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TORINO: IN MANETTE TUTTA LA FAMIGLIA DI DON SALVATORE LIGRESTI

FONSAI-ISVAP: ORDINE DI CATTURA PER DON LIGRESTI E I FIGLI. ERA ORA. FINALMENTE MAGISTRATURA ALLA RISCOSSA?
Operazione della Guardia di Finanza. Ai domiciliari l’imprenditore, in carcere Jonella e Giulia Maria, ricercato il figlio Paolo. Sette in totale le ordinanze. Pericolo di fuga alle Cayman. In manette anche alcuni ex manager del gruppo assicurativo. L’ipotesi di reato è falso in bilancio aggravato. Prelevati 14 milioni da società lussemburghesi.Fonsai, ordine di cattura per Ligresti e i tre figli. Ipotesi fuga alle Cayman
Chi ha memoria storica si ricorderà sicuramente con amarezza del vergognoso insabbiamento nel 1988 da parte della Cassazione dello scandalo delle cosiddette “aree d’oro”. Sono i tempi delle prime denunce di Robin Hood che segnala le infiltrazioni della mafia a Palazzo Marino e delle inchieste della Boccassini sulla “Duomo connection”.
La città scopre di colpo che don Salvatore, giunto dalla Sicilia con le valigie di cartone, senza capitali, era diventato in pochi anni “il re del mattone”, tra i più attivi sulla piazza. Stava costruendo le sue torri ai quattro punti cardinali della città. E così scattano i controlli dei suoi cantieri, ordinati da Francesco Dettori, allora giovane ma esperto pretore specializzato in reati urbanistici e ambientali che pone sotto sequestro 5 dei cantieri dell’imprenditore siciliano.
Don Ligresti fa ricorso. Il tribunale della libertà conferma i sigilli. Don Salvatore ricorre ancora, e la Cassazione ordina il dissequestro, escludendo il reato di lottizzazione abusiva. A questo punto il nostro chiede al pm Dettori il risarcimento di un miliardo di vecchie lire… e il C.S.M. apre un procedimento disciplinare nei confronti dell’onesto magistrato che altro non ha fatto che il suo dovere senza guardare in faccia nessuno.
Quis custodiet ipsos custodes?” Ovvero chi vigila sui vigilanti?
L’esistenza di un brocardo latino in tema di controllori che tradiscono il loro ruolo di garanti della collettività, la dice lunga e dimostra come il problema della corruzione dei vigilanti sia vecchio di tre millenni.
Chi conserva memoria delle vicende giudiziarie dell’imprenditore di Paternò e degli aggangi massonico-giudiziari sino alla Corte Europea di Strasburgo ricorderà sicuramente anche la scandalosa assoluzione da parte della Corte d’Appello di Milano, per il rogo della camera iperbarica della Clinica Galeazzi di Milano, nell’autunno 1997, in cui morirono arsi vivi 10 pazienti e un infermiere per assenza di controlli e collaudi.
Antonino Ligresti, ex titolare dell’ospedale Galeazzi, fratello di Don Salvatore, prima di venire definitivamente condannato alla mite pena di 3 anni di carcere per il rogo del 31 ottobre 1997, venne vergognosamente assolto dai medesimi giudici milanesi, dall’imputazione di omicidio colposo plurimo e omissione delle norme sulla sicurezza, rifiutando anche la costituzione di parte civile della nostra Associazione che si proponeva appunto di monitorare la regolarità dello svolgimento del processo.
Il fratello di don Salvatore (presidente onorario di Fondiaria-Sai e socio Rcs), dopo aver ceduto nel 2000 il proprio gruppo da 270 miliardi di lire di fatturato e 2 mila dipendenti in 14 cliniche lombarde, l’anno scorso è diventato azionista di maggioranza della Générale de Santé, gruppo francese quotato alla Borsa di Parigi e leader in Europa nel settore della sanità privata.
Ma ieri 16 Luglio 2013, a sorpresa, dopo decenni di impunità, la Guardia di Finanza di Torino ha finalmente eseguito sette ordinanze di custodia cautelare nei confronti di componenti della famiglia Ligresti e di alcuni manager, all’epoca dei fatti in posizioni di vertice nell’ambito di Fondiaria-Sai, come riferisce la stampa nazionale e il Fatto Quotidiano di cui riportiamo alcuni stralci.
“In carcere sono finiti Jonella e Giulia Maria, figli di Salvatore Ligresti; per quest’ultimo sono stati disposti gli arresti domiciliari a Milano. Gioacchino Paolo Ligresti, invece, non è stato arrestato e risulta allo stato “ricercato”: i finanzieri sanno che il manager si trova in Svizzera e prima di prendere ufficialmente contatti con le autorità elvetiche, attendono di sapere se l’uomo intende rientrare in Italia e consegnarsi. In manette anche Emanuele Erbetta, Fausto Marchionni, ex amministratori delegati di Fonsai, e Antonio Talarico, ex vicepresidente della società; per gli ultimi due pure sono stati disposti i domiciliari.
I provvedimenti giudiziari sono scattati per le ipotesi di reato di falso in bilancio aggravato e di manipolazione di mercato. A quanto si apprende i fatti contestati dagli investigatori riguarderebbero l’occultamento al mercato di un ‘buco’ nella riserva sinistri di circa 600 milioni di euro, la cui mancata comunicazione avrebbe provocato danni ad almeno 12mila risparmiatori.
Il danno patrimoniale che ha subito Fonsai a causa del comportamento degli indagati “è di 300 milioni di euro”, ha spiegato in conferenza stampa il procuratore aggiunto di Torino, Vittorio Nessi. “E’ una cifra – ha spiegato – che si ottiene dalla perdita di valore del titolo e dal pregiudizio per i piccoli azionisti che hanno sottoscritto primi aumenti di capitale e non sono poi stati in grado di sostenere i successivi”.
Per i componenti della famiglia Ligresti e per le altre persone arrestate questa mattina dal nucleo di polizia tributaria di Torino della Guardia di Finanza, il reato contestato è quello di false comunicazioni sociali. L’inchiesta della procura di Torino su Fonsai era stata aperta nell’estate 2012 sulla scia di quella milanese su Premafin, società del gruppo Ligresti. Avviata per l’ipotesi di falso in bilancio e ostacolo all’attività di vigilanza relativamente al quadriennio 2008-11, si era ampliata lo scorso febbraio con l’aggiunta dell’ipotesi di infedeltà patrimoniale dopo la presentazione di numerose querele da parte degli azionisti. La guardia di finanza aveva perquisito più volte le sedi del gruppo sparse sul territorio italiano e sequestrato numerosi supporti informatici con almeno 12 terabytes di materiale che è stato analizzato nel corso degli ultimi mesi. Il buco di 600 milioni si riferisce alle riserve sinistri che Fonsai aveva contabilizzato nel bilancio 2010, poi utilizzato per predisporre l’aumento di capitale del 2011.
L’ordine di cattura è stato motivato dal gip anche con il pericolo di fuga: testimoniato per i tre fratelli Ligresti dal recente prelievo di circa 14 milioni da tre società lussemburghesi che fanno loro capo. Per il giudice il pericolo è “desumibile dal possedere, ciascuno di loro, ingenti patrimoni in grado di fornire loro i mezzi necessari per lasciare il territorio nazionale e spostare il centro delle proprie attività in altri Paesi, al fine di eludere gli esiti delle indagini”. Secondo il gip Silvia Salvadori la custodia “appare l’unica adeguata a salvaguardare le esigenze cautelari… essendo assolutamente necessario che sia impedito loro qualsiasi contatto con i terzi, sia di persona che a mezzo del telefono, al fine di contenere, in particolare, la loro propensione al reato e il predetto rischio di fuga, non essendo ragionevole prevedere che tali esigenze potrebbero essere salvaguardate con semplici misure prescrittive”. L’ipotesi di una fuga progettata verso le Cayman è suffragata per gli inquirenti da una intercettazione: “Che sussista un rischio concreto che i componenti della famiglia Ligresti decidano di allontanarsi dalla giurisdizione nazionale, è opinione anche delle persone a loro vicine” scrive il gip citando il dialogo intercettato tra Marchionni e un’altra persona su un’imminente viaggio di Paolo Ligresti alle isole Cayman. “Immagino che sia l’inizio di un viaggio, Cayman – Ginevra e cose di questo genere” proseguono i due “e senza tanta voglia di tornare” aggiungono sottolineando “e ma lo seguiranno poi anche gli altri”. Non solo. Secondo il gip “avrebbero anche facilità nel reperimento di immediati mezzi di trasporto necessari per un rapido spostamento” tanto che in un’altra conversazione intercettata “è emerso come gli indagati ricorrano spesso all’utilizzo di aerei presi a noleggio, oltre ad avere la disponibilità di un elicottero”.
