Andrea Gagliardoni ucciso a 23 anni prima dal lavoro eppoi dalla giustizia

Colpevole di essere morto!

Andrea Gagliardoni ha questa colpa. È morto a 23 anni il 20 giugno del 2006, alle 6.10 del mattino, durante il suo turno di lavoro presso l’Asoplast di Ortezzano (Fermo). La sua testa è stata schiacciata da una macchina tampografica; un congegno che produce, in modo seriale e preciso, marchi o scritte ad inchiostro su superfici varie, in un certo senso è l’evoluzione moderna del ben più noto timbro.

La macchina utilizzata da Andrea serviva per fissare l’inchiostro sui frontalini che dovevano essere stampati e posti sulle lavatrici Ariston. Erano due anni che lavora in quell’azienda, due anni passati a percorrere 80 km di strada per guadagnare 900 euro, due anni passati ad usare quel macchinario. Non era uno sprovveduto Andrea, conosceva bene il suo lavoro, sapeva che quella macchina aveva dei difetti, per giunta segnalati ripetutamente.

Quel giorno Andrea si era alzato alle 04.00 del mattino, aveva chiesto un cambio turno. Alle 05.00 del 20 giugno del 2006, fa partire la macchina, poco più di un’ora dopo si accorge che le stampe sono imprecise ed irregolari, decide di controllare e posiziona la macchina in stand by, blocca quindi la lavorazione, si china sul piano di lavoro per controllare gli inchiostri, questione di istanti, di pochissimi secondi, la macchina riparte autonomamente e in quell’attimo maledetto un ragazzo di ventitré anni muore. Il cranio è stato schiacciato da un tampone siliconico dal peso di 8 tonnellate.

Due gli imputati per omicidio colposo; Giuseppe Bonifazi e Mario Guglielmi. Il primo era Amministratore Delegato dell’Asoplast, responsabile di non aver rispettato le norme di sicurezza sul lavoro, non solo per quanto concerne il controllo delle attrezzatture, ma anche in virtù della disattivazione dei sistemi di sicurezza, attuata per velocizzare la produzione. Questo è il primo punto su cui riflettere; il profitto guida scelte e decisioni, permette di sacrificare tutto, anche la sicurezza dei propri lavoratori.

Guglielmi, invece, era l’Amministratore Delegato della ditta Mag System Srl con sede in Schio. Il reato a lui contestato riguardava la produzione stessa della macchina, non conforme ai requisiti essenziali di sicurezza previsti dall’allegato 1 del D.P.R. 459/96, delle norme UNI. Le parti hanno optato per il patteggiamento e la pena commisurata è stata di 8 mesi con la condizionale. Sentenza definitiva.

Questo è stato il valore che la Giustizia ha dato alla vita spezzata di Andrea.

Andrea diventa così un altro nome nelle liste delle morti bianche, un altro dato che fa impennare le curve delle annuali statistiche, un’altra storia che fa oscillare dal piedistallo imprenditore e uomini di Stato con le loro belle riflessioni sulla sicurezza sui posti di lavoro. Il tempo poi cancella il nome di Andrea dai giornali, trasformandolo in un morto invisibile, una di quelle morti che scuotono le coscienze, per un attimo, per un giorno, per una settimana forse e poi, poi cade il silenzio, da cui ci si sveglia solo quando sentiamo parlare di un altro Andrea, e di nuovo scene di piazza, servizi giornalistici, dita puntate, ma poi di nuovo silenzio.

Morire di lavoro è normale oggi, è eccezionale assistere a sentenze giudiziarie esemplari contro il Potere. 

Giudicare; un mestiere complicato, “arbitro in terra del bene e del male”, cantava De Andrè, e proprio per questo enorme valore essa deve essere innanzitutto deterrente dei reati e non il contrario come ha ben sottolineato Graziella Marota, mamma di Andrea.

Mamma Graziella, una persona le cui parole hanno il valore aggiunto di chi non parla a sproposito, di chi conosce il tunnel di un dolore che si poteva evitare, di un dolore rinnovato da una sentenza irrisoria. Una donna che oggi lotta in prima linea contro questa piaga sociale delle morti bianche.

