO 22ENNE CONDANNATO ALL'ERGASTOLO SENZA PROVE

COMUNICATO STAMPA IN MERITO AL PROCESSO DI APPELLO A CARICO DI ANDREA DESSENA. UDIENZA 26.10.2012 AVANTI ALLA CORTE D’ASSISE D’APPELLO DI SASSARI
Venerdì 26 ottobre si aprirà presso la Corte d’Assise d’Appello di Sassari il processo d’appello a carico di Andrea Dessena accusato di duplice omicidio ed attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Macomer in Sardegna, in regime di isolamento.
Il giovane pastore, a seguito di un processo di primo grado, a dir poco anomalo, in cui sono state violate tutte le regole del giusto processo e in più in generale le più elementari norme di giustizia, era stato condannato avanti alla Corte d’Assise di Nuoro alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per anni tre anni.
L’imputato la cui difesa viene patrocinata dall’Associazione Avvocati senza Frontiere in considerazione della rilevanza sociale e della anomalia del caso, derivante da palese fumus persecutionis, si ribadisce, veniva condannato sulla base di un’accusa del tutto indimostrata, basata sulle dichiarazioni o meglio sulle presunte dichiarazioni di accusa di un confidente di polizia, le cui dichiarazioni non sono mai state verbalizzate, né è mai stato sentito in contraddittorio in un’aula di tribunale.
Processo, quello di primo grado, che per le modalità sommarie con le quali si è svolto, più che un processo della Repubblica democratica italiana porta alla mente i processi veneziani dell’Inquisizione, quando era sufficiente introdurre delle lettere accusatorie anonime introdotte nelle c.d. “bocche del leone”, cioè piccole fessure nei muri con la testa del leone alato in cui era possibile introdurre scritti accusatori. La malcapitata vittima di queste anomine denunce spesso non disinteressate e promananti da interessi opposti, si trovava davanti all’inquisizione e condannato al rogo, come Giordano Bruno e altre migliaia di vittime, a seguito di processi farsa celebrati in oltre 500 anni di torture, confessioni estorte, roghi e stragi di innocenti.
Per l’affermazione dei principi di legalità e giustizia la difesa di Andrea Dessena ha rivolto alla Corte d’Assise d’Appello una serie di richieste istruttorie di riapertura del processo, in particolare l’esame testimoniale del “confidente” che accuserebbe l’imputato, la trascrizione di un “cd” consegnato da un testimone che in aula ha denunciato di essere stato oggetto di minacce e pressioni da parte delle forze dell’ordine (cd che è stato acquisito agli atti ma che non è mai stato oggetto di doverosa trascrizione), perizia dei tabulati telefonici che scagionano completamente l’imputato in quanto quest’ultimo si trovava a 10 km di distanza dal luogo del delitto nonché alcuni confronti fra diversi testimoni che hanno rese dichiarazioni contrastanti sui fatti.
Venerdì prossimo pertanto la Corte d’Assise d’Appello di Sassari si pronuncerà preliminarmente sulle richieste di rinnovazione istruttoria decidendo di riaprire il dibattimento: in quest’ultimo caso fisserà un calendario di udienze per lo svolgimento del processo, riservandosi di adire la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo.
Il difensore conclude infatti l’atto di appello, affermando che la sentenza di condanna di Andrea Dessena al massimo della pena, è, si ribadisce, ingiusta in quanto sono stati violati i principi giuridici fondamento del nostro Stato di diritto, cioè i principi del “giusto processo” affermati dalla Carta Costituzionale e dai principi dettati in sede di Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
“Questa sentenza – prosegue il difensore – è tanto ingiusta quanto gravosa, dettata da un evidente pregiudizio nei confronti dell’imputato, ritenuto soggetto socialmente pericoloso ed irrecuperabile. Questa difesa si augura ma al tempo stesso ne è intimamente convinto che il Giudice superiore sappia giudicare i fatti con obiettività e soprattutto con serenità, serenità che è mancata totalmente a Nuoro ed è sufficiente leggere i verbali d’udienza”.
Per maggiori informazioni sul processo e conoscere i motivi di appello:
http://lanuovasardegna.gelocal.it/nuoro/cronaca/2012/04/12/news/il-nuovo-legale-di-dessena-e-una-condanna-ingiusta-1.3926026
http://lanuovasardegna.gelocal.it/nuoro/cronaca/2012/04/10/news/in-difesa-di-dessena-gli-avvocati-senza-frontiere-1.3796135
http://blog.libero.it/ValledelCedrino/11225174.html
Scarica il testo integrale dell’Atto di Appello:
Appello Dessena Andrea
A cura della Segreteria di Avvocati senza Frontiere

Addio alla famigerata Equitalia. Basta ai prelievi forzosi nei confronti dei cittadini sardi!

Equitalia lascia la Sardegna! Per una volta è il popolo che vince?
Si, sembra proprio così, come in Islanda!
Per il momento è solo Equitalia che se ne va dalla Sardegna.
E l’Isola tira un grande sospiro di sollievo.
Ad esultare sono in tanti.
Tutti quelli che fino ad oggi hanno dovuto subire le vessazioni di Equitalia e dei suoi mandanti.
Per una volta il Popolo ha combattuto e – forse – vinto la sua battaglia!
Una vittoria ottenuta grazie alla fortissima spinta delle proteste capeggiate dal cosidetto “Popolo delle partite Iva” che in tutta la Sardegna hanno combattuta una strenua battaglia contro Equitalia e sfociate nel clamoroso digiuno di un gruppo di donne che si sono accampate davanti al palazzo della Regione Sardegna.
Il Consiglio regionale ha deciso così di approvare un ordine del giorno unitario che da’ l’addio alla famigerata Equitalia, accusata di prelievi forzosi nei confronti di tanti cittadini sardi.
La Giunta si è impegnata a trasmettere al nuovo Governo il disegno di legge costituzionale – varato ieri dalla Giunta regionale – che si pone come obiettivo primario quello di riscuotere le tasse e i tributi direttamente in Sardegna, con una apposita Agenzia regionale. La speranza di tutti è naturalmente che questa Agenzia regionale non si trasformi in una “Equitalia in salsa sarda”.