L’esame della documentazione ha permesso di ricostruire come, attraverso una sistematica sottovalutazione delle riserve tecniche del gruppo assicurativo, sia stato possibile falsificare i dati del bilancio 2010. La costante sottovalutazione della ‘riserva sinistri’ ha consentito negli anni la distribuzione di utili per 253 milioni di euro alla holding della famiglia Ligresti, la Premafin, dove invece si sarebbero dovute registrare perdite. Dagli accertamenti sarebbe emerso che la famiglia Ligresti si sarebbe assicurata oltre al costante flusso di dividendi anche il via libera a numerose operazioni immobiliari con parti correlate. Tra i reati contestati, anche l’aggiotaggio informativo: “Diffondevano notizie false occultando perdite e dunque influenzando le scelte degli azionisti”, ha spiegato il procuratore aggiunto Nessi. La Procura di Torino ha deciso di procedere con le misure cautelari nei confronti della famiglia Ligresti sia per le concrete possibilità di fuga, sia per il rischio di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio.
Inoltre secondo il giudice la famiglia Ligresti non ha offerto nessuna collaborazione agli inquirenti nell’inchiesta Fonsai che avrebbe avuto come unico obiettivo il proprio interesse economico.
“Gli indagati, seppure consapevoli del presente procedimento e di quanto gli inquirenti stavano via via accertando – si legge nelle carte – non hanno dato alcun segnale collaborativo, né rispetto alle indagini (pur se è un loro diritto), né alle proprie cariche funzionali, tutt’ora rivestite, a fronte di deleghe che nulla spostano rispetto alla propensione al delitto ravvisata, atteso che il fine ultimo delle operazioni di manipolazione del bilancio e di aggiotaggio, per cui si procede, si identifica principalmente nel perseguimento del loro interesse economico”.
17 luglio 2013 www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/17/inchiesta-fonsai-arrestati-quattro-componenti-della-famiglia-ligresti/658333/
LA SCHEDA
Salvatore Ligresti, 81 anni, originario di Paternò (Catania), unitamente a Berlusconi e ai governi di centro-sinistra, è protagonista della “urbanistica contrattata” della Milano da bere degli Anni Ottanta. Viene arrestato la prima volta nel 1992 nell’ambito dell’inchiesta “mani pulite” per fatti di corruzione, ma riesce a cavarsela patteggiando una pena di 2 anni e 6 mesi, mai scontata, grazie all’affidamento ai servizi sociali e ai benevolenti insabbiamenti delle indagini da parte dell’ex Procuratore Borrelli.
Mantiene così indisturbato la guida del suo impero economico-finanziario per oltre 20 anni, passando indenne da ogni inchiesta giudiziaria sui grandi appalti, sul riciclaggio e le collusioni con la mafia catanese, sulle manovre illegali di Borsa sui titoli della holding Premafin (indagini che coinvolgono Mediobanca e Unicredit), sulla bancarotta fraudolenta della Imco e Sinergia, due importanti società della famiglia Ligresti, che nel 2004, tramite la figlia Jonella, entra nel consiglio d’amministrazione del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera.
E’ così don Salvatore diventa uno dei cinque uomini più ricchi d’Italia, uno dei pochi italiani presenti nelle classifiche di Forbes e Fortune.
Secondo, Angelo Siino, l’imprenditore considerato il «ministro dei lavori pubblici» della mafia siciliana, che conosce bene gli affari di “Cosa nostra”, don Ligresti aveva come diretto interlocutore il boss catanese Nitto Santapaola. Tanto potenti erano i suoi protettori che nel 1991, secondo Siino, per favorirlo furono addirittura sconvolti gli equilibri consolidati nell’assegnazione degli appalti, quelli che esigevano che fosse la Gambogi, gruppo Ferruzzi, legato a Totò Riina, a costruire in Sicilia, lasciando spazio alla Grassetto di Ligresti. Un altro collaboratore di giustizia, Gaspare Mutolo, nel 1996 riferisce una confidenza ricevuta da Vittorio Mangano, lo «stalliere» di Arcore: Ligresti, secondo questa dichiarazione, riciclava i soldi della famiglia Carollo (quella della Duomo connection), insediata nell’hinterland milanese.
Don Salvatore a Milano in effetti ha fatto un buon matrimonio, sposando Antonietta Susini, figlia di Alfio Susini, provveditore alle opere pubbliche della Lombardia, personaggio chiave negli affari edilizi.
Antonietta Susini, detta Bambi, nel febbraio 1981 è vittima di un sequestro lampo, che si conclude con la sua liberazione nei pressi di Varese, dietro il pagamento di un riscatto di ca. 600 milioni di lire. Ma c’è un risvolto inquietante: dei tre presunti rapitori, tutti esponenti delle famiglie «perdenti» della mafia palermitana, due, Pietro Marchese e Antonio Spica, finiscono morti ammazzati e il terzo, Giovannello Greco, fedelissimo del vecchio capo di Cosa nostra Stefano Bontate, scompare nel nulla.
Sulla presunta mafiosità di Ligresti vengono compiute altre indagini ufficiali, senza che nulla trapeli. Nel 1984 il Procuratore di Roma, Marco Boschi, ipotizzando la necessità di applicare misure personali di prevenzione, quali il “confino”, chiede indagini sui legami del nostro con Finocchiaro Franco, che con Carmelo Costanzo, Mario Rendo e Gaetano Graci fa parte dei «cavalieri catanesi dell’Apocalisse».
Nel 1985, il fascicolo, passa al pm Franco Ionta, che lo invia a Milano e viene assegnato a Piercamillo Davigo e Filippo Grisolia, i quali dopo alcuni anni lo archiviano, senza alcuna conseguenza.
In sospeso, restano però, osserva Gianni Barbacetto, alcune domande: perché la procura di Roma aprì l’inchiesta? Sulla base di quali elementi e segnalazioni? E perché il nome di Ligresti era affiancato a quello di Finocchiaro, uno dei cavalieri del lavoro catanese?
Il nome di Ligresti compare anche in un’altra indagine giudiziaria, svolta da Ernesto Cudillo, in rapporto alla compravendita di un palazzo all’università romana di Tor Vergata, che ha come protagonista Manlio Cavalli, secondo i carabinieri legato alla banda della Magliana e al boss di Cosa nostra nella capitale, Pippo Calò. Indagine more solito archiviata, senza svolgere ogni opportuna indagine.
Intanto don Ligresti cresce non solo come re degli appalti ma anche come finanziere: ha in cassaforte non solo il pacchetto di azioni che gli permette di controllare la Sai, ma anche una serie di piccole quote di società importanti, dalla Pirelli (5,4 per cento) alla Cir di Carlo De Benedetti (5,2), dalla Italmobiliare di Giampiero Pesenti (5,8) all’Agricola Finanziaria di Raul Gardini (3,7), tanto da venire allusivamente chiamato “Mister 5%” (una sorta di pizzo sulla partecipazioni azionarie).
Le nuove indagini su Fonsai-Isvap sono partite dalle denunce di piccoli azionisti, che hanno svelato un sistema corruttivo “famigliare” che grazie alla complicità di banchieri, politici, salotti dell’alta finanza e controllori di Isvap e Consob, riesce a distrarre milioni di euro, facendo fallire le società controllate (2 miliardi di perdite ma sempre con buone uscite milionarie per gli amministratori).
Anche nell’ultimo tentativo di salvataggio voluto da Mediobanca, tramite una fusione tra “grandi debitori”, Fonsai e Unipol, ci hanno rimesso i risparmiatori che nel 2011 e nel 2012 non hanno ricevuto dividendi, perdendo il 90% del valore azionario e hanno dovuto subire un’ulteriore esborso per la ricapitalizzazione; senza contare i lavoratori licenziati e gli stessi gruppi assicurativi che in passato erano considerati grandi eccellenze italiane.
Il tutto mentre per la famiglia Ligresti ci sono stati 77 milioni di buonuscita.
Senza contare che molte società intestate alla famiglia sono coinvolte nei lavori dell’Expo 2015.

