L’impunità è sempre odiosa ma lo è ancor di più quando la morte di una persona indifesa viene provocata mediante crudeli torture e la complicità di chi dovrebbe rappresentare la Pubblica Accusa, come nel caso di Francesco Mastrogiovanni e il pm Martuscelli, che ha cercato di minimizzare le responsabilità degli assassini.
Ci siamo costituiti parte civile per impedire i soliti “inciuci giudiziari” e affermare la libertà di cure contro i TSO, tutelando l’interesse comune di potere accedere ad una giustizia giusta e uguale per tutti, inscindibilmente connesso alla più generale tutela del rispetto della persona umana, per cui nessuno può essere sottoposto a torture, tanto più in strutture sanitarie.
Alla luce del tentativo di deviare il processo su un binario morto ci siamo posti come una spina nel fianco della Pubblica Accusa e ne abbiamo denunciato le deviazioni.
Siamo così riusciti ad infondere coraggio e far luce sugli anomali comportamenti endoprocessuali e le frequentazioni del pm Martuscelli con taluni imputati (del caso se ne sta occupando il P.M. di Napoli). In linea di principio la sentenza ha riconosciuto il ruolo propulsivo delle Associazioni, smentendo e censurando il Martuscelli, ma ha reso giustizia solo a metà, anche se ha avuto il pregio di spezzare il clima persecutorio e d’odio politico nei confronti di Franco anche da morto.
Purtuttavia non è stata in grado di far piena luce sulle pratiche medievalistiche presso il lager psichiatrico di Vallo che coinvolgevano tutto il personale sanitario, invece incongruamente assolto, senza tenere conto delle palesi responsabilità e indifferenza degli infermieri, verso l’altrui atroce sofferenza, come risultanti provate dall’impianto accusatorio del primo P.M. dott. Rotondo e dalle video-registrazioni, elementi inchiodanti che sono state incomprensibilmente ignorati.
A pag. 175 della sentenza si afferma infatti assurdamente che la condotta degli infermieri possa venire ricondotta all’art. 51 c. 3 c.p., ritenendo che gli imputati mandati assolti non avrebbero potuto accorgersi dell’illegittimità dell’ordine di contenzione e del suo ingiustificato prolungamento.
Tale conclusione è assolutamente paradossale in quanto si è omesso di considerare che anche il personale infermieristico è portatore di una posizione di garanzia ex art. 40 c.p. nei confronti dei pazienti sottoposti alla loro cura e vigilanza e, pertanto, è da ritenersi pacificamente responsabile ogni qualvolta violi gli obblighi di legge.
I comportamenti contrari ai doveri di ufficio del pm sono stati da noi denunciati anche al P.G. di Salerno con istanza ex art. 570 c.p.p. chiedendo di sostituire il pm per incompatibilità e proporre motivato appello, non essendo consentito alle parti civili la diretta appellabilità che spetterebbe – sic! -allo stesso pm Martuscelli!
La sentenza avverso la quale auspichiamo il P.G. di Salerno vorrà proporre appello ha comminato peraltro pene scandalosamente miti, nei confronti dei medici, pur in presenza di reati di notevole gravità e allarme sociale, senza tener conto delle ns. diverse prospettazioni, secondo cui è configurabile il reato di “omicidio preterintenzionale”.
Nel caso di specie sussiste infatti sia il cd. “animus laedendi“, stante che la contenzione è stata attuata senza cure sino alla morte sia il cd. “animus necandi” che significa che l’agente non deve agire necessariamente con dolo di omicidio, ricadendo altrimenti nell’ipotesi di cui all’art. 575 c.p., bensì basta la previsione della morte, previsione di certo percepibile dal personale medico e paramedico, ben a conoscenza dei possibili esiti fatali di un regime contenitivo prolungato senza mai slegare la vittima per oltre 3 gg., lasciandolo privo di alimentazione e di idonea idratazione.
