Archivio Categoria: Avvocati Senza Frontiere

LA LEGALIZZAZIONE MORALE E POLITICA DELLA TRATTA DELLE SCHIAVE

Mihaela e la tratta delle schiave

Un mese fa a Roma una ragazza rumena è stata brutalmente aggredita da due bastardi e data alle fiamme. I giornali hanno titolato “Prostituta data alle fiamme“, cancellandola come persona. Per loro era solo una puttana, se l’era cercata, evidentemente. La ragazza ha 22 anni, è sopravvissuta, si chiama Mihaela. Era finita sul marciapiede come altre migliaia di vittime nell’indifferenza della società e delle istituzioni. In Italia avviene da tempo, sotto i nostri occhi, una gigantesca tratta delle schiave. Giovani, spesso minorenni, in bella mostra nel centro delle città, nelle periferie, nei viali delle circonvallazioni. Stuprate a pagamento da italiani pervertiti. Costrette a prostituire il loro corpo da infami magnaccia che non finiscono mai in galera. L’Italia non è un Paese civile. Questa storia deve finire, il governo si dia una mossa. Il blog ha deciso di seguire la vicenda di Mihaela, ora ricoverata al Centro Grandi Ustionati di Roma.

Intervista al Prof. Paolo Palombo, Direttore Centro Grandi Ustionati, Ospedale Sant’Eugenio – Roma
Intervistatore – Innanzitutto volevamo chiederle semplicemente come sta la ragazza?
Prof. Palombo – Diciamo che le condizioni della ragazza adesso sono sicuramente migliorate perché lei è arrivata con un’ustione del 53%, quindi un’ustione molto pesante, quasi tutta di terzo grado che colpisce parte dell’addome e tutti gli altri inferiori e parte del braccio e avambraccio di destra e sinistra, quindi ha già subito 4 interventi chirurgici, quindi stiamo andando, piano, piano verso un miglioramento delle condizioni.
Intervistatore– Quindi possiamo affermare che la prognosi non è più riservata ma…
Prof. Palombo– La prognosi continua a essere riservata, diciamo che la percentuale Quoad Vitam possiamo essere più ottimisti.
Intervistatore– Quoad valitudinem
Prof. Palombo – Quoad valitudinem vedremo quali saranno gli esiti cicatriziali dopo l’intervento.
Intervistatore– È stata mantenuta almeno all’inizio in uno stato di sedazione profonda, c’è stata questa necessità?
em>Prof. Palombo – No, non c’è mai la necessità nei pazienti con gravi ustioni di metterle in sedazione profonda perché l’ustione di per sé stesso quando è di terzo grado, quindi quando è a tutto spessore dà dolore ovviamente, sono bruciate anche le terminazioni sensitive e dolorifiche, è stata messa in una posizione cosiddetta intubata, è stata messa sotto un coma farmacologico e anestesiologico nelle prime ore per stabilizzare un po’ la sua situazione, poi non c’è stata più nessuna necessità, respira spontaneamente perché lei non ha ustioni sul volto o ne ha inalato sostanze nocive.
Intervistatore– Le è sembrata una ragazza spaventata al di là della condizione clinica?
Prof. Palombo – Direi che sicuramente di spavento ne ha avuto molto, perché posso immaginare che prima che ci sia stato questo evento dell’ustione, non credo che sia stato immediato, lei non ci ha riferito granché però è immaginabile che sia stata forse anche maltrattata, quindi sicuramente lo spavento c’è stato molto, quando ci arrivano a noi in quelle condizioni, la fase di spavento è già stata in parte superata, nel senso che sta in uno stato abbastanza di shock quindi il problema è legato a questo aspetto, sicuramente l’atto è un atto vile, infame che non giustifica qualunque cosa uno possa fare nella vita, non giustifica certo che si possa fare una cosa del genere, è veramente vergognoso.
Intervistatore– Ne sta ancora condizionando la tutela da parte dell’autorità giudiziaria o adesso…
Prof. Palombo – Noi non sappiamo da questo punto di vista quello che accade perché da noi l’autorità giudiziaria viene soltanto quando è possibile per prendere dei dati e quando sarà possibile per interrogarla, per il resto noi non ci occupiamo di questo aspetto, ci occuperemo di lei fino alla completa guarigione e anche a una certa riabilitazione.
Intervistatore – Ha il supporto dei familiari che la vengono a trovare?
Prof. Palombo – La vengono a trovare dei parenti, familiari a oggi non li abbiamo ancora visti, perché lei è rumena, però vengono delle amiche, degli amici, però le sue visite sono attraverso un vetro che sicuramente separa la zona di alta terapia intensiva dall’area di visita e quindi questo…
Intervistatore – Non c’è stato comunque uno scambio verbale tra lei e queste persone che la vengono a trovare?
Prof. Palombo – Sì, sì, parlano al citofono
Intervistatore – Quando sarà fuori…
Prof. Palombo – La cosa è un po’ lunga in questi casi, immaginatevi che una paziente del genere starà con noi, salvo situazioni che potrebbero modificarsi e che non ci auguriamo, diversi mesi.
Intervistatore- Ho capito, dentro quel reparto o ci può essere un trasferimento che va più o meno intensivi.
Prof. Palombo – Il trasferimento ci sarà fin quando le sue condizioni con consentiranno di trasferirla nel reparto al di fuori dell’alta terapia intensiva e quindi quando sarà possibile, ma questo non è certo molto a breve, anche perché è una ragazza molto giovane e dobbiamo salvaguardarle anche la funzione degli arti e di quant’altro e soprattutto il rischio, uno dei rischi più importanti che ci sono nelle malattie a ustione è l’infezione che è un evento inevitabile, in quanto in un centimetro quadro di pelle di un soggetto normale, come siamo io e lei, lei sa che i batteri sono divisi in colonie e quindi in un centimetro quadro ci sono 12 miliardi di colonie di batteri, quindi considerando che una colonia di batteri sta sui 24 miliardi, lei può avere un’idea di quanto è importante l’azione di difesa cutanea nei confronti delle infezioni e qui la cute non vi è più e quindi l’infezione viene combattuta con antibiotici immunostimolanti e tutti quegli altri residui terapeutici che sono necessari per far superare questa fase alla paziente.
Intervistatore- Al di là della tutela giudiziaria, il giorno in cui verrà dimessa prevedete un percorso di supporto, di assistenza in questi casi o verrà demandata…
Prof. Palombo – Noi abbiamo già un supporto di assistenza psicologico nel senso che già dal primo momento noi abbiamo una psicologa che lavora all’interno della struttura che supporta e sostiene questi pazienti e tutti i nostri pazienti, poi sicuramente prima di dimetterla dobbiamo cercare di capire, anche con l’autorità, quale sarà il percorso migliore, noi possiamo anche prevedere che probabilmente per un periodo di riabilitazione ci sarà necessità forse di mandarla in una struttura altamente riabilitativa perché come successe per l’indiano che, se vi ricordate, ebbe lo stesso cattivo episodio presso la stazione di Nettuno, poi dopo quando siamo riusciti di metterlo nella condizione di mettersi in piedi e di camminare, per la terapia l’abbiamo mandato all’Istituto Maugeri di Avellino dove sono specializzati per una grossa terapia riabilitativa per questi tipi di pazienti.
Intervistatore- Il clima chiaramente è di piena collaborazione con le autorità, di Frascati…
Prof. Palombo – Sì, per quello che possiamo fare noi, ma ovviamente noi molto spesso raramente veniamo a conoscenza di qual è stata la vera causa della situazione.
Intervistatore– Va bene Professore, la ringraziamo per il suo aiuto, è stato veramente molto gentile e grazie per quello che sta facendo per la ragazza.
Prof. Palombo – Grazie a voi, è stato un piacere.”