I pastori sardi contro la speculazione finanziaria: "Giù le mani dalle nostre fattorie"

L’ultima sfida dei pastori sardi “Giù le mani dalle nostre fattorie”

Pastori sardi

A causa dei debiti in 10mila rischiano di perdere tutto. Rifiutano di dare le terre agli speculatori attratti dalle promesse di condono. Ora le banche presentano il conto dei prestiti agevolati della fine degli anni ’80

di ANTONIO CIANCIULLO

Lo scrittore Salvatore Niffoi che difende la battaglia dei pastori sardi

ROMA – Hanno dispiegato un cordone di sicurezza impenetrabile. Hanno assediato la zona con camionette, elicotteri, poliziotti, guardia di finanza. Hanno fatto irruzione e li hanno catturati. A essere trascinati via dalla loro casa, a Terra Segada, nel Sulcis Iglesiente, non sono stati i capi di una cellula terroristica ma la famiglia di Angelo Sairu, agricoltori colpevoli di non conoscere le trappole della finanza internazionale e di essersi fidati degli amministratori locali. Più di 10 mila coltivatori e pastori si trovano nelle stesse condizioni a causa dei debiti contratti con le banche: rischiano di perdere tutto, di dover lasciare le loro terre agli speculatori che, sostenuti dalle promesse di condono, già pianificano il sacco di intere aree della Sardegna.

 

IL MOVIMENTO

 

IL FONDO AMBIENTE

 

Il conto presentato dalle banche nel 2011 si riferisce a una vicenda antica. Nel 1988 la Regione Sardegna promosse, con la legge 44, prestiti agevolati per rilanciare l’economia interna, per permettere a chi faticava nei campi di comprare una mungitrice o di rifare il tetto alla stalla. Un’intenzione buona, ma incompiuta: i funzionari dimenticarono che l’Italia fa parte dell’Europa e che bisognava verificare la compatibilità della norma con il quadro legislativo comunitario. Nel 1994 l’Unione europea ha bocciato la legge considerando illegittimi gli aiuti economici.

 

Da allora è cominciato il calvario che ha spinto i pastori allo sciopero della fame, al “movimento dei forconi”, agli scontri del dicembre scorso con la polizia a Civitavecchia. “L’errore commesso dalla Regione nel 1988 ha portato a quadruplicare i tassi di interesse, con debiti cresciuti in maniera drammatica”, precisa Paolo De Castro presidente della commissione Agricoltura del Parlamento europeo. “Tra il 2007 e il 2008, quando ero ministro delle Politiche agricole, assieme all’ex presidente della Regione Sardegna Renato Soru eravamo arrivati a delineare un’intesa con le banche per superare il problema. Cambiati governo centrale e regionale, la possibilità è sfumata”.

 

“Noi non ci arrendiamo: la militarizzazione della Sardegna è inaccettabile”, accusa Felice Floris, leader del Movimento dei pastori. “Sono stati i funzionari della Regione a sbagliare, non noi: perché non chiedono i soldi a loro? È una vergogna assediare le fattorie con gli eserciti. Magari per poi girarle, con vendite pilotate, agli speculatori che vogliono massacrare l’isola”.

 

Mentre le campagne sarde rischiano di essere svendute all’asta, la tensione continua a crescere anche perché ai vecchi debiti se ne aggiungono di nuovi. Quelli derivanti dall’offensiva lanciata da Equitalia: un’ondata di contestazioni fiscali, in molti casi discutibili, che portano a sequestri anche di prime case condotti a tempo di record, nell’arco di poche settimane, prima che un giudice riesca a pronunciarsi su un eventuale ricorso.

 

“I cannoni di Equitalia sono puntati su 80 mila aziende e partite Iva: credo che molto presto la rabbia esploderà con forza perché la situazione è insostenibile e già sette persone si sono impiccate per la vergogna di assistere alla distruzione di quel piccolo benessere che avevano ereditato dai padri e dai nonni”, spiega Gavino Sale, presidente di Indipendèntzia Repùbrica de Sardigna. “E la minaccia va oltre il rischio dei singoli. Ci sono vicende bancarie molto oscure e migliaia di ettari che fanno gola agli speculatori: proprietà anche sulla costa che possono essere comprate a 1 e rivendute a 10 o 20”.

 

“La Sardegna possiede un patrimonio straordinario non solo in termini di bellezza ma anche di potenzialità economiche legate al cibo di eccellenza, alla qualità dell’artigianato, all’espansione di un turismo soft”, osserva il presidente onorario del Fai Giulia Maria Mozzoni Crespi. “Non si può utilizzare la vicenda dei debiti per far saltare gli equilibri sociali e ambientali dell’intera isola”.

