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MAGISTRATURA CONCORSI TRUCCATI: CONTROLLATI DA MAFIA GIUDIZIARIA & CAMORRA?

Forse è solo una delle tante strane anomalie all’italiana forse un fenomeno di campanilismo forse un più allarmante segnale del capillare controllo delle mafie sui futuri assetti della magistratura per evitare il fastidioso inconveniente di magistrati non allineati agli interessi delle massomafie 

Napoli capitale della Camorra è anche capitale dei promossi: su 343 ammessi agli orali 180 sono di Napoli, 110 siciliani, tanti romani. 

Ad esempio le Corti d’appello di Torino e Firenze hanno sfornato un numero di magistrati pari a 0 (zero), Milano 2.

Come mai?

Sul sito del ministero della giustizia, è stata diffusa la lista ufficiale degli ammessi agli orali del concorso in magistratura a 350 posti, indetto con d.m. del 15 dicembre 2009. Dall’elenco, se non abbiamo contato male, si apprende che sono 343 gli aspiranti che dovranno affrontare le prossime prove orali. I dati definitivi, pertanto, sono i seguenti:

Candidati partecipanti: 4.840
Candidati consegnanti: 3.072
Candidati corretti: 3.072
Candidati ammessi agli orali: 343
Candidati bocciati: 2.744
Candidati da correggere: 0
Percentuale degli ammessi agli orali: 11,17%

343 ammessi agli orali a fronte di 350 posti disponibili e messi a concorso. Questo è il dato ultimativo che emerge dalle operazioni correzione iniziate nella prima settimana di agosto dello scorso anno. La commissione ha impiegato 8 mesi per correggere gli elaborati di 3.072 aspiranti consegnati e siccome ognuno di loro ha scritto tre temi, alla fine sono stati 9.216 i lavori sottoposti al vaglio dei commissari. Come da tradizione, non tutti i posti a concorso sono stati coperti: quale che sarà l’esito delle prove orali, dalle quali, comunque, esce sempre un certo numero di bocciati, oggi possiamo dire che almeno una decina di posti resteranno scoperti, segnando se non un fallimento, un mancato raggiungimento dell’obiettivo principale della selezione, che era quello di assumere 350 nuovi magistrati per sanare le gravi carenze di organico tra i giudici. Non male, però, la percentuale degli ammessi: 11,17%, quando nelle ultime settimane la tendenza sembrava essersi consolidata intorno al dato provvisorio del 10,8-10,9%, sfiorando uno storico 11,00%. Sfumature, ma comunque, la presa di cognizione di una tendenza, che a fronte delle necessità di ammodernamento del procedimento di selezione di nuovi magistrati, non si riesce ad attenuare. Perchè non vengono coperti tutti i posti messi a concorso? A questa domanda abbiamo cercato di rispondere più volte, negli articoli dedicati all’argomento.

Non è forse che la commissione è composta in maggior parte da magistrati e professori partenopei?

ROMA 19 FEBBRAIO 2011: «LA MALAGIUSTIZIA VISSUTA DAI CITTADINI». CONVEGNO NAZIONALE

Comunichiamo a tutti i nostri Associati e sostenitori che il prossimo 19 Febbraio 2011, dalle ore 10,00 alle ore 18,00, presso la Sala Convegni “CONVOGLIA”, Via Giolitti n. 36 ROMA (Ristorante nei pressi Stazione Termini), si terrà il 1° Convegno nazionale dal tema «La Malagiustizia vissuta dai Cittadini».

L’iniziativa partita da un Comitato spontaneo di vittime della malagiustizia è patrocinata dal Movimento per la Giustizia Robin Hood e Avvocati senza Frontiere, con il sostegno della Camera di Giustizia di Napoli – Camera Europea di Giustizia e della Fondazione per la Giustizia Enzo Tortora. 

Il Comitato promotore, cosciente della necessità di costruire un dialogo aperto e permanente con le istituzioni sui temi delicati della malagiustizia vissuta dai comuni cittadini – che non hanno televisioni e sciami di studi legali cui affidare la loro difesa – ha sollecitato la partecipazione delle massime Autorità dello Stato, della Magistratura e dell’Avvocatura, nonché dei partiti, senza distinzione di colore politico, invitando la stampa e tutte le Associazioni e i gruppi della Società civile che si occupano della tutela dei diritti umani (madri coraggio, malasanità, Giustizia giusta, sottrazione di figli, padri separati, vittime di usura, ecc…).

Il Convegno-Conferenza sarà teletrasmesso da “Justice TV” sul Canale 586 di Sky, Radiotrasmessa, oltre a un video-collegamento diretto tramite Internet.

Oltre alla ex moglie di Enzo Tortora, Francesca Scopelliti, che aprirà il Convegno, è prevista la partecipazione del sociologo milanese Pietro Palau Giovannetti, Presidente del Movimento per la Giustizia Robin Hood e di Avvocati senza Frontiere. 

Le vittime della malagiustizia provenienti da ogni parte d’Italia esporranno sinteticamente i loro casi mettendo in evidenza i tratti comuni che inducono a considerare che la giustizia e lo Stato di diritto restino un miraggio a cui solo i potenti possono accedere. 

Diamo quindi il pieno sostegno alle vittime di questo sistema politico-giudiziario massomafioso asservito agli interessi di poteri corrotti e criminali che pioneristicamente andiamo denunciando da oltre 25 anni attraverso il nostro continuo impegno in difesa dei soggetti più deboli.

Quale contributo alla migliore riuscita dell’iniziativa segnaliamo la possibilità per tutti gli aderenti vittime di abusi giudiziari di farci pervenire i loro casi che provvederemo alla tempestiva pubblicazione nella mappa della malagiustizia, onde rendere più visibili le singole vicende e meno vulnerabili e isolati i vari protagonisti.

Per segnalare il tuo caso: movimentogiustizia@yahoo.it

Il sito di Avvocati senza Frontiere è uno dei primi siti giuridici in Italia con una media di 45.000 contatti al mese e 3000 utenti.

Per saperne di più sul convegno e proporre ulteriori tematiche e proposte:

www.luigiiovino.it/newAdmin/my_documents/my_files/586DZ_richieste-e-proposte-alle-istituzioni.pdf  

Per confermare la propria presenza http://www.facebook.com/event.php?eid=193305914013329

Per prenotarsi per il pranzo/Buffet http://www.facebook.com/event.php?eid=172871536090171 Pranzo

Per prenotarsi a parlare (Video registrati) nella seconda parte del convegno

http://www.facebook.com/event.php?eid=188353977850735

OMICIDIO OCCORSIO. IL P.M. CHE AVEVA CAPITO ESSERE LA P2 A TIRARE LE FILA DEL TERRORISMO

 

Vittorio Occorsio è il magistrato romano che per primo intuì che a tirare le file delle stragi e del terrorismo vi era la P2. Oltre che, ovviamente, i servizi segreti.

Aveva indagato sul Golpe Borghese, sul Piano Solo, sullo scandalo Sifar, sulla strage di Piazza Fontana, insomma su tutte le vicende che hanno visto pesantentemente coinvolti i servizi segreti, aveva capito che, probabilmente, dietro a quella lunga scia di sangue vi era un unico comune denominatore e cercava di provarlo.

Nel 1975 Vittorio Occorsio disse al collega Ferdinando Imposimato: “Molti sequestri avvengono per finanziare attentati o disegni eversivi…. Sono certo che dietro i sequestri ci siano delle organizzazioni massoniche deviate e naturalmente esponenti del mondo politico. Tutto questo rientra nella strategia della tensione: seminare il terrore tra gli italiani per spingerli a chiedere un governo forte, capace di ristabilire l’ordine, dando la colpa di tutto ai rossi…Tu devi cercare i mandanti di coloro che muovono gli autori di decine e decine di sequestri. I cui soldi servono anche a finanziare azioni eversive. I sequestratori spesso non sono che esecutori di disegni che sono invisibili ma concreti. Ricordati che loro agiscono sempre per conto di altri”.