Da qui il sospetto ben più grave che il cinico e vile omicidio preannunciato dallo stesso Franco – il quale era a tal punto consapevole della fine che lo attendeva che implorò: «Se mi portano a Vallo non ne esco vivo» – possa promanare da una preordinata “vendetta politica”, maturata negli ambiti dell’estrema destra, che forse non ha mai perdonato al maestro elementare la morte del missino Carlo Falvella dirigente del FUAN di Salerno e la sua fede anarchica che lo spingeva a continuare a ricercare la verità sulla strage di Piazza Fontana.
Avvocati senza Frontiere invita pertanto la Società Civile e la stampa a sollecitare il Procuratore Generale di Salerno e la il Procuratore Capo di Vallo della Lucania ad impugnare la sentenza di primo grado, affinché siano comminate giuste condanne ai medici e affermata la resposabilità anche degli infermieri quali esecutori di ordini illegittimi come alla Diaz di Genova per i fatti del G8.
Scarica il testo integrale dell’istanza al Procuratore Capo di Vallo della Lucania e al P.G. di Salerno.
PER DIRE NO AGLI ASSASSINI DI FRANCO MASTROGIOVANNI: FATE GIRARE SUL WEB L'APPELLO AL P.G. DI SALERNO
Accesso agli atti: Equitalia condannata per il silenzio-rifiuto
Accesso agli atti: Equitalia condannata per il silenzio-rifiuto
TAR Lazio-Roma, sez. III, sentenza 13.03.2013 n° 2660 (Alessandra Rizzelli, Maurizio Villani)
Con sentenza 6-3 marzo 2013, n. 2660 il Tar Lazio ha accolto il ricorso ex art. 116 c.p.a. proposto da un contribuente avverso il silenzio rifiuto di Equitalia Sud Spa formatosi su un’istanza di accesso agli atti.
Nello specifico, il ricorrente attraverso l’istanza de quo aveva richiesto di poter prendere visione ed estrarre copia di tutta una serie di documenti e, in particolar modo:
• degli atti e dei documenti sottesi ad un’avvenuta iscrizione ipotecaria su di un immobile di sua proprietà;
• degli atti e dei documenti dai quali poter evincere i nomi dei responsabili del o dei procedimenti sottesi a detta iscrizione.
Tale documentazione si rendeva necessaria per il contribuente al fine di poter esercitare il suo diritto di difesa, sia relativamente alla legittimità dell’iscrizione ipotecaria, sia con riferimento ad un processo penale pendente in fase di appello nei confronti del funzionario responsabile della cartella, sia infine per la richiesta di risarcimento del danno ex art. 30 c.p.a. per responsabilità del legittimo esercizio dell’attività amministrativa.
A seguito del silenzio rifiuto e all’impugnazione dello stesso innanzi ai giudici amministrativi, il Tar Lazio correttamente ha accolto il ricorso del contribuente sottolineando in particolare come <>.
I giudici amministrativi, infine, non hanno mancato di rilevare come il diritto di accesso agli atti sia un diritto soggettivo e, pertanto, è compito del giudice, laddove vi sia un interesse concreto, diretto e attuale del ricorrente all’ostensione richiesta, ordinare l’esibizione dei documenti richiesti, sostituendosi all’amministrazione e ordinando un “facere” pubblicistico.
(Altalex,4 aprile 2013. Nota di Alessandra Rizzelli e Maurizio Villani)
Ritardavano processi boss sino in Cassazione, scoperto patto mafia-massoni
Palermo, scoperto patto mafia-massoni. Ritardavano i processi dei boss, 8 arresti, tra cui un gesuita.
Operazione Hiram.
Otto persone tra poliziotti, medici, imprenditori, boss e iscritti a logge massoniche sono stati arrestati dai carabinieri di Trapani e Agrigento in diverse città. L’accusa è di essersi accordati per ottenere di ritardare l’iter giudiziario di alcuni processi in cui erano imputati affiliati a cosche delle due città siciliane. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Palermo.
Gli arrestati, tra i quali figurano un’agente della polizia di Stato, un ginecologo di Palermo, imprenditori di Agrigento e Trapani, un impiegato del ministero della Giustizia in servizio ad una cancelleria della Cassazione e un faccendiere originario di Orvieto, sono tutti accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreti d’ufficio. L’operazione, per la quale sono state anche svolte decine di perquisizioni, è stata denominata “Hiram”, vede impegnati anche i carabinieri, non solo di Agrigento e Trapani, ma anche quelli di Palermo, Roma e Terni.