(16 ottobre 2011)

ACCADE ALLA MADDALENA DI CHIOMONTE

luglio 2011. Una madre di due figli attivista del movimento non violento NO TAV spiega alle forze dell’ordine che hanno militarizzato la valle di Susa le ragioni della protesta.

http://www.youtube.com/watch?v=kjB2QEcp0dU&feature=player_embedded

 

 

CAUTILLO. IL MARESCIALLO DEI CARABINIERI PERSEGUITATO DALLO STATO OMERTOSO

LO STATO COMPLICE OMERTOSO

Vi abbiamo già parlato di quello che é ormai un giallo italiano: il caso del Maresciallo dei Carabinieri Antonio Cautillo e dell’’insolita situazione che lo vede di continuo “inquisito”.

Vicenda che definimmo “imbarazzante” che si trascina da 3 legislature, di cui si sono occupati ben 14 parlamentari di Camera e Senato, oltre dieci anni tra procedimenti di vario tipo, in cui il Maresciallo ha superato numerosi processi nei Tribunali nonché una sequela di procedimenti disciplinari “a pioggia” come li definisce il suo legale, una cinquantina circa, con stima per difetto, discriminazioni, minacce di destituzione dall’Istituzione, una serie di repentini trasferimenti d’autorità) tutti fatti che se da un lato lo hanno sempre visto dalla parte della ragione lo hanno anche notevolmente prostrato.

Cifre da guiness dei primati quelle del Maresciallo: mai nessun militare aveva resistito tanto; tra i ben 10 ricorsi al TAR Sardegna, tramite l’Avv. Prof. Gian Luigi Falchi, Preside dalla P.U.L., balza agli occhi uno “contro il Ministero della Difesa in persona del Ministro per l’annullamento della sanzione disciplinare di Corpo di un giorno di consegna”, secondo quanto dichiara il legale del M.llo la punizione gli è stata inflitta per aver portato a conoscenza della Presidenza della Repubblica un esposto querela, concernente la propria situazione personale pertinente il rapporto di pubblico impiego nell’ambito dell’Arma dei carabinieri, caratterizzata da atteggiamenti chiaramente persecutori, ed oggetto di interrogazioni parlamentari e anche pertinenti diversi processi penali, contro di lui intentati e conclusisi tutti con la di lui assoluzione con formula piena.

Punizione per cui lo stesso Maresciallo aveva chiesto di conferire con il superiore Comandante Generale dell’Arma ed il Ministro della Difesa con ben due istanze (rimaste senza esito) allo scopo di sollecitare dalla Autorità ex legge preposta in sede giustiziale l’annullamento del procedimento disciplinare  in sede di autotutela ma ottenne: il silenzio.

Da guiness dei primati le assoluzioni a seguito del “diluvio” di incriminazioni penali “ammucchiate” nei confronti del Maresciallo dal 1997 ai giorni nostri che sarebbe davvero lungo anche solo elencare in forma analitica: 13 anni di inferno.

Tra tutti i precedenti penali risoltisi a totale favore del Maresciallo “spicca”, se così si può dire, una denuncia penale (10.6.02) del Gen. Gasparri nei suoi confronti per cui é stato incriminato per “diffamazione aggravata” (p.p. 0576/02 Procura Militare) ed assolto il 4.2.03, sentenza n. 13/03 “perché il fatto non sussiste”.

Generale che gli ha anche inflitto una sanzione disciplinare di “10 giorni di consegna di rigore” che il Maresciallo ha, nel lontano 2002, impugnato con ricorso giurisdizionale nanti il TAR, tuttora pendente.

Il Generale Gasparri é fratello del più noto Onorevole Maurizio Gasparri, capogruppo dei Senatori del Popolo delle Libertà, in quota ex AN, come l’attuale Ministro della Difesa Ignazio La Russa.

Promana ora da tutti i partiti, indipendentemente dalle singole e diverse ideologie ed appartenenze, una richiesta di far luce sulla vicenda mediante “l’avvio di una indagine interna al fine di accertare le motivazioni e responsabilità dei fatti in premessa,” nonché dall’interessato 18 istanze di verità e giustizia “per difendere la dignità professionale e il proprio lavoro” al Ministro della Difesa: il silenzio.

Antonio Cautillo, uomo delle Istituzioni, di certificata onestà e rettitudine morale, correttamente, ripone fiducia nelle medesime e stigmatizza “chi fa ogni giorno a caro prezzo il proprio dovere ed ha senso dello Stato confida nelle Istituzioni di garanzia poste a tutela del cittadino onesto da cui deve poter avere risposte”.

Di seguito aggiornamenti sull’attualità di un onesto servitore dello Stato che lo Stato deve difendere.

Ecco cari amici e lettori; una volta letto questo post molto formale che racchiude in un brevissimo sunto la travagliata storia del M.llo Cautillo, mi auguro di aver fatto riflettere, di aver colpito il cuore e, prima di tutto ciò, mettervi nella condizione di dire “Potrebbe capitare a chiunque. E’ un onesto lavoratore e come tale deve essere aiutato”

Il mio modesto ed umile aiuto si sta rivelando importante, ma solo grazie al vostro appoggio ed aiuto possiamo fare sempre più “grossa” questa voce.

Antonio ha sete di giustizia ed in quanto figlio della stessa bandiera e quindi nostro fratello, merita tutta la nostra solidarietà ed aiuto.

http://informarexresistere.fr/il-silenzio-complice-dello-stato-italiano.html

http://christianfiore.wordpress.com/2010/07/27/l%E2%80%99ingiustizia-italiana-antonio-cautillo-silenzio-di-stato/

MORIRE DI T.S.O.: NON DEVE ACCADERE PIU' A NESSUNO!