Il 09 luglio 1976, Occorsio viene assassinato.

L’autore materiale del suo assassinio è un neofascista, Pierluigi Concutelli, la cui scheda, con l’indicazione della tessera n. 11.070, verrà ritrovata anni dopo da Giovanni Falcone a Palermo, nella sede della Loggia massonica Camea, retta da Michele Barresi e frequentata anche da uomini di Cosa nostra. 

Il 26 dicembre del 1976 l’ingegner Francesco Siniscalchi (affiliato alla Massoneria dal 1951) invia una denuncia ai magistrati titolari dell’istruttoria per l’omicidio Occorsio: Siniscalchi fornisce alla magistratura notizie e documenti sulla Loggia P2 e sulla sua attività eversiva, e rivela l’oscuro ruolo di Licio Gelli e le “deviazioni” all’interno di Palazzo Giustiniani; per queste sue denunce, Siniscalchi verrà espulso dalla Massoneria” e Gelli avrà la via spianata.

L’omicidio di Occorsio fu quindi determinato dagli interessi della «massomafia» per impedirgli di approfondire le sue indagini, avendo intuito che poteva essere la massoneria a tirare le fila del terrorismo, utilizzando a seconda delle contingenze sia quello rosso che all’occorenza quello nero.

In calce pubblichiamo un contributo di Eugenio Occorsio sulla figura del padre e la sintetica ricostruzione della vicenda del magistrato tratta da Avvenimenti Italiani.

Il sostituto procuratore della Repubblica, Vittorio Occorsio, che indaga sui rapporti fra terrorismo fascista e massoneria, viene ucciso a Roma con una raffica di mitra da un commando fascista guidato da Concutelli di Ordine Nero. Il giorno prima di essere ucciso, il magistrato parlando con un giornalista, aveva fatto notare che il totale della cifra pagata per i riscatti dei rapimenti per cui era stato arrestato Albert Bergamelli (i sequestri dei figli di Roberto Ortolani, Alfredo Danesi e Giovanni Bulgari, tutti e tre iscritti alla P2), corrispondeva esattamente alla cifra spesa per l’acquisto della sede dell’OMPAM.

Nel 1976 dopo l’assassinio del giudice Vittorio Occorsio si cominciò a parlare di p2 e massoneria e i collegamenti di essa con gruppi neofascisti e la Banda della Magliana.

A Roma il 10 Luglio 1976 viene ucciso in un agguato terroristico il sostituto procuratore Vittorio Occorsio, l’agguato al magistrato sarà prima rivendicato dal gruppo terroristico “Ordine Nuovo” e successivamente dalle Brigate Rosse, con un volantino fatto trovare in una cabina telefonica a Reggio Emilia. Gli inquirenti però non credono a questa rivendicazione, essendo il documento assai diverso dal solito linguaggio delle BR.

Qualcuno conosce la loggia p2 ?

Claudio Vitalone, Giancarlo Armati, Nicolò Amato, Ferdinando Imposimato: ieri pomeriggio alle 17, in gran segreto, si sono riuniti nell’ufficio del primo, incaricato dell’inchiesta sull’assassinio di Vittorio Occorsio, per mettere a punto la strategia da seguire. Perchè questi quattro magistrati  e non altri? Perchè la pista giusta è quella che, partendo dalla manovalanza nera di “Ordine Nuovo” risale, tramite l’anonima sequestri romana, alla “Propaganda 2” , una loggia che la massoneria ufficiale ormai non riconosce più e combatte con  tutte le armi a disposizione.

Cioè quella che ( ormai se n’è convinto anche Vitalone, inizialmente scettico) verrà battuta nei prossimi giorni senza risparmio di energie e che probabilmente porterà alla verità, o assai vicino ad essa. Armati, Amato e Imposimato  (alla riunione era presente anche il funzionario della squadra mobile Ernesto Viscione) sono i tre magistrati che , insieme con Vittorio Occorsio, indagavano sui sequestri avvenuti a Roma negli ultimi mesi.

 Occorsio si occupava dei rapimenti di Angela Ziaco, Alfredo Danesi, Amedeo Ortolani e Marina D’Alessio: Armati di quelli di Anna Maria Montani e Renato Filippini; Amato  di quelli Maleno Balenotti e Giuseppe Lamburghini. A Imposimato, poi, come giudice istruttore, facevano capo le indagini su tutti i sequestri romani, compresi quelli affidati a PM occasionali ( Armati Amato e Occorsio invece facevano parte della “ squadra antisequestri” di: Ezio Mattacchioni, Fabrizio D’Amico, Gianni Bulgari e Fabrizio Andreuzzi. C’è da dire, infine,  che Nicolò Amato ha detto la sua  anche come PM nel processo contro Albert Bergamelli, Jacques Renè  Berenguer e soci per la rapina in piazza dei Caprettari in cui venne ucciso l’agente di Ps Giuseppe Marchisella. Dopo  quella rapina la banda passò ai sequestri, più lucrosi e meno pericolosi ( in seguito soppiantati dalla “Banda della Magliana”).

 Nelle primissime ore del pomeriggio qualcosa è cambiato e Vitalone ha chiesto ai tre colleghi di recarsi al palazzo di Giustizia alle cinque in punto per una presa di contatto. Alla riunione ognuno ha detto la sua ma tutti erano d’accordo su un punto: è quella la pista da battere.

I colleghi di Occorsio quelli, diciamo che stavano lavarono con lui per sgominare la gang dei sequestri, hanno le idee fin troppo chiare in proposito. Lunedì ce ne ha parlato il PM Giancarlo Armati, ieri un accenno in proposito è venuto dal giudice istruttore Imposimato, il magistrato che avrà l’ultima parola a proposito delle indagini su Albert Bergamelli, su Gian Antonio Minghelli, sulla pletora di  personaggi minori che sono finiti a Regina Coeli come complici o come favoreggiatori, sui collegamenti della banda con gli squadristi neri e con i sedicenti massoni,anch’essi legati a filo doppio con i fascisti d’alto bordo.

Ad Imposimato e contemporaneamente alla Guardia di Finanza, sono pervenute nelle ultime settimane numerose lettere anonime, scritte evidentemente da persone legate alla massoneria ufficiale e da esponemti della P2. Lettre contenenti accuse roventi, rivolte dai massoni a quelli della P2 e viceversa. Alcune accomunano in un unico fascio il” gran maestro della massoneria grande oriente d’Italia” Lino Salvini e il reprobo dellaPropaganda 2” Licio Gelli.

Proprio in questi giorni, Occorsio e Imposimato stavano esaminando l’incartamento che, per legge, essendo anonimo, non può essere acquisito agli atti a meno che gli accertamenti non stabiliscano la validità del suo contenuto.  Dice Imposimato, 40 anni, napoletano, sposato da poco :< se un legame c’è tra anonima sequestri e loggia P2, questo è dato da Albert Bergamelli e da Gian Antonio Minghelli. Basterebbe ricordare le frasi pronunciate dai due, spontaneamente, dopo l’arresto>. < Se mi avete preso, vuol dire che qualcuno mi ha tradito. Ma la pagherà cara perché sono protetto da una grande famiglia>, disse Bergamelli il 30 aprile scorso mentre manette ai polsi ,sostava in questura. Dieci giorni dopo, interrogato da Occorsio e da Imposimato per la prima volta come imputato di concorso nei sequestri di persona, Minghelli dichiarò: “I giornali dicono che io faccio parte della massoneria. E’ vero: ma questo che c’entra con le accuse contro di me?”.

