MANI MASSOMAFIOSE SULLA CASSAZIONE

Boss e massoni, patto per insabbiare i processi.  

A cura di Saverio Lodato. 

La mafia è a Roma, si sarebbe detto una volta. Ed ecco a voi quello che Leonardo Sciascia avrebbe chiamato: Il Contesto.

Ci sono voluti decenni, ma il sipario nero è stato finalmente strappato: mani mafiose sulla Cassazione. Mani massoniche sulla Cassazione. Persino mani ecclesiastiche. Otto gli arrestati. In manette una poliziotta, indagato anche un gesuita. E’ un gesuita romano, di alto lignaggio, Ferruccio Romanin, rettore della chiesa di Sant’Ignazio a Roma, si ritrova indagato. Indagato anche il massone Stefano De Carolis, della Serenissima Gran Loggia Unita d’Italia. Mentre Francesca Surdo, poliziotta palermitana, in servizio presso lo S.C.O. del ministero degli Interni, finisce in manette (ma non per mafia). Che storia.
Emerge uno spaccato che fa cascare le braccia, soprattutto in coincidenza con le attuali polemiche sulla questione intercettazioni. Insabbiavano i verdetti sfavorevoli ai boss con i quali le sentenze passavano in giudicato. Ne bloccavano la trasmissione da Roma in Sicilia o in Calabria. Traccheggiavano sulla messa a ruolo delle cause, perché un mese in più o un mese in meno poteva fare la differenza, e che differenza. Lo scopo ( spesso raggiunto) era quello di ottenere la scadenza dei termini con la conseguente impossibilità di arrestare gli imputati raggiunti da condanna definitiva o con qualche scarcerazione prima del previsto.

Ma non solo.
Le indagini della Procura di Palermo, a firma del capo dell’ufficio Francesco Messineo, dell’aggiunto Roberto Scarpinato, dei sostituti Paolo Guido, Fernando Asaro e Pierangelo Padova, volati a Roma per un’operazione senza precedenti – in esecuzione dell’ ordinanza di custodia cautelare emessa da Roberto Conti, gip del Tribunale di Palermo – , puntano a scoprire l’eventuale collaborazione con il sodalizio criminale persino di giudici di merito: ci sono infatti intercettazioni telefoniche che suonano, in tal senso, come pessimi campanelli d’allarme.
I vertici di Cosa Nostra (bastano, fra tutti, il clan di Matteo Messina Denaro e quello degli Agate), il grande ventre molle trapanese e agrigentino, da anni, con la costruzione di una sapiente rete di corrotti e faccendieri, riusciva a violare quello che si riteneva

IL SANTUARIO giudiziario italiano inespugnabile per eccellenza: il Palazzaccio romano di piazzale Clodio .
Operazione Hiram, l’hanno chiamata i carabinieri. Operazione che, per ora, ha portato agli otto arresti per associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, accesso abusivo nei sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreto d’ufficio, peculato. 

Alcuni uffici del Palazzaccio, nella prima mattinata di ieri, sono stati passati al setaccio dagli uomini dell’Arma che hanno spulciato dischetti, tabulati, documenti d’ogni tipo, interi schedari, sequestrato pc, perché si cerca di capire quanto a fondo si fossero spinte le mani di mafia; tentacoli della piovra, avrebbero detto i mafiologi di una volta. Ma come funzionava la grande madre di tutte le Piramidi?
Semplice. Alla base, c’erano la mafia di Mazzara del Vallo, Marsala e Canicatti: i Messina Denaro, gli Agate, i Sorrentino, con procedimenti pendenti in Cassazione, si rivolgevano a un loro uomo di assoluta fiducia, tal Michele Accomando di Mazzara, 60 anni, condannato per mafia e massone. Accomando, a sua volta, aveva come punto di riferimento romano, Rodolfo Grancini, 68 anni, di Orvieto, faccendiere con ottime entrature nel mondo politico (si sta indagando), ma, quel che più conta, con solidi agganci in Cassazione. Il suo più stretto collaboratore era Guido Paparaio, 55 anni, cancelleria della seconda sezione di Cassazione, ausiliario, autentico deus ex machina nel dipanare quelle complicatissime maglie burocratiche da cui dipendevano la carcerazione o la libertà. Ovviamente Paparaio, nelle diverse sezioni di merito dell’Alta corte, aveva i suoi complici, ora in via di individuazione (lui, infatti, non aveva titolo per entrare nei computer). Questo era l’asse principale. I mafiosi pagavano, per questo servizio “assai personalizzato” a tranche di 5000 mila euro che potevano lievitare sino a quindicimila. Il collettore del danaro era Accomando che li girava, facendoli affluire su un conto corrente fittiziamente intestato, a Grancini. Il quale li consegnava in contanti a Paparaio. Il cancelliere infedele pagava infine i suoi complici nei diversi uffici della Cassazione dove transitavano i processi “caldi”. Più le cause si diluivano nel tempo più la cifra corrisposta aumentava. C’era un secondo asse.
Riguardava il solito Grancini, ma anche Francesca Surdo, poliziotta di 35 anni. Violava il sistema informatico della polizia di Stato acquisendo notizie sullo stato delle indagini a carico dei boss (apparentemente segretissime) che metteva a conoscenza di Grancini. Ma spesso, nonostante gli sforzi della banda, i processi arrivavano in discussione.
In quel caso Grancini e Accomando avevano un asso nella manica: il gesuita Ferruccio Romanin. Il sacerdote firmava lettere accorate a difesa degli imputati caldeggiando soluzioni “benevole” dietro lauto compenso per la sua parrocchia sotto forma di “donazioni” registrate su tanto di carta intestata della chiesa. È sconcertante apprendere che le lettere venivano congegnate, in prima stesura, da Grancini che poi le sottoponeva ad Accomando e agli avvocati. Il massone mazarese aveva un filo diretto con Romanin con il quale, in un paio di occasioni, si incontrò personalmente. Quanto alla corrispondenza finiva poi nelle mani di Odimba Omana, il segretario del prelato che però risulterebbe estraneo ai fatti. A quel punto, a Romanin, non restava che mettere la firma. A che le inviava? È questo il pessimo campanello d’allarme di cui dicevamo.
Altri arrestati: gli imprenditori agrigentini Calogero Licata di 57 anni e Calogero Russello di 68; Nicolò Sorrentino di 64 anni, di Marsala. Non è invece mafioso Renato Giovanni Di Gregorio, ginecologo palermitano di 59 anni. Ma anche lui doveva avere i suoi santi in Paradiso: se è vero come è vero che, condannato anche in appello per violenza sessuale su una minorenne, era in libertà. Il suo ricorso in Cassazione era insabbiato da tre anni.
saverio.lodato@virgilio.it  (da: l’Unita’ 18 giugno 2008)
Le lettere di padre Ferruccio
L’interessamento per Epifanio Agate figlio del mafioso di Mazara del Vallo