CAGLIARI. COME UN ONESTO AMBULANTE POSSA VENIRE CONDANNATO A MORIRE DI MALAGIUSTIZIA E MALASANITA’ PER DIFENDERE IL PROPRIO LAVORO.

Era il 15 giugno 2006 quando Giuseppe Casu fu ricoverato contro la sua volontà presso il reparto psichiatrico dell’ospedale Santissima Trinità di Cagliari dove morì legato al proprio letto di contenzione 7 giorni dopo.

Dopo oltre 4 anni di menzogne e spudorate falsità smontate una per una dal pm Giangiacomo Pilia e dai periti nominati dal giudice Simone Nespoli, l’iter processuale è finalmente approdato al rinvio a giudizio dei sanitari.

Ma vediamo con ordine i fatti.

“Se ne va anche l’ultimo ambulante”, titolava l’articolo apparso su “L’Unione Sarda” il 16 giugno 2006, il giorno dopo il trasferimento coatto di Giuseppe Casu all’ospedale Santissima Trinità (chiamato anche “Is Mirrionis”).

La giunta regionale, all’epoca, aveva intrapreso una vera e propria battaglia contro gli ambulanti, non risparmiando multe da capogiro.

Al signor Casu ne erano state comminate due da 5mila euro ognuna a 24 ore di distanza, motivo che gli avrebbe fatto perdere le staffe e che avrebbe spinto i Carabinieri ad eseguire il trattamento sanitario obbligatorio (TSO), ovvero il ricovero coatto presso l’ospedale cagliaritano. 

In passato il signor Casu aveva subito dei ricoveri per esaurimento nervoso, ma mai nessuno forzato.

Il 22 giugno la morte di Casu, legato disumanamente senza alcuna ragione al proprio letto di contenzione.

L’autopsia eseguita presso il nosocomio “Is Mirrionis” ed effettuata dall’anatomopatologo Antonio Maccioni stabilisce che la causa del decesso dell’allora 60enne fu un’embolia polmonare.

La procura di Cagliari apre un’inchiesta e la morte del signor Casu si tinge subito di mistero.

Il giudice monocratico Simone Nespoli dispone il sequestro dei reperti anatomici, oltre a quello delle cartelle mediche.

Sono proprio gli organi a destare qualche sospetto: non sarebbero quelli del signor Casu ma apparterrebbero ad un uomo realmente morto di embolia polmonare.

L’ospedale Santissima Trinità viene così investito dalla bufera. Il primario del reparto di psichiatria, dottor Giampaolo Turri, viene sospeso dall’ASL 8 di Cagliari mentre il medico curante Maria Rosaria Cantone si dimette immediatamente. Turri verrà poi reintegrato e l’ASL 8 annuncia che vi sono stati errori dei medici ma che non vi saranno punizioni. Resta da chiarire la posizione del primario di anatomia dottor Antonio Maccioni soprattutto riguardo allo scambio degli organi del signor Casu e in merito ai risultati della perizia contestati dalla pubblica accusa e dai periti di parte, in netta contrapposizione con la linea adottata dai legali di Maccioni e dei relativi periti.
Lo scorso 29 settembre si è arrivati alla prima resa dei conti: i periti super-partes Rita Celli, Elda Feyles e Guglielmo Occhionero, nominati dal giudice Simone Nespoli, smentiscono la difesa e danno ragione alle tesi esposte dal pm Gian Giacomo Pilia. Non fu un’embolia polmonare a causare il decesso di Giuseppe Casu, come sostenuto dal primario Turri, dalla dottoressa Cantone e dall’anatomopatologo Maccioni e come suggeriva l’autopsia che, come dimostrato dall’accusa, era quella di un altro uomo.

Il decesso del signor Casu è stato provocato da “una contenzione troppo prolungata e da un evento cardiaco acuto, prevedibile e prevenibile”, come si legge dalla relazione di 55 pagine. Nel resoconto peritale vengono mosse critiche alla fase diagnostica e all’assistenza fornita al signor Casu.
Le conclusioni degli esperti sono lapidarie: “nel caso del paziente Casu non ricorre quasi mai il requisito del pericolo di vita che avrebbe motivato una contenzione. Delirava e dunque al più avrebbe delirato con maggiore intensità. E non risulta in letteratura che mai nessuno sia morto per delirio o allucinazioni”. 
I periti parlano senza mezzi termini di sequestro di persona e lo fanno sotto un profilo strettamente giuridico. Affrontando la questione della contenzione fisica hanno escluso che Casu sia stato ucciso da una trombo-embolia polmonare legata alla lunga immobilità, come invece avevano diagnosticato i medici del Santissima Trinità subito dopo l’improvvisa morte dell’ambulante. I periti Elda Feyles, specialista in anatomia e istologia patologica, Guglielmo Occhionero, psichiatra, e Rita Celli, medico legale, hanno innanzitutto individuato le norme: gli articoli 13 e 32 della Costituzione sulla inviolabilità della libertà personale e sul consenso all’atto terapeutico, il codice deontologico di medici e infermieri sulla contenzione fisica e farmacologica come evento straordinario e motivato, il codice penale: se c’è uno stato di necessità la misura di contenzione, sempre proporzionale al pericolo attuale di un danno grave non altrimenti evitabile, non solo può ma deve essere applicata se non si vuole incorrere nel reato di abbandono di incapace. I periti sono sicuri: «La contenzione fisica è ammessa solo allo scopo di tutelare la vita o la salute della persona… qualora la contenzione fosse sostenuta da motivazioni di carattere disciplinare o per sopperire a carenze organizzative o per convenienza del personale sanitario si possono configurare i reati di sequestro di persona, violenza privata, maltrattamenti».

