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MASSOMAFIA IN UMBRIA. IL SUO GHOTA E LE INFLITRAZIONI NELL'ITALIA CENTRALE

“La Mafia, Il suo Ghota e le infiltrazioni nell’Italia centrale”

Pubblichiamo uno stralcio del documento a cura della Confesercenti di Terni-Sos Impresa che rivela la presenza della massofia nel territorio umbro e nell’Italia centrale. 

Dalla banda degli Ex pentiti all’Operazione Naos

Indagando sul traffico di stupefacenti, intimidazioni e incendi, rapine e altri traffici illeciti, la Dda di Perugia scopre quello che verrà definito dagli stessi inquirenti il clan degli ex-pentiti, che ha agito sul territorio umbro nel biennio 2006-2007. Dalle indagini è emerso che, nel carcere di Voghera, un ex-collaboratore di giustizia, Salvatore Menzo appartenente al clan mafioso di Niscemi, avrebbe deciso, insieme ad altri detenuti, di andare a vivere, al termine della pena, a Perugia, dove aveva una serie di conoscenze utili sia negli ambienti malavitosi, sia nella finanza. Scelta rivelatasi vantaggiosa per il neo gruppo criminale che, da subito, è riuscito a imporsi sul territorio, attraverso il traffico di stupefacenti (soprattutto cocaina dalla Lombardia), di armi, il controllo della prostituzione e il riciclaggio di denaro sporco, entrando in contatto con il clan Farao-Marincola di Cirò Marina.

Anche una seconda indagine, condotta dal PM di Perugia Duchini, vedono al centro le attività illegali di Menzo e del suo gruppo, nonché il night club Kristall di Perugina, oltre a numerose altre insospettabili società. Un’inchiesta partita dallo sfruttamento della prostituzione e arrivata al riciclaggio di denaro sporco che vede Menzo, secondo gli inquirenti, al centro di un’intensa attività di riciclaggio nei settori finanziario e immobiliare. Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio clan mafioso, legato ai rispettivi clan di origine e a nuove cellule residenti in Lombardia. Oltre a Menzo nel gruppo troviamo Marcello Russo, pugliese ex-pentito, e Salvatore Conte, casalese, anche lui ex-collaboratore di giustizia, affiliato al clan camorristico La Torre. Quest’ultimo è ucciso, nel marzo 2007, all’interno di una faida interna, perché diventato “inaffidabile”. L’omicidio, strano a dirsi, è avvenuto proprio sul territorio umbro e il cadavere verrà ritrovato in un bosco di Carpiano di Monteurbino, nel novembre 2007.

A raccontare tutto Paolo Carpissati, un imprenditore, che, dopo una serie di disavventure, è entrato in contatto con il clan e un gruppo criminale albanese dedito al traffico di stupefacenti. Dalla collaborazione di Carpissati e dopo l’arresto di Marcello Russo emergono anche altri aspetti inquietanti dell’intera vicenda. Il clan agiva in territorio umbro, mantenendosi però in stretto contatto con camorristi campani, stanziati nel capoluogo lombardo.

Le indagini infatti si snodano tra l’Umbria, la Lombardia, ma anche la Toscana e la Sicilia.

A svelare i fitti intrecci e la pericolosità del gruppo, un’indagine della Procura di Firenze su una serie di truffe telefoniche, che ha visto coinvolti il presidente dell’Arezzo calcio Piero Mancini, titolare della Fly Net di Arezzo, Giuseppe Cimieri, calabrese di Ciro’ Marina, residente a Perugia, il fratello Fancesco Cimieri, residente a Londra, e Carlo Contini, residente a Perugia.

I tre avrebbero costituito a Londra due societa’, la Plug Easy e la Global Management Trade Ldt, dove venivano trasferiti i soldi provento delle attività illecite. Ed è proprio con Salvatore Menzo, capo del clan degli ex pentiti, che i calabro umbri Cimieri e Contini, avrebbero avuto contatti diretti.