Facile pensare che la “ grande famiglia” di cui parlava Bergamelli fosse la massoneria e in particolare, visto il legame Bergamelli- Minghelli e dato che l’avvocato fascista fa parte della segreteria della Loggia P2, quella diramazione della massoneria ufficiale che fa capo al maestro venerabile Licio Gelli, aretino, con interessi in una fabbrica di confezioni e, sembra, uomo dei servizi segreti argentini . In una  delle lettere anonime fatte pervenire al giudice Imposimato e alla finanza si parla di contrasti sorti nel marzo del 1975 nella gran loggia massonica. Salvini, il gran maestro – stando sempre all”informativa” non firmata – venne attaccato da un avvocato palermitano legato agli ambienti della mafia siciliana. L’operazione non sarebbe stata diretta  a far dimettere Salvini ma da avvertirlo: < Non devi più intralciare i passi di Licio Gelli nella operazione trame nere>.

L’operazione anti-Salvini, infatti sarebbe stata diretta da Gelli con la collaborazione del padre di Amedeo Ortolani, iscritto anch’egli alla loggia P2. Inevitabile un riavvicinamento Salvini-Gelli , il promo costretto dal secondo. La nuova , forzata alleanza portò allo “scaricamento” di Ortolani padre. A Gelli non serviva più, Salvini voleva vendicarsi di lui. Inoltre,Ortolani, vista la mala parata , minacciava di parlare. Dice sempre la lettera anonima:  fu a questo punto che decisero di punirlo sequestrandogli il figlio Amedeo e prendendo  i classici due piccioni con una fava: eliminazione definitiva dal campo massonico di Ortolani padre ( che infatti è uscito di scena9 e guadagno netto di un miliardo, cioè del prezzo pagato per il riscatto. Del sequestro venne incaricato un esperto del ramo, Albert Bergamelli. Poi,  dice sempre l”informativa”  visto che la cosa ando bene, si passò al secondo sequestro, l’operazione Gianni Bulgari. < I sequestri – dice testualmente l’anonimo – servono a finanziare svolte a destra e la formazione di campi paramilitari fascisti>.

Finora a proposito del riciclaggio del denaro sporco, gli inquirenti avevano accertato che una parte dei capitali è stata utilizzata per l’acquisto di immobili come una villa a Sabaudia e un residence sulla via Aurelia. Un’altra parte sembra sia finita a Zurigo tramite Maria Rossi, detta Mara, l’amante di Berenguer. Non si era ancora stabilito l’impiego della parte più consistente dei riscatti. Forse Occorsio s’era avvicinato, ma una sventagliata di mitra l’ha fermato per sempre.

Franco Coppola 14 Luglio 1976

Pier Luigi Concutelli

ll documento con cui “Ordine Nuovo” rivedicò l’assassinio di Vittorio Occorsio.

“La giustizia borghese si ferma all’ergastolo, la giustizia rivoluzionaria va oltre. Il Tribunale speciale del M.P.O.N. ha giudicato Vittorio OCCORSIO e lo ha ritenuto colpevole di avere, per opportunismo carrieristico, servito la dittatura democratica perseguitando i militanti di Ordine Nuovo e le idee di cui essi sono portatori.

Vittorio OCCORSIO ha, infatti, istruito due processi contro il M.P.O.N. Al termine del primo, grazie alla complicità dei giudici marxisti BATTAGLINI e COIRO e del barone D.C. TAVIANI, il movimento politico è stato sciolto e decine di anni di carcere sono stati inflitti ai suoi dirigenti.

Nel corso della seconda istruttoria numerosi militanti del M.P.O.N. sono stati inquisiti e incarcerati e condotti in catene dinanzi ai Tribunali del sistema borghese. Molti di essi sono ancora illegalmente trattenuti nelle democratiche galere, molti altri sono da anni costretti ad una dura latitanza.

L’atteggiamento inquisitorio tenuto dal servo del sistema OCCORSIO non è meritevole di alcuna attenuante. L’accanimento da lui usato per colpire gli ordinovisti lo ha degradato al livello di un boia. Ma anche i boia muoiono!

La sentenza emessa dal Tribunale del M.P.O.N. è di morte e sarà eseguita da uno speciale nucleo operativo. Avanti per l’Ordine Nuovo!”

Questo era mio padre

In questo articolo dell’ottobre del 1976 il figlio del magistrato ucciso delinea un ritratto del padre.

Sono tre giorni che cerco disperatamente nella memoria un segno, un indizio,una traccia di qualche discorso pronunciato da mio padre negli ultimi mesi  della sua vita che potesse riferirsi a minacce ricevute. Niente , non trovo niente. Paura forse si, ma accettata come una sorte di fatalismo, e non poteva essere diversamente nelle sue condizioni, sempre al centro delle più travagliate e spinose vicende giudiziarie di questi ultimi anni. Se non voleva lasciarsi sopraffare dall’angoscia, dall’ansia e dalla paura, un uomo con cosi tanti nemici doveva farsi forza e andare avanti, incredibilmente come se niente fosse per fare coraggio a sé ed  a noi.

Ma la verità  è che non ho neanche la forza di pensare correntemente al passato, ricostruire  gli ultimi giorni della sua vita, quella vita a cui guardava sempre con tanta gioia, nonostante la perenne  atmosfera di tensione in cui era costretto a lavorare.

Ho vissuto questi anni come perseguitato dalla domanda << ma tu sei figlio di Occorsio?>>, e quando glielo  raccontavo lui ci rideva, come rideva di tutte le altre cose , di mia nonna, sua madre, che gl telefonava ogni notizia di cronaca nera. Si faceva forza per sé ma soprattutto per noi. Parlava volentieri del suo lavoro , ma senza ossessionarci.

Sembrava  ovvio, scontato, ma in questo momento non riesco a vedere lati negativi della sua personalità. Non riesco a vedere neanche lontanamente cosa odiavamo in un uomo come lui colpevole solo di fare il proprio lavoro con serietà e fiducia. Ma forse non è retorico né scontato per il semplice motivo che neanche quando era ancora vivo provavo per lui sentimenti diversi dall’amore, dalla stima e forse  più che  ogni altra  cosa, dall’amicizia.

Eravamo amici, lo hanno scritto i quotidiani, ed è vero. Con mia madre aveva un rapporto di vero amore. Così come con Susanna mia sorella misto a una tenerezza e a un trasporto definivamo “ napoletano” ma che era dettato solo dall’amore e forse da un tragico presentimento.

Per me era un amico, un consigliere, più che un padre. E anche se facevo una strada professionale diversa, mi seguiva…..

Ora questa tragedia ha sconvolto in modo irreparabile la nostra famiglia e l’intera comunità di coloro che credono in qualche ideale, non riesco a pensare razionalmente a qualche momento preciso, ma solo a una lunghissima, profonda amicizia che non è finita sabato mattina sotto le raffiche di mitra che mi hanno svegliato e fatto ritrovare solo in quella casa che lui e mamma pezzo per pezzo avevano messo su e continuavano a completare per avere tanti piccoli momenti nella loro vecchiaia insieme, che non ci sarà mai.

Eugenio Occorsio

PISANU. UNA CARRIERA DA PIANO RINASCITA. DAI RAPPORTI CON LA P2 ALLA PRESIDENZA DELL'ANTIMAFIA

Pisanu, l’8 giugno del 1982, risponde alla Camera. Già all’epoca c’era un enorme buco, c’era il buco del banco Andino, affiliato al Banco Ambrosiano, che stava rischiando di trascinare anche l’Ambrosiano nel crack.
Ma Pisanu rassicura: niente paura: è tutto sotto controllo, nessun allarme.