Non solo, i periti negano che la contenzione a letto sia da considerare un trattamento sanitario vero e proprio: «In generale, per prestare le prime cure il medico deve intervenire e vincere la resistenza solo se il paziente si trova in vero pericolo di vita. Nei casi psichiatrici quel pericolo non c’è quasi mai perché raramente esiste un pericolo di vita rispetto a una malattia mentale. Non risulta che mai nessuno sia morto di allucinazioni o delirio». I periti valutano dunque «eccessivo» legare a letto un paziente anche se per impedirgli il suicidio o costringerlo a curarsi. Di lì la conclusione: «La diretta coercizione non è fra le prestazioni richiedibili allo psichiatra. E visto che l’organigramma del nuovo assetto della psichiatria non prevede figure di personale di custodia (come prima della legge Basaglia che ha chiuso i manicomi), essendo venuta meno tale esigenza che caratterizzava la vecchia normativa manicomiale, il ricorso all’uso della forza fisica è esterno al rapporto terapeutico».

Lo scorso 11 ottobre vi è stata un’udienza durante la quale i periti super-partes e quelli dell’accusa hanno confermato quanto ribadito il 29 settembre e restano dunque in piedi i rinvii a giudizio a carico del dottor Turri e della dottoressa Cantone, che dovranno rispondere di omicidio colposo il prossimo 29 novembre.

Il procedimento bis, invece, riguarda l’operato del dottor Maccioni accusato di avere collaborato a coprire gli errori di Turri, occultando e sostituendo i reperti anatomici di Giuseppe Casu. Il signor Casu non morì per via di un’embolia polmonare ma a causa di un’evento cardiaco, accentuato dai farmaci somministrati e dalla contenzione. Una morte evitabile.

La famiglia Casu è stata supportata, durante questi quattro anni, da associazioni e comitati che hanno fornito aiuto psicologico ed economico. La figlia Natascia dal canto suo ha fatto di tutto per tenere viva la memoria di suo padre e, tramite il blog www.veritaxmiopadre.blogspot.com, informa i propri lettori su quanto è accaduto e quanto sta accadendo.

L’Azienda Sanitaria Locale se ne lava le mani e afferma che il dottor Turri è andato in pensione alla fine del 2009.

L’ospedale non rilascia dichiarazioni giacché vi sarebbe in corso un procedimento.

Natascia Casu, la combattiva sorella, ha invece rilasciato un’intervista al Tgcom, che pubblichiamo integralmente.

 “Finalmente c’è giustizia”

Natascia Casu non si è mai arresa, davanti alle difficoltà all’apparenza insormontabili e commenta a Tgcom il rinvio a giudizio di Giampaolo Turri, primario del reparto di psichiatria dell’ospedale cagliaritano Santissima Trinità e della dottoressa Maria Cantone che aveva in cura suo padre. “Non deve più accadere a nessuno”, è il messaggio che la famiglia Casu vuole arrivi a tutti gli italiani.

Natascia, ci vuole raccontare quali speranze ha acceso questa nuova e per certi versi inattesa decisione?
Più che accendere riesce a tenere viva la nostra solita speranza di capire perchè mio padre è morto.

Un ricovero coatto che non aveva modo di esistere, una contenzione disumana, interrogazioni parlamentari rimaste senza risposta… Come ha fatto a non perdere la forza di continuare?
C’è una forza che si chiama amore, per un padre, per un uomo,  per la voglia di conoscere la verità, per il senso di giustizia, per la speranza che non capiti più a nessuno. E un trattamento inumano perché non mi stancherò mai di dire che per me legare una persona, per così tanto tempo poi, è solo tortura.
Chi era suo padre?
Semplicemente un uomo, con luci e ombre di tanti uomini. Ma non è importante chi fosse, importa il trattamento che ha subito un uomo al posto del quale poteva esserci chiunque.
Manca ancora un tassello importante: qualcuno ha cercato di imbrogliare le carte facendo scomparire e poi miracolosamente riapparire la cartella clinica di suo padre, cercando di fare sparire anche il materiale autoptico… Questo iter processuale a che punto è?
Umanamente è impossibile che gli autori di questi reati la passino franca. Per quanto riguarda il “mistero” della cartella clinica diciamo che semplicemente ne ho appreso i fatti dai giornali, poi, dopo breve, hanno spiegato che non si era trovata subito. Appena ritrovata è stata subito consegnata al tribunale. Per quanto riguarda l’inchiesta bis è entrata nel vivo da poco. Fino ad ora si stanno discutendo le perizie dei tecnici informatici già consegnati al tribunale. Quelle dei periti del pm, e quelli dei periti di parte della difesa. Questo perchè il pm aveva disposto il sequestro del computer centrale del reparto di anatomia patologica. Posso dire che aver saputo della sparizione e sostituzione delle parti anatomiche con quelle di un altro uomo, è stato come sentirlo morire due volte.
Il movimento che l’ha affiancata, le persone che sono state vicine a lei e alla sua famiglia, in questo caso, danno un esempio all’Italia intera: “l’unione fa la forza” è un motto antico ma sempre valido. 
Esatto! Si possono avere tutti i più buoni propositi di volontà, di combattività, di consapevolezza di avere dei diritti per il quale lottare ma da soli non si va da nessuna parte. E questo sia dal punto di vista morale, che da quello concretamente pratico materiale. E a questo proposito colgo l’occasione per ringraziare anche quanti, fuori dal comitato, continuano a sostenerci economicamente…un grazie di vero cuore.
Quale idea si è fatta di tutta questa storia? Cosa pensa in merito agli intrecci che sono emersi?
Con molta onestà, quando morì mio padre, non pensavo potessero esistere, prima, durante e dopo anche altre simili, se non anche peggiori storie di morti assurde. E’ tutto tremendamente reale anche se mi è sembrato come trovarmi d’improvviso, da spettatore di un giallo, a esserne, mio malgrado, protagonista e, come ho detto prima, per quanto riguarda i vari avvicendamenti, è stato come se mio padre fosse morto due volte…
Sinceramente mi fa spavento pensare che certe cose, possano anche solo lontanamente accadere realmente e non solo nei film.