PALERMO A proposito dell’interessamento di padre Ferruccio Romanin, rettore della chiesa di Sant’Ignazio di Lojola, in Roma, per Epifanio Agate, figlio di Mariano Agate, massone e boss di Mazara del Vallo.
Nota a mano, vergata dal sacerdote e indirizzata ad Accomando: ” A Accomando Michele. Per l’aiuto richiestoci dalla signora Pace Rosa e dalla fidanzata Francaviglia Rachele sarà nostra premura fare tutto l’impossibile per aiutare il giovane Epifanio Agate”. Il testo viene trasmesso proprio dal faccendiere Grancini ad Accomando, via fax, dall’Hotel Metropol di Roma (23 maggio 2006) .
Ma si pone il problema di giustificare la conoscenza (inesistente) fra padre Ferruccio ed Epifanio Agate, in modo da rendere credibile l’intervento del gesuita. Conversazione fra Accomando e Grancini (29 maggio 2006). Grancini: ” che rapporto c’è fra padre Ferruccio e la persona… capito? come si è creato…”Accomando: ” ho capito…”. Grancini: ” perché ci deve essere un’amicizia, capito? Che loro sono venuti a Roma, che si volevano sposare lì in Chiesa, cioè tutta una cosa… perché se no dice: che rapporto c’è: tra questi e quegli altri?”. E la lettera poi avrebbe dovuto essere consegnata a Reggio Calabria a “una persona” che aveva un appuntamento con un “innominabile”. Si indaga in proposito.
Ieri, in conferenza stampa a Roma, il procuratore di Palermo Francesco Messineo ha dichiarato: ” allo stato” non ci sono politici coinvolti.
Padre Romanin, lettera del 7 giugno 2006: ” Sono rimasto colpito dalla vicenda giudiziaria che ha colpito questo ragazzo e dal profondo dolore di queste due donne. Mi pregano di scrivere alle Vostre Ill. Signorie per un atto di clemenza e di perdono nei confronti di Agate Epifanio. Il ragazzo l’ho conosciuto presso la Chiesa di sant’Ignazio qui a Roma, dove Epifano era venuto con la fidanzata, per sentire se il loro matrimonio poteva essere celebrato in questa Chiesa…Ho avuto l’impressione che fosse un ragazzo a posto, pieno di vita e pieno di progetti con la sua futura moglie, con una certa venerazione del nostro fondatore Sant’Ignazio… Non voglio essere giudice di nessuno, e del suo operato, ma per quello che ho intuito non penso si meritasse un trattamento così pesante…” E chiede “equità e perdono, dandogli un’altra possibilità per alleviare, nel perdono e nella clemenza, il dolore atroce di una madre e della fidanzata”. Chi erano le Illustrissime Signorie? Si indaga. Comunque sia: sante parole, soprattutto spontanee. Non c’è che dire.
saverio.lodato@virgilio.it   (da l’Unità)

