MORIRE DI T.S.O.: NON DEVE ACCADERE PIU' A NESSUNO!

CAGLIARI. COME UN ONESTO AMBULANTE POSSA VENIRE CONDANNATO A MORIRE DI MALAGIUSTIZIA E MALASANITA’ PER DIFENDERE IL PROPRIO LAVORO.

Era il 15 giugno 2006 quando Giuseppe Casu fu ricoverato contro la sua volontà presso il reparto psichiatrico dell’ospedale Santissima Trinità di Cagliari dove morì legato al proprio letto di contenzione 7 giorni dopo.

Dopo oltre 4 anni di menzogne e spudorate falsità smontate una per una dal pm Giangiacomo Pilia e dai periti nominati dal giudice Simone Nespoli, l’iter processuale è finalmente approdato al rinvio a giudizio dei sanitari.

Ma vediamo con ordine i fatti.

“Se ne va anche l’ultimo ambulante”, titolava l’articolo apparso su “L’Unione Sarda” il 16 giugno 2006, il giorno dopo il trasferimento coatto di Giuseppe Casu all’ospedale Santissima Trinità (chiamato anche “Is Mirrionis”).

La giunta regionale, all’epoca, aveva intrapreso una vera e propria battaglia contro gli ambulanti, non risparmiando multe da capogiro.

Al signor Casu ne erano state comminate due da 5mila euro ognuna a 24 ore di distanza, motivo che gli avrebbe fatto perdere le staffe e che avrebbe spinto i Carabinieri ad eseguire il trattamento sanitario obbligatorio (TSO), ovvero il ricovero coatto presso l’ospedale cagliaritano. 

In passato il signor Casu aveva subito dei ricoveri per esaurimento nervoso, ma mai nessuno forzato.

Il 22 giugno la morte di Casu, legato disumanamente senza alcuna ragione al proprio letto di contenzione.

L’autopsia eseguita presso il nosocomio “Is Mirrionis” ed effettuata dall’anatomopatologo Antonio Maccioni stabilisce che la causa del decesso dell’allora 60enne fu un’embolia polmonare.

La procura di Cagliari apre un’inchiesta e la morte del signor Casu si tinge subito di mistero.

Il giudice monocratico Simone Nespoli dispone il sequestro dei reperti anatomici, oltre a quello delle cartelle mediche.

Sono proprio gli organi a destare qualche sospetto: non sarebbero quelli del signor Casu ma apparterrebbero ad un uomo realmente morto di embolia polmonare.

L’ospedale Santissima Trinità viene così investito dalla bufera. Il primario del reparto di psichiatria, dottor Giampaolo Turri, viene sospeso dall’ASL 8 di Cagliari mentre il medico curante Maria Rosaria Cantone si dimette immediatamente. Turri verrà poi reintegrato e l’ASL 8 annuncia che vi sono stati errori dei medici ma che non vi saranno punizioni. Resta da chiarire la posizione del primario di anatomia dottor Antonio Maccioni soprattutto riguardo allo scambio degli organi del signor Casu e in merito ai risultati della perizia contestati dalla pubblica accusa e dai periti di parte, in netta contrapposizione con la linea adottata dai legali di Maccioni e dei relativi periti.
Lo scorso 29 settembre si è arrivati alla prima resa dei conti: i periti super-partes Rita Celli, Elda Feyles e Guglielmo Occhionero, nominati dal giudice Simone Nespoli, smentiscono la difesa e danno ragione alle tesi esposte dal pm Gian Giacomo Pilia. Non fu un’embolia polmonare a causare il decesso di Giuseppe Casu, come sostenuto dal primario Turri, dalla dottoressa Cantone e dall’anatomopatologo Maccioni e come suggeriva l’autopsia che, come dimostrato dall’accusa, era quella di un altro uomo.