di Giuditta Mosca

 

ORISTANO. MOBBING NELL'ARMA DEI CARABINIERI

L’ODISSEA del maresciallo dei carabinieri Antonio Cautillo. 

Una vicenda che si trascina da 3 legislature in cui sono state presentate ben 6 interrogazioni parlamentari “a risposta scritta” al Ministro della Difesa con richiesta di far luce sulla vicenda mediante “l’avvio di una indagine interna al fine di accertare motivazioni e responsabilità”. Nell’inerzia delle istituzioni sono state sporte una serie di querele allo stato senza esiti.

di Christian Fiore

Con questo post vorrei spostare l’attenzione verso l’Arma dei Carabinieri. Il “protagonista” di questa triste ed imbarazzante storia è il Maresciallo dei Carabinieri Antonio Cautillo. Questa volta si parla di mobbing tra colleghi (se così si possono chiamare) delle Forze dell’Ordine.
Il Maresciallo, in servizio a San Giusto (Oristano), racconta che i problemi iniziarono già nel 1990; Una serie di piccole umiliazioni, le divergenze di opinione o conflitti personali occasionali o questioni riguardanti il servizio lo portarono ad essere emarginato sino ad arrivare al boicottaggio o ad azioni illecite.

Per dirla chiara – afferma il Maresciallo – gli impedivano di svolgere il suo lavoro, almeno secondo quanto lui sostiene. E glielo impedivano, i superiori, con tutte quelle piccole vessazioni che vanno a nozze con un sistema particolarmente formale e burocratizzato come quello della forze dell’ordine, dove se sbagli mezza virgola in un verbale, sei rovinato.”

Emarginato dall’arma senza una spiegazione.
Il Maresciallo, molto provato dalla situazione e dalla risposta (pari a zero) di quello Stato che ha sempre servito con molta dedizione, stigmatizza così : “Che strano Paese: un generale dei cc viene condannato a 14 anni per reati da criminalità organizzata (ed in 10 anni di processi ha continuato tranquillamente a dirigere il ROS di tutt’Italia, comandare i poveri CC), il CGA si é già pronunciato riconfermandogli la fiducia (notizia TG3 di qualche giorno fa), ed uno di certificata onestà e rettitudine morale, si rivolge alle Istituzioni ma non ottiene nemmeno riposte. In un Paese rovesciato come questo in cui viviamo, pare che l’onestà stia diventando un disvalore”.

Facciamo una sorta di riepilogo:

  •  per 7 volte é stato ingiustamente chiamato in aula, sempre mandato assolto, sempre é riuscito a dimostrare l’estraneità alle accuse mossegli.
  • Sono stati chiesti chiarimenti al Ministro della Difesa Ignazio La Russa, con ben 6 interrogazioni parlamentari “a risposta scritta”, sia alla Camera che al Senato ma tutte, ad oggi, sono rimaste senza risposta.

Interrogazioni che hanno tutte per oggetto la “discriminazione sul posto di lavoro” che dal 1997 ad oggi sono state fatte ad Antonio.

  • una richiesta di risarcimento danni per discriminazioni sul lavoro pari a 1.200.000 euro, inviata direttamente al Ministero della Difesa.
  • ha presentato n.18 istanze per conferire col Ministro della Difesa, allo scopo di ottenere il riesame in autotutela delle illegittime discriminazioni (punizioni, trasferimenti d’autorità, denunce penali, dall’esito favorevole)in difesa della sua dignità professionale ed il proprio posto di lavoro, ma tutte, ad oggi, sono rimaste senza risposta;
  •  Date le mancate risposte tanto attese e considerato il prolungarsi del “mobbing”, si é rivolto alla competente A.G., con il deposito di 17 querele.
 Secondo quanto riportato dalle diverse interrogazioni al Maresciallo Cautillo gli sarebbe stato impedito di svolgere le mansioni inerenti il proprio grado e formazione rendendo “estremamente difficile la condizione di rapporto lavorativo”.
Da qui i numerosi provvedimenti disciplinari. Molte le punizioni: una di queste è dovuta al fatto di essersi rivolto al Presidente della Repubblica, poi trasferimento d’autorità, minacce di destituzione permanente dall’Istituzione ed infine una settima denuncia per disobbedienza al Tribunale Militare.
Di seguito amici, un intervista che chiarisce meglio i punti chiave della vicenda (fonte: radio radicale).

http://www.radioradicale.it/scheda/305472/cittadini-in-divisa

Tutti gli interroganti pongono infine la stessa domanda, quali siano i motivi per i quali il Ministro della Difesa non abbia ancora deciso di RISPONDERE al maresciallo che gli chiede verità e giustizia per 18 volte (con istanze scritte, sottoscritte e protocollate in caserme dei CC) e se questo non sia in qualche modo addebitabile alle convinzioni politiche dello stesso.
Dal canto suo Cautillo fa appello all’articolo 14 per la salvaguardia dei diritti dell’uomo che garantisce “il godimento dei diritti e libertà riconosciuti deve essere assicurato senza distinzione (..) di opinione politica” e alla legge n. 382 ( 11.7.1978) “Norme di Principio sulla Disciplina Militare”, art. 17 dove si legge: “Nei confronti di militari (..) Sono vietate le discriminazioni per motivi politici o ideologici”.

