"Così lo Stato pagava la 'ndrangheta per smaltire i rifiuti tossici"

Parla un boss: “Così lo Stato pagava la ‘ndrangheta per smaltire i rifiuti tossici”

di Riccardo Bocca

Condannato per traffico di droga. Ha collaborato con l’Antimafia. Ritenuto attendibile, ora ha consegnato ai giudici un memoriale. Esplosivo

(09 giugno 2005)

A partire dal giugno 2004 “L’espresso” ha pubblicato una lunga serie di articoli riguardo al traffico internazionale di rifiuti tossici e radioattivi. Un lavoro che ha avuto come prima tappa la ricostruzione del caso Rosso, la motonave che nel 1990 si è arenata su una spiaggia calabrese e che tutt’oggi è al centro di un’indagine della Procura di Paola. In seguito, l’inchiesta del nostro giornale si è allargata all’intera vicenda delle cosiddette “carrette del mare”, le navi che tra gli anni Ottanta e Novanta sarebbero state affondate volontariamente con il loro carico di scorie tossiche e nucleari. Affari di dimensioni planetarie che sono stati investigati dalla Procura di Reggio Calabria, e che avrebbero coinvolto in decine di nazioni politici e faccendieri, servizi segreti e industriali, massoni e malavitosi. Uno scenario segnato dalla morte misteriosa del capitano Natale De Grazia, consulente chiave degli inquirenti, nonché dalle tracce di scambi occulti tra Italia e Somalia nella stagione della cooperazione, secondo alcuni causa dell’omicidio dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Ora “L’espresso” è venuto a conoscenza di un nuovo documento. Un lungo e dettagliato memoriale scritto da un ex capo della ‘ndrangheta (vedi scheda), qui tenuto anonimo per ragioni di sicurezza, già in passato collaboratore di giustizia e oggi con un cumulo di pena pari a trent’anni per associazione a delinquere e traffico internazionale di stupefacenti. Alla Direzione nazionale antimafia ha consegnato pagine scritte in prima persona, con episodi vissuti direttamente, dove le rivelazioni sull’affondamento doloso delle navi radioattive si alternano a quelle sui traffici internazionali di armi e sulle convergenze con uomini dello Stato e dei servizi segreti.

Tutto materiale che, ovviamente, dovrà essere vagliato nei minimi particolari dai magistrati, i quali peraltro stanno già da tempo lavorando su fronti connessi, in modo da confermare o smentire tutte le responsabilità delle persone citate. E soprattutto dovranno essere verificati con la massima attenzione i siti, italiani e non, dove l’autore del memoriale indica la presenza dei fusti con scorie tossiche e radioattive. Un percorso che “L’espresso” seguirà passo passo, nella speranza di raccontare al più presto la verità su questi gravi fatti.

Il primo capo della ‘ndrangheta a capire l’importanza del business dei rifiuti tossici e radioattivi è stato Giuseppe Nirta. Nel 1982 era il responsabile del territorio di San Luca e Mammasantissima, ossia il vertice supremo dell’organizzazione. Per questo aveva contatti a Roma con personaggi dei servizi segreti, della massoneria e della politica… Inizia così il memoriale consegnato all’Antimafia da un ex boss della ‘ndrangheta. Il quale precisa: “Allora non avevo rapporti diretti con i massimi vertici della famiglia di San Luca, a cui ero affiliato, in quanto il mio livello era quello cosiddetto dello “sgarro”, e gestivo solo estorsioni. Nirta però era un lontano cugino di mia madre, e per questo avevo una corsia preferenziale con lui, il quale più volte mi assicurò che il business dei rifiuti pericolosi avrebbe portato tanti soldi nelle nostre casse”.

In soccorso del ministro
“In particolare”, si legge, “Nirta mi spiegò che gli era stato proposto dal ministro della Difesa Lelio Lagorio, col quale aveva rapporti tramite l’ex sottosegretario ai Trasporti Nello Vincelli e l’onorevole Vito Napoli, di stoccare bidoni di rifiuti tossici e occultarli in zone della Calabria da individuare. L’ipotesi ventilata a Roma era quella di sotterrarli in alcuni punti dell’Aspromonte e nelle fosse naturali marine che c’erano davanti alle coste ioniche della Calabria. Nirta però mi disse che non voleva prendersi da solo questa responsabilità, e avrebbe quindi convocato i principali capi della ‘ndrangheta nella provincia di Reggio Calabria per decidere cosa fare. Mi informò anche che sia la camorra napoletana che la mafia siciliana erano già state interpellate sullo smaltimento dei rifiuti, e che avevano dato il loro benestare. La cosa comunque”, scrive l’ex boss, “non si sviluppò subito. Ci furono una serie di riunioni nei mesi successivi che si svolsero all’aperto presso il santuario di Polsi, sui monti alle spalle di San Luca, dove si teneva anche l’incontro annuale di tutta la ‘ndrangheta. Agli incontri parteciparono le famiglie di Melito Porto Salvo nella persona di Natale Iamonte, di Africo nella persona di Giuseppe Morabito (‘u tiradrittu), di Platì nella persona di Giuseppino Barbaro, di Sinopoli nella persona di Domenico Alvaro, di Gioiosa Marina nella persona di Salvatore Aquino e naturalmente di San Luca nella persona di Giuseppe Nirta. Fu lo stesso Nirta a riferirmi i particolari, perché aveva deciso che avrei dovuto occuparmi dell’aspetto organizzativo della famiglia di San Luca, e dunque dovevo conoscerne la struttura e gli affari più importanti”.

Fonte: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Parla-un-boss/2129200

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