Dice: “le indagini condotte all’estero sull’Ambrosiano non hanno dato alcun esito”.
Non tanti giorni dopo, un giorno dopo, il 9 giugno Pisanu va di nuovo a cena con Flavio Carboni.
Un altro giorno dopo, il 10 giugno, Calvi scappa dall’Italia per finire, come sappiamo, sotto il Ponte dei Frati Neri, appeso.
Nove giorni dopo l’uscita di Pisanu in Parlamento – tutto sotto controllo, nessun problema per l’Ambrosiano – il governo suo, Fanfani, mette l’Ambrosiano in insolvenza.
Lo dichiara insolvente e manda sul lastrico migliaia di risparmiatori, che perdono tutto quello che avevano.
Poi, sia l’Ambrosiano, sia l’Andino fanno la loro regolare bancarotta.
La commissione P2, presieduta da Tina Anselmi, convoca Pisanu perché Angelo Rizzoli, editore, all’epoca proprietario del Corriere della Sera, P2, poi coinvolto in un crack, anche lui arrestato, racconta: “a proposito del Banco Andino, Calvi disse a me e a Tassandin – l’uomo della P2 al vertice del Corriere della Sera – che il discorso dell’onorevole Pisanu in Parlamento l’aveva fatto fare lui – Calvi. Qualcuno mi aveva detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800 milioni da Flavio Carboni“.
Quest’accusa, che poi verrà riesumata anche dal portaborse di Calvi, Pellicani, non ha mai trovato conferma, quindi possiamo ritenerla falsa o non provata.
Ma il problema è politico: Pisanu è il signore che ha messo la faccia, è andato in Parlamento a dire che il Banco Ambrosiano era una meraviglia mentre era alla vigilia del crack.
Il tutto a causa dei suoi conflitti di interessi, cioè dei suoi rapporti con Carboni, con Calvi e con Berlusconi.
In commissione P2 si scatenano le opposizioni: i più accesi sono Teodori, dei Radicali, e Tremaglia, del Movimento Sociale, che ne dicono di tutti i colori di Pisanu.
Se volete trovate in “Se li conosci li eviti”, la biografia di quei giorni terrificanti, tant’è che urlano “dimissioni, dimissioni, dimissioni!” e alla fine, il 21 gennaio del 1983, Pisanu si dimette da sottosegretario al Tesoro.
Poi rientrerà in un altro governo e verrà riciclato da Forza Italia, perché sapete che in Italia non si butta via niente!
Lo ritroviamo, Pisanu – ve lo racconto di nuovo il suo possibile ruolo di presidente della commissione antimafia – nel 2004, 10 gennaio, in una telefonata.
Non è lui al telefono: al telefono ci sono Berlusconi, presidente del Consiglio, e Cuffaro, all’epoca governatore della Sicilia per il centrodestra.
Cuffaro, sapete, era preoccupato perché c’era un’indagine per favoreggiamento alla mafia da parte della Procura di Palermo, Berlusconi lo rassicura e gli dice: “io ho saputo qui, la ragione perché ti telefono, il ministro dell’Interno mi ha parlato e mi ha detto che tutta la… è sotto controllo, è tutto sotto controllo”.
Chi era ministro degli Interni in quel periodo? Pisanu.
A che titolo Pisanu sapeva notizie o controllava notizie su un’indagine segreta della magistratura a Palermo, un’indagine di mafia che coinvolgeva anche il governatore?
E a che titolo informava Berlusconi di queste eventuali notizie segrete di cui aveva saputo?
E a che titolo Berlusconi informava Cuffaro?
C’è, per caso, un reato di favoreggiamento in questo comportamento? Lo domando perché Cuffaro è stato condannato per avere avvertito dei mafiosi su notizie riservate su indagini in corso.
Se fosse vero quello che dice Berlusconi al telefono, forse ci sarebbe qualcosa di illecito anche nel comportamento di un ministro dell’Interno che si procura notizie su un’indagine segreta, che le rivela al presidente del Consiglio, che le rivela all’interessato, cioè all’indagato, cioè a Totò Cuffaro.
Perché non sono stati chiamati a risponderne penalmente? Perché in quel periodo la procura di Palermo adottava una linea morbida nei confronti dei politici.
Pisanu fu sentito come testimone, Berlusconi non fu nemmeno sentito.
La procura, presieduta da Piero Grasso, chiese e ottenne la distruzione di quei nastri, anziché mandarli al Parlamento per ottenere l’autorizzazione a utilizzarli per valutare eventuali reati da parte di Berlusconi e Pisanu.
Tutti da dimostrare, naturalmente, ma la telefonata è quanto mai inquietante, soprattutto perché Cuffaro non si è mai saputo da chi sapesse le notizie riservate che poi passava ai mafiosi.
Qui abbiamo un piccolo indizio: “il ministro dell’Interno mi ha parlato, e mi ha detto che tutta la… è tutto sotto controllo, tutto sotto controllo”.
Perché dico questo? Perché è evidente che una commissione parlamentare antimafia seria, che volesse occuparsi dei rapporti mafia-politica, potrebbe per esempio cominciare dal caso Cuffaro.
E nel caso Cuffaro domandarsi se c’erano deviazioni istituzionali.
E magari convocare Berlusconi e Pisanu.
Ma se il presidente dell’antimafia fosse Pisanu, potrebbe convocare se stesso? Si, dovrebbe guardarsi allo specchio e farsi le domande e darsi le risposte.
Passate parola!

Ps. La scorsa settimana ho citato l’ex onorevole Publio Fiori a proposito della Loggia P2.
Fiori mi prega di precisare che il suo nome figurava, sì, nelle liste ritrovate nel 1981 negli uffici di Gelli a Castiglion Fibocchi.
Ma poi una sentenza definitiva del Tribunale di Roma (come pure l’Avvocatura Generale dello Stato) hanno stabilito che la presenza del suo nome nelle liste non dimostra la sua adesione alla Loggia.
Il suo nome, insomma, potrebbe essere stato inserito abusivamente negli elenchi.”
Marco Travaglio


In ricordo della vedova di Moro che rifiutò funerali di Stato.

Morta la vedova di Moro: rifiutò funerali di Stato

28 dicembre 2010

Eleonora, vedova dello statista Dc ucciso dalle Brigate rosse, è morta a quasi 95 anni.

In polemica con i vertici Dc rifiutò i funerali di Stato per il marito. Oggi pomeriggio i funerali a Torrita Tiberina, sarà sepolta accanto all’ex leader democristiano che aveva il sogno di cambiare la giustizia.

Roma – È morta Eleonora Moro, la vedova di Aldo Moro, lo statista democristiano ucciso dalle Brigate rosse. Aveva quasi 95 anni. I funerali si svolgeranno oggi pomeriggio Torrita Tiberina, il paese dove è sepolto l’ex leader democristiano. Eleonora Mora sarà sepolta accanto al marito. La signora Chiavarelli aveva sposato Moro nel 1945 e da lui aveva avuto quattro figli: Maria Fida, Agnese, Anna e Giovanni. Quando Moro fu assassinato dalle Brigate rosse nel 1978, dopo 55 giorni di prigionia, rifiutò i funerali di Stato in polemica con i vertici della Dc che accusava di non aver voluto trattare per salvare la vita al marito.

L’ultima lettera dello statista 

Nell’ultima lettera prima della uccisione Moro si rivolge sempre a sua moglie Noretta, la “dolcissima Noretta”, alla quale non nasconde la consapevolezza della fine: “Dopo un momento di esilissimo ottimismo, dovuto forse ad un mio equivoco circa quel che mi si veniva dicendo – scrive Moro – siamo ormai, credo, al momento conclusivo. Per il futuro – prosegue Moro – c’è in questo momento una tenerezza infinita per voi, il ricordo di tutti e di ciascuno, un amore grande grande carico di ricordi apparentemente insignificanti e in realtà preziosi. Uniti nel mio ricordo vivete insieme. Mi parrà di essere tra voi. Ricordami a tutti i parenti ed amici con immenso affetto ed a te e tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore eterno. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Amore mio, sentimi sempre con te e tienimi stretto. Bacia e carezza Fida, Demi, Luca (tanto tanto Luca) Anna Mario il piccolo non nato Agnese Giovanni. Sono tanto grato per quello che hanno fatto. Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta. Il Papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo”.

MINACCE DI DESTITUZIONE PER GENCHI. POLIZIA DI STATO – MAFIA DI STATO?

Le parole recentemente pronunciate da Salvatore Borsellino sono state molto chiare:

Abbiamo paura che Gioachino Genchi, lasciato solo, possa venire eliminato. Non solo professionalmente e personalmente, cosa che è già stata fatta, ma anche fisicamente“.