“COMUNICATO;
Un mese fa Laboratorio Donnae ha creato su FB l’evento MICHELA SIAMO NOI a seguito del drammatico episodio in cui Michela di 22 anni, rumena, costretta a prostituirsi è stata bruciata dai suoi aguzzini. Ci sarà una MANIFESTAZIONE SIMULTANEA giovedì 18 ottobre – Giornata Europea contro la tratta – alle 18 nelle città italiane. Alla manifestazione, apartitica, partecipano donne e associazioni femminili che si sono organizzate a Roma, Trieste, Modena, Cernusco sul Naviglio, Savona, Reggio Calabria e altre.Ciascun gruppo si fa carico di produrre comunicati e inviti. Testimoniamo solidarietà a Michela e a tutte le donne in condizioni di schiavitù. Un paese non può dirsi civile se non garantisce l’integrità dei corpi, delle donne nate in Italia e di quelle che qui hanno scelto di vivere. Ma anche di quelle che sono portate qui con la forza o con l’inganno. FACCIAMO DELLA NOSTRA INDIGNAZIONE UN FATTO POLITICO. Firmiamo la petizione:
http://www.petizionionline.it/petizione/tratta-non-volgiamo-lo-sguardo/7099
le firme possono essere raccolte anche su carta, chiederemo un incontro ai Ministri Cancellieri e Riccardi per consegnarle”

Fonte:                                                                                                                               http://www.beppegrillo.it/2012/10/mihaela_e_la_tratta_delle_schiave.html#commenti?s=n2012-10-13