AIUTIAMO AURORA STRAPPATA DALLA MAMMA A TORNARE A CASA!

Le Associazioni a TUTELA DEI FIGLI  MINORI E DEI LORO GENITORI manifesteranno al fine di far tornare da sua mamma una bambina che dal 14 novembre 2007 é stata ingiustamente collocata presso una comunità in Provincia di Domodossola.
La Regione Piemonte ha un discutibile primato nell’ambito dei Minori “strappati agli affetti famigliari” ed è anche per… questi bambini e per le loro famiglie d’origine che la nostra protesta sarà forte!…
Siamo stanchi di assistere alla prevaricazione dei più forti contro i più deboli.
Siamo stanchi di assistere alla cancellazione dei diritti inalienabili dei cittadini e in particolar modo di bambini innocenti.
Siamo stanchi di assistere alle speculazioni economiche sulla pelle della gente e sui Minori.
Se in alcuni paesi si sono attivate rivoluzioni per abbattere i dittatori, che hanno ridotto alla fame la popolazione, noi diciamo che dopo la rivoluzione del pane in Italia è arrivata l’ora di fare la rivoluzione del CUORE!
I Tribunali per i Minorenni non devono remare contro la famiglia.
I Servizi Sociali devono essere riformati.
Basta con le caste/lobby e con lo sperpero di danaro pubblico per ottenere solo continui fallimenti.
Nelle comunità / case famiglia ecc ecc, CHE NESSUNO CONTROLLA ci dovrebbero andare solo i Minori abbandonati o maltrattati e l’affidamento o l’adozione a soggetti terzi dovrebbe avvenire solo dopo aver valutato con attenzione il ramo parentale fino al 4° grado come già prevede la legge.

Inoltre il giorno 6 di maggio ore 14:00 Annarita sarà ospite nuovamente in RAI 1 per promuovere anche la manifestazione.
Infine si ringraziano le Associazioni: Papà Separati Lombardia ONLUS e Papà Separati Torino per il sostegno fornito a questa mamma.

L’INDIFFERENZA E L’EGOISMO UCCIDONO IL FUTURO DI TUTTI!

N.B. striscioni identificativi ecc.. verranno visionati dall’Associazione Genitori Negati quale garante nei confronti della questura.

Ass.Ni Genitori Negati & Figli Liberi

http://www.facebook.com/search/results.php?q=auitiamo%20aurora&init=quick&tas=0.967814074688417#!/groups/218573864835526/

Asti: Pene miti quando i pedofili sono nella magistratura.

Atti di libidine omosessuale violenta su un minore inabilitato, favoreggiamento e abuso d’ufficio; condannato l’ex Presidente di sezione del Tribunale di Asti, Renzo Massobrio.

Se l’è cavata con una condanna molto mite: solo 1 anno e dieci mesi di reclusione.

Nonostante la gravità delle accuse Massobrio ha ottenuto dal tribunale di Milano lo sconto di pena e l’accesso al patteggiamento, ma è stato però quantomeno costretto a dimettersi dalla magistratura e dalle funzioni di giudice d’ appello a Genova dove era stato traferito dal C.S.M. per aver rivolto turpi attenzioni con l’aggravante della continuazione su un giovane “inabilitato” dallo stesso tribunale di Asti con problemi psichici, contro il quale in qualità di giudice istruttore conduceva un’inchiesta per rissa.

http://archiviostorico.corriere.it/1995/gennaio/11/Asti_giudici_nella_bufera_co_0_9501114349.shtml.

BRUNO CACCIA: IL PROCURATORE UCCISO DALLA MASSOMAFIA CHE CONTROLLA LA PROCURA TORINESE

Caccia, un omicidio ancora senza firma.
 
 
Il magistrato Bruno Caccia, ucciso il 26 giugno 1983 

Cinque processi non hanno cancellato tutti i misteri.

Preso il mandante, mancano i killer e il vero movente

di Niccolò Zancan

TORINO. Ventisei anni dopo in via Sommacampagna, fra il Po e la collina torinese, resta una targa sotto la fronda di un glicine: «Il 26 giugno 1983 qui è caduto, stroncato da mano assassina, nel pieno della sua lotta contro il crimine, Bruno Caccia. Procuratore della Repubblica, medaglia d’oro al valor civile, strenuo difensore del diritto, luminoso esempio di coraggio e fedeltà al dovere». Era la sera delle elezioni politiche. Craxi stava per diventare presidente del Consiglio. Il magistrato più importante della città, quello che si occupava di lotta al terrorismo, poteri forti, tangenti, mafia e criminalità organizzata, uscì di casa senza scorta. Come un cittadino qualunque. Doveva portare fuori il cane. Erano le 23,15. Due killer lo stavano aspettando.

La prima relazione della polizia è precisa: «Il conducente della Fiat 128, con rapida manovra, si avvicinava al magistrato. Bloccata l’autovettura, gli esplodeva contro alcuni colpi di arma da fuoco che ne provocavano la caduta sul marciapiedi. Contemporaneamente, il passeggero scendeva dalla 128, e chinatosi sul corpo del dottor Caccia, gli esplodeva contro altri tre colpi». Diciassette proiettili in tutto. Di questo omicidio, che ha cambiato la storia di Torino, c’è una verità processuale. Il pentito «Ciccio» Miano, catanese, ha raccolto e registrato la rivendicazione di un boss calabrese orgoglioso del suo lavoro: «Per Caccia, dovete ringraziare solo me…». Cinque gradi di giudizio hanno stabilito che il mandante dell’assassinio è proprio Domenico Belfiore, tutt’ora in carcere. Mai pentito.

Ma c’è anche una verità storica, più difficile da mettere a fuoco, ancora sospesa. «Una zona grigia», l’hanno definita alcuni investigatori. Mancano gli esecutori materiali, nonostante l’identikit tracciato sulla base di due testimonianze. Mancano, forse, soprattutto, alcuni passaggi che hanno portato alla condanna a morte del procuratore Caccia. Dove «la sua colpa» sembra riassunta in una frase della sentenza della V sezione penale della Cassazione, datata 23 settembre ’92: «I calabresi lo consideravano uomo di particolare durezza e di particolare pericolo per loro, nella sua inavvicinabilità». Era rigoroso, ostinato. Estremamente riservato. Teneva sempre con sé la chiave della cassaforte della Procura. La notte dell’omicidio però non fu trovata.

Di tutto questo si occupa domani la puntata di «La Storia Siamo Noi» condotta da Giovanni Minoli (alle 8,05 su Rai Tre, alle 22 su Rai Storia). Il documentario firmato da Sergio Leszczynsky si intitola «Torino Criminale. Il caso Caccia». È una ricostruzione scrupolosa, punteggiata dalle voci dei protagonisti. La figlia Paola Caccia: «Io credo che non sia emersa tutta la verità su questo caso». Il magistrato Francesco Gianfrotta: «Il procuratore era un personaggio pericoloso per gli interessi criminali». Il magistrato Marcello Maddalena: «Sicuramente mancano dei tasselli. Anche sul piano dei moventi possibili». La figlia Cristina Caccia: «Mi è sembrato strano che fosse solo questione di dare noia a una banda di criminali… Che si potesse decidere di uccidere così un procuratore…».