Ma non è tutto. C’è una sentenza definitiva sulla morte di Andrea, ma la sua storia non si può archiviare così! Non è possibile, perché il suo dramma e quello della sua famiglia nascondono un retroscena ancora più amaro.

Andrea ha commesso l’errore di morire.

Andrea non doveva morire per svariate motivi, tutto era evitabile, ma soprattutto non doveva morire perché così ha recato troppo disturbo alla burocrazia locale. Da quasi 5 anni la famiglia attende ancora di dare una degna sepoltura ad Andrea, da ben 4 anni una madre chiede assiduamente al proprio Sindaco di permetterle di avere una tomba su cui piangere il proprio figlio. 5 anni! Dal 2006 al 2011 Andrea non ha avuto e non ha ancora una tomba definitiva.

Quando il 20 giugno del 2006 Andrea muore, lo shock è devastante. La famiglia non possedeva un loculo nel cimitero, nessuno va in Comune a richiederlo, perché, fondamentalmente, la situazione drammatica aveva posto in secondo piano tutto il resto ed è un’amica di famiglia (la signora Germana Cantatore) che si mobilita fornendo temporaneamente una proprio nicchia. Doveva essere una sistemazione provvisoria. E nessuno sottolinea, tanto meno il Comune stesso, al momento del rilascio delle autorizzazioni alla sepoltura, le conseguenze di questo prestito.

La mamma di Andrea, dopo i primi momenti bui, inizia a rivolgersi al Comune per richiedere un loculo definitivo in nome del figlio. Inizialmente le viene risposto che causa carenza degli stessi sarebbe stata costretta ad attendere le edificazioni di nuovi. Fino all’estate del 2009 tutto tace, dopodiché, spinta anche dalla necessità di restituire la tomba alla Sig.ra Cantatore, decide di inviare una richiesta scritta al Comune, e nella risposta si legge che: “la possibilità di avere un loculo presso il nostro cimitero avviene contestualmente al decesso…l’usufruire del prestito del loculo stesso, è stata una libera scelta della famiglia pertanto, affinché la signora Cantatore ne rientri in possesso, se ne dovrà attendere la scomparsa e non prima.” In poche parole la legittima proprietaria rientrerà in possesso del loculo al momento della sua morte e solo allora Andrea potrà essere traslato. Per la famiglia Gagliardoni tutto ciò è insostenibile, perché la signora Cantatore non ha parenti ed al momento della sua morte dovrebbe occuparsi di tutto la signora Graziella, che contemporaneamente dovrebbe anche traslare il proprio figlio.

Ora perché non riequilibrare la situazione in anticipo e dare almeno una lieve pace spirituale a questa famiglia? Non c’è un motivo valido che si frappone a questa richiesta.

Mario Andrenacci, Sindaco di Porto Salt’Elpidio (FM), ai microfoni della trasmissione Mi Manda Raitre, appare integerrimo ed inflessibile alle richieste della sua concittadina, non una piega dinnanzi alla disperazione della Signora Marota, o alle domande ed affermazioni di biasimo del conduttore Vianello, e tanto meno il disappunto del pubblico in sala lo scuote. Si aggrappa al principio dell’uguaglianza dei cittadini dinnanzi alla legge, all’esistenza di deroghe comunali ed alla necessità di non effettuare favoritismi per preservare l’ordine della comunità. Teme forse che tutti i suoi cittadini il giorno dopo si sveglino con il pallino di spostare i propri cari da una parte all’altra del cimitero?

Quasi ammirevole questa coerenza, penso in un primo momento. Basta molto poco poi per capire che questa rigidità è ridicola ed inappropriata, perché nel Comune esistono 200 loculi liberi, perché le regole emesse dal Consiglio Comunali sono successive alla morte di Andrea e prive oltretutto di validità, come da più fonti giuridiche è stato ribadito, per altro anche durante la trasmissione dal Prof. Claudio Franchini (docente di diritto Pubblico ed Amministrativo presso l’Università di Tor Vergata).