Nel febbraio 2008 scatta l’Operazione Naos, considerata la prima e più grande operazione an- timafia nel territorio umbro: cinquantasette arresti, di cui venti in Calabria, tra gli arrestati amministratori e dirigenti locali, accusati di poggiare politicamente un accordo imprenditoriale tra ‘ndrangheta e camorra per controllare e gestire gli appalti in Umbria, impossessarsi di aziende pulite, ed espandere le proprie capacità aziendali e di business. A svelare l’accordo oscuro i carabinieri del Ros che, al termine di un’inchiesta coordinata dalla Dda di Perugia, hanno eseguito gli arresti nei confronti dei presunti appartenenti al sodalizio mafioso collegati al clan dei casalesi e alla ‘ndrina dei Morabito-Palamara-Bruzzaniti, una delle cosche calabresi più forti e pericolose. Le indagini sono state divise in due parti, la prima ha riguardato le cosche calabresi, la seconda, invece, ha permesso di mettere in evidenza, proprio nel territorio umbro, dell’esistenza di un sodalizio legato al clan dei casalesi che, pur mantenendo contatti con l’organizzazione di appartenenza, ha operato in totale autonomia e in collaborazione con la criminalità umbra per gestire il traffico di stupefacenti e di autovetture rubate e clonate, per riciclare il denaro sporco in attività edilizie e gestire un giro di assegni falsificati. A siglare gli affari calabro-umbri una sostanziale pax mafiosa, in grado di tenere lontana l’attenzione delle forze dell’ordine. L’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Antonella Duchini, ha evidenziato quelle che nell’ordinanza di custodia cautelare del gip perugino vengono definite le nuove strategie del gruppo criminale, miranti a spostare, dagli storici territori di appartenenza, l’attività soprattutto economica delle famiglie. Riguardo al presunto sodalizio costituito in Umbria, nell’ordinanza è rilevato il suo elevatissimo spessore criminale tenuto conto della rete di intese con i vertici delle famiglie della ‘ndrangheta del versante ionico e con i loro emissari. Nel provvedimento si fa inoltre riferimento all’accordo tra alcuni degli arrestati per costituire a Perugia una serie di società pulite attraverso le quali aggiudicarsi appalti pubblici e privati mediante concessioni ottenute con intimidazioni e corruzioni. In particolare, le ‘ndrine calabro umbre, si apprestavano a investire in un centro turistico a Norcia, fra i monti sibillini: un villaggio turistico, comprensivo di campeggio, albergo, ristorante, minimarket e una cinquantina di mini appartamenti nel bel mezzo del Parco nazionale. Gli inquirenti, poi, hanno individuato sul territorio, fra Perugia e Ponte San Giovanni, imprese, intestate a prestanome, nate esclusivamente per la partecipazione ai bandi di gara. Alcune di queste aziende contenute nell’ordinanza di custodia cautelare sono: Teti spa, Bnn costruzioni srl, Emmebì costruzioni srl, Italappalti, Imextra spa, IV millennio, Magliulo Costruzioni, Edil Benny. Gli appalti erano concentrati in gran parte nel comune di Marsciano (Pg) dove per realizzare un lavoro sarebbero stati utilizzati materiali scadenti, all’insaputa della ditta pulita che ne copriva l’appalto e che a sua volta lo aveva subappaltato ad altre due ditte: la EdilBenny e la IV Millennio.

Al centro del sodalizio Giuseppe Benincasa, calabrese di origine residente da anni sul territorio umbro, già noto agli inquirenti come pregiudicato, che era riuscito a porsi grazie alle sue amici- zie in noti ambienti calabresi e umbri come interfaccia, locale e mafiosa, sul territorio.

Dalle attività d’indagine –ha scritto il gip – emergeva come i guadagni illeciti dell’organizzazione venivano reinvestiti dai singoli in attività all’apparenza legali, che permettevano di ripulire enormi quantità di denaro.