Dall’inchiesta emerge che boss mafiosi, grazie all’aiuto di persone appartenenti a logge massoniche, avrebbero ottenuto di ritardare l’iter giudiziario di alcuni processi in cui erano imputati affiliati a cosche di Trapani e Agrigento. L’indagine ha preso il via da accertamenti svolti sulle famiglie mafiose di Mazara del Vallo e Castelvetrano, in provincia di Trapani. Oltre alle perquisizioni controlli vengono svolti anche su conti correnti bancari intestati agli indagati.
Avviso di garanzia a un sacerdote
I pm hanno inviato un avviso di garanzia anche a un sacerdote, gesuita, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il religioso vive a Roma. La sua abitazione è stata perquisita. Secondo l’accusa il prete, su indicazione di uno degli indagati, avrebbe predisposto lettere inviate a giudici, al fine di condizionare l’esito di procedimenti penali nei quali erano coinvolti esponenti vicini a Cosa nostra.
Il peso e l’autorevolezza del sacerdote che apponeva la sua firma alle lettere inviate ai magistrati, per l’accusa avrebbero influito sull’esito dei ricorsi giurisdizionali proposti a diverse autorità giudiziarie.
Perquisiti gli uffici della Cassazione
Nell’ambito della stessa operazione sono state effettuate anche perquisizioni in alcuni uffici della Cassazione. Secondo quanto si apprende da indiscrezioni, fra le persone arrestate vi sarebbe anche un impiegato del ministero della Giustizia in servizio proprio in una cancelleria della Cassazione.
Fonte: Tgcom 17/6/2008
Sentenza in 8 anni, tanto ci ha messo il plenum delle toghe ad espellere il proprio affiliato dal C.S.M.
8 anni per depositare sentenza contro alcuni boss mafiosi del clan Madonia
Il Csm: non potrà più fare il magistrato
Dopo ben 8 anni ha finalmente pagato con l’espulsione dalla magistratura Edi Pinatto il giudice che impiegò oltre un lustro e mezzo per scrivere le motivazioni di una sentenza, consentendo così, “guardacaso”, la scarcerazione dei boss mafiosi inquisiti per decorrenza dei termini. E’ questa la condanna inflitta dalla sezione disciplinare del Csm a Edi Pinatto, del tribunale di Gela, che redasse con tempi troppo lunghi il provvedimento di condanna di sette componenti del clan Madonia a complessivi 90 anni di carcere.
Il provvedimento disciplinare è stato sollecitato dal sostituto procuratore generale della Cassazione Eduardo Scardaccione, davanti alla sezione disciplinare del Csm. “Con questi ritardi (uno, in particolare, riguarda il processo Grande Oriente e a causa del mancato deposito della sentenza alcuni boss mafiosi del clan Madonia vennero scarcerati) Pinatto “ha violato l’essenza della funzione giurisdizionale – ha sottolineato il pg – poiche’ si tratta di un ritardo gravissimo, reiterato, abnorme e ingiustificato.
E’ una perdita verticale e non più risarcibile della credibilità del singolo e dell’istituzione nel suo complesso, con un danno ai valori costituzionali, quali la correttezza, la diligenza, la laboriosità e l’equilibrio di un magistrato”. Per il pg, inoltre, quello di Pinatto è “un record mondiale” nel ritardo per il deposito di sentenze. Alla luce di ciò, dunque, secondo il pg, l’ex giudice di Gela deve essere rimosso dall’ordine giudiziario (“lo chiedo con la morte nel cuore – ha detto Scardaccione – ma con serena certezza”), ricordando anche le due precedenti sanzioni della perdita di anzianità inflitte al magistrato in altre occasioni.
Vero è, ha ricordato il pg, che le sentenze in questione sono state poi depositate, “ma solo perché era giunta l’istanza di sospensione avanzata dal Guardasigilli” rigettata dal Tribunale delle toghe nell’aprile scorso proprio in vista del processo nel merito.