Chi aveva benedetto quella decisione? Durante i processi sono emersi aspetti inquietanti. «Le bobine che contenevano le registrazioni del pentito Miano furono alterate e manipolate», spiega il procuratore Laudi. L’avvocato Badellino: «Si è detto che fossero soppressioni volontarie, per questo la Cassazione dichiarò inutilizzabili le conversazioni». Ma la Procura di Torino aveva fatto copia dei nastri originali. Riuscì a salvare l’attendibilità delle dichiarazioni del pentito. Rimasero molti dubbi. Alcuni conducono proprio a Palazzo di Giustizia. Ai legami fra clan malavitosi e certa magistratura. Rapporti che passavano per il bar «Monique», gestito dal pregiudicato Gianfranco Gonella, proprio di fronte alla vecchia Procura.

Nella sentenza si legge: «Le disposte intercettazioni avevano consentito di accertare l’esistenza di rapporti di familiarità ed amicizia fra il Gonella ed il dottor Moschella (Procuratore della Repubblica di Ivrea) e la dottoressa Carpinteri (giudice del Tribunale penale di Torino). Senza contare la perfetta conoscenza che il Moschella aveva delle attività del Gonella… Gonella aveva riposto particolare attenzione nel rendere favori e servigi, era persino riuscito ad imporre deferenza ai suoi amici magistrati… Il solito Gonella si era incessantemente interessato presso il procuratore Moschella delle vicende processuali di Belfiore…». C’è anche questo, nella zona grigia. Si sa che Bruno Caccia è stato ucciso perché il suo impegno disturbava l’attività della ‘ndrangheta a Torino. Mancano i killer della 128, mancano troppi pezzi di verità.

25 giugno 2009

www.lastampa.it

BARDONECCHIA. IL PRIMO COMUNE DEL NORD-OVEST SCIOLTO PER MAFIA

La mafia al Nord. Il caso Bardonecchia

Rocco Lo Presti, il boss morto pochi giorni fa, era arrivato a Bardonecchia nel lontano ’63. Il primo mafioso inviato al confino al nord. Invece è stato lui a impadronirsi della città. Nel ’95 il comune era già in mano ai mafiosi. Violenza, affari, cementi­ficazione selvaggia, usura. E champagne per festeg­giare.

6 febbraio 2009

È morto Rocco Lo Presti, il “padrino” di Bardonecchia. Bardonecchia è una non troppo ridente località turistica del profondo Nordovest – al confine con Modane – che vanta un primato non invidiabile: primo e unico, finora, comune del Nord d’Italia ad essere commissariato per mafia, nel ’95. Chi comanda sono i calabresi. Tutto era cominciato con quella scellerata legge sul soggiorno obbligato d’inizio anni Sessanta: trasferiamo lontano dalla Sicilia e dalla Calabria i mafiosi, li isoliamo e li rendiamo inoffensivi. Non aveva immaginato, il legislatore, che l’iniziativa sarebbe servita soltanto ad “esportare” la criminalità. Nel ’63 Bardonecchia aveva dovuto ospitare Rocco Lo Presti, un giovane muratore di Marina di Gioiosa Jonica in odore di ‘ndrangheta. E così, per oltre quarant’anni, Lo Presti, dapprima vicino al clan dei Mazzaferro, poi degli Ursino (sua sorella ne ha sposato uno), fa di Bardonecchia il suo feudo, spadroneggiando nell’edilizia, nell’autotrasporto, nel commercio (suoi ristoranti, bar, negozi di materiale edilizio, sale giochi). Centinaia di calabresi vengono in Val di Susa a lavorare per lui e il clan Lo Presti-Mazzaferro mette le mani sulla località sciistica dove un tempo trascorreva le vacanze Giovanni Giolitti.

L’impresa edile di Lo Presti lavora a ritmo incessante. Bardonecchia non è più una località di montagna, ma una propaggine metropolitana di Torino. Oltre che visibile, la cementificazione è terribile, ma – se c’è la criminalità organizzata – nasconde una faccia ancora peggiore: riciclaggio del denaro, racket delle braccia, strozzinaggio, voti di scambio, intimidazioni, aggressioni. Ne fa le spese Mario Ceretto, un imprenditore edile che nel ’75 si rifiuta di assumere gli uomini proposti dal boss calabrese: viene rapito e ucciso. Lo Presti è condannato in primo grado. Nell’82 l’appello conferma 26 anni di galera. Poi la Cassazione annulla tutto e sappiamo perché.

Lo Presti è morto il 23 gennaio scorso, il giorno dopo la conferma della sua condanna per associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata all’usura (un giro di denaro di 3,5 milioni di euro, tassi del 10 per cento mensile). Forse il suo cuore di 70enne non ha retto. Ma le storie di mafia hanno sempre un inizio, mai una fine. A Bardonecchia, dove qualcuno sostiene che Lo Presti era un benefattore, ci si domanda chi prenderà il suo posto. Nei manifesti listati a lutto i primi nomi erano quelli non dei figli, ma dei nipoti, Luciano e Beppe Ursino, condannati anch’essi per strozzinaggio. Questo fa pensare a una pubblica investitura. Quando gli nacque il primo figlio Lo Presti organizzò una grande festa al Riky Hotel di Bardonecchia. Arrivò una fila interminabile di Bmw, Mercedes, anche delle limousine. Cantò Mino Reitano. Il Dom Perignon scorse a fiumi. Si racconta che “don Rocco” ne prese due bottiglie e le lanciò fuori dal locale, sull’asfalto, gridando: “Bevine anche tu, sindaco Corino, ma da sdraiato!”. Una scena da film hollywoodiano, ma senza Marlon Brando e Al Pacino, che trasformano la cruda realtà in una favola.

Riccardo De Gennaro

LA NUOVA TANGENTOPOLI? NASCE IN VALSUSA.

MARCIA NO TAV RIVALTA – RIVOLI
23 settembre 2010 LA NUOVA TANGENTOPOLI? NASCE IN VALSUSA.
Negli ultimi giorni qualcosa di nuovo ha cambiato gli equilibri. 
L’europarlamentare Vito Bonsignore, ha dichiarato: «Così com’è oggi la proposta Tav è diversa da quella di anni fa, e quindi è un’altra cosa. Le merci saranno poche, molti di più i passeggeri. Diversamente da come sostiene Virano». Ed è scoppiato un macello. Chi si è agitato però non ha notato che già Tremonti alcuni giorni prima aveva chiesto di ridurre i costi troppo alti  (1.300 euro al cm oggi), ipotizzando di utilizzare una sola galleria. 

Pochi sapevano in quel momento ciò che invece preoccupava il Ministro: 
1) mancano i soldi e quei 671 milioni di Euro di finanziamento UE rischiano di far accendere le luci nel buco delle finanze italiane (se lo Stato italiano ricevesse richiesta di “mettere sul piatto” la sua parte di finanziamento, scoppierebbe probabilmente il bubbone da parte della UE;
2) probabilmente Tremonti sapeva già ciò che invece è apparso sui giornali solo domenica 19 settembre, ovvero che il Portogallo aveva appena annullato le gare d’appalto per la tratta Madrid-Lisbona, a causa aumento costi e crisi economica. Si noti bene che per 50 km di una tratta i costi erano 1,9 miliardi di Euro, ovvero 38 milioni a km, non certo 130 come per la Torino-Lyon… eppure il Portogallo ha deciso di sospendere tutto!
A questo punto chi ci legge comincerà ad interrogarsi sulla stranezza di questi dati così difformi, ed allora non ci resta che indicare alcune istruttive letture.
Una scheda su chi questa opera in valle di Susa la progetta: la Tecnimont, un articolo di Gianni Barbacetto, che parla proprio della linea TAV in valle di Susa, intitolato: La nuova tangentopoli? Nasce in Valsusa. 
Naturalmente ognuno si farà la sua personale idea su ciò che succede, appare però indiscutibilmente chiaro a questo punto che sono saltate tutte le regole del gioco, che manca il senso della misura come dice il giudice Imposimato.
20 settembre 2010: LA VALLE DI SUSA? COME UNA PENTOLA A PRESSIONE.
La Valle oggi è una pentola a pressione, con il gas acceso al massimo. Si intervallano nei vari centri valsusini le serate informative sul progetto LTF. Gli amministratori che hanno letto i progetti, provano a spiegarli ai cittadini
Ci sono gli esperti della Comunità Montana, di Habitat e dei vari Comitati No TAV che hanno riletto, sempre più allarmati, i dati di questo ennesimo progetto, il quinto (ufficiale) della serie. E dopo che da Firenze e dal Mugello sono saliti in valle a spiegare cos’è successo in Toscana, i valsusini sono ancora più preoccupati.