QUANDO IL P.M. FA L'AVVOCATO DEGLI IMPUTATI: LO SCANDALOSO CASO MASTROGIOVANNI

Udienza 2 ottobre 2012, Vallo della Lucania.
Per l’omicidio preterintenzionale di Francesco Mastrogiovanni, come prevedibile il P.M. Martuscelli ha chiesto di derubricare i reati più gravi, smontando l’impianto accusatorio del precedente P.M., Francesco Rotondo, “promosso” per impedirgli di concludere il processo.
La Segreteria di Avvocati senza Frontiere, mentre è ancora in corso la requisitoria, rende noto che, a seguito della mancata astensione del P.M. Renato Martuscelli che ha ignorato la richiesta del difensore della Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood, costituita parte civile con l’Avv. Michele Capano del Foro di Salerno, ha inviato un circostanziato Esposto al C.S.M. e al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Salerno per procedere in sede disciplinare nei confronti del P.M. Martuscelli e per valutare la rilevanza penale delle gravi e molteplici violazioni procedimentali che si sono verificate nell’ambito del processo in corso da oltre tre anni.
Dopo aver sottoposto ad attenta disamina lo svolgimento del processo, nonché le attività svolte dalle parti, i legali dell’Associazione si sono resi conto dell’intollerabile assenza del P.M. che in spregio alle sue funzioni istituzionali ha assunto in maniera sfacciata, senza mezzi termini, la difesa degli imputati, cercando di minimizzare le gravi responsabilità degli stessi, rivolgendo, viceversa, le proprie attività d’accusa nei confronti della vittima, nel precipuo scopo di alleggerire le condotte dei medici e del personale  ospedaliero, nonché delle stesse forze dell’Ordine che hanno eseguito con modalità illegittime, il brutale fermo di una persona assolutamente sana di mente e pacifica che implorava di non venire portato presso il lager psichiatrico del San Luca di Vallo della Lucania, preavvertendo con grande lucidità che sarebbe stato ucciso.
A riguardo, i legali di Avvocati senza Frontiere hanno
ricordato la pregressa attività persecutoria del P.M. nei confronti del maestro elementare Francesco Mastrogiovanni, quando il povero Mastrogiovanni era ancora in vita, sotoponendolo, ingiustamente, già anni orsono, alla misura della custodia cautelare per oltre 9 mesi, per fatti del tutto insussistenti di pretesa “resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale“, dai quali l’odierna vittima è stata poi assolta con formula ampia dalla Corte d’Appello di Salerno, riconoscendo l’abuso da parte delle Forze dell’Ordine, e condanna dello Stato Italiano da parte della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo, per l’ingiusta detenzione.
L’esposto prosegue denunciando l’anomalo comportamento endoprocessuale e l’assoluta inerzia investigativa del P.M. Martuscelli, anche nel connesso procedimento R.G.N.R. 1799/09, nell’ambito del quale ha richiesto nelle scorse settimane l’archiviazione nei confronti dei medici che avevano disposto il TSO di Mastrogiovanni, risultando perciò evidentemente incompatibile e impensabile che potesse oggi sostenere la Pubblica Accusa, sostituendo l’originario P.M. che
aveva svolto in maniera ineccepibile le indagini e disposto i rinvii a giudizio, venendo infine rimosso, mediante promozione: “promoveatur ut amoveatur” [noto brocardo latino, la cui traduzione è “sia promosso affinché sia rimosso”, usato per esprimere la necessità di liberare un ruolo chiave dell’organigramma dalla persona che lo occupa, promuovendola ad un qualunque altro ruolo di rango superiore, quale unico mezzo per poterlo “legalmente” allontanare dalla posizione occupata, ritenuta scomoda agli interessi dei poteri dominanti].
Ciò non bastando, anche le stesse condotte endoprocessuali tenute dal Dr. Martuscelli nel corso del dibattimento hanno rivelato la sua manifesta parzialità, animosità e acrimonia verso la persona del defunto Mastrogiovanni, nei cui confronti giungeva
addirittura ad infierire con diffamanti e false insinuazioni,  dipingendolo come pericoloso sovversivo, spingendo i testimoni ad esprimere valutazioni negative e del tutto inconferenti alla illegittima prolungata contenzione che ne ha provocato la morte. D’altro canto, il Martuscelli rivelava prevenzione e grave inimicizia, omettendo qualsiasi attività, quale rappresentante della Pubblica Accusa, neppure ravvisavando la necessità di sollevare eccezione di inammissibilità circa l’ammissione della testimonianza della Dr.ssa Di Matteo, in quanto indagata nel parallelo procedimento connesso R.G.N.R. 1799/09, relativo al TSO, giungendo, infine, ad omettere di richiedere l’acquisizione del video integrale delle oltre 83 ore di tortura con mani e piedi legati, senza acqua nè cibo, da cui si poteva, altresì, accertare la presenza del primario che invece la difesa sosteneva in ferie.
Ragioni per cui prima di conoscere l’esito della requisitoria del P.M. che si è poi appreso aver richiesto la derubricazione dei reati più gravi, premonitoriamente il comunicato stampa di Avvocati senza Frontiere avanzava l’ipotesi che vi erano fondati motivi per ritenere che il Martuscelli avrebbe richiesto l’assoluzione del primario del lager psichiatrico e pene
miti nei confronti dei terzi imputati aventi causa.
In effetti, l’anomala Pubblica Accusa è andata ben oltre, ritenendo insussistente il reato di sequestro di persona, contestato in origine dal P.M. rimosso, a tutti i 18 imputati tra medici ed infermieri, ha fatto cadere l’imputazione di cui all’art. 586 c.p. (morte come conseguenza di altro delitto), sostenendo la mancanza dell’elemento doloso del delitto, chiedendo, infine, la derubricazione ad omicidio colposo.
Attraverso tale capzioso percorso argomentativo, insultando il buon senso e l’intelligenza del popolo italiano che ha visto il video integrale dell’atroce agonia inflitta ad un uomo sano, libero e in pieno possesso della sue facoltà mentali, il P.M. Martuscelli, ritenendo la contenzione che ha provocato l’atroce morte della vittima, come “blanda e irrilevante“, ovvero (sic!) un “atto medico dovuto“, anzichè barbara tortura medievale, ha chiesto lievi pene comprese tra i due anni e i due anni e 7 mesi per il personale medico e sanitario in servizio la notte tra il 3 e il 4 agosto 2009.
La difesa di Avvocati senza Frontiere anticipa che nella propria arringa richiederà anche ai sensi dell’art. 523 c.p.p., la visione del filmato integrale, sottolineando che, senza l’acquisizione agli atti di tale basilare prova, nessun giusto verdetto potrà scaturire all’esito del processo.
E’ da ritenersi infatti che l’anomalo P.M. non si mai neppure peritato di esaminare integralmente il filmato, in quanto ove avesse trovato il coraggio di farlo, posto di fronte alla consapevolezza dei fatti e a quali atroci sofferenze e’ stata ininterottamente sottoposta la vittima di tali disumani trattamenti, definiti del tutto incoscientemente “atti medici dovuti”  non avrebbe di certo avuto l’ardire di definire la contenzione praticata “blanda e irrilevante“, nè tantomeno di coprire le ben più gravi responsabilità penali e  sarebbe giunto a ben diverse ipotesi, contestando invece l’omicidio preterintenzionale.
Il testo integrale dell’esposto sarà disponibile nella Mappa della malagiustizia in Italia sul sito: https://www.avvocatisenzafrontiere.it/
Per saperne di più e vedere il video integrale:
http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=201&titolo=T.S.O.: CURA O TORTURA? ASSASSINIO MASTROGIOVANNI. LA LEGGE BASAGLIA 32 ANNI DOPO

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/cosi-hanno-ucciso-mastrogiovanni/2191955

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/ora-processano-mastrogiovanni/2192178/25
http://video.corriere.it/agonia-mastrogiovanni-maestro-lasciato-morire-ospedale/cae4f01e-0a30-11e2-a442-48fbd27c0e44
http://italy.indymedia.org/category/tags/michele-genio
http://informarexresistere.fr/2012/09/29/guardare-lorrore-lagonia-di-francesco mastrogiovanni/#axzz28EIyqPGV
http://magazine.liquida.it/2012/09/28/francesco-mastrogiovanni-cronaca-di-una-morte-ignorata/
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/09/28/sullespresso-lagonia-francesco-morto-dopo-letto-contenzione/205938/
“Mastrogiovanni è morto un’altra volta”, L’Unità 4/10/12
(scarica articolo da file allegato)
Brevi cenni sul Movimento per la Giustizia Robin Hood
Ente non lucrativo di utilità sociale riconosciuto con Decreto del Presidente della Regione Lombardia n. 369/99, operante su tutto il territorio nazionale, che si adopera da oltre 25 anni per il rispetto della legalità e dei diritti umani, a tutela di interessi diffusi dei cittadini e dei propri associati, contro qualsiasi forma di discriminazione e abuso di autorità, anche da parte delle istituzioni, offrendo assistenza legale ai soggetti in stato di bisogno, attraverso la rete di “Avvocati senza Frontiere”.
In particolare, tra le finalità della Onlus rientrano anche la tutela del diritto alla salute, nonché di adeguate cure e trattamenti
sanitari, quali fondamentali diritti dell’individuo e interessi della collettività, costituzionalmente protetti, che sono inscindibilmente connessi alla più generale tutela del rispetto della dignità della persona umana e dei diritti dei soggetti più deboli, come si evince dallo Statuto associativo della Onlus nei vari aggiornamenti on line.
Tali attività associative di tutela vengono svolte attraverso gli sportelli di “S.O.S. Giustizia” e la rete di “Avvocati senza Frontiere”, che si prefiggono di garantire il diritto di difesa, anche dei non abbienti, in ogni sede anche sovranazionale, tutelando con fermezza e coraggio civile i cosiddetti “diritti negati”, nonché quelli dei propri associati, come emerge dallo Statuto associativo, che prevede espressamente la facoltà dell’Ente di intervenire in giudizio e di costituirsi parte civile nei casi di particolare rilevanza sociale, anche al fine di monitorare il corretto svolgimento dei procedimenti e l’esercizio dell’azione penale, onde affermare in concreto il
principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Nel caso di specie, L’Associazione, avuta notizia della sostituzione del P.M. originariamente titolare dell’indagine, che aveva disposto il rinvio a giudizio degli imputati, svolgendo una ineccepibile attività, poi sostituito dal P.M. Dr. Renato Martuscelli, si è costituita parte civile, non solo al fine di  monitorare il procedimento, ma anche di denunciare abusi, violazioni procedimentali, omissioni, rapporti collusivi e anomalie che soventemente possono verificarsi in processi di
particolare rilevanza sociale per coprire le responsabilità di soggetti in posizione dominante e imputati cd. “eccellenti”, in grado di esercitare pressioni sugli organi giudicanti, pilotando l’esito dei procedimenti con assoluzioni o pene molto miti.
Info: Segreteria Avvocati senza Frontiere 02/36582657 329/2158780
http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=232&titolo=QUANDO IL P.M. FA L’AVVOCATO DEGLI IMPUTATI: LO SCANDALOSO CASO MASTROGIOVANNI