Ideologie politiche a parte (indipendentemente dalla fazione alla quale “appartenete”), credo che, come minimo, meriti una risposta.

Fatto ciò, mi rendo disponibile per l’eventuale possibilità di pubblicare aggiornamenti in merito alla storia del Maresciallo dei Carabinieri Antonio Cautillo.

 

 

  

 

 
 

 

 

(da Articolo21) 6 interrogazioni parlamentari ( 4 nell’arco di quest’anno), 16 istanze per conferire con il Ministro della difesa, un appello al Capo dello Stato, una richiesta di risarcimento danni per discriminazioni sul lavoro pari a 1.200.000 euro, inviata direttamente al Ministero della difesa. Questi sono i dati “numerici” che correlano la vicenda del maresciallo dei Carabinieri Antonio Cautillo, in servizio presso la stazione di Santa Giusta, Oristano.

Tutte le interrogazioni hanno per oggetto la “discriminazione sul posto di lavoro” che il Maresciallo Cautillo avrebbe subito dal 1997 fino adesso. Secondo quanto riportato dalle diverse interrogazioni al maresciallo sarebbe stato impedito di svolgere le mansioni inerenti il proprio grado e formazione rendendo “estremamente difficile la condizione di rapporto lavorativo”. Il maresciallo è stato infatti sottoposto anche a numerosi provvedimenti disciplinari, unitamente a “varie punizioni, una per essersi rivolto al Presidente della Repubblica, trasferimento d’autorità, minacce di destituzione permanente dall’Istituzione, una settima denuncia per disobbedienza al Tribunale Militare”.

Nel corso degli anni, inoltre, e sempre all’interno del contesto lavorativo, ha subito numerose denunce con conseguenti processi presso la Procura militare dai quali risulta essere stato sempre assolto per insussistenza dei fatti addebitatigli.

Questo quanto si legge nelle diverse interrogazioni, che, nel corso di quest’anno non hanno ricevuto risposta alcuna, come non ha trovato risposta la richiesta di conferire avanzata al Ministro della difesa, come stabilito e garantito dall’articolo 39 del regolamento di disciplina militare, nel rispetto di quanto stabilito dal decreto ministeriale n. 603 del 1993.

Tutti gli interroganti pongono infine la stessa domanda, quali siano i motivi per i quali il Ministro della Difesa non abbia ancora deciso di incontrare il maresciallo, per cosentirgli così l’esposizione diretta dei fatti e se questo non sia in qualche modo addebitabile alle convinzioni politiche dello stesso.
Dal canto suo Cautillo fa appello all’articolo 14 per la salvaguardia dei diritti dell’uomo che garantisce “il godimento dei diritti e libertà riconosciuti deve essere assicurato senza distinzione (..) di opinione politica” e alla legge n. 382 ( 11.7.1978) “Norme di Principio sulla Disciplina Militare”, art. 17 dove si legge: “Nei confronti di militari (..) Sono vietate le discriminazioni per motivi politici o ideologici”.

Le 4 interrogazioni parlamentari sono disponibili sul sito www.ficiesse.it

http://stopthecensure.blogspot.com/2010/08/mobbing-il-caso-del-maresciallo.html

http://christianfiore.wordpress.com/2010/08/24/antonio-cautillo-inerzia-istituzionale/

 

IN MEMORIA DI VALERY MELIS, VITTIMA DI UNA AMBIGUA MISSIONE DI PACE, A BASE DI "URANIO IMPOVERITO"….

IN MEMORIA DI VALERY MELIS, VITTIMA DI UNA AMBIGUA MISSIONE DI PACE, A BASE DI “URANIO IMPOVERITO”….

a cura del “Comitato Genitori militari Caduti in tempi di pace”

Quando nel luglio scorso ci recammo in Sardegna per prendere contatti con i familiari dei militari deceduti a causa dell’uranio impoverito, non sapevamo quanto questo viaggio ci potesse coinvolgere, portando alla luce una serie di storie di pura follia e disumana indifferenza da parte dello Stato e delle Istituzioni.

Abbiamo compreso che non eravamo i soli genitori ad essere le uniche “vittime sacrificali” dei soliti trucchi, bugie e ipocrisie, con cui di norma vengono ripagati i parenti dei giovani militari, che hanno dimostrato lealtà, fiducia e amore verso il Paese, tanto da offrire la loro stessa vita. Il giorno del nostro “l’Unione Sarda” pubblica la morte di Fabio Porru, giovane cagliaritano di 29 anni, caporalmaggiore della Brigata Sassari, ucciso dalla leucemia dopo tre anni di malattia “guadagnata sul campo” dopo una delle tante “missioni di pace” in Bosnia.

