DI TOMMASO. UN’INTERA FAMIGLIA DISTRUTTA DAL CONNUBIO TRA MALASANITA’ E MALAGIUSTIZIA. APPELLO PER AIUTARE IL FIGLIO.

DI TOMMASO. UN’INTERA FAMIGLIA DISTRUTTA DAL CONNUBIO TRA MALASANITA’ E MALAGIUSTIZIA. APPELLO PER AIUTARE IL FIGLIO.

Il sig. Pietro Di Tommaso è morto due volte, prima per l’incuria dei medici, e poi per la complicità di tutti coloro che in seno alla magistratura ne coprono le gravi responsabilità per oscuri interessi e/o perversi vincoli corporativi. Connivenze e omissioni che qualche anno dopo hanno provocato la morte precoce anche della moglie, distrutta dal dolore e dall’impossibilità di trovare giustizia. Attraverso il figlio Daniele ne ricostruiamo la triste storia, lanciando un appello alle istituzioni e alle persone di buona volontà affinché gli sia resa al più presto giustizia e offerto un lavoro per potere sopravvivere.

Daniele infatti dopo la morte dei genitori ha subito un forte trauma, perdendo anche il lavoro di informatico e attualmente versa in condizioni assai precarie, anche sotto il profilo psicologico e dei meri mezzi di sussistenza economica. Tale grave situazione depressiva è aggravata dalla generale indifferenza delle istituzioni al suo caso, nei cui confronti non nutre più ormai alcuna fiducia, percependo una vera e propria ostilità da parte della magistratura, che ritiene responsabile di lentezze, inadempienze e collusioni. Ma vediamone la storia.

Nel febbraio 2001 il sig. Pietro Di Tommaso, di anni 62, padre di Daniele, accusava forti dolori al ginocchio per i quali il medico di base gli prescriveva la somministrazione di antibiotici. Poiché il dolore al ginocchio aumentava i familiari decidevano di recarsi al Pronto Soccorso dell’Ospedale S. Camillo, ove il paziente veniva sottoposto ad una risonanza magnetica, in esito alla quale i medici non riscontravano alcun problema e lo rispedivano a casa.

Ciò nonostante, il dolore continuava ad aumentare e così, dopo una visita di controllo, il sig. Pietro Di Tommaso veniva trasferito alla Clinica S. Vincenzo presso il reparto di Urologia. Qui, eseguite alcune analisi cliniche, era dimesso dopo pochi giorni. Le sue condizioni, però, ben lungi dal migliorare, addirittura peggioravano con comparsa di febbre molto alta e di una grave infezione, trascurata dai sanitari. Iniziava, così, la lunga e dolorosa odissea del povero sig. Di Tommaso che, nell’arco di pochi mesi, lo avrebbe condotto alla morte.

Nell’aprile 2001 veniva nuovamente ricoverato presso la Clinica S. Vincenzo, ove subiva, lo stesso giorno del ricovero, un primo intervento chirurgico per l’asportazione di una fistola, al quale seguiva, a distanza di pochi giorni, un secondo intervento e, di lì a poco, finanche un terzo per un grave e massiccio sanguinamento causato all’atto della rimozione del catetere e addirittura un quarto nel maggio, allorquando il paziente veniva dimesso, senza che si fosse risolto il problema dell’infezione (i medici che ebbero in cura il Di Tommaso sono Scorza Carlo, D’Elia Marco, Di Lorenzo Angelo, Gaffi Marco).

Ed è così che nel Giugno il malcapitato paziente subisce un ulteriore ricovero nella medesima clinica, da cui viene ancora frettolosamente congedato, seppure versi in condizioni precarie, senza neppure sottoporlo ad una visita specialistica di urologia (come risultante dalla cartella clinica n. 1112 del giugno 2001). Cosa ancora più inquietante e criminale, senza neppure prescrivergli una cura farmacologica che potesse tenere sotto controllo l’infezione in corso, come certificata dalla cartella clinica.

Nel luglio il povero Di Tomaso viene nuovamente ricoverato, uscendo poco dopo con l’applicazione di un catetere. Il successivo ottobre, ancorché fosse stata programmata la sostituzione del catetere, il medico curante non riesce ad applicare il nuovo. Trasferito al S. Camillo, viene vanamente eseguito analogo tentativo, a seguito del quale il Di Tommaso viene incredibilmente mandato a casa senza provvedere alla necessaria sostituzione del catetere, seppure per lui di importanza vitale. Infatti, pochi giorni dopo torna ad avvertire stati febbrili, iniziando ad urinare sangue dal taglio della ferita chirurgica improvvidamente provocatagli dall’asportazione della fistola.