Pinatto, da parte sua, ha cercato di giustificarsi sottolineando la mole di lavoro di fronte alla quale si era trovato dopo essere stato trasferito da Gela alla Procura di Milano: “Ho sostenuto un impegno finanziario di trentamila euro e tutte le ferie disponibili per smaltire l’arretrato – ha ricordato davanti alla sezione disciplinare – e la sentenza Grande Oriente è certamente complessa, poiché condensa risultati di indagini di quattro Direzioni distrettuali antimafia, mentre a Gela di solito ci si occupa di criminalità organizzata limitata al circondario”.
La complessità dell’argomento, però, secondo il pg di Cassazione, non giustifica un ritardo così clamoroso, di fronte al quale c’era stato anche un intervento del capo dello Stato Giorgio Napolitano: “Questa sentenza – ha sottolineato il pg – è una sentenza furba, è un volume di 775 pagine in cui non vi sono valutazioni, ma molti copia e incolla, in cui si racconta tutto ciò che hanno fatto le forze investigative, si fa un elenco di pizzini ma senza una sola parola di analisi e nessuna valutazione è fatta sulla posizione degli imputati”.
Per il difensore di Pinatto, il consigliere di Cassazione Mario Fantacchiotti, “non siamo di fronte a un magistrato che invece di lavorare va in montagna, ma che svolge bene il suo lavoro e i ritardi sono dovuti a difficoltà oggettive e a una incapacità soggettiva di organizzazione”.
Stefano Biondo, dopo Francesco Mastrogiovanni, un’altra morte annunciata nei lager psichiatrici italiani
E’ morto così Stefano Biondo, con la faccia a terra, legato come un animale con un cavo elettrico, “per asfissia meccanica violenta – secondo i medici legali – indotta da compressione sulle vie aeree (naso e gola) o, anche, per compressione della gabbia toracica, ad opera di terze persone, nel tentativo di immobilizzarlo…” .
Stefano aveva appena 21 anni, il suo unico “torto” era quello di essere affetto da autismo e classificato come “disabile psichico”.
Rifiutato dalle comunità terapeutiche di Siracusa e Provincia viene ricoverato per quasi tre anni nel locale reparto di psichiatria, per morire barbaramente il 25 gennaio 2011 nella Casa Famiglia denominata con una certa ironia “Oasi della Speranza”, dove si trovava da appena 36 ore, a seguito di un provvedimento di urgenza del Tribunale di Siracusa (Giudice Milone) che intimava entro un mese al Sindaco e ai dirigenti sanitari locali di trovargli una adeguata sistemazione…
E’ la sorella, Rossana La Monica, a segnalarci il caso e a denunciare il tentativo della locale Procura di insabbiare tutto.
Ci scrive che, dopo avere appreso dai telegiornali quello che è accaduto a Franco Mastrogiovannni in un altro lager psichiatrico, ha rivissuto la dolorossima storia della morte del fratello minore avvenuta per la mano assassina di chi avrebbe dovuto curarlo.
Ci chiede di aiutarla a fare in modo di accertare la verità sulla morte del fratello.
La storia si ripete.
La contenzione come principale metodologia terapeutica, l’indaguatezza del personale infermieristico e delle strutture sanitarie, le condizioni di degrado morale in cui vengono tenuti i degenti ai quali viene tra l’altro imposto di rimanere vestiti tutto il giorno con il pigiama, senza che sussistano necessità di sorta, condizionandoli a ritenere di essere malati cronici.
Rossana affida il suo sfogo anche al web, chiedendo aiuto alla comunità virtuale per avviare una battaglia di verità che porti all’accertamento delle responsabilità penali non solo dell’infermiere che aveva l’affidamento del fratello ma anche dei vertici dell’Azienda Sanitaria Provinciale che hanno colposamente permesso e determinato con comportamenti omissivi e negligenti, contrari alle loro funzioni, un calvario di quasi tre anni, conclusosi nel più tragico dei modi.
L’autismo è una malattia che colpisce un numero sempre maggiore di famiglie soprattutto al sud.