CASO CATANIA: COSA CI INSEGNA OGGI. PER UN GIORNALISMO FATTO DI VERITA'

“UN GIORNALISMO FATTO DI VERITÀ”

Caso Catania: cosa ci insegna oggi

“Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. pretende il funzionamento dei servizi sociali. tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”.

Questa è la nostra idea di giornalismo, non quella degli effetti facili e del clamore. Un giornalismo neutrale, non dipendente – neanche come favori leciti – da alcuno, ma apertamente schierato per gli interessi essenziali dei cittadini (fra cui una giustizia indiscussa, assolutamente al di là di ogni sospetto) e pronto, ogni volta che occorre, a prendere posizione.

Perché al lettore va data la “notizia”, ovviamente; ma questo ancora non basta: accanto alla notizia bisogna dare il contesto, senza di cui la notizia resta monca e incompleta e, in taluni casi, ambigua per difetto di completezza.

A questo ci siamo attenuti, nel “Caso Catania”, in questi anni e mesi. Insieme con pochi colleghi (Finocchiaro, Giustolisi, Travaglio e non molti altri) abbiamo cercato di fornire al lettore i dati essenziali della malattia della giustizia a Catania, dove – diversamente che a Palermo – la parola “Palazzo” ha sempre evocato complicatissime e non sempre innocenti manovre e non una semplice e secca applicazione della legge.

E’ una malattia che viene da lontano, e che non può essere curata dal suo interno.

Perciò sempre più numerosi cittadini e soggetti della società civile si sono via via accodati alla soluzione proposta, ormai da anni, dal vecchio e integerrimo magistrato Scidà: chiamare un giudice terzo, uno non intromesso; dare a un “uomo di fuori”la cura del bene essenziale, la giustizia, che i vari locali notabili tirano ognuno a sé, privandone i cittadini; e poi andare avanti.

Questa opinione, isolata dapprima e poi sempre più popolare, è stata da noi sostenuta apertamente e ora, in questi giorni, verrà approvata o respinta da chi ne ha il potere.

Il Csm, fra pochi giorni, nominerà finalmente, dopo ogni rinvio possibile, il nuovo magistrato a Catania; e qui comincerà una stagione nuova. O migliore dell’altra, essendovi finalmente un Palazzo efficiente; o sprofondata nel peggio, ribadendo la prassi della giustizia come potere dei potenti, o per atto o per omissione. In entrambi i casi, noi avremo fatto il nostro dovere.

* * *

Questa storia, che non è affatto locale, serve anche per illustrare, senza troppe parole, come intendiamo fare (rifare) i Siciliani. I Siciliani Giovani proseguirà, semplicemente, sulla stessa strada. Informazione e servizio pubblico, lotta ai poteri asociali e ricostruzione della società.

Non inventiamo niente, di nuovo c’è solo l’internet, col suo concetto di rete che va ben al di là delle tecnologie e che profondamente s’inserisce (forse più che in ogni altro caso in Italia) nella nostra storia.

Attenzione: siamo già in fase operativa, nel senso che da alcuni giorni è già aperto il palinsesto del numero uno, quello che uscirà il primo dicembre. Pertanto è necessaria un’accelerazione di tutto.

Finora è stato sostanzialmente il gruppo di progettazione (Salici, Gubitosa, Guglielmino e Nicosia) a fare il lavoro di fondazione, e l’ha fatto nei tempi previsti e bene. Ora bisogna completare il lavoro di base (siti, ezine, link, struttura aziendale, tipografia) e farlo mentre già si comincia a lavorare sui contenuti.

Nei prossimi giorni e settimane contatteremo quindi, nelle varie città, i colleghi, gli amici, le testate e i gruppi che sono interlocutori e co-protagonisti di questa impresa.

Ma vorremmo che già prima, spontaneamente, essi stessi cominciassero a fare proposte, a buttar giù idee, a mettere in cantiere servizi e iniziative. Senza bisogno di chiedere permesso a nessuno, e meno che mai a noi stessi, perché questa non è un’impresa nostra, ma di tutti.

Tutti coloro che lottano per una società più civile, da oggi o da trent’anni, a Palermo o a Milano, giovani d’età o di testa, hanno il diritto di starci dentro. Con l’obbligo di starci dentro degnamente, ché non è un gioco.

E’ un momento magnifico, per mettersi in cammino. La notte sta terminando, amici che non conosciamo ci aspettano; lo zaino è quasi pronto. Nel buio che a poco a poco s’illumina, la strada ancora una volta ci chiama.