Nonostante le rassicurazioni dei nuovi medici del S. Camillo, la situazione clinica non migliora. Quindi il Di Tommaso che accusava anche forti dolori alla spalla, persistendo i sintomi dell’infezione e della febbre, viene nuovamente ricoverato presso il reparto di Urologia dell’Ospedale S. Camillo ove, a causa della febbre alta, risultava impossibile l’intervento chirurgico per l’inserimento del catetere. Alcuni giorni dopo, nonostante la persistenza del quadro febbrile, i sanitari decidevano di sottoporre nuovamente il paziente ad un altro intervento chirurgico per “fistola uretro cutanea. Sepsi urinaria”.

A seguito della comparsa nell’immediato postoperatorio di “crisi respiratoria”, il Di Tommaso veniva trasferito al reparto rianimazione Marchiafava, ove subiva l’ennesimo intervento chirurgico, questa volta di tracheotomia. Dieci giorni dopo veniva trasferito alla rianimazione dell’Ospedale Spallanzani, ove le sue condizioni peggioravano progressivamente e, dopo due attacchi cardiaci, il sig. Di Tommaso decedeva il 21.12.2001 per “shock settico; insufficienza respiratoria; scompenso cardiocongestizio; fistola uretrocutanea perineale; insufficienza renale acuta”. Anziché avvisare i familiari del decesso, seppure questi fossero in attesa fuori dalla sala di rianimazione, i sanitari li mandavano a casa, informandoli solo qualche tempo dopo.

Superato lo smarrimento, i familiari incaricavano uno specialista in Medicina Legale, onde effettuare una consulenza volta ad accertare eventuali profili di responsabilità professionale nella condotta dei sanitari che avevano avuto in cura il povero sig. Pietro Di Tommaso. Consulenza dalla quale è emerso che il decesso “debba essere attribuito ad una serie di atti medici imperiti ed imprudenti”. Ed è a questo punto che, anziché trovare equa riparazione, comincia il calvario giudiziario dei famigliari e il secondo omicidio del padre di Daniele, ad opera della giustizia, che anni dopo comporterà anche la morte della madre, stanca di chiedere giustizia e bussare inutilmente alle porte delle tante istituzioni pubbliche e associazioni, tra cui il Tribunale dei diritti del malato.

Nel luglio 2002, l’allora legale della famiglia Di Tommaso depositava atto di denuncia-querela presso la Procura di Roma, ipotizzando il reato di omicidio colposo. Il procedimento veniva assegnato al P.M. dr.ssa Catia Summaria che, nel corso delle indagini preliminari, acquisiva la documentazione sanitaria e incaricava la dr.ssa Daniela Marchetti ed il prof. Stefano Margaritona di redigere una consulenza, ove veniva attestato che “nella condotta dei sanitari che hanno avuto in cura il Di Tommaso si possono individuare alcuni atti non conformi allo standard di diagnosi e trattamento accettati in casi consimili dalla letteratura scientifica”. Sulla base di tali conclusioni peritali, venivano notificati gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari ai quattro medici che avevano avuto in cura il sig. Di Tommaso.

Sennonché, del tutto inspiegabilmente, in seguito, i Periti modificavano il loro giudizio sulla sussistenza di responsabilità penali, giungendo alla conclusione opposta, e cioè che “si ritiene non vi siano fondati elementi per sostenere un ipotesi scientificamente valida di censura nell’operato dei sanitari che ebbero in cura Di Tommaso per il periodo che va dall’Aprile 2001 al decesso del paziente”.

Sulla scorta di tali nuove sconcertanti considerazioni, nel luglio 2004, il P.M. richiedeva disporsi l’archiviazione del caso, a cui veniva proposta immediata opposizione dai famigliari, ritenendo le conclusioni dei consulenti del P.M. fossero totalmente infondate e mendaci. Infatti, attraverso una propria perizia di parte, la famiglia Di Tommaso riusciva a dimostrare come i consulenti del P.M. avessero arbitrariamente ribaltato il loro giudizio, unicamente sulla base di false e indimostrate attestazioni degli indagati, senza che tali asserzioni trovassero alcun riscontro nella documentazione sanitaria in atti; anzi, come alcune di queste affermazioni si ponessero addirittura in contrasto con i dati clinici esistenti. Infatti, nella nuova mendace relazione dei periti del P.M. compare a sorpresa una presunta “complicanza diabetica”, prima mai nominata né esistita che a dire dei sanitari indagati avrebbe provocato il decesso del Sig. Di Tommaso, il quale invero non è mai stato affetto da tale patologia…!

In tale contesto, il legale della famiglia Di Tommaso, Avv. Maccioni Stefano, rinuncia senza alcuna motivazione al mandato, impedendo alla stessa di fare luce sull’operato di medici, periti, giudici e degli stessi avvocati delle parti, che sembra intendano coprirsi vicendevolmente, affossando le indagini e impedendo l’accertamento della verità.

Il 2 giugno 2005 per il dolore si spegne prematuramente anche la Sig.ra LORETI Romilde, che non riesce a darsi pace per la morte del marito, ucciso prima dall’incuria del sistema sanitario eppoi da quello della giustizia di parte. Daniele non si da per vinto e da solo continua a lottare per fare emergere la verità sulla morte del padre, causata dall’imperizia e negligenza dei sanitari. Lo sgomento per la prematura morte dei genitori lo porta a trovare la forza di scontrarsi con un sistema di potere cinico e corrotto di cui fanno parte periti, avvocati e magistrati senza scrupoli che hanno dato l’oggettiva impressione di intendere coprire con ogni mezzo le gravi responsabilità dei sanitari.