A gestire il cartello d’imprenditori sempre Giuseppe Benincasa, ma nelle compagini societarie, oltre a nomi di comodo, figurano altri indagati che, in una sorta di rete d’incarichi di rappresen- tanza, da un lato rendono problematica dall’esterno la ricostruzione del gruppo societario, dall’altra hanno consentito al sodalizio di gestire, in maniera unitaria, gli interessi comuni.
L’intera operazione, la prima che sancisce la presenza della mafia, così come la connota il 416 bis, è la dimostrazione che non sono infondati gli allarmi riguardanti soprattutto l’intensificarsi del traffico di stupefacenti e come sia in atto, da tempo, il tentativo di esportare e radicare in Um- bria una pratica del malaffare da estendere poi a settori dell’economia e della società umbra.

A cura: Confesercenti di Terni-Sos Impresa-Camera di Commercio di Terni

Falsi rimborsi: giudice e imprenditore in cella

 

Perugia, 27 luglio 2010 – Il “giochino” funzionava così: un’azienda di costruzioni, che negli anni ’80 e ’90 aveva eseguito lavori in strutture militari in Sardegna, da qualche anno presentava documenti falsi — con carta intestata del Ministero della difesa — in cui veniva accertata l’esistenza di riserve non pagate e legate a lavori aggiuntivi (in realtà mai eseguiti). E una volta che il contenzioso finiva davanti alla magistratura civile per la contestazione da parte dell’Avvocatura dello Stato, c’era un giudice compiacente che indirizzava le cause a favore dell’impresa, facendole ottenere rimborsi esorbitanti e ricevendo, in cambio, lavori edili nella sua villa di Porto Cervo.

Questa la tesi dell’accusa, che parla di presunta associazione a delinquere composta da una famiglia di imprenditori, con due figli avvocati, e un giudice: un “team” che avrebbe sottratto per anni al Ministero della difesa vari milioni di euro. Per ora sono finiti in carcere il giudice onorario della IV sezione bis civile del tribunale di Roma, Giovanni Dionesalvi, l’imprenditore in pensione Giampaolo Mascia, la moglie Piera Balconi e i loro due figli, gli avvocati Vittorio e Giammarco. Accuse pesanti: falso in atto pubblico commesso da privato e da un pubblico ufficiale, corruzione in atti giudiziari e abuso di atti di ufficio.

L’inchiesta è in mano alla procura di Perugia (pm Giuseppe Petrazzini, gip Claudia Matteini) che ha competenza in casi che vedono coinvolti giudici romani. L’impresa che aveva effettuato lavori per conto del Ministero in alcune caserme da qualche anno a questa parte avrebbe cominciato a presentare documenti falsi — questa l’accusa — in cui sosteneva di aver compiuto ulteriori interventi, ritenendosi quindi debitrice di somme consistenti che, ogni volta, si aggiravano sui 2-3mila euro. Così si instaurava un contenzioso al tribunale civile (l’Avvocatura dello Stato ha quantificato 150 controversie) in cui il giudice onorario gestiva direttamente le carte o si adoperava con i colleghi per ‘istruirli’.

Giudice che — secondo il gip — era in rapporti di stretta amicizia con la famiglia coinvolta, e la cui villa in Sardegna era a fianco a quella dei Mascia. Gli inquirenti ritengono che la truffa, solo negli ultimi 7 mesi, abbia fatto intascare all’impresa 1,8 milioni di euro.
Le indagini sono in corso e gli investigatori sono alle prese con decine di migliaia di documenti da analizzare (per trasportare una parte delle carte da Roma a Perugia è stato necessario un furgone). Nel frattempo il gip ha confermato la custodia in carcere. Il giudice e uno degli avvocati, arrestati a Roma, sono nel carcere di Capanne, a Perugia. Gli altri tre sono stati arrestati in Sardegna.

“La condotta giudiziaria del giudice Giovanni Dionesalvi è stata sempre tecnicamente corretta e in linea con quanto imposto dal codice di procedura civile”, sostiene il suo legale, l’avvocato Remo Pannain.

MICHELE NUCCI

Giudice, imprenditore e avvocati romani

 

PERUGIA (26 luglio) – Ci sono un giudice e due avvocati di Roma tra i cinque arrestati dai carabinieri per corruzione, concussione ed altri reati. L’inchiesta è svolta dalla sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri di Perugia e della capitale.