Dopo la deligittimazione e il tentativo di screditarlo per la sua importante attività di investigatore antimassomafie, quale collaboratore dell’ex P.M. De Magistris,  ora il pericolo si fa più concreta con la minaccia di destituzione dalla Polizia di Stato, che Gioacchino Genchi non ha fatto altro che onorare con la alta professionalità, onesta morale, indipendenza e coraggio.

Fa paura perché Genchi sà, ha visto e probabilmente potrà testimoniare la verità su quella trattativa tra Stato e massomafie, perchè, probabilmente, potrà spiegarci e provare perchè oggi la massoneria e la mafia sono al governo, controllando i gangli vitali delle istituzioni, comprese le prefetture, i rami del Parlamento, le istituzioni economiche, le banche, i media…

Afferma Genchi: “…..E l’attacco che viene fatto nei miei confronti parte esattamente dagli stessi soggetti che io avevo identificato la sera del diciannove luglio del 1992 dopo la strage di via D’Amelio, mentre vedevo ancora il cadavere di Paolo Borsellino che bruciava e la povera Emanuela Loi che cadeva a pezzi dalle mura di via D’Amelio numero diciannove dov’è scoppiata la bomba, le stesse persone, gli stessi soggetti, la stessa vicenda che io trovai allora la trovo adesso!
Ancora nessuno ha detto che io sono folle. Anzi, sarò pericoloso, terribile ma che sono folle non l’ha detto nessuno. Bene allora quello che io dico non è la parola di un folle perché io dimostrerò tutte queste cose. E questa è l’occasione perché ci sia una resa dei conti in Italia. A cominciare dalle stragi di via D’Amelio e dalla strage di Capaci. Perché queste collusioni fra apparati dello Stato, servizi segreti, gente del malaffare e gente della politica, è bene che gli italiani comincino a sapere cosa è stata.”

Chi è Gioacchino Genchi? http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=171

Perchè è minacciato di destituzione dalla polizia di Stato?

http://www.youtube.com/watch?v=ROra5QxY9xo

“Processo” a Genchi: la Polizia pronta a cacciarlo – “colpevole” per le critiche al governo

Gioacchino Genchi potrebbe essere rimosso dalla Polizia tra pochi giorni.

Il consiglio di disciplina della Polizia ieri lo ha ascoltato per otto ore. Il verdetto, che sarà ufficiale tra 15 giorni, secondo quanto risulta a Il Fatto Quotidiano è già scritto: destituzione. Il capo della Polizia Antonio Manganelli potrebbe sovvertirlo ma, da quanto si apprende, non è intenzionato a farlo. Genchi è un consulente privato delle Procure ma resta un poliziotto in aspettativa non retribuita. I suoi capi di incolpazione disciplinare sono due discorsi. Il 6 dicembre del 2009 sul palco dei Grillini di Cervignano del Friuli, si è permesso di ridicolizzare l’enfasi data dal governo all’arresto del mafioso Giovanni Nicchi, definito “numero due della mafia” da Berlusconi. Quell’arresto provvidenziale, giunto il giorno dopo il “No Berlusconi day” del 5 dicembre, secondo Genchi fu gonfiato come un’arma di distrazione di massa. Per dimostrarlo Genchi ha depositato il certificato penale incensurato – fino all’arresto – del mafioso. A Genchi è stato contestato anche il discorso al congresso dell’Italia dei Valori del 6 febbraio 2010 in cui aveva usato la parola (senza dubbio infelice) di “pantomima” per la ricostruzione pubblica dell’attentato a Berlusconi in piazza del Duomo. Il funzionario si è difeso sostenendo che si riferiva solo all’eccesso della prognosi inizialmente certificata di 90 giorni (e poi drasticamente ridimensionati) al premier. Il vicequestore con la passione per l’informatica si è difeso mostrando l’ottimo ottenuto in valutazione a maggio scorso, così motivato “eccellenti requisiti intellettuali, professionali e morali”. (Fonte: Il Fatto Quotidiano – 2 dicembre 2010).

E I COLLEGHI DEL G8?
Genchi ha sottolineato anche la disparità di trattamento con i colleghi coinvolti nei fatti del G8 e nell’omicidio Aldrovandi. Il vicequestore viene cacciato con ignominia per avere espresso le sue idee mentre non è stata disposta nemmeno una sospensione per i dirigenti massimi e i funzionari di più alto grado come “Francesco Gratteri, Giovanni Luperi, Gilberto Caldarozzi, Filippo Ferri, Massimiliano Di Bernardini , Fabio Ciccimarra, Nando Dominici, Spartaco Mortola , Carlo Di Sarro, Massimo Mazzoni”, e tanti altri, “tutti coinvolti nelle indagini della Procura della Repubblica di Genova per i noti fatti del G8 del 2001, oggetto della sentenza di condanna della Corte d’Appello di Genova del 18 maggio 2009” . E un’altra disparità inspiegabile per Genchi è il trattamento a lui riservato rispetto all’assenza di provvedimento contro “Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollasti”, condannati in primo grado dal Tribunale di Ferrara per l’omicidio preterintenzionale del giovane Federico Aldovrandi, consumato a Ferrara il 25 settembre 2005. Queste, secondo la Polizia e il suo capo, Antonio Manganelli, non sono condotte che “rendono incompatibile l’ulteriore permanenza in servizio”. Mentre Genchi va cacciato perché ha usato la parola pantomima anche in una seconda circostanza quando ha espresso “commenti pesanti su di un altro episodio riguardante il presidente del Consiglio: la microspia rinvenuta nello studio dell’onorevole Berlusconi nel 1996” . Genchi ha chiamato a testimoniare in sua difesa Roberto Maroni. Nel 1996 aveva detto all’Ansa: “La microspia se l’è messa Berlusconi da solo per fare la vittima”. Ovviamente la testimonianza è stata esclusa. Altrimenti i solerti funzionari avrebbero dovuto cacciare anche il loro ministro.

__________________________________________________________________________     La proposta di destituire Gioacchino Genchi dalla Polizia e’ scandalosa. 

30 novembre 2010 – di Fabio Repici

Per rispetto delle regole del galateo professionale, forse sarebbe stato il caso di tacere in quest’occasione. Perché chiunque potrebbe dire, o anche soltanto malignamente sussurrare, che io mi pronuncio perché sono il difensore di Gioacchino Genchi. E, quindi, è scontato che ne prenda le difese anche nel dibattito pubblico. Confesso che proprio per questo avrei voluto tacere. Poi ho pensato che la proposta di destituzione di Gioacchino Genchi dalla Polizia di Stato è un’evenienza così scandalosa che tacere sarebbe il peggior tradimento del mio ruolo di cittadino fedele ai principi della nostra Costituzione.

Da quando ho conosciuto Genchi, in verità, ho temuto che prima o poi qualcuno gli avrebbe fatto pagare tutto quello che di buono egli ha fatto in giro per i palazzi di giustizia di tutt’Italia nell’interesse dell’accertamento della verità. Anche – se non soprattutto – nei casi in cui la verità era indicibile. La vera colpa di Genchi è, dopo aver afferrato spezzoni di verità come solo lui è stato capace di fare – perché le sue capacità gliele riconoscono prima di tutto i suoi detrattori –, di aver osato pronunciarle, certe verità indicibili.

Vedete, se Genchi avesse concorso ad uccidere Aldrovandi oppure avesse calunniato e bestialmente pestato i ragazzi che manifestavano contro il G8 di Genova oppure avesse depistato le indagini sulla strage di Via D’Amelio per impedire di individuarne i mandanti estranei a cosa Nostra, se Genchi avesse fatto qualcosa del genere domani non comparirebbe davanti al consiglio di disciplina per sentire pronunciare la sua destituzione dalla Polizia. No, in quel caso per Genchi ci sarebbero state solo promozioni. Come è accaduto per uno dei depistatori di via D’Amelio, il dr. Ricciardi, che naturalmente è diventato questore. O come è accaduto per il dr. Gratteri e gli altri torturatori di Genova. Né, naturalmente, Genchi ha subito condanne rovinose per reati infamanti: in quel caso lo avrebbero fatto, ad honorem, comandante del R.o.s. dei Carabinieri.