Ci sono i giornali locali che prendono nota e trasferiscono tre volte a settimana i dati del possibile scempio a tutti i cittadini. Si susseguono iniziative di mobilitazione, incontri, marce; riunioni tra esperti, ambientalisti, comitati. Presidi No Tav nascono come funghi, dopo quello di Maddalena, l’ultimo è quello di Vaie.
Poi ci sono i partiti regionali e nazionali affaccendati a garantire agli industriali che gli appalti si faranno. Il PD torinese si dice imbarazzato da una semplice marcia tra le vigne. Mentre il PD in modo puerile prova a pensare di isolare il presidente della Comunità Montana Plano, l’immagine del PD all’estero è ai minimi storici se perfino il quotidiano spagnolo El Pais scrive: PD? En coma y sin respirador… solo in Valle di Susa c’è un po’ d’aria?
La situazione si può ben inquadrare riassumendo alcune frasi apparse sui giornali:
Plano, presidente Comunità Montana: “No Tav e amministratori di nuovo uniti: «E’ solo l’inizio» 
«Restiamo uniti. Ora e sempre resistenza». Ezio Paini, sindaco di Giaglione.
Davide Bono (Movimento Cinque stelle) la «Valsusa è un esempio di responsabilità e libertà».
Chiamparino, sindaco di Torino e possibile candidato alla leadership del PD: “vincere i congressi per isolare Plano”, e non sarà un caso se La Stampa titolava in questi giorni: “Blitz nelle sezioni contro i No Tav del Pd”.

Le “prove tecniche di resistenza” a Chiomonte sono stae un successo: siamo alle pendici del Rocciamelone e altri luoghi storici per la Lotta di Liberazione, siamo in un imbuto, un territorio di montagna, stremato dalla disoccupazione come gran parte del Paese, ma che ha sempre rifiutato compensazioni ed accordi sottobanco di svendita del territorio. I pochi amministratori che hanno provato a fare il “salto della quaglia” o che si vantano di aver fatto spostare dai loro paesi il tracciato della linea vengono pubblicamente contestati e non c’è da stupirsi, visto che cinque anni fa sulle barricate rifiutavano l’appellativo di “Nimby”.

Decine di persone sono al lavoro in ogni paese, amministrazione, Comitato e associazione ambientalista. Leggono i 12 scatoloni di carte dei progetti, fanno osservazioni, cercano di capire quale sarebbe il loro futuro se un progetto del genere si realizzasse. Più leggono, più sentono il bisogno di organizzarsi per opporsi con tutti i metodi legali e non violenti conosciuti. 
La pentola è bollente, c’è bisogno di tanto buon senso da parte di tutti. C’è bisogno che ognuno faccia bene il proprio lavoro, nel rispetto delle leggi, delle proprie dirette responsabilità, per il bene, non tanto della Valle di Susa ma di tutto il Paese.

MA SARA’ DURA! (ma per loro)

info@ambientevalsusa.it

I rischi dei trattamenti con le amalgame al mercurio

Riceviamo e pubblichiamo il caso di Adriana Battist che all’età di 40 anni inizio la sua battaglia per la vita e la verità, denunciando i rischi dei trattamenti odontoiatrici con le amalgame al mercurio e l’assenza di ricerca per la cura di altre sindromi quali la SINDROME FATICA CRONICA (CFS), SINDROME CHIMICA MULTIPLA (MCS), FIBROMIALGIA (FM).

www.tusei-adrianabattist.org

Al link sottostante si possono anche ottenere informazioni sulla manifestazione nazionale indetta dagli ammalati  di  CFS,  MCS,  FM, per  protestare e denunciare  la situazione  di totale  abbandono  in cui si trovano da anni i portatori delle predette sindromi invalidanti, nonostante petizioni e proposte  parlamentari.

Manifestazione a Roma per  tutti i malati di cfs fibromialgia e mcs sotto al ministero.

Il 1°OTTOBRE PIAZZA CASTELLANI ( zona Trastevere) si svolgera’ una MANIFESTAZIONE dalle ore 14,00 alle ore 20.00 di tutti i malati di me/cfs, fibromialgia e mcs, per protestare contro l’indifferenza dello stato e denunciare la situazione di totale abbandono in cui i suddetti malati si trovano da anni nonostante le numerose petizioni e proposte parlamentari.1) Si prega tutti i malati di partecipare e di chiedere ai propri familiari e amici di farlo e di cliccare su “partecipero'” solo se effettivamente ci sarete.

2) Di munirsi di striscioni e/o magliette con scritte di disappunto
ESEMPIO:
“Si al riconoscimento della cfs/me, mcs, fibromialgia”
” Non contate sul nostro silenzio ma solo sulla nostra rabbia”
“invalidi nella vita ma abili per l inps”
“no alla indifferenza del ministero”
” Lo stato viola l articolo 32 della costituzione italiana”
“Malati abbandonati e ignorati”……………

3) Chi avesse bisogno di un appoggio a Roma o nelle vicinanze, puo’ contattare via email tiziana.scotti@fatswebnet. it oppure v_vigano@hotmail.com

4) Chi abita a Roma o vicinanze e puo’ prestare ospitalita’ a chi viene da fuori
scriva a tiziana.scotti@fatswebnet. it o v_vigano@hotmail.com per dare la sua disponibilita’.

5) Chi conoscesse giornalisti e’ pregato di avvisarli della manifestazione

6) Mandare questo evento a tutti i gruppi di cfs(me fibromialgia e mcs che ci sono su facebook, a tutti i siti e a tutte le associazioni che si occupano delle suddette malattie.

7) Le associazioni che desiderano mandare materiale/volantini che verranno utilizzati per la manifestazione scrivere a v_vigano@hotmail.com per accordarsi.

RIMANIAMO TUTTI UNITI PER LOTTARE PER I NOSTRI DIRITTI!!!!

QUESTO IL COMUNICATO STAMPA CHE VERRA’ CONSEGNATO AI GIORNALISTI

– MANIFESTAZIONE 1°OTTOBRE 2010 PIAZZA CASTELLANI

Questa manifestazione è un’espressione del forte disagio e la disperazione di migliaia di malati di:
• ME /CFS – Encefalomielite mialgica/ sindrome da fatica cronica,
• MCS – sensibilità multipla chimica, e
• FM – Fibromialgia,

Questi pazienti sono completamente abbandonati dallo stato italiano!
La denuncia nei confronti dello stesso è di violazione dell’Art. 32 della Costituzione Italiana Art. 32: “ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…..”

Anche se da numerosi anni si susseguono proposte parlamentari e petizioni per chiedere i giusti diritti a questi malati, il Sistema Sanitario Nazionale ancora non prevede alcuna forma di riconoscimento e assistenza per queste patologie croniche e invalidanti e non esistono per esse adeguati protocolli clinico-assistenziali.

Considerando che :
1. L’ Organizzazione Mondiale della Sanità cataloga già da tempo:

• la CFS /ME con il codice ICD 10 G93.3 G93.3 = Postviral fatigue syndrome, Benign myalgic encephalomyelitis

• La MCS è inserita nell’aggiornamento tedesco dell’International Code of Disease (IDC l0-GM) , sotto il codice T 78.4.ed è classificata nell’elenco delle invalidità motorie del Ministro del Welfare Tedesco, mentre, dal 2005, grazie al lavoro dell’Agenzia per la Protezione Ambientale Europea, la Sensibilità Chimica è entrata a far parte delle patologie emergenti dovute appunto all’esposizione quotidiana ad agenti chimici.

• la Fibromialgia nell’International statistical classification of diseases and related health problems (ICD-10) alle voci M79, Other soft tissue disorders, not elsewhere classified, e M79.O, Rheymathism, Unspecified-Fibromyalgia-F ibrositis.