Riccardo Orioles

Ucuntu n.120, 25 ottobre 2011 – www.ucuntu.org

OMICIDIO OCCORSIO. IL P.M. CHE AVEVA CAPITO ESSERE LA P2 A TIRARE LE FILA DEL TERRORISMO

 

Vittorio Occorsio è il magistrato romano che per primo intuì che a tirare le file delle stragi e del terrorismo vi era la P2. Oltre che, ovviamente, i servizi segreti.

Aveva indagato sul Golpe Borghese, sul Piano Solo, sullo scandalo Sifar, sulla strage di Piazza Fontana, insomma su tutte le vicende che hanno visto pesantentemente coinvolti i servizi segreti, aveva capito che, probabilmente, dietro a quella lunga scia di sangue vi era un unico comune denominatore e cercava di provarlo.

Nel 1975 Vittorio Occorsio disse al collega Ferdinando Imposimato: “Molti sequestri avvengono per finanziare attentati o disegni eversivi…. Sono certo che dietro i sequestri ci siano delle organizzazioni massoniche deviate e naturalmente esponenti del mondo politico. Tutto questo rientra nella strategia della tensione: seminare il terrore tra gli italiani per spingerli a chiedere un governo forte, capace di ristabilire l’ordine, dando la colpa di tutto ai rossi…Tu devi cercare i mandanti di coloro che muovono gli autori di decine e decine di sequestri. I cui soldi servono anche a finanziare azioni eversive. I sequestratori spesso non sono che esecutori di disegni che sono invisibili ma concreti. Ricordati che loro agiscono sempre per conto di altri”.

Il 09 luglio 1976, Occorsio viene assassinato.

L’autore materiale del suo assassinio è un neofascista, Pierluigi Concutelli, la cui scheda, con l’indicazione della tessera n. 11.070, verrà ritrovata anni dopo da Giovanni Falcone a Palermo, nella sede della Loggia massonica Camea, retta da Michele Barresi e frequentata anche da uomini di Cosa nostra. 

Il 26 dicembre del 1976 l’ingegner Francesco Siniscalchi (affiliato alla Massoneria dal 1951) invia una denuncia ai magistrati titolari dell’istruttoria per l’omicidio Occorsio: Siniscalchi fornisce alla magistratura notizie e documenti sulla Loggia P2 e sulla sua attività eversiva, e rivela l’oscuro ruolo di Licio Gelli e le “deviazioni” all’interno di Palazzo Giustiniani; per queste sue denunce, Siniscalchi verrà espulso dalla Massoneria” e Gelli avrà la via spianata.

L’omicidio di Occorsio fu quindi determinato dagli interessi della «massomafia» per impedirgli di approfondire le sue indagini, avendo intuito che poteva essere la massoneria a tirare le fila del terrorismo, utilizzando a seconda delle contingenze sia quello rosso che all’occorenza quello nero.

In calce pubblichiamo un contributo di Eugenio Occorsio sulla figura del padre e la sintetica ricostruzione della vicenda del magistrato tratta da Avvenimenti Italiani.

Il sostituto procuratore della Repubblica, Vittorio Occorsio, che indaga sui rapporti fra terrorismo fascista e massoneria, viene ucciso a Roma con una raffica di mitra da un commando fascista guidato da Concutelli di Ordine Nero. Il giorno prima di essere ucciso, il magistrato parlando con un giornalista, aveva fatto notare che il totale della cifra pagata per i riscatti dei rapimenti per cui era stato arrestato Albert Bergamelli (i sequestri dei figli di Roberto Ortolani, Alfredo Danesi e Giovanni Bulgari, tutti e tre iscritti alla P2), corrispondeva esattamente alla cifra spesa per l’acquisto della sede dell’OMPAM.

Nel 1976 dopo l’assassinio del giudice Vittorio Occorsio si cominciò a parlare di p2 e massoneria e i collegamenti di essa con gruppi neofascisti e la Banda della Magliana.

A Roma il 10 Luglio 1976 viene ucciso in un agguato terroristico il sostituto procuratore Vittorio Occorsio, l’agguato al magistrato sarà prima rivendicato dal gruppo terroristico “Ordine Nuovo” e successivamente dalle Brigate Rosse, con un volantino fatto trovare in una cabina telefonica a Reggio Emilia. Gli inquirenti però non credono a questa rivendicazione, essendo il documento assai diverso dal solito linguaggio delle BR.

Qualcuno conosce la loggia p2 ?

Claudio Vitalone, Giancarlo Armati, Nicolò Amato, Ferdinando Imposimato: ieri pomeriggio alle 17, in gran segreto, si sono riuniti nell’ufficio del primo, incaricato dell’inchiesta sull’assassinio di Vittorio Occorsio, per mettere a punto la strategia da seguire. Perchè questi quattro magistrati  e non altri? Perchè la pista giusta è quella che, partendo dalla manovalanza nera di “Ordine Nuovo” risale, tramite l’anonima sequestri romana, alla “Propaganda 2” , una loggia che la massoneria ufficiale ormai non riconosce più e combatte con  tutte le armi a disposizione.

Cioè quella che ( ormai se n’è convinto anche Vitalone, inizialmente scettico) verrà battuta nei prossimi giorni senza risparmio di energie e che probabilmente porterà alla verità, o assai vicino ad essa. Armati, Amato e Imposimato  (alla riunione era presente anche il funzionario della squadra mobile Ernesto Viscione) sono i tre magistrati che , insieme con Vittorio Occorsio, indagavano sui sequestri avvenuti a Roma negli ultimi mesi.

 Occorsio si occupava dei rapimenti di Angela Ziaco, Alfredo Danesi, Amedeo Ortolani e Marina D’Alessio: Armati di quelli di Anna Maria Montani e Renato Filippini; Amato  di quelli Maleno Balenotti e Giuseppe Lamburghini. A Imposimato, poi, come giudice istruttore, facevano capo le indagini su tutti i sequestri romani, compresi quelli affidati a PM occasionali ( Armati Amato e Occorsio invece facevano parte della “ squadra antisequestri” di: Ezio Mattacchioni, Fabrizio D’Amico, Gianni Bulgari e Fabrizio Andreuzzi. C’è da dire, infine,  che Nicolò Amato ha detto la sua  anche come PM nel processo contro Albert Bergamelli, Jacques Renè  Berenguer e soci per la rapina in piazza dei Caprettari in cui venne ucciso l’agente di Ps Giuseppe Marchisella. Dopo  quella rapina la banda passò ai sequestri, più lucrosi e meno pericolosi ( in seguito soppiantati dalla “Banda della Magliana”).