Di questa forma di disabilità si conosce ancora troppo poco e le famiglie che vivono questo dramma conducono una vita difficile, spesso abbandonati al loro destino senza alcun sostegno da parte delle istituzioni sanitarie.
Lo scorso 31 ottobre Stefano Biondo avrebbe compiuto 23 anni.
In occasione del suo compleanno si è tenuta a Siracusa l’inaugurazione della sede di “Astrea”, un’associazione socio-culturale nata per volontà dei suoi familiari, con lo scopo di favorire programmi a tutela dei minori e dei disabili.
Il triste epilogo della breve vita di questo giovane con il cuore e l’anima da bambino non deve rimanere impunito. E’ compito delle Autorità di far luce sulle responsabilità della sua barbara uccisione da parte del personale infermieristico, affinchè casi del genere non si ripetano mai più, ponendo fine alla pratica della contenzione.
“La nostra iniziativa – dice Rossana La Monica – vuole sensibilizzare il territorio alla difesa dei più deboli. Stiamo intraprendendo numerose collaborazioni con altre associazioni. Ci proponiamo di organizzare servizi di assistenza a portatori di handicap, ai minori in difficoltà, alle donne sole e molestate, vogliamo essere un punto di riferimento per chi vive ai margini della società”.
Il nome scelto per il progetto non è casuale. “Astrea – continua Rossana – è una figura della mitologia greca che simboleggia la giustizia. La stessa che chiedo a gran voce per Stefano, morto in un luogo dove avrebbe invece dovuto essere curato e tutelato”.
Secondo il Dott. Francesco Coco, Consulente del P.M., il decesso di Stefano è stato provocato da “asfissia meccanica da soffocazione causata o dalla chiusura diretta di naso e bocca o dalla compressione di gabbia toracica”..
Conclusioni che confermano l’ipotesi accusatoria della sorella e di alcuni testimoni che il decesso di Stefano sia stato cagionato da atti dolosi posti in essere dall’infermiere che lo ha barbaramente “incaprettato” a terra, legandolo con del cavo elettrico, impedendogli di muoversi e respirare, fino all’asfissia fatale.
E’ vergognoso che ciò nonostante il P.M. abbia chiesto l’archiviazione.
Solo la ferma opposizione della famiglia di Stefano alla richiesta di archiviazione ha per ora impedito l’insabbiamento del caso, nell’ambito del quale l’infermiere ritenuto responsabile è indagato per omicidio colposo.
Sono figli di un dio minore, osserva amareggiato un genitore di un altro ragazzo autistico che non intende rassegnarsi.
La vicenda di Stefano ne è una triste testimonianza con i continui rimpalli alla ricerca di una sistemazione sempre negata.
“Ma adesso – commenta amaramente la sorella – un posto dove non darà fastidio glielo hanno trovato: una bara”.
Lì non darà più fastidio a nessuno nel frenetico mondo moderno, completamente disumanizzato e asservito agli interessi della politica e del mercato, dove la sanità è solo un business nelle mani delle mafie e delle multinazionali farmaceutiche.
I malati sono solo cavie, numeri, posti letto, o carne da macello, perdendo la loro dignità e dimensione di esseri umani.
Nessuno trova il tempo per soffermarsi a riflettere sulla condizione dei portatori di disturbi autistici e le cause da cui originano.
Gli scienziati non hanno finora individuato le origini della malattia, conclude la sorella di Stefano, ma molti esperti concordano sull’influenza dei fattori ambientali sullo sviluppo cerebrale dei bambini durante la gravidanza o nei primi mesi di vita.
La signora Rossana La Monica ha scritto anche al Ministero della Giustizia che ha trasmesso l’esposto alla competente autorità giudiziaria, ribadendo laconicamente di non avere “alcuna facoltà di interferire né sulle decisioni già rese dall’autorità giudiziaria, né sui procedimenti in corso dinanzi ad essa.”
Noi sappiamo che non è così e continueremo a seguire il caso e siamo pronti a costituirci parte civile.