2. Ancora non sono stati istituiti piani di lavoro epidemiologici in Italia per valutare l’esatto numero dei malati mentre:

• In EUROPA, secondo la Dichiarazione del Parlamento europeo sulla Fibromialgia, approvata il 13 gennaio 2009, circa 14 milioni di persone nell’Unione europea e l’1-3% della popolazione mondiale soffrono di Fibromialgia.

• Gli studi hanno segnalato i numeri sulla prevalenza del CFS che variano ampiamente, da 7 a 3.000 casi di CFS per ogni 100.000 adulti, ma le organizzazioni nazionali di salute hanno valutato più di 1 milione di americani e circa un quarto di milione di persone nel Regno Unito hanno CFS.

• Lo scorso anno il Ministero della Salute della Danimarca ha aperto un osservatorio sulla MCS stimando in 50.000 il numero delle persone sensibili alle sostanze chimiche presenti in prodotti d’uso comune ovvero il 10% della popolazione è suscettibile a tali prodotti d’uso comune con una minima percentuale resa invalida da tale condizione. Le statistiche USA indicano che il 15% della popolazione americana soffre di una qualche sensibilità chimica e che l’1,5-3% abbia MCS grave In Italia non solo 4000 come riporta una dichiarazione del Centro per le Malattie Rare dell’ISS all’ANSA nel 2004.

3. La MCS è riconosciuta come malattia in Germania, Austria, Giappone, USA (parzialmente) e Danimarca. La CFS /ME in USA Australia, Gran Bretagna, e Canada.

4. I malati hanno un alto grado di disabilità, che non gli consente di essere indipendenti sotto tutti i punti di vista.

5. Mancano centri di ricerca, strutture ospedaliere, linee guida per la diagnosi, informazioni per operatori sanitari, un programma di sensibilizzazione su scala nazionale, l’ assistenza domiciliare e psicologica.

6. Gli ultimi studi descrivono che le cause delle malattie derivano da cause organiche, virali,genetiche:
La ME/CFS, la FM e la MCS sono malattie fisiche gravi e debilitanti, le ricerche mediche dimostrano che sono patologie complesse che coinvolgono molteplici fattori (sistema immunitario, alti livelli di tossine, disfunzioni mitocondriali, sistema nervoso danneggiato, disfunzioni neurologiche e cardiache …).

7. I malati hanno subito diagnosi scorrette e tardive, terapie psicofarmacologiche errate da parte della maggior parte del personale medico sanitario impreparato a causa di una assente informazione al livello nazionale che le associazioni e i malati richiedono da anni al Ministero della salute nonché umiliazioni, soprusi, violenze psicologiche e abbandoni da parte del ambiente sociale e familiare sempre a causa di una mancanza di informazione sul territorio richiesta sempre da anni con petizioni e proposte parlamentari.

Si fa presente che i malati necessitano con urgenza di:

• Riconoscimento e classificazione delle malattie con inserimento nelle patologie croniche invalidanti con diritto ad una pensione data l’impossibilità di svolgere una normale attività lavorativa;
• un centro nazionale di ricerca e studio epidemiologico che sia gestito da medici PRIVI DI CONFLITTI DI INTERESSI cioe’ medici chiamati ad aiutare i pazienti con MCS/FM/CFS-ME non abbiano legami con l’ industria o le assicurazioni.
• una struttura clinica-assistenziale adeguata in ogni Regione con creazione di Unita’ ambientali controllate per i pazienti affetti da MCS. Esistono diverse ricerche mediche e cliniche specializzate all’estero che trattano con successo la ME /CFS , la FM e la MCS.
• l’istituzione di linee guida per strutture ospedaliere.
• Promozione di un piano per l ‘Informazione della Comunità medico-scientifica per evitare diagnosi tardive e scorrette con conseguente somministrazione di cure errate che comportano aggravamento della patologie e corsi di specializzazione per il personale sanitario con stages nei centri più qualificati al estero per il trattamento di tali patologie.
• Campagne di sensibilizzazione per evitare che la malattie vengano sottovalutate e non comprese dai familiari e amici che non capendo il reale stato di salute non supportano il malato e “torturandolo” psicologicamente scatenano litigi, incomprensioni che portano a rotture, separazioni familiari e abbandoni.
• Assistenza domiciliare (con personale opportunamente decontaminato per i malati di MCS ) in quanto i malati a causa dei numerosi sintomi invalidanti sono costretti a vivere nella propria casa.
• Assistenza psicologica e strategie per evitare l’ isolamento sociale in quanto a livello internazionale si registra un alto tasso di suicidi tra i malati di ME/CFS, FM e MCS a causa dell’isolamento sociale, alla frustrazione, alla mancanza di sostegno,ai sintomi invalidanti e alle difficoltà finanziarie .
• Soluzioni professionali “su misura” per i malati ancora in parte autosufficienti, anche da svolgere nella propria abitazione o in ambiente opportunamente bonificato per i malati di MCS .

SALVO ACCOGLIMENTO PARZIALE O TOTALE DELLE SUDDETTE PROPOSTE A VALLE DI QUEST’INIZIATIVA, IL PASSO SUCCESSIVO SARA’ UNA CAUSA COLLETTIVA PER IL GIUSTO RISARCIMENTO PER DANNI MORALI, FISICI, ED ESISTENZIALI CAUSATI DALL’INDIFFERENZA CONTINUA DELLO STATO.

LISTA DI SITI E CONTATTI PER EVENTUALI APPROFONDIMENTI:

Sito web dei malati : http://cfsfibromialgiamcs. sitiwebs.com/page8.php
Gruppi su facebook :
http://www.facebook.com/gr oup.php?gid=361265148841&r ef=ts

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PINEROLO. ARRESTATO IL PROCURATORE CHE CHIEDEVA TANGENTI

Arrestato Marabotto:  30% su false consulenze
Giuseppe Marabotto era scampato a un primo processo per un serio reato (aveva rivelato a un indagato che il suo telefono era sotto controllo). Chiacchierato da molti anni e divenuto procuratore di Pinerolo, ha costruito in una tranquilla periferia giudiziaria un regno personale e il malaffare perfetto per chi, come lui, si sentiva impunito stando dalla parte della legge: 11 milioni di euro sottratti allo Stato sotto forma di consulenze fiscali seriali ed inutili ai fini di azioni giudiziarie. Si sapeva dal 2005. Da ieri si sa anche che i commercialisti e consulenti della procura restituivano a un suo collettore il 30 per cento. «Ci sono spese da sostenere» veniva detto loro. In tre hanno confessato. Pesanti le accuse: corruzione, associazione per delinquere, truffa aggravata ai danni dello Stato.

Il magistrato, che in questi anni da indagato è riuscito prima a farsi trasferire alla Corte d’appello di Genova e ad andare poi in pensione, è stato arrestato ieri e portato da Torino nel carcere di Pavia insieme al commercialista Ruggero Ragazzoni. Gli altri due ammanettati di giornata, il professionista Mario Emanuele Florio e il ginecologo, medico legale anche per pm torinesi e collettore delle tangenti, Dario Vizzotto, sono stati destinati al carcere di Opera. Ma il secondo a sera era ancora in procura, a Milano, interrogato su richiesta del suo legale (Mauro Anetrini). Tirava aria di confessione.

Le 106 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare del gip Stefania Donadeo danno conto della «palingenesi» del procuratore e del giro di commercialisti che aveva radunato: 27 sono indagati, tre notissimi a Torino (Alberto Ferrero, già candidato per Forza Italia alla presidenza della Provincia) e i due arrestati, Ragazzoni storicamente vicino alla sinistra, tutti e due ex revisori dei conti del Comune di Torino. Con la regia esterna di Vizzotto, Marabotto costruiva terne di consulenti per moltiplicare l’ammontare delle risibili consulenze contabili: migliaia fra il 2001 e il 2005. Solo in due anni intermedi fece controllare, si fa per dire, 375 società del Pinerolese. Lo Stato pagava (30 mila euro, più Iva, a botta) e il procuratore archiviava. L’importante è che girassero carte e soldi.