Ma ancora oggi manifestazione e richieste non hanno portato a nulla! La dignità, il rispetto per le persone si frantumano dinnanzi alla burocrazia e a leggi assurde, questo è accettabile?

La vita di Andrea si è fermata per inappetenze di chi doveva garantirgli un lavoro sicuro, ma forse avrebbe dovuto chieder il permesso di morire per garantirsi un ennesimo diritto negato; quello della sepoltura.

 LETTERA DI UNA MADRE PER UN FIGLIO CHE NON C’E’ PIU’

Andrea aveva 23 anni quando, il 20 giugno 2006, è rimasto con il cranio schiacciato da una macchina tampografica non a norma. Andrea voleva imparare a suonare la tromba, come se la chitarra da sola gli andasse stretta. Perché a quell’età la taglia dei desideri si allarga e non stai più nei tuoi panni dalla voglia di metterti alla prova, conoscere, guardare avanti. Da li a quattro giorni pure la metratura della sua vita sarebbe lievitata di colpo: dalla sua camera da ragazzo, in casa dei genitori, a un mini appartamento, acquistato dai suoi con un mutuo, a metà strada tra Porto Sant’Elpidio e la fabbrica Asoplast di Ortezzano, dove aveva trovato lavoro come precario per 900 euro al mese. Andrea voleva imparare a suonare la tromba, ma non ha fatto in tempo: una tromba che, rimasta la dov’era in camera sua, suona un silenzio assordante. E neppure l’appartamento è riuscito ad abitare: doveva entrare nella nuova casa sabato 24 giugno 2006, se ne è andato il 20 giugno di 3 anni fa. Oggi Andrea avrebbe 26 anni ma è morto in fabbrica alle sei e dieci dell’ultimo mattino di primavera. E suonerebbe ancora la chitarra con i Nervous Breakdwn e non darebbe il suo nome a una borsa di studio. Sarebbe la gioia di sua mamma Graziella e non la ragione della sua battaglia da neo cavaliere della Repubblica, per cultura sulla sicurezza. Una battaglia finita con una sconfitta dolorosa: nel nome del figlio e a nome dei tanti caduti sul lavoro, senza giustizia: Umbria-Oli, Molfetta, Thyssenkrupp, Mineo….Sono solo le stazioni più raccontate di una via Crucis quotidiana, che per un po’ chiama a raccolta l’indignazione italiana, che poi guarda altrove. Le morti si fanno sentire, ma le sentenze molto meno, quando passano sotto silenzio anche per una sorta di disagio nell’accettarle e comunicarle. I responsabili di questa orrenda morte sono stati condannati a otto mesi di condizionale con la sospensione della pena, anche se il Procuratore generale del tribunale di Fermo aveva parlato «di un chiaro segnale perché questi reati vengano repressi con la massima severità». Andrea è stato ucciso per la seconda volta. La tragedia è finita nel dimenticatoio, con alcune frasi fatte e disfatte, tipo non deve più accadere, basta con queste stragi, lavoreremo per migliorare la sicurezza. Parole piene di buone intenzioni, che lo spillo della smemoratezza buca in un momento. Parole al vento! Alla fine anche Andrea si è perso tra i morti da stabilimento e da cantiere: martiri del lavoro che fanno notizia il tempo di commuovere, che non promuovono ronde per la sicurezza, spesso rimossi pure nei processi. Tragedie quotidianamente dimenticate da un Paese ignavo e incurante. La tromba silente di Andrea a suonare la sua ritirata. Questo è quanto accade a tutti i morti sul lavoro; di loro restano solo dolore e angoscia dei familiari ma giustamente questo non fa notizia : una mamma che piange tutti i giorni, che guarda sempre la porta di casa aspettando che il suo Andrea rientri perché spera che tutta la sofferenza che sta vivendo sia solo un brutto sogno….. Ma tutto ciò non importa a nessuno!!!!!!!!!!!!Questa è la tragica realtà, di chi rimane e si rende conto di essere emarginato e dimenticato da tutti.

Graziella Marota

(mamma di Andrea Gagliardoni)

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