 Nelle primissime ore del pomeriggio qualcosa è cambiato e Vitalone ha chiesto ai tre colleghi di recarsi al palazzo di Giustizia alle cinque in punto per una presa di contatto. Alla riunione ognuno ha detto la sua ma tutti erano d’accordo su un punto: è quella la pista da battere.

I colleghi di Occorsio quelli, diciamo che stavano lavarono con lui per sgominare la gang dei sequestri, hanno le idee fin troppo chiare in proposito. Lunedì ce ne ha parlato il PM Giancarlo Armati, ieri un accenno in proposito è venuto dal giudice istruttore Imposimato, il magistrato che avrà l’ultima parola a proposito delle indagini su Albert Bergamelli, su Gian Antonio Minghelli, sulla pletora di  personaggi minori che sono finiti a Regina Coeli come complici o come favoreggiatori, sui collegamenti della banda con gli squadristi neri e con i sedicenti massoni,anch’essi legati a filo doppio con i fascisti d’alto bordo.

Ad Imposimato e contemporaneamente alla Guardia di Finanza, sono pervenute nelle ultime settimane numerose lettere anonime, scritte evidentemente da persone legate alla massoneria ufficiale e da esponemti della P2. Lettre contenenti accuse roventi, rivolte dai massoni a quelli della P2 e viceversa. Alcune accomunano in un unico fascio il” gran maestro della massoneria grande oriente d’Italia” Lino Salvini e il reprobo dellaPropaganda 2” Licio Gelli.

Proprio in questi giorni, Occorsio e Imposimato stavano esaminando l’incartamento che, per legge, essendo anonimo, non può essere acquisito agli atti a meno che gli accertamenti non stabiliscano la validità del suo contenuto.  Dice Imposimato, 40 anni, napoletano, sposato da poco :< se un legame c’è tra anonima sequestri e loggia P2, questo è dato da Albert Bergamelli e da Gian Antonio Minghelli. Basterebbe ricordare le frasi pronunciate dai due, spontaneamente, dopo l’arresto>. < Se mi avete preso, vuol dire che qualcuno mi ha tradito. Ma la pagherà cara perché sono protetto da una grande famiglia>, disse Bergamelli il 30 aprile scorso mentre manette ai polsi ,sostava in questura. Dieci giorni dopo, interrogato da Occorsio e da Imposimato per la prima volta come imputato di concorso nei sequestri di persona, Minghelli dichiarò: “I giornali dicono che io faccio parte della massoneria. E’ vero: ma questo che c’entra con le accuse contro di me?”.

Facile pensare che la “ grande famiglia” di cui parlava Bergamelli fosse la massoneria e in particolare, visto il legame Bergamelli- Minghelli e dato che l’avvocato fascista fa parte della segreteria della Loggia P2, quella diramazione della massoneria ufficiale che fa capo al maestro venerabile Licio Gelli, aretino, con interessi in una fabbrica di confezioni e, sembra, uomo dei servizi segreti argentini . In una  delle lettere anonime fatte pervenire al giudice Imposimato e alla finanza si parla di contrasti sorti nel marzo del 1975 nella gran loggia massonica. Salvini, il gran maestro – stando sempre all”informativa” non firmata – venne attaccato da un avvocato palermitano legato agli ambienti della mafia siciliana. L’operazione non sarebbe stata diretta  a far dimettere Salvini ma da avvertirlo: < Non devi più intralciare i passi di Licio Gelli nella operazione trame nere>.

L’operazione anti-Salvini, infatti sarebbe stata diretta da Gelli con la collaborazione del padre di Amedeo Ortolani, iscritto anch’egli alla loggia P2. Inevitabile un riavvicinamento Salvini-Gelli , il promo costretto dal secondo. La nuova , forzata alleanza portò allo “scaricamento” di Ortolani padre. A Gelli non serviva più, Salvini voleva vendicarsi di lui. Inoltre,Ortolani, vista la mala parata , minacciava di parlare. Dice sempre la lettera anonima:  fu a questo punto che decisero di punirlo sequestrandogli il figlio Amedeo e prendendo  i classici due piccioni con una fava: eliminazione definitiva dal campo massonico di Ortolani padre ( che infatti è uscito di scena9 e guadagno netto di un miliardo, cioè del prezzo pagato per il riscatto. Del sequestro venne incaricato un esperto del ramo, Albert Bergamelli. Poi,  dice sempre l”informativa”  visto che la cosa ando bene, si passò al secondo sequestro, l’operazione Gianni Bulgari. < I sequestri – dice testualmente l’anonimo – servono a finanziare svolte a destra e la formazione di campi paramilitari fascisti>.

Finora a proposito del riciclaggio del denaro sporco, gli inquirenti avevano accertato che una parte dei capitali è stata utilizzata per l’acquisto di immobili come una villa a Sabaudia e un residence sulla via Aurelia. Un’altra parte sembra sia finita a Zurigo tramite Maria Rossi, detta Mara, l’amante di Berenguer. Non si era ancora stabilito l’impiego della parte più consistente dei riscatti. Forse Occorsio s’era avvicinato, ma una sventagliata di mitra l’ha fermato per sempre.

Franco Coppola 14 Luglio 1976

Pier Luigi Concutelli

ll documento con cui “Ordine Nuovo” rivedicò l’assassinio di Vittorio Occorsio.

“La giustizia borghese si ferma all’ergastolo, la giustizia rivoluzionaria va oltre. Il Tribunale speciale del M.P.O.N. ha giudicato Vittorio OCCORSIO e lo ha ritenuto colpevole di avere, per opportunismo carrieristico, servito la dittatura democratica perseguitando i militanti di Ordine Nuovo e le idee di cui essi sono portatori.

Vittorio OCCORSIO ha, infatti, istruito due processi contro il M.P.O.N. Al termine del primo, grazie alla complicità dei giudici marxisti BATTAGLINI e COIRO e del barone D.C. TAVIANI, il movimento politico è stato sciolto e decine di anni di carcere sono stati inflitti ai suoi dirigenti.

Nel corso della seconda istruttoria numerosi militanti del M.P.O.N. sono stati inquisiti e incarcerati e condotti in catene dinanzi ai Tribunali del sistema borghese. Molti di essi sono ancora illegalmente trattenuti nelle democratiche galere, molti altri sono da anni costretti ad una dura latitanza.