Nella stessa pagina viene pubblicata la lettera del Tenente Cristiano Pireddu, il quale attraverso il giornale invia una lettera aperta al Capo dello Stato, Ciampi, dall’emblematico titolo “lo Stato ha dimenticato Valery”. Ed è così che poco dopo con vivo sgomento apprendiamo che il Ten. Pireddu è stato sospeso con effetto immediato dal servizio e dallo stipendio…!

Incontrammo i genitori del soldato Salvatore Vacca di Nuxsis, morto a causa della leucemia, pure guadagnata nei Balcani in “missione di pace”. Incontrammo anche il fratello del soldato Giuseppe Pintus di Assemini, anch’egli deceduto di ritorno da altra “missione di pace” …!

Non trovammo invece il Caporalmaggiore Valery Melis di Quartu S. Elena. In quei giorni Egli era ricoverato nella nostra città di Milano, città dalla quale faceva la spola da ormai tre anni a causa di cure presso l’Istituto Oncologico Europeo, affetto da “linfoma di Hodgkin”. Malattia di guerra contratta a causa delle due missioni di pace nei Balcani (in Kosovo e Macedonia), ove i nostri alleati americani hanno sganciato le famigerate bombe all’uranio impoverito dagli effetti micidiali e di cui l’Esercito Italiano si è sempre ben guardato dal rivelare la nocività, anzi facendo di tutto per nasconderne i reali pericoli, condannando a morte (in tempi di pace) i nostri poveri figli.

Per quattro anni, fino alla morte Valery è stato abbandonato dallo Stato, il quale si è limitato a risarcire solo il 40% delle spesi di viaggi e soggiorni ai familiari, costretti anch’Essi a condividere la sofferenza del figlio (spese peraltro recuperate con molti mesi di ritardo e dietro defatiganti procedure).

La Sua famiglia è stata lasciata nelle maglie della burocrazia e della indifferenza. I genitori hanno dovuto vagare da un ospedale all’altro (Cagliari, Napoli, Milano alla ricerca di un miracolo che non si è avverato), senza ricevere le cure che avrebbe potuto ricevere negli Stati Uniti, in quanto “non previste” dal ns. sistema sanitario.

Valery, un ragazzone di 1 metro e 83 cm, dal viso sereno e sempre sorridente, anche quando ormai privo di capelli, bruciati dalla chemioterapia e dalla debolezza che non lo sorreggevano più. A chiunque gli chiedeva come stava, rispondeva sempre con un sorriso malinconico: Bene, Bene.

A settembre un trapianto di cellule staminali estratte dalla sorella, ma ci si rende subito conto che non va bene (altri due casi eseguiti contemporaneamente su altri due pazienti si rivelano subito mortali).

Subito dopo subentra un blocco renale acuto che lo costringe a dialisi renale presso l’Ospedale Humanitas, dialisi che si effettua ogni 48 ore a mezzo di lettiga che lo trasporta da un ospedale all’altro finché non viene trasferito definitivamente. Ma il destino ormai segnato si accanisce oltremodo su di lui con una nuova complicanza: il sopraggiungere di una insufficienza respiratoria tonica e la necessità di vivere quotidianamente con la maschera d’ossigeno e febbre alta continuamente. Qui giunto, sicuramente Egli percepisce la fine ormai prossima. Vuole tornare a casa nella Sua Sardegna.

Nel silenzio assoluto delle Istituzioni, si sta consumando l’esistenza di un altro martire ed eroe. Sentiamo la mamma tutti i giorni, ci racconta del male che incalza inesorabilmente nel più assoluto silenzio.

Nasce in noi la rabbia e un estremo tentativo di scuotere l’opinione pubblica da sempre disinformata, ma soprattutto i vertici delle Istituzioni; così, parafrasando un noto film americano, tentiamo l’ultimo appello: SALVIAMO IL SOLDATO MELIS. Grazie al computer inviamo l’appello via e-mail al Capo dello Stato, al Presidente del Consiglio, al Ministro della Difesa e al Ministro della Salute e fornendo gli indirizzi di posta elettronica lo inviamo a quante più persone conosciamo, con preghiera di inviarli a quante più persone, amici, parenti o solo conoscenti che a loro volta li inviano ad altri.

Il Cagliari Calcio e tutti i suoi giocatori che da sempre gli sono stati vicino giocano una partita indossando una maglietta con scritto a caratteri cubitali: VALERY MELIS, VOI l’avete dimenticato! NOI NO !!!

Valery Melis ci ha lasciati la sera di mercoledì 4 febbraio 2004, alle 22,30, attorniato come sempre dai soli genitori, dal fratello e dalla sorella. Solo quattro ore prima forse disturbati da una valanga di e-mail da Roma arriva via telefono l’offerta di un aereo militare pronto a trasportarlo ovunque i familiari desiderano. Ironia della sorte dopo tanto silenzio il tentativo di mettersi a posto le coscienze.

Anna Cremona e Angelo Garro

 

Sardegna

 

Prima di accingerVi a leggere i vari casi, pensate che si tratta di storie vere, per cui molti uomini sono morti e tante famiglie sono state distrutte dal dolore, senza ricevere alcuna tutela, da parte delle varie Autorità a cui fiduciosamente si erano rivolte. Pensate che non si tratta di casi isolati e non crediate che ciò che è capitato agli altri non possa, prima o poi, capitare, anche, a Voi od, a qualche stretto congiunto. Sarebbe il più grave errore che potreste commettere, dal quale genera l’indifferenza verso i mali della giustizia e su cui si fonda il dominio del male e della menzogna sulla Verità.