Invece no: Genchi non solo non ha ricevuto promozioni ma, poiché su Via D’Amelio è stato proprio l’operato di Genchi a spalancare gli scenari che andavano tenuti seppelliti nell’oscurità, ora lo Stato gli presenta il conto. L’anticipo gli era stato preannunciato niente meno che dal più grosso puttaniere d’Italia, Silvio Berlusconi, il quale, trovandosi un giorno libero da impegni con Patrizia D’Addario o con Ruby Rubacuori, disse che Genchi era “il più grande scandalo della storia della Repubblica”. Lo disse proprio lui, Berlusconi. E così per sovrapprezzo Genchi si trovò indagato da un magistrato al di sotto di ogni sospetto come Achille Toro e dal corpo investigativo più deviato della seconda Repubblica, per l’appunto il R.o.s. di Mori, Ganzer, Obinu, De Caprio, ecc..

E poiché non c’era nulla da contestare a Genchi, il Ministero dell’Interno ha trovato che egli deve essere cacciato dalla Polizia di Stato perché ha oltraggiato l’onore di Silvio Berlusconi, con l’aggravante di averlo fatto al congresso di un partito pericolosamente legalitario come Italia dei Valori. Vi chiederete: come si fa a oltraggiare l’onore di uno che l’ambasciata statunitense in Italia – non propriamente un circolo talebano – considera un puttaniere psicopatico? Il ministro Maroni lo avrebbe potuto spiegare quando ha imposto la sua presenza nel programma di Fazio e Saviano ma lì ha preferito turlupinare gli italiani per difendere l’immagine del suo piccolo partito razzista e secessionista.

Quello che si vuole è, in realtà, la morte civile di Genchi e, insieme a questa, l’insegnamento a qualunque magistrato o investigatore che, a cercare verità troppo scomode per il potere, si finisce male.

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A proposito del capo della Polizia di Stato Antonio Manganelli che molti ci domandano se faccia o meno parte anche lui di logge massoniche viste le sue posizioni nei gravi fatti del G8 dio Genova, ecco alcune sue affermazioni a riguardo sui fatti di Genova del 2001:

“Quella vicenda è certamente servita per avviare una serie di riflessioni  ma il bombardamento mediatico, anche di questi giorni, presenta una immagine che contrasta profondamente con la verità storica. Si dimenticano, infatti, le devastazioni inferte alla città in quei giorni, la presenza a Genova di 3mila guerriglieri provenienti da Paesi esteri e dentro questo contesto si isola l’abuso del singolo poliziotto da tutto il resto. Gli abusi, sia chiaro non vanno comunque giustificati e vanno invece perseguiti e puniti”

“Si è trattato di un’operazione che poteva essere condotta con più pacatezza ..”

Da: Corriere della Sera

http://www.corriere.it/cronache/07_novembre_28/genova_manganelli_53481ba8-9d89-11dc-bac3-0003ba99c53b.shtml

 L’inchiesta di Genova. L’ex questore nelle telefonate: parla di un’azione comune contro i pm
«Manganelli dice: giù di forza»
Colucci intercettato. Il capo della polizia: frasi mal riportate
GENOVA – Manganelli «è arrabbiato e dice che devono fare un’azione comune per essere pesanti contro i magistrati», «il capo dice che devono andarci giù di forza », e ancora «Manganelli stamattina mi ha detto: dobbiamo darci una bella botta a questo magistrato, mi ha accennato che qualcuno sta già prendendo delle carte non troppo regolari». Francesco Colucci, questore di Genova durante il G8 del 2001, parla così con un funzionario del ministero dell’Interno, con un collega e con Spartaco Mortola, ex capo della Digos di Genova. Non sa di essere intercettato.
Colucci commenta il fatto che egli stesso e l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, dimesso da pochi giorni, sono indagati per falsa testimonianza. È accaduto infatti che il 3 maggio Colucci, chiamato a testimoniare sulle telefonate intercorse la notte della Diaz con De Gennaro, abbia modificato la sua precedente versione negando di aver parlato con il capo della polizia a proposito dell’intervento del portavoce Roberto Sgalla nella scuola. Risultato: Colucci è accusato di falsa testimonianza, De Gennaro di averlo istigato a mentire, reato poi contestato anche a Mortola. Nelle intercettazioni che fanno parte del fascicolo relativo alla falsa testimonianza, non ci sono telefonate di Manganelli né di De Gennaro. L’ex capo della polizia e l’attuale compaiono solo nelle parole del molto loquace Colucci. Lo schema, secondo i magistrati che hanno da poco depositato l’avviso di conclusione delle indagini, è questo: De Gennaro fa pressione su Colucci perché cambi la sua testimonianza, Colucci lo fa, scoppia il caso, Colucci telefona a destra e a manca euforico spiegando come Manganelli (non ancora capo della Polizia) la voglia far pagare ai magistrati.
Il prefetto Manganelli ieri ha dichiarato che quelle frasi sono «un tradurre liberamente e con linguaggio inappropriato la mia manifestazione di affetto e di vicinanza a un collega in difficoltà». Nel faldone c’è anche la telefonata fra Mortola (indagato nel processo Diaz per le false molotov) e Maddalena, l’ispettore del Viminale incaricato di investigare sulla sparizione delle molotov dall’ufficio corpi del reato della Questura. Maddalena relaziona a Mortola sulle indagini in Procura. Insomma, una partita avvelenata fra Procura e Polizia, o almeno questo starebbero a dimostrare intercettazioni e atti depositati.

Conclusivamente, auspichiamo che il Procuratore Distrettuale Antimafia di Roma Dr. Capaldo vorrà far luce sul caso e garantire che le decisioni del Capo della Polizia di Stato Manganelli vengano adottate in conformità con i principi di legalità, libertà e indipendenza propri di ogni ufficio e funzione dello Stato, verificandone l’eventuale appartenenza o vicinanza a logge massoniche coperte e non…

Avvocati senza Frontiere

La denuncia del C.S.M.: “C’è una questione morale tra le toghe. Si dimettano coloro che sono implicati nella vicenda “P3”

“Cherchez il Magistrato”.

di Adriano Fontani

Cherchez la femme” è la famosa frase di un investigatore francese che voleva dire che non esiste trama criminosa o delitto in cui non ci sia di mezzo una donna: cercatela!

A seguire le mille trame della “Sporca Italia”, storie talvolta di crimine e malaffare organizzato altre volte di “semplici” intrallazzi, clientelismi, raccomandazioni e interessamenti “interessati”ci si rende rapidamente conto che non ve n’è una dove non ci sia dentro un Magistrato o Giudice, spesso di alto livello. La conferma a questa regola non scritta è arrivata immancabile dalle vicende di questi ultimi mesi, dalle indagini legate alla “cricca” vicina alla Protezione Civile per la ricostruzione post terremoto de L’Aquila come a quelle, di ieri e l’altro ieri, legate alla cosiddetta “P3”, sospetta associazione criminosa segreta per condizionare sentenze, appalti e quant’altro che coinvolge altissimi personaggi del partito di maggioranza, del governo e, appunto, della Magistratura.

Tanto che perfino l’ineffabile Capo dell’ANM (Associazione Nazionale Magistrati, il privatissimo sindacato unico dei Magistrati Italiani), Luca Palamara, famoso per difendere sempre e comunque i magistrati anche quando sono indifendibili, davanti all’ennesimo caso di Alti Magistrati implicati in una trama poco chiara (la cosiddetta P3) ha prima ammesso: “C’è una questione morale tra le toghe” (Q.N. del 13-7-2010) per poi aggiungere 2 giorni dopo (15-7-2010) “Si dimettano dalla Magistratura coloro che sono implicati nella vicenda “P3”.