In manette un ex imprenditore edile, sua moglie e i due figli, entrambi avvocati, tutti residenti a Roma: sono quattro dei cinque arrestati dai carabinieri al termine dell’operazione “Mattone d’oro” che ha portato anche all’arresto di un giudice. L’indagine – condotta dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della procura di Perugia – sarebbe scaturita da una denuncia dell’Avvocatura generale dello Stato su un contenzioso riguardante appalti tra il ministero della Difesa e la ditta dell’imprenditore arrestato.

Gli arrestati sono il giudice onorario della IV sezione bis civile del tribunale di Roma Giovanni Dionesalvi, l’imprenditore in pensione Giampaolo Mascia, la moglie Piera Balconi e i loro due figli, gli avvocati Vittorio e Giammarco.

L’ accusa contestata a vario titolo è associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. Gli atti erano già stati vagliati dal procuratore di Roma, Giovanni Ferrara che poi li aveva trasmessi per competenza al capoluogo umbro. Secondo gli inquirenti la famiglia Mascia avrebbe promesso e dato “utilità” al giudice onorario del tribunale capitolino di in relazione alla gestione di alcune esecuzioni immobiliari affinchè fossero ritardate o quantomeno non eseguite.

«La condotta del giudice Giovanni Dionesalvi è stata sempre, tecnicamente, corretta ed in linea con quanto imposto dal codice di procedura civile». Così l’avvocato Remo Pannain, difensore del giudice onorario della IV sezione bis civile del tribunale di Roma.

Falsificando gli atti, chiedevano denaro dal ministero della Difesa per presunte «riserve» (in realtà inesistenti) relative ad alcuni lavori edili eseguiti dall’imprenditore edile, sardo ma residente a Roma, in strutture militari della Sardegna fra gli anni ’80 e ’90..

Dal gennaio scorso ad oggi, gli investigatori hanno quantificato un giro d’affari di un milione di euro. L’attività andava avanti da anni. Gli inquirenti sono alle prese con decine di migliaia di documenti da analizzare (per trasportare una parte di questo materiale da Roma a Perugia è stato necessario un furgone).

Ieri si sono svolti gli interrogatori di garanzia per le cinque persone arrestate giovedì scorso, con la collaborazione dei carabinieri della stazione di Porto Cervo (Sassari). Dopo la convalida degli arresti, per tutti è stata confermata la custodia in carcere. Il giudice e uno degli avvocati, arrestati a Roma, si trovano nel carcere di Capanne, a Perugia. Gli altri tre sono stati arrestati in Sardegna: la donna è rinchiusa nel carcere di Sassari, l’imprenditore e l’altro suo figlio avvocato sono nel carcere di Tempio Pausania.

Il giudice avrebbe ottenuto anche l’esecuzione di lavori edili gratuiti nella sua villetta a Porto Cervo, in cambio della sua partecipazione alla presunta associazione a delinquere. È quanto hanno potuto accertare gli investigatori, che stanno ancora svolgendo indagini anche per valutare altri eventuali vantaggi ottenuti dal giudice.

La ditta edile di Mascia negli anni ’80 e ’90 aveva eseguito lavori in strutture militari in Sardegna e, dopo circa 15-20 anni, aveva cominciato a presentare ricorsi (135 in tutto) alla magistratura civile per ottenere denaro dal ministero, facendo risultare (falsificando gli atti) l’esistenza di riserve legate a quei lavori. In molti casi i ricorsi erano stati trattati dallo stesso giudice arrestato, che aveva emesso i relativi decreti ingiuntivi alla Banca d’Italia, dando la possibilità all’imprenditore di riscuotere il denaro. In altri casi il giudice avrebbe tentato di parlare con i suoi colleghi per agevolare le pratiche.