L’atteggiamento inquisitorio tenuto dal servo del sistema OCCORSIO non è meritevole di alcuna attenuante. L’accanimento da lui usato per colpire gli ordinovisti lo ha degradato al livello di un boia. Ma anche i boia muoiono!

La sentenza emessa dal Tribunale del M.P.O.N. è di morte e sarà eseguita da uno speciale nucleo operativo. Avanti per l’Ordine Nuovo!”

Questo era mio padre

In questo articolo dell’ottobre del 1976 il figlio del magistrato ucciso delinea un ritratto del padre.

Sono tre giorni che cerco disperatamente nella memoria un segno, un indizio,una traccia di qualche discorso pronunciato da mio padre negli ultimi mesi  della sua vita che potesse riferirsi a minacce ricevute. Niente , non trovo niente. Paura forse si, ma accettata come una sorte di fatalismo, e non poteva essere diversamente nelle sue condizioni, sempre al centro delle più travagliate e spinose vicende giudiziarie di questi ultimi anni. Se non voleva lasciarsi sopraffare dall’angoscia, dall’ansia e dalla paura, un uomo con cosi tanti nemici doveva farsi forza e andare avanti, incredibilmente come se niente fosse per fare coraggio a sé ed  a noi.

Ma la verità  è che non ho neanche la forza di pensare correntemente al passato, ricostruire  gli ultimi giorni della sua vita, quella vita a cui guardava sempre con tanta gioia, nonostante la perenne  atmosfera di tensione in cui era costretto a lavorare.

Ho vissuto questi anni come perseguitato dalla domanda << ma tu sei figlio di Occorsio?>>, e quando glielo  raccontavo lui ci rideva, come rideva di tutte le altre cose , di mia nonna, sua madre, che gl telefonava ogni notizia di cronaca nera. Si faceva forza per sé ma soprattutto per noi. Parlava volentieri del suo lavoro , ma senza ossessionarci.

Sembrava  ovvio, scontato, ma in questo momento non riesco a vedere lati negativi della sua personalità. Non riesco a vedere neanche lontanamente cosa odiavamo in un uomo come lui colpevole solo di fare il proprio lavoro con serietà e fiducia. Ma forse non è retorico né scontato per il semplice motivo che neanche quando era ancora vivo provavo per lui sentimenti diversi dall’amore, dalla stima e forse  più che  ogni altra  cosa, dall’amicizia.

Eravamo amici, lo hanno scritto i quotidiani, ed è vero. Con mia madre aveva un rapporto di vero amore. Così come con Susanna mia sorella misto a una tenerezza e a un trasporto definivamo “ napoletano” ma che era dettato solo dall’amore e forse da un tragico presentimento.

Per me era un amico, un consigliere, più che un padre. E anche se facevo una strada professionale diversa, mi seguiva…..

Ora questa tragedia ha sconvolto in modo irreparabile la nostra famiglia e l’intera comunità di coloro che credono in qualche ideale, non riesco a pensare razionalmente a qualche momento preciso, ma solo a una lunghissima, profonda amicizia che non è finita sabato mattina sotto le raffiche di mitra che mi hanno svegliato e fatto ritrovare solo in quella casa che lui e mamma pezzo per pezzo avevano messo su e continuavano a completare per avere tanti piccoli momenti nella loro vecchiaia insieme, che non ci sarà mai.

Eugenio Occorsio

BARDONECCHIA. IL PRIMO COMUNE DEL NORD-OVEST SCIOLTO PER MAFIA

La mafia al Nord. Il caso Bardonecchia

Rocco Lo Presti, il boss morto pochi giorni fa, era arrivato a Bardonecchia nel lontano ’63. Il primo mafioso inviato al confino al nord. Invece è stato lui a impadronirsi della città. Nel ’95 il comune era già in mano ai mafiosi. Violenza, affari, cementi­ficazione selvaggia, usura. E champagne per festeg­giare.

6 febbraio 2009

È morto Rocco Lo Presti, il “padrino” di Bardonecchia. Bardonecchia è una non troppo ridente località turistica del profondo Nordovest – al confine con Modane – che vanta un primato non invidiabile: primo e unico, finora, comune del Nord d’Italia ad essere commissariato per mafia, nel ’95. Chi comanda sono i calabresi. Tutto era cominciato con quella scellerata legge sul soggiorno obbligato d’inizio anni Sessanta: trasferiamo lontano dalla Sicilia e dalla Calabria i mafiosi, li isoliamo e li rendiamo inoffensivi. Non aveva immaginato, il legislatore, che l’iniziativa sarebbe servita soltanto ad “esportare” la criminalità. Nel ’63 Bardonecchia aveva dovuto ospitare Rocco Lo Presti, un giovane muratore di Marina di Gioiosa Jonica in odore di ‘ndrangheta. E così, per oltre quarant’anni, Lo Presti, dapprima vicino al clan dei Mazzaferro, poi degli Ursino (sua sorella ne ha sposato uno), fa di Bardonecchia il suo feudo, spadroneggiando nell’edilizia, nell’autotrasporto, nel commercio (suoi ristoranti, bar, negozi di materiale edilizio, sale giochi). Centinaia di calabresi vengono in Val di Susa a lavorare per lui e il clan Lo Presti-Mazzaferro mette le mani sulla località sciistica dove un tempo trascorreva le vacanze Giovanni Giolitti.

L’impresa edile di Lo Presti lavora a ritmo incessante. Bardonecchia non è più una località di montagna, ma una propaggine metropolitana di Torino. Oltre che visibile, la cementificazione è terribile, ma – se c’è la criminalità organizzata – nasconde una faccia ancora peggiore: riciclaggio del denaro, racket delle braccia, strozzinaggio, voti di scambio, intimidazioni, aggressioni. Ne fa le spese Mario Ceretto, un imprenditore edile che nel ’75 si rifiuta di assumere gli uomini proposti dal boss calabrese: viene rapito e ucciso. Lo Presti è condannato in primo grado. Nell’82 l’appello conferma 26 anni di galera. Poi la Cassazione annulla tutto e sappiamo perché.