Questo scandalo è stato bloccato nel 2005 da alcuni pm torinesi: un’ispezione ministeriale aveva registrato l’«anomalia», sicché il procuratore fu costretto a iscrivere alcuni dirigenti di società nel registro degli indagati malgrado non avesse in mano niente e ad inviare gli atti, in alcuni casi, ad altri uffici giudiziari per competenza territoriale. A Torino si accorsero dell’«irritualità» di quei fascicoli e misero in moto la procura milanese. Un giudice e un pm di Pinerolo hanno messo a verbale i loro sospetti. Perquisizioni, avvisi di garanzia, e nient’altro. Sino al settembre scorso, quando, dopo una segnalazione dell’Agenzia delle Entrate alla procura torinese su uno studio di commercialisti che evadeva le imposte, emerse che quei professionisti avevano deciso di pagarle solo sul 70 per cento delle parcelle, quanto restava loro.

Marabotto a uno dei suoi: «Ho già preparato una lettera al Comando generale della Guardia di Finanza dicendo che è vergognoso che vadano a fare indagini che riguardano compensi, e che quindi chiamano in causa il modo di agire della Procura… che vengano affidate a persone talmente incompetenti… per cui lo stesso procuratore deve spiegare a un deficiente di maresciallo come stanno le cose». Le intercettazioni svelano il mondo particolare di Marabotto che faceva arrestare gente spessa – in questo caso dei marocchini con un negozio di abbigliamento a Pinerolo – e poi ne diventava amico. Tanto che questi gli propongono di comprare una collina in Marocco. Il denaro non gli mancava. E si sentiva al sicuro. Donatella Giovannini, fra i professionisti che hanno rivelato il sistema Marabotto, ha rivelato che il procuratore aveva detto a Vizzotto: «I soldi li ritiri tu, così in galera ci vai tu».

http://www.lastampa.it/Torino/cmsSezioni/cronaca/200902articoli/9517girata.asp

BIELLA. MENTRE E’ IN CORSO IL PRIMO PROCESSO SFREGIATA LA SECONDA VOLTA PERCHE’ MAROCCHINA…

 

BIELLA. MENTRE E’ IN CORSO IL PRIMO PROCESSO SFREGIATA LA SECONDA VOLTA PERCHE’ MAROCCHINA… E PERCHE’ IL TRIBUNALE NON ASSUME NESSUNA MISURA RESTRITTIVA NEI CONFRONTI DELL’AGGRESSORE!

Oriana, la ragazzina biellese con madre marocchina e padre italiano che era stata sfregiata con una svastica su un braccio, ha denunciato a distanza di un anno e mezzo un secondo episodio di violenza pressoché simile al primo e con lo stesso protagonista. Ma non è l’unica. Al liceo Giulio Cesare di Roma sarebbe avvenuta la stessa cosa, che però non ha trovato risalto sui giornali. Anche lì la ragazza è stata fermata dai compagni, che con un temperino le hanno disegnato una svastica sulla guancia. Un episodio inquietante.

Quanto è accaduto nuovamente alla giovane di Biella, alla quale è stata di nuovo inciso sulla pelle una sorta di croce uncinata. L’autorità giudiziaria, secondo quanto riferito dal quotidiano «La Stampa», ha avviato accertamenti. Ma oltre alle solite procedure di rito pare non sia stata in alcun modo in grado di fermare la mano dell’aggressore e il ripetersi della violenza.  

La ragazza ha 15 anni e l’accusato 17. Gli investigatori stanno cercando di appurare che cosa sia realmente successo nuovamente a Tollegno, dove la famiglia di Oriana vive ancora anche se, proprio per colpa di quella vicenda, la mamma della ragazza aveva chiesto che le fosse assegnata una casa popolare a Biella.

La prima volta era avvenuto alla fine di settembre 2005, quando la giovane era stata aggredita dal «branco». Secondo la sua ricostruzione era andata ad un appuntamento per difendere il fratellino dalle angherie dei ragazzi più grandi.

Il processo davanti al Tribunale per i minorenni di Torino non è ancora concluso.

L’unico imputato è il giovane che avrebbe tracciato la svastica, che non è mai stato oggetto di provvedimenti restrittivi, nonostante le accuse di ingiurie (chiamava in modo dispregiativo la ragazza «negra»), lesioni, tentata estorsione e rapina per la sottrazione al fratello di Oriana di un cellulare. Ma anche altre quattro persone sono state querelate dalla famiglia per aver cercato di depistare le indagini. Gli avvocati di Oriana, inoltre, avevano promosso anche una causa civile parallela per chiedere il risarcimento dei danni.

LA NUOVA DENUNCIA DI ORIANA

«Ho un’altra svastica sul braccio» . Oriana dice che gliel’ha fatta lo stesso ragazzo: quello che venti mesi fa, a fine settembre 2005, l’aggredì in un vicolo, urlandole «sporca negra».

Lei aveva 13 anni, lui 16. Lei italo-marocchina, lui biellese di Tollegno, paese di collina. Da quel giorno diventò la ragazzina «marchiata» (con una pietra). Ora la storia si ripete: c’è una denuncia, un’indagine in procura, ci sono le foto del segno sulla pelle, che assomiglia più a una croce che al simbolo nazista. L’inchiesta è aperta, tutti tacciono. Perfino i legali della famiglia, quelli di «Avvocati senza frontiere»: «In questo momento – dicono – non possiamo parlare, per il bene della ragazza».

Il bis

Gli investigatori stanno cercando di capire che cosa sia successo. E, soprattutto, come sia potuto accadere di nuovo: alla stessa persona e nello stesso modo. Già la prima svastica aveva segnato la ragazza più nell’anima che sulla pelle. Quella pelle bruna che i giovani del «branco» avevano preso di mira: erano andati avanti per giorni, prima dell’aggressione, a dirle che era «una negra» e che tornasse in Africa. In realtà il padre di Oriana era italiano (è morto da alcuni anni), la madre marocchina abita nel nostro Paese da una vita. Ha altri due figli, Oriana è stata picchiata la prima volta proprio per difendere uno dei fratelli. Anche lui era stato preso di mira dal branco: minacce, vessazioni, il furto di un telefonino. La ragazza, per fare giustizia, una mattina accetta la sfida: con la scusa di gettare la spazzatura va nel vicolo, per un incontro di chiarimento col sedicenne. Ne esce pesta e graffiata ma alla madre non dice nulla. Si scioglie i capelli per non far vedere i lividi, tiene le maniche abbassate per non far vedere la svastica. Solo dopo, a scuola, racconterà tutto, piangendo.

Quel giorno Oriana, alla madre che cercava di consolarla, disse parole disarmanti: «Perché non mi dai una pillola per diventare bianca? Voglio che mi lascino stare». Qualche politico, come il presidente della Provincia, si precipitò a portarle «la solidarietà di tutti i biellesi che non sono razzisti», e l’invitò a non andarsene. Difatti la famiglia della ragazza è rimasta a Tollegno, anche se la madre ha chiesto che le venga assegnata una casa popolare a Biella.

Il sindaco. Continuare a vivere in paese, dove comunque molte persone l’hanno sempre aiutata e difesa, fa ricordare troppe cose brutte. «Mia figlia ora vive nella paura», aveva detto la mamma, Ilhame Ajid, davanti alle telecamere del Maurizio Costanzo Show. Il caso di Oriana era stato cavalcato anche dalla Iadl, la Lega contro la diffamazione anti-islamica, e il sindaco di Biella aveva proposto di costituirsi parte civile, al processo, per difendere l’immagine di una città «bollata come razzista». Ora un altro segno sul braccio torna a svegliare i fantasmi dell’intolleranza, anche se solo le indagini della procura potranno chiarire come stiano davvero le cose.

Il processo per il primo episodio non è concluso.

L’imputato è uno solo: il ragazzo dell’aggressione. È accusato di ingiurie, lesioni gravi, tentata estorsione e addirittura di rapina, per via del furto del cellulare al fratello della giovane. I legali della famiglia, però, hanno querelato altre quattro persone, fra cui una ragazza, che avrebbero fatto pressioni su Oriana per non farle raccontare nulla. Nel 2005 non era servito. E anche stavolta Oriana ha denunciato tutto.