Nel dicembre 2005, dopo una seconda arbitraria richiesta di archiviazione, grazie all’esemplare coraggio e opposizione di Daniele, coadiuvato da Avvocati senza Frontiere, che ne ha pubblicato il caso, dopo ben quattro anni dai fatti è stato finalmente richiesto il rinvio a giudizio di tre sanitari del Presidio Ospedaliero Integrato Portuense (ora denominato POLICLINICO DI LIEGRO).

Ma, intanto, Daniele, scosso per la morte dei genitori, è rimasto disoccupato, dopo il licenziamento, non ce la fa più e chiede aiuto. E’ un bravo informatico. Chi potesse aiutarlo in qualsiasi forma potrà segnalarlo all’Associazione Movimento per la Giustizia Robin Hood, anche telefonicamente allo 02/890.72.122.

Purtroppo, il corso della giustizia si preannuncia ancora lungo e tortuoso, nonostante la richiesta di rinvio a giudizio e le conclusioni rassegnate nella nuova Perizia eseguita dal dott. RIZZOTTO, specialista in urologia, andrologia, e nefrologia, Direttore del Dipartimento di Chirurgia della A.s.l. di Viterbo e Primario all’Ospedale Belcolle di Viterbo, il quale tra l’altro afferma che: “il Di Tommaso è stato ricoverato inutilmente fino al 25 agosto 2001” e che… “Elementi di censura professionale per negligenza, imprudenza, imperizia, si possono riscontrare a carico dei sanitari che hanno avuto in cura il Di Tommaso durante i primi tre ricoveri, segnatamente il terzo. Da quel punto in poi il destino del DI TOMMASO era inesorabilmente segnato”.

Nonostante ciò, infatti, l’udienza preliminare del 1.12.05 è stata rinviata, senza discussione, al 19.1.06, perché uno degli imputati (D’Elia) ha prodotto certificazione, proveniente dalla stessa azienda ospedaliera ove esercita la sua professione medica, affermando che non poteva essere presente per “crisi gottosa acuta”. Inizia così la terza fase del calvario giudiziario di Daniele, costellata da una serie di ostruzionismi burocratici, cavilli, omissioni e ritardi, architettati ad arte, mediante uno stillicidio di intoppi ed eccezioni di nullità. All’udienza del 19.1.06 la parte offesa ed il P.M. chiedono il rinvio a giudizio dei medici, ma i legali degli imputati eccepiscono l’inutizzabilità delle indagini eseguite oltre i termini di legge, senza che il P.M. avesse richiesto proroghe, ivi compresa la relazione medico legale del dott. RIZZOTTO…

Ed è così che dopo 5 anni si ricomincia da capo con una nuova perizia per “stabilire le cause del decesso del Sig. Di Tommaso” e la nomina di un diverso perito, che non si capisce bene perché cambia, essendo forse sgradito il Dr. Rizzotto, il quale ebbe già a pronunciarsi sfavorevolmente agli imputati.

Nel frattempo, il P.M. Summaria dispone lo stralcio della posizione del Gaffi, quarto medico indagato, per poi cercare di archiviare più agevolmente il caso, sostenendo che la sua condotta, anche se connotata da presumibili profili di negligenza nell’aver posposto di 5 giorni il ricovero, non apparirebbe rilevante nella causazione della morte del Di Tommaso.

A seguito di ulteriore motivata opposizione, Il Giudice, Dott. CARINI, respinge la richiesta di archiviazione del P.M. e fissa udienza per il giorno 16.2.06, alla quale non si presenta nè il Gaffi nè il suo difensore, in quanto la notifica era stata eseguita oltre i termini di 10 giorni, ragione per cui la trattazione viene rinviata all’udienza del 6.4.06. Nel frattempo viene nominato il nuovo perito e il Giudice esclude la costituzione di parte civile del Movimento per la Giustizia Robin Hood che con l’assenso della parte lesa, quale Onlus riconosciuta che tutela diritti diffusi dei cittadini, chiedeva un risarcimento anche simbolico, tenuto conto del danno che tali comportamenti provocano alla collettività e alla immagine stessa delle istituzioni sanitarie.

Chi volesse aiutare Daniele potrà contattarlo direttamente allo 06-5400648 o al 328-4228786. Man mano, cercheremo di aggiornare il caso, raccontandone gli sviluppi processuali e denunciandone i tentativi di insabbiamento, per cui allo stato il procedimento si trova ancora in fase di indagine con una nuova consulenza medico-legale, affidata a nuovi periti, per stabilire, ad oltre cinque anni dai fatti, le responsabilità per la morte del sig. Di Tommaso…

 

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