Tanto che l’ex Magistrato ed ex Presidente della Repubblica (ed in tale veste Presidente del CSM, organo di autogoverno della Magistratura) Oscar Luigi Scalfaro, che a suo tempo ebbe forti conflitti istituzionali con il primo governo Berlusconi, richiamò i suoi ex colleghi “Isolate i colleghi indegni. Un PM non può candidarsi politicamente nel territorio dove ha indagato” (“CorrSera” 26-3-2010, 9), con riferimento alla scandalosa candidatura alle Regionali 2009 in Puglia di un PM pugliese che aveva perfino indagato fino al giorno prima, da Magistrato, sui suoi avversari politici.

Tanto che l’ex Giudice e considerato il Capo del cd. “partito dei giudici”, l’ex Presidente della Camera ed esponente di spicco della sinistra Luciano Violante 2 anni fa sbottò, pure lui: “Basta, questa Magistratura ha troppo potere”.

Dunque “Cherchez il Magistrato” che è sempre in mezzo a qualche vicenda poco chiara, penalmente rilevante o moralmente riprovevole, dunque. Ecco un elenchino sommario che ci aiuta.

Prima di iniziare il lungo elenco ricordiamo la nutrita pattuglia di Magistrati, oltre a quelle dei giornalisti, dei Politici, degli alti graduati dell’arma dei CC,… presente nella disciolta loggia massonica deviata P2. Se la memoria non mi tradisce (non ne sono certissimo) vi era pure addirittura perfino l’allora Vicepresidente del CSM.

  1. La Procura di Firenze porta avanti le indagini sulla “cricca” di affari poco chiari legati alla Protezione Civile ed alla ricostruzione post terremoto in Abruzzo. Indagini che hanno visto indagato lo stesso Bertolaso e che hanno portato in carcere personaggi potentissimi come il Presidente del Consiglio dei Lavori Pubblici Angelo Balducci ed il Provveditore alle opere Pubbliche della Toscana Fabio De Santis. Indagini che hanno tirato in ballo uno dei Coordinatori Nazionali del PdL e colonnelli di Berlusconi, Denis Verdini. Dalle intercettazioni emerge il ruolo del Procuratore aggiunto della Repubblica di Roma Achille Toro accusato di aver favorito in itinere gli indagati tenendoli aggiornati sullo sviluppo delle indagini, tanto che pare che qualcuno si preparasse ad emigrare. Achille Toro si dimise immediatamente dalla Magistratura onde evitare sanzioni.
  2. In alcune delle tante intercettazioni relative alla suddetta “cricca” legata alla ricostruzione post terremoto in Abruzzo emergono strane telefonate, interessamenti e sospetti conflitti di interesse di 2 alti Magistrati: Giuseppe Tesauro, Giudice della Corte Costituzionale e Mario Sancetta, Giudice della Corte dei Conti. Entrambi soci in società immobiliari con tal Antonio Di Nardo, imprenditore e dipendente del ministero delle Infrastrutture, in stretti rapporti con quell’imprenditore De Vito Piscicelli divenuto famoso per aver confessato via telefono la sua risata alla prospettiva di fare affari sui morti del terremoto. Di Nardo che, secondo certi rapporti del ROS, sarebbe in stretti rapporti con la criminalità organizzata campana. Sancetta parla al telefono con un socio di Di Nardo, Lamino e promette interessamento per di attivare i suoi contatti per ottenere commesse per le imprese di Di Nardo (suo socio) e Lamino in Abruzzo. Altrettanto i ROS hanno accertato un giro di telefonate tra il Giudice Tesauro ed il suo socio Di Nardo: Tesauro si interessa per una licenza di una sua azienda (fonte: “CorrSera”, Mercoledì 17 febbraio 2010).
  3. Processo conclusosi in data 12-7-2010 presso l’8° Sezione Penale del Tribunale di Milano con la condanna a 14 anni del Generale Giampaolo Ganzer capo del reparto di èlite dell’Arma dei carabinieri, quel ROS che ha condotto e sta conducendo le indagini su quasi tutte le più grandi inchieste di questi anni, incluse quelle quelle qui esposte. Condannato per aver organizzato importazioni, traffici e spacci di grossi quantitativi di droga, in collaborazione coi narcotrafficanti di mezzo mondo, per poter poi fare brillanti operazioni all’unico fine di mettersi in mostra, raccogliere encomi, fare carriera ed acquisire potere. Sotto accusa, in uno stralcio di processo che sarà celebrato a parte, finisce il PM di Bergamo Mario Conte, accusato di aver fatto da sponda autorizzando queste strane “operazioni coperte” volute ed organizzate appunto dal generale Ganzer (fonti: “CorrSera” e “Q.N” di martedì 13-7-2010).
  4. Luglio 2010, scoppia lo scandalo della cd. “P3”. Secondo gli investigatori un potentissimo comitato segreto di pressioni, affari ed intrallazzi, una sorta di loggia massonica segreta trasversale come appunto la P2 in grado di condizionare grossi appalti come quello dell’eolico in Sardegna, nomine di Giudici, decisioni della Corte Costituzionale,…: “sodalizio criminale” lo definiscono i giudici. Vengono indagati per associazione a delinquere e ci finiscono dentro il fondatore di Forza Italia e già condannato in 2° grado di supporto esterno in Associazione Mafiosa il Senatore Marcello Dell’Utri, il ViceMinistro dell’Economia Nicola Cosentino (che si dimette in data 14 luglio), il Coordinatore Nazionale di Forza Italia Denis Verdini, mentre vengono addirittura arrestati per le stesse accuse il noto faccendiere Flavio Carboni, e 2 suoi amici, il Giudice Tributario Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino. Ma l’elenco dei Magistrati coinvolti si allunga ben presto quando emergono altri partecipanti ad una strana cena del “sodalizio criminale” svoltasi nella casa romana di Denis Verdini. Oltre a Verdini, Dell’Utri ed il trio degli arrestati Carboni-Martino-GiudiceLombardi sono accusati di aver partecipato a quella cena altri 3 Magistrati: Antonio Martone, avvocato di Stato in Cassazione (che si dimette subito, come fece in Procuratore Toro, per evitare sanzioni), Giacomo Caliendo, ex membro del CSM e sottosegretario al Ministero di Grazia e Giustizia ed il Capo degli Ispettori dello stesso MGG Arcibaldo Miller. Ma non bastano 4 alti Magistrati implicati nella vicenda (Lombardi, Martone, Caliendo e Miller): ce ne finiscono dentro altri 2. L’avvocato Generale della Cassazione Oscar Fiumara, che avrebbe ricevuto da un altro Giudice (quello arrestato, Lombardi, con tanto di eloquenti telefonate) il dono di alcune per bottiglie di vino pregiato come ricompensa per aver sostenuto lo spostamento dalla Commissione Tributaria alla Cassazione a sezioni unite del processo per 400 milioni di tasse non pagate dalla Mondadori nel 1991. Il presidente della corte di Appello di Milano Alfonso Marra, trasferito d’ufficio dal CSM in data 15 luglio in seguito allo scandalo: il suo nome compare nelle intercettazioni in quanto la sua nomina a tanto importante incarico sarebbe stata frutto delle pressioni della “P3” di Flavio Carbone (fonte: “CorrSera”, martedì 13-7-2010).

“Cherchez il Magistrato”, dunque. E ne troverete sempre. In abbondanza. Purtroppo.