Comincialitalia.net

 http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/05_Maggio/25/svastica_nuovo_episodio.shtml

Emissione di certificati di omologazione falsi da parte delle Motorizzazioni Civili italiane

Il caso dell’autotrasportatore Carlo Massone truffato dalla Motorizzazione e dalla magistratura.

 

 

Nel 1989, il sig. Carlo Massone, autotrasportatore, residente in Castelletto d’Orba (Alessandria), persona onesta, da noi ben conosciuta, acquistò un camion usato tipo Fiat 170/35 B, pagandolo oltre 100 milioni e subendo una truffa che ne ha distrutto l’esistenza, tutt’oggi rimasta impunita per le complicità della magistratura alessandrina. Come da attestazione rilasciata dal concessionario Iveco di Ovada (Alessandria), il mezzo in questione risultava regolarmente collaudato in tutte le sue parti, completo di attestazioni rilasciate dalla motorizzazione e dall’Ispesl (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro) e pertanto pronto per essere utilizzato su strada. Senonché il Sig. Carlo Massone, prima di utilizzare il mezzo in questione, richiese ed ottenne dalla motorizzazione e dalla USL di Alessandria una verifica preventiva straordinaria che, in seguito, diede esito negativo, e cioè si rivelò che il mezzo presentava una serie di anomalie tecniche e strumentali tali da renderlo inutilizzabile, in totale contrasto con le norme di prevenzione e di sicurezza sul lavoro. A seguito di ciò, il signor Carlo Massone non solo fu costretto a rinunciare al camion appena acquistato, ma venne altresì indagato – gli fu attribuita la responsabilità di averlo manomesso e modificato – e successivamente assolto, avendo dimostrato di non aver mai impiegato il mezzo per alcun lavoro e di non averlo mai ritirato dalla concessionaria se non il giorno prefissato per la revisione straordinaria. Dai documenti in possesso del signor Massone risulterebbe che la data di emissione della fattura quietanzata rilasciata dalla ditta Iveco Plura S.p.A. – 7 settembre 1989 – è in netta e curiosa contraddizione con quella citata nella notifica rilasciata (a richiesta del signor Massone, proprietario del mezzo) dal Compartimento della Polizia stradale, sezione di Alessandria, secondo cui «Visti gli atti d’ufficio si dichiara che la carta di circolazione relativa all’autocarro targato AL 359341 è gravata dal decreto di sequestro n. 616/88/A emesso dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Bergamo il 14 marzo 1988 e che in ordine alla stessa sono in corso ricerche da parte di questo ufficio al fine di rintracciarla e sequestrarla» (Alessandria, 3 maggio 1990, n. 326, rep. 240 PG). Successivamente, il medesimo Compartimento della Polizia stradale, sezione di Alessandria, rispondeva alla Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Alessandria – in ordine alla denuncia sporta dal signor Massone – «Fa seguito alla denuncia sporta da Massone Carlo, in atti generalizzato, trasmessa con nota prot. n. del 4 maggio 1990 in ordine alla quale si sciolgono parte delle riserve espresse. Si comunica che negli elenchi forniti dalla motorizzazione civile e dei trasporti in concessione di Cuneo, relativi ai collaudi effettuati negli anni 1989-1990 presso la ditta Delia, non c’è traccia di quello afferente al certificato di approvazione rilasciato per l’autocarro targato AL 359341» (Alessandria, 16 giugno 1990, n. 600, rep. 240 PG).

Tali vicissitudini consumate nell’assoluta impunità di coloro che hanno richiesto e rilasciato i certificati falsi hanno prodotto ripercussioni gravissime alle attività economiche della ditta del signor Carlo Massone, al punto da indurlo – pur di non rimanere senza lavoro e con un mezzo sequestrato ed improduttivo – ad acquistarne altri, con una spesa di ulteriori lire 100 milioni e con il medesimo triste e scandaloso risultato di vedersi bloccare il mezzo.

Ad oggi il signor Carlo Massone, pur avendo sporto una serie di denunce contro i fautori delle reiterate truffe e interpellato parlamentari e Ministri nonché interessato anche la Procura della Repubblica di Genova poiché nessuna risposta o indennizzo sono pervenuti dalle autorità di Alessandria e comunque da tutte quelle interessate nella vicenda, è ancora in attesa che si faccia chiarezza e che la sua pratica approdi a giusta conclusione.

Da oltre 20 anni il Sig. Carlo Massone sta combattendo una battaglia di sensibilizzazione volta a far emergere la verità sul suo personale caso e su fatti di analoga gravità che metterebbero in discussione l’intero apparato preposto alla certificazione di idoneità ad operare dei mezzi industriali coinvolgendo ingegneri e pubblici ufficiali funzionari dello Stato.

Fatti su cui molti ricorderanno aveva anche indagato l’ex P.M. Antonio Di Pietro ai tempi di mani pulite, portando all’arresto di molti funzionari dell’Ispettorato della Motorizzazione civile di Milano.

Ma poi tutto è tornato come e peggio di prima con il beneplacito della magistratura milanese, peraltro competente ex art. 11 c.p.p. ad indagare sui reati dei magistrati del Piemonte.

Anche le varie interpellanze dei senatori Bornacin e Martinat, Davide Gariglio e Mario Borghezio sono rimaste tutte senza risposta, seppure venisse sollevato un fenomeno di notevole allarme sociale e gravità che avrebbe dovuto indurre il Governo italiano a fare chiarezza su di una vicenda così delicata e sconcertante, sollecitando il riesame della pratica e verificando, secondo quanto denunciato, la regolarità delle attestazioni rilasciate dalle autorità competenti in ordine ai collaudi di omologazione dei veicoli industriali al fine di definire responsabilità ed eventuali comportamenti omissivi e collusivi da parte di pubblici funzionari e giudicanti.

In molti altri casi, comunque, dopo l’acquisto presso concessionarie e rivenditori, gli autocarri con gru e piattaforma aerea sono risultati tutti con documenti di revisione e collaudo falsi rilasciate dalle Motorizzazioni civili e dall’Ispesel, come rilevato nelle varie interpellanze di cui sopra.

Al di là delle ripercussioni della vicenda in ambito giudiziario, da questa esperienza risulta l’esistenza di gravi irregolarità nelle operazioni di collaudo. Questo è solo il caso più eclatante, ad onta delle forti perdite economiche subite dopo queste tristi esperienze che hanno addirittura portato il signor Massone a minacciare il suicidio su diversi organi di stampa.

E’ chiaro che se le esperienze del signor Massone si verificassero in tutto il territorio italiano ci troveremmo di fronte ad un problema grave che non metterebbe in discussione soltanto la stabilità economica delle aziende operanti nel settore dei trasporti, ma anche la sicurezza di tutti i mezzi che circolano sulle strade italiane, con le conseguenze che ne deriverebbero.

Non si capisce quindi perchè il Governo italiano e in particolare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non abbiano ancora ritenuto opportuno effettuare delle efficaci indagini presso gli Uffici provinciali del Dipartimento dei Trasporti terrestri al fine di verificare lo svolgimento a norma di legge delle trasformazioni dei veicoli e dei relativi collaudi e la veridicità di conformità delle carte di circolazione rilasciate, per salvaguardare la sicurezza stradale ed evitare che si ripetano esperienze come quella del signor Massone.

E’ quindi lecito domandarsi che cosa intenda fare il Governo per garantire che, in materia di collaudi ed omologazioni di veicoli industriali, venga rispettato scrupolosamente il dettato legislativo e si eviti pertanto che pubblici funzionari rilascino certificati di omologazione e di collaudo su veicoli industriali sulla base di documenti di conformità rilasciati dagli allestitori senza effettuare verifiche tecniche rigorose sui mezzi, come prevede la normativa vigente.

http://www.camera.it/resoconti/resoconto_allegato.asp?idSeduta=238&resoconto=bt55&param=bt55