Il decesso del signor Casu è stato provocato da “una contenzione troppo prolungata e da un evento cardiaco acuto, prevedibile e prevenibile”, come si legge dalla relazione di 55 pagine. Nel resoconto peritale vengono mosse critiche alla fase diagnostica e all’assistenza fornita al signor Casu.
Le conclusioni degli esperti sono lapidarie: “nel caso del paziente Casu non ricorre quasi mai il requisito del pericolo di vita che avrebbe motivato una contenzione. Delirava e dunque al più avrebbe delirato con maggiore intensità. E non risulta in letteratura che mai nessuno sia morto per delirio o allucinazioni”. 
I periti parlano senza mezzi termini di sequestro di persona e lo fanno sotto un profilo strettamente giuridico. Affrontando la questione della contenzione fisica hanno escluso che Casu sia stato ucciso da una trombo-embolia polmonare legata alla lunga immobilità, come invece avevano diagnosticato i medici del Santissima Trinità subito dopo l’improvvisa morte dell’ambulante. I periti Elda Feyles, specialista in anatomia e istologia patologica, Guglielmo Occhionero, psichiatra, e Rita Celli, medico legale, hanno innanzitutto individuato le norme: gli articoli 13 e 32 della Costituzione sulla inviolabilità della libertà personale e sul consenso all’atto terapeutico, il codice deontologico di medici e infermieri sulla contenzione fisica e farmacologica come evento straordinario e motivato, il codice penale: se c’è uno stato di necessità la misura di contenzione, sempre proporzionale al pericolo attuale di un danno grave non altrimenti evitabile, non solo può ma deve essere applicata se non si vuole incorrere nel reato di abbandono di incapace. I periti sono sicuri: «La contenzione fisica è ammessa solo allo scopo di tutelare la vita o la salute della persona… qualora la contenzione fosse sostenuta da motivazioni di carattere disciplinare o per sopperire a carenze organizzative o per convenienza del personale sanitario si possono configurare i reati di sequestro di persona, violenza privata, maltrattamenti».

Non solo, i periti negano che la contenzione a letto sia da considerare un trattamento sanitario vero e proprio: «In generale, per prestare le prime cure il medico deve intervenire e vincere la resistenza solo se il paziente si trova in vero pericolo di vita. Nei casi psichiatrici quel pericolo non c’è quasi mai perché raramente esiste un pericolo di vita rispetto a una malattia mentale. Non risulta che mai nessuno sia morto di allucinazioni o delirio». I periti valutano dunque «eccessivo» legare a letto un paziente anche se per impedirgli il suicidio o costringerlo a curarsi. Di lì la conclusione: «La diretta coercizione non è fra le prestazioni richiedibili allo psichiatra. E visto che l’organigramma del nuovo assetto della psichiatria non prevede figure di personale di custodia (come prima della legge Basaglia che ha chiuso i manicomi), essendo venuta meno tale esigenza che caratterizzava la vecchia normativa manicomiale, il ricorso all’uso della forza fisica è esterno al rapporto terapeutico».

Lo scorso 11 ottobre vi è stata un’udienza durante la quale i periti super-partes e quelli dell’accusa hanno confermato quanto ribadito il 29 settembre e restano dunque in piedi i rinvii a giudizio a carico del dottor Turri e della dottoressa Cantone, che dovranno rispondere di omicidio colposo il prossimo 29 novembre.

Il procedimento bis, invece, riguarda l’operato del dottor Maccioni accusato di avere collaborato a coprire gli errori di Turri, occultando e sostituendo i reperti anatomici di Giuseppe Casu. Il signor Casu non morì per via di un’embolia polmonare ma a causa di un’evento cardiaco, accentuato dai farmaci somministrati e dalla contenzione. Una morte evitabile.

La famiglia Casu è stata supportata, durante questi quattro anni, da associazioni e comitati che hanno fornito aiuto psicologico ed economico. La figlia Natascia dal canto suo ha fatto di tutto per tenere viva la memoria di suo padre e, tramite il blog www.veritaxmiopadre.blogspot.com, informa i propri lettori su quanto è accaduto e quanto sta accadendo.

L’Azienda Sanitaria Locale se ne lava le mani e afferma che il dottor Turri è andato in pensione alla fine del 2009.