Da Sporca Italia

http://sporcaitalia.mondoraro.org/2010/07/17/%E2%80%9Ccherchez-il-magistrato%E2%80%9D/

CASO CUPIC: INSABBIATA LA DENUNCIA E L'INTERROGAZIONE

INTERROGAZIONE PARLAMENTARE
Atto a cui si riferisce:
C.4/05555 [Le gravi denunce della signora Cupic]
Atto Camera
Interrogazione a risposta scritta 4-05555 presentata da ANTONIO BORGHESI
martedì 22 dicembre 2009, seduta n.261
BORGHESI. – Al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
la signora Milica Cupic, cittadina italiana, lamenta una serie di comportamenti quanto meno opinabili di organi della giustizia militare e civile in ordine a fatti da lei denunciati;
in più occasioni ed in data 4 ottobre 2003 la signora Cupic ha denunciato gravi fatti a sua detta ascrivibili a personaggi identificati e identificabili. In particolare riferiti al suo ex marito, generale a due stelle e dunque alta carica dell’Esercito italiano, che ella ebbe a denunciare già nel 1996 in relazione alla morte violenta della propria figlia e di un sottoufficiale dell’Esercito avvenuta il 3 febbraio 1986;
secondo quanto riferito dalla stessa signora Cupic ella avrebbe altresì avuto modo di segnalare come un alto grado della Guardia di Finanza avrebbe favorito la promozione al suo ex marito. Tale personaggio sarebbe poi diventato Comandante Generale della Guardia medesima;
la Procura della Repubblica di Roma, dopo aver ricevuto l’esposto firmato dalla signora Cupic, lo avrebbe trasmesso al Procuratore Aggiunto, dottor Ettore Torri, come esposto anonimo, mentre, ad avviso dell’interrogante, ne risultava esattamente identificato il soggetto che lo aveva inviato;
tali denunce sono state archiviate, ma è evidente che in tal caso la signora Cupic avrebbe dovuto essere indagata per calunnia, cosa che non è mai avvenuta;
sembra per la verità che la denuncia della signora Cupic in merito alla morte del Sottoufficiale sia stata archiviata, giustificandola con il fatto che la signora sarebbe affetta da «sindrome delirante lucida» e che di ciò la procura militare sarebbe stata informata, per quanto riferito dall’interessata, in modo improprio dal direttore del Policlinico Militare di Roma, dottor Ballarini. La Cupic fu effettivamente visitata nel 1996 presso il Policlinico Militare dal Capitano medico Marco Cannavicci, il quale fece in effetti un rapporto al direttore sullo stato psicologico della signora, nel quale tuttavia mai pronunciò la diagnosi che avrebbe portato all’archiviazione;
in data 15 gennaio 2005 la signora Cupic presentò alla procura militare di Roma una formale denuncia contro il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Giulio Fraticelli, per «omissioni in atti d’ufficio», in relazione alle denunce presentate nei confronti dell’ex marito ed alla documentazione a suo dire inviata al generale Pompegnani. Il generale Fraticelli avrebbe comunicato alla signora Cupic di aver relazionato al procuratore Intellisano, il quale per altro in un incontro avvenuto con la Cupic il 7 dicembre 2004 negò di aver mai ricevuto nulla;
della denuncia di cui sopra esiste traccia nella lettera che la procura militare della Repubblica presso il tribunale militare di Roma ha inviato allo studio legale Lombardi in data 16.05.2005 (Numero 8/C/04INT «mod. 45» di protocollo) a firma del Procuratore Intellisano;
nel dicembre 2004 la Cupic ebbe a presentare una denuncia alla Procura Militare contro il Ten. Col. Ballarini inviandola al A.G. Maresciallo Cervelli -:
di quali informazioni dispongano sulla vicenda e se intendano adottare iniziative nell’ambito delle proprie competenze. (4-05555)

MALASANITA'. DONNA SI DA FUOCO DAVANTI AL QUIRINALE

Ha ustioni sul 60 per cento del corpo: sul suo caso nel 2004 un’interrogazione senza risposta.

Si è cosparsa di benzina e si è data fuoco, a sei metri dall’area che delimita l’ingresso del Quirinale. Marianna Randazzo, 64 anni, originaria di San Cono (Catania), in pochi attimi si è trasformata in una torcia umana per protestare contro la sanità.
La donna, malata da tempo, voleva morire ma è stata salvata da due poliziotti e da un vice questore di guardia alla piazza, che si sono immediatamente dati da fare per soccorrerla, e l’hanno consegnata nelle mani del servizio sanitario del Quirinale. Ora si trova nel reparto Grandi Ustianati del S. Eugenio, insieme all’agente Francesco Marcisano che, nel lanciarsi con una coperta sulla poveretta per spegnere le fiamme, si è bruciato le mani. Non è la prima volta che il Quirinale viene scelto come luogo per un tentativo di suicidio: il 26 settembre 2000 un uomo di 33 anni aveva inscenato una protesta puntandosi un cacciavite al petto, ma era stato bloccato e arrestato dai carabinieri. Doveva scontare due anni di carcere per reati contro il patrimonio.
Marianna Randazzo, invece, era malata da tempo e le sue disavventure negli ospedali pubblici, le sue vicessitudi con i medici, le sue delusioni sull’assistenza pubblica, le ha raccolte in un dossier che teneva nella borsa, poggiata su un muretto poco distante. In un biglietto ha scritto le sue ultime volontà, poi ha atteso l’attimo buono e si è completamente cosparsa di alcol, accendendo la fiamma. Ma sono intervenuti i poliziotti, i sanitari del Quirinale e un’ambulanza del 118, che l’ha trasportata in codice rosso al Reparto Grandi Ustionati del S. Eugenio, dove è stata ricoverata per bruciature di secondo e terzo grado sul 60 per cento del corpo, in particolare su torace, braccia e volto. Il caso è ora nelle mani dell’Ispettorato di polizia del Quirinale. La vicenda di Marianna Randazzo era stata già nel 2004 al centro di un’interrogazione al ministro della Salute.
L’interrogazione segnalava che la Randazzo si era sottoposta nel 2001 a una isteroscopia per un adenocarcinoma endometriale e poi a un intervento chirurgico presso la divisione ginecologia e ostetricia dell’Azienda Ospedaliera Pisana. La donna aveva segnalato all’equipe chirurgica la sua allergia ai metalli, e in modo specifico al nichel. Dal giorno dopo l’intervento avrebbe cominciato ad avvertire una sensazione di atrofizzazione della parte superiore della gamba sinistra, causata probabilmente da un errore durante l’intervento. Piano piano sarebbe diventata invalida al 70 per cento e, come se non bastasse, sarebbe caduta in depressione.

www.ilgiornale.it  (30 maggio 2008)

CLAUDIA MORI DENUNCIA: LA RAI MI HA CENSURATO FICTION SULLA PEDOFILIA

Non ci meraviglia i santuari della pedofilia sono sempre stati protetti dalla politica e dalla magistratura di regime… Leggi in calce: 

L’INSOSPETTABILE MERCATO INTERNAZIONALE DELLA PEDOFILIA

http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=123

CLAUDIA MORI: LA RAI HA RIFIUTATO FICTION SU PEDOFILIA

TV: Claudia Mori, “La RAI mi ha censurato

 fiction sulla pedofilia” 

(IRIS) – ROMA, 7 LUG – “La Rai ha tagliato due delle fiction sulla violenza sulle donne che erano in progetto”.Claudia Mori, in conferenza stampa al RomaFictionFest dove le è stato assegnato il premio all’impegno produttivo, rivela che la tv pubblica ha rifiutato i progetti che affrontano il tema della pedofilia e della tratta delle ragazze nigeriane.

“Del progetto iniziale quindi, sono rimaste quattro fiction: due con la regia di Marco Pontecorvo, sullo stalking e la violenza via web, una di Liliana Cavani sulla prostituzione ed una di Margarethe Von Trotta sulla violenza in famiglia”.

Tra gli altri progetti della ‘Ciao Ragazzi’, Claudia Mori ne annuncia uno su Caruso, uno su Fred Buscaglione ed uno in sei puntate sul gioco d’azzardo. A sorpresa poi rivela “sto pensando ad una fiction su Tortora. Un caso che ho vissuto come una tragedia personale e che in questo periodo penso sia più interessante che mai. Potrei farlo con Sky, anche se loro ancora non lo sanno!”

[ via IrisPress.it ]

L’INSOSPETTABILE MERCATO INTERNAZIONALE DELLA PEDOFILIA

http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=123