Lo Presti è morto il 23 gennaio scorso, il giorno dopo la conferma della sua condanna per associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata all’usura (un giro di denaro di 3,5 milioni di euro, tassi del 10 per cento mensile). Forse il suo cuore di 70enne non ha retto. Ma le storie di mafia hanno sempre un inizio, mai una fine. A Bardonecchia, dove qualcuno sostiene che Lo Presti era un benefattore, ci si domanda chi prenderà il suo posto. Nei manifesti listati a lutto i primi nomi erano quelli non dei figli, ma dei nipoti, Luciano e Beppe Ursino, condannati anch’essi per strozzinaggio. Questo fa pensare a una pubblica investitura. Quando gli nacque il primo figlio Lo Presti organizzò una grande festa al Riky Hotel di Bardonecchia. Arrivò una fila interminabile di Bmw, Mercedes, anche delle limousine. Cantò Mino Reitano. Il Dom Perignon scorse a fiumi. Si racconta che “don Rocco” ne prese due bottiglie e le lanciò fuori dal locale, sull’asfalto, gridando: “Bevine anche tu, sindaco Corino, ma da sdraiato!”. Una scena da film hollywoodiano, ma senza Marlon Brando e Al Pacino, che trasformano la cruda realtà in una favola.

Riccardo De Gennaro

GIUSTIZIA CRIMINALE UCCIDE DISABILE-BAMBINO CON ETA' MENTALE DI TRE ANNI

DIETRO LE SBARRE

Muore un disabile nel carcere di Sanremo
Età mentale tre anni e pesava 186 chili

Fernando Panicci aveva 27 anni e avrebbe terminato di scontare la pena il 31 dicembre del 2011. Era invalido al 100%, affetto da ritardo mentale, epilettico, semiparalizzato, incapace di parlare correttamente. Per la prima volta in cella a 19 anni, per il furto di 3 palloni di cuoio in una palestra.

di CARLO CIAVONI

Muore un disabile nel carcere di Sanremo Età mentale tre anni e pesava 186 chili

SANREMO – Ragionava come un bambino di 3 anni, pesava 186 chili ed aveva 27 anni. Si chiamava Fernando Paniccia. Sono i tratti essenziali dell’ennesimo detenuto morto per “cause naturali”, questa volta nel carcere di Sanremo, ma che faceva parte dell’incredibilmente lunga schiera di oltre 500 persone disabili gravi rinchiuse nelle celle del sistema penitenziario italiano. Gente per la quale l’espressione “diritto alla salute” risulta, nè più né meno, come un suono senza alcun senso. Salgono così a 171 i detenuti morti nel 2010, di cui 65 per suicidio, gli altri per cause “naturali”, secondo l’attentissimo osservatorio di Ristretti Orizzonti 1, organizzazione di volontariato che monitorizza costantemente la vita dei circa 65 mila detenuti nelle carceri, costretti in uno spazio destinato a non più di 43 mila persone. 

Solo piccoli reati. Fernando Paniccia avrebbe terminato di scontare la pena il 31 dicembre del 2011. Era invalido al 100%, affetto da ritardo mentale, epilettico e semiparalizzato. Era entrato in carcere per la prima volta a 19 anni, per il furto di 3 palloni di cuoio in una palestra, e da allora era stato più volte arrestato per piccoli reati di cui probabilmente non era nemmeno consapevole, poiché la sua capacità di comprensione era, appunto, quella di un bambino di tre anni, incapace di muovere le mani, di parlare correttamente e controllare gli stimoli fisiologici. Eppure, nonostante l’evidente

deficit mentale, venne arrestato e richiuso in cella, fin dalla prima volta, quando caricò su un furgoncino tre palloni di cuoio presi nel piazzale antistante un centro sportivo della sua città.

Non riusciva a dimagrire. Paniccia era nato a Frosinone, ed è stato ucciso probabilmente da un arresto cardiaco. Le sue condizioni di salute erano critiche da tempo a causa dell’obesità. Nonostante l’interessamento dei sanitari, non era riuscito a dimagrire. Il giorno di Natale aveva accusato un malore. Ieri mattina il suo compagno di cella lo ha chiamato, ma inutilmente. Il sostituto procuratore Antonella Politi ha disposto che venga effettuata l’autopsia.

I detenuti disabili in carcere. Il dato, fornito dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) riguarda la disabilità motoria e sensoriale ed è fermo al dicembre 2008. La maggioranza di detenuti disabili è in Lombardia (121), seguita da Campania (96) e Lazio (51). A Fossombrone, nelle Marche, sono detenuti 28 ipovedenti. Nel dicembre del 2008 nelle carceri italiane erano presenti 483 detenuti con disabilità motoria o sensoriale. Questo il dato più recente sulla presenza della disabilità in carcere in possesso dell’Ufficio Servizi sanitari del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Un’identica rilevazione per il 2009 manca: “Le schede destinate alla compilazione erano state inviate anche lo scorso anno alle direzioni degli istituti di pena – spiegano dall’ufficio – ma l’indagine non è stata realizzata”.

Il primato alla Lombardia. La regione italiana con il maggior numero di detenuti disabili risulta essere la Lombardia: alla fine del 2008 negli istituti di pena della regione risultavano reclusi 121 detenuti con disabilità fisica e motoria, di cui 13 a San Vittore e 82 a Opera. Fra le regioni più “affollate” anche la Campania con 96 detenuti, il Lazio (51), le Marche (34, di cui 28 ipovedenti detenuti nella struttura di Fossombrone) e la Toscana (31). Seguono Sicilia (34), Piemonte e Valle d’Aosta (23), Veneto, Trentino e Fvg (20), Puglia (17), Emilia-Romagna (16), Sardegna (16), Calabria (14), Umbria, Abruzzo-Molise, Liguria (tutte con 3 detenuti) e, infine, Basilicata (1).

L’incompatibilità con il carcere. La malattia e la disabilità non sono incompatibili con la detenzione. Anzi accade spesso che chi varca la soglia del carcere porti con sé gli esiti di un trauma o di una malattia che hanno ridotto le sue capacità motorie o mentali. “Non esiste in Italia una normativa specifica per i detenuti disabili”, afferma Francesco Morelli, di Ristretti Orizzonti. “Uno dei principali riferimenti normativi per la disabilità in carcere – spiega Morelli – è l’articolo 47 ter dell’Ordinamento Penitenziario, relativo alla detenzione domiciliare”: in base al comma 3, “la pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali”. 

 28 dicembre 2010

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