L’ospedale non rilascia dichiarazioni giacché vi sarebbe in corso un procedimento.

Natascia Casu, la combattiva sorella, ha invece rilasciato un’intervista al Tgcom, che pubblichiamo integralmente.

 “Finalmente c’è giustizia”

Natascia Casu non si è mai arresa, davanti alle difficoltà all’apparenza insormontabili e commenta a Tgcom il rinvio a giudizio di Giampaolo Turri, primario del reparto di psichiatria dell’ospedale cagliaritano Santissima Trinità e della dottoressa Maria Cantone che aveva in cura suo padre. “Non deve più accadere a nessuno”, è il messaggio che la famiglia Casu vuole arrivi a tutti gli italiani.

Natascia, ci vuole raccontare quali speranze ha acceso questa nuova e per certi versi inattesa decisione?
Più che accendere riesce a tenere viva la nostra solita speranza di capire perchè mio padre è morto.

Un ricovero coatto che non aveva modo di esistere, una contenzione disumana, interrogazioni parlamentari rimaste senza risposta… Come ha fatto a non perdere la forza di continuare?
C’è una forza che si chiama amore, per un padre, per un uomo,  per la voglia di conoscere la verità, per il senso di giustizia, per la speranza che non capiti più a nessuno. E un trattamento inumano perché non mi stancherò mai di dire che per me legare una persona, per così tanto tempo poi, è solo tortura.
Chi era suo padre?
Semplicemente un uomo, con luci e ombre di tanti uomini. Ma non è importante chi fosse, importa il trattamento che ha subito un uomo al posto del quale poteva esserci chiunque.
Manca ancora un tassello importante: qualcuno ha cercato di imbrogliare le carte facendo scomparire e poi miracolosamente riapparire la cartella clinica di suo padre, cercando di fare sparire anche il materiale autoptico… Questo iter processuale a che punto è?
Umanamente è impossibile che gli autori di questi reati la passino franca. Per quanto riguarda il “mistero” della cartella clinica diciamo che semplicemente ne ho appreso i fatti dai giornali, poi, dopo breve, hanno spiegato che non si era trovata subito. Appena ritrovata è stata subito consegnata al tribunale. Per quanto riguarda l’inchiesta bis è entrata nel vivo da poco. Fino ad ora si stanno discutendo le perizie dei tecnici informatici già consegnati al tribunale. Quelle dei periti del pm, e quelli dei periti di parte della difesa. Questo perchè il pm aveva disposto il sequestro del computer centrale del reparto di anatomia patologica. Posso dire che aver saputo della sparizione e sostituzione delle parti anatomiche con quelle di un altro uomo, è stato come sentirlo morire due volte.
Il movimento che l’ha affiancata, le persone che sono state vicine a lei e alla sua famiglia, in questo caso, danno un esempio all’Italia intera: “l’unione fa la forza” è un motto antico ma sempre valido. 
Esatto! Si possono avere tutti i più buoni propositi di volontà, di combattività, di consapevolezza di avere dei diritti per il quale lottare ma da soli non si va da nessuna parte. E questo sia dal punto di vista morale, che da quello concretamente pratico materiale. E a questo proposito colgo l’occasione per ringraziare anche quanti, fuori dal comitato, continuano a sostenerci economicamente…un grazie di vero cuore.
Quale idea si è fatta di tutta questa storia? Cosa pensa in merito agli intrecci che sono emersi?
Con molta onestà, quando morì mio padre, non pensavo potessero esistere, prima, durante e dopo anche altre simili, se non anche peggiori storie di morti assurde. E’ tutto tremendamente reale anche se mi è sembrato come trovarmi d’improvviso, da spettatore di un giallo, a esserne, mio malgrado, protagonista e, come ho detto prima, per quanto riguarda i vari avvicendamenti, è stato come se mio padre fosse morto due volte…
Sinceramente mi fa spavento pensare che certe cose, possano anche solo lontanamente accadere realmente e non solo nei film.

di Giuditta Mosca

 

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