«Questo provvedimento non deve arrivare a Palermo…»
Ascoltiamoli un po’ mentre si davano da fare per i boss. Conversazione fra Licata e Grancini ( 6 febbraio 2003). Dice Licata: ” nelle more…questo provvedimento non deve essere notificato a Palermo… Però la cosa importante è non farla partire…E la cosa importante è non farla arrivare giù! Per avere il tempo di organizzare tutto con i gesuiti…”.
Fra Grancini e Sorrentino (13 febbraio 2006).
G. : ” Loro (impiegati della Cassazione n.d.r.) vogliono versati su quel conto dove hai versato l’altra volta, 5 mila euro, ogni dieci giorni gliene devo portare mille”. S.: “Come prima 5, e poi ogni dieci altri mille?” G.: “no, no…da questi cinque, io ogni dieci giorni levo mille euro e glieli do…” S.: “E quindi si fanno 50 giorni, così dici tu?”. G.: “Eh…sono gli accordi…, però io questo lo devo chiudere domani mattina alle nove…potrebbe essere tre, potrebbe essere due, poi potrebbe essere anche otto, cioè hai capito?”S.: ” Sì. Scusami, tu ogni dieci giorni gliene dai mille…”. G.: ” Bravo Nicola”. S.: ” Quindi se ne vogliono mandati cinque vuol dire che per 50 giorni siamo a…”. G.: ” Io ti dico quello che mi hanno detto…”. S.: ” caso mai facciamo l’integrazione noi…” G.:” Bravo! Questo è quanto! Però domani mattina ce li devo avere”. S.: ” Va bene, io vado a parlare, me li faccio dare e ti faccio il versamento…” ( versamento su conto Unicredit, agenzia di Orvieto, intestatario (fittizio) Bacci Giovanni, codice 7181: tutto verificato e provato). In questo caso era il Sorrentino ad essere interessato ad un suo ricorso in Cassazione.
Grancini- Accomando ( 19 dicembre 2005).
G: ” Se non c’è niente ( se non ci sono i soldi n.d.r) è inutile che andiamo avanti, perché tanto non fa un cazzo nessuno, cioè hai capito che ti voglio dire? Se si arriva con qualcosa bene, perché anche lì mi hanno detto: “Rodolfo è ora che vai a fare in culo”, perché io gli avevo promesso, promesso, io se ce li avevo li mettevo io… allora se hai qualcosa sulle mani, mandali spediscili, così io posso girare e muovermi, se no lasciamo perdere, sarà quello che Dio vorrà…”.
A: ” Ti ho detto la pratica quella mia… eh quella manca per te definire il discorso… c’e già la disponibilità totale…” G.:” E allora perché non me li hai dati tu? ” A.: ” Eh cazzo..se non so quanti. Dico, non è che posso quantificare io… E allora quella del dottore ( sottinteso: pratica n.d.r), ti ho detto come è la situazione?” G.: “sono lì che dormono tutte adesso”.
Licata- Grancini (1 marzo 2007).
L. ” Rodolfo! Purtroppo questa è …una cosa pesante, non è una cosa leggera… perché io sto perdendo tutta la mia tranquillità…, la mia…tutto sto perdendo io…Cioè io qua …non abbiamo a che fare né con Nicola, né con Antonio che sono persone per bene…(omissis). ” Questa volta, infatti, di mezzo c’erano gli Agate di Mazzara del Vallo. E lo stesso giorno, si sentono anche Accomando e Licata.
L.: ” Ho capito Michele…noi ogni giorno gli dobbiamo mandare un messaggio di pericolosità! ( a Grancini per sollecitarlo n.d.r.).
E Grancini, in altra telefonata: ” Il compito mio era quello di tenerla ferma il più che sia possibile, che poi De Carolis avrebbe praticamente sistemato la cosa e non l’avrebbe fatta arrivare, questi sono i patti, che non doveva arrivare dall’ ufficiale giudiziario e questo De Carolis mi ha detto: “ci penso io””
Grancini si rivolge a Peperaio ( 9 marzo 2007) : ” ci hai guardato? “. P.: ” E si, ho guardato. Poi ti dico”. G.: “si può fare?”P: “Anche se bisogna aspettare qualche altro giorno in più per essere… Hai capito?”. G: ” eehh si può fare qualcosa? P.:”eehh ci proviamo… però bisogna te… te…poi ti dico personalmente” (Peperaio batte cassa n.d.r.)
Conversazione fra il faccendiere Grancini e la poliziotta Surdo ( 1 agosto 2006, ore 21 e 45): G.: “In tanto domani mattina vado lì in Cassazione per l’amico tuo”. S: “ah, ah”. G.: ” Eh che la sezione non è una di quelle simpatiche”. S.: “Eh immagino”. G.: ” Eh la quarta e la settima sono un po’ le più…eh, se era la seconda era un frego meglio. Però qualcosa possiamo fare, su poi ne parliamo a voce…”. Il riferimento è al ginecologo De Gregorio amico personale della Surdo.

Benedette intercettazioni, se si vuol cercare di bonificare l’Italia.
saverio.lodato@virgilio.it

 Tratto da: l’Unita’

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