da ilmessaggero.it

CERCASI DISPERATAMENTE GIUDICE CHE CREDE NELLA GIUSTIZIA

MASSOMAFIA E TSO A PERUGIA

Pubblichiamo il toccante appello della Dr.ssa Maria Rosaria Morra, apparso sui muri adiacenti al Palazzo di Giustizia di Perugia, alcuni anni fa, a seguito del quale è stata internata in manicomio e sottoposta a “trattamento sanitario obbligatorio” (T.S.O.).
All’incredibile odissea di Maria Rosaria Morra, nota commercialista, che ebbe il coraggio di denunciare il malaffare locale e le complicità della magistratura perugina, diede qualche tiepido eco, solo, la stampa locale, con un articolo apparso sul Corriere dell’Umbria, l’8.9.98.
Toccati dallo spessore morale e della sincerità dell’appello, non ancora raccolto da nessun giudice…, riteniamo doversoso segnalare l’emblematico caso dove la corruzione si serve di giudici e medici compiacenti per assecondare i propri fini diabolici.

Dopo oltre 13 anni di inerzia della magistratura dalla pubblicazione del caso sulla stampa locale e sul nostro sito internet si è fatto vivo il marito dell’avvocato citato dalla dr.ssa Morra, apostrofandola come una pazza, e minacciando denunce nei nostri confronti, ove non avessimo provveduto a cancellare il nome del ritenuto “infidelis procurator“, cosa di cui lo accontentiamo, seppure trattasi della mera riproduzione del testo di una denuncia apparsa su tutti i muri di Perugia e sui quotidiani locali.

A questo punto, insistiamo per la riapertura del caso, anche ai sensi dell’art. 414 c.p.p., ove le indagini fossero state eluse o insabbiate, riservando di costituirci parte civile, a tutela di interessi diffusi dei cittadini vittime di abusi sanitari e malagiustizia. 

Cercasi disperatamente un giudice che ha scelto di fare il giudice perchè crede pronfondamente nella Giustizia…

A T T E N Z I O N E

Caro Palazzo di Giustizia, sai ho dovuto attaccare un volantino proprio sul tuo portone. Ma credimi non sarò certo stata io ad insudiciarti con un foglio bianco che dice una verità.

 

 

Il mio avvocato xxxxxx xxxxxxx mi ha venduto alle controparti e la cosa è dimostrabile. L’ho denunciata, per infedele patrocinio ma i giudici hanno archiviato tutto.
Caro Palazzo di Giustizia di fuori sei tanto bello, ma di dentro sei brutto come una pancia piena di malattie.
Dentro la tua pancia ci sono tanti corridoi come budelli, scale, cunicoli, con tanti animaletti che vanno su e giù come nei disegni di Escher, dove ci sono scale e scalette con tanti omini che salgono e scendono da scale che non portano da nessuna parte, coccodrilli che sbucano da un foglio, per poi rientrarci come per incanto. Omini che guardano su grandi libri, dove c’è scritto tutto e il contrario di tutto, li chiamano i libri della legge, poi usano quelle leggi secondo i personaggi delle storie e la convenienza del momento. Caro Palazzo di fuori sei tanto bello, sei rimasto come tanto tempo fa, come quando ti nominarono Palazzo di giustizia, e magari allora le intenzioni erano buone. Adesso invece con tutte le trasformazioni interne che ti hanno fatto, sei tanto strano! Dentro di te ci si sente smarriti. Sei scollegato, poco pratico, un labirinto scomodo, parti moderne, parti antiche, scoordinato, disarmonico, sconfortante. Ti hanno scomposto tutto e del Palazzo originale, conservi solo la facciata.
Io non so alla fine cosa venga fuori da quella tua grande pancia, ma quello che ho sentito io, PUZZAVA!

Maria Rosaria Morra

Umbria

 

Prima di accingerVi a leggere i vari casi, pensate che si tratta di storie vere, per cui molti uomini sono morti e tante famiglie sono state distrutte dal dolore, senza ricevere alcuna tutela, da parte delle varie Autorità a cui fiduciosamente si erano rivolte. Pensate che non si tratta di casi isolati e non crediate che ciò che è capitato agli altri non possa, prima o poi, capitare, anche, a Voi od, a qualche stretto congiunto. Sarebbe il più grave errore che potreste commettere, dal quale genera l’indifferenza verso i mali della giustizia e su cui si fonda il dominio del male e della menzogna sulla Verità.