Pietro Palau Giovannetti
(presidente Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood)
ILVA: CONTINUA LA STRAGE DEI LAVORATORI
Pubblichiamo il comunicato stampa dell’Associazione Legami d’Acciaio (ex lavoratori ThyssenKrupp e Famigliari delle vittime), dando la nostra piena solidarietà ai lavoratori dell’Ilva di Taranto e alla Famiglia Masella, per la tragedia che l’ha colpita, privandola dell’affetto di Claudio, ennesima vittima sacrificale per morte sul lavoro in nome del profitto dei padroni e padrini politici dell’Ilva.
La nostra fraterna solidarietà e il nostro cordoglio oltre alla Famiglia, ai cari e agli amici di Claudio, va innanzitutto agli operai dell’Ilva, in particolare a tutti quelli che si battono per la salute e la sicurezza sul proprio posto di lavoro, nelle linee e nei repartiin cui ogni giorno entrano a testa alta per lavorare con la propria dignità e purtroppo devono fare i conti con uno scenario da guerra a causa delle pessime condizioni del luogo di lavoro e degli impianti: volutamente lasciati nell’incuria da parte dell’Azienda, che con pressioni e vessazioni sugli operai chiede di lavorare in condizioni fuori dalla legalità, sia per quanto riguarda le normative sulla sicurezza e la salute, sia per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro e dei turni fino alla negazioni più palesi, in spregio totale della legalità e della Costituzione Italiana, in nome dell’unico valore che conta per lorsignori: il profitto.
In nome del profitto e per conto di padron Riva si continua a morire all’Ilva di Taranto così come in tutte le fabbriche, le aziende e i cantieri del Bel Paese, in ogni settore produttivo, dall’industria all’edilizia, in agricoltura, senza che si ponga un freno a questa continua strage di lavoratrici e lavoratori, che fa più di 1000 morti l’anno (i dati Inail sono in parte inesatti, non tenendo conto dei morti in itinere e delle categorie che lavorano nei trasporti e sulle strade, senza dimenticare il lavoro nero…) di quella che oramai si può definire senza retorica e senza timori di essere smentiti, una vera e propria guerra sferrata dal padronatocontro i lavoratori.
L‘Ilva di Taranto è un vero e proprio campo di battaglia, più che una normale fabbrica: detiene il triste record italiano ed europeo di morti sul lavoro e di inquinamento ambientale, con oltre 50 morti dal 1993 ad oggi (i dati che circolano in questi giorni sono in parte falsi: com’è noto alcuni incidenti e morti relativi soprattutto a ditte appaltatrici vengono opportunamente occultati) con i vari governi nazionali e locali che poco o nulla hanno fatto per fermare la continua strage di lavoratori ed eliminarele emissioni e l’inquinamento provocato dagli impianti.
Non è necessario essere Lavoratori dell’Ilva di Taranto, o essere dei tecnici, per conoscere e discutere di ciò. Noi ex operai della ThyssenKrupp, sappiamo bene cosa vuol dire lavorare in condizioni precarie e di insicurezza: quella maledetta notte del 6 dicembre del 2007 ci ha portato via a noi nostri sette compagni Antonio, Angelo, Bruno, Roberto, Rocco, Rosario e Giuseppe. Lo abbiamo inciso sulla nostra pelle e nelle nostre coscienze!
La nostra solidarietà e vicinanza nella lotta per la salute e la sicurezza nell’Ilva e nella Città di Taranto va anche a quei i lavoratori e a quei cittadini che si battono senza se e senza ma per la difesa della salute dentro e fuori la fabbrica, per un futuro lavorativo e di progresso per Taranto che salvaguardi insieme salute e posti di lavoro, anche se si dovesse riconvertire l’attività produttiva.Condizioni e soluzioni precise, molto chiare e semplici, che sino ad oggi non sono state mai né proposte né tanto meno messe in campo dalle Istituzioni, anche quando governi regionali e nazionali di segno progressista potevano e dovevano fare per intervenire nel merito delle questioni gravi poste dal sito di Taranto.
Non dovrebbe essere il Primo Cittadino il garante primo ed ultimo della salute dei Cittadini? Come mai in tutti questi anni (dal 1993, inizio della gestione Riva) i vari Sindaci che si sono succeduti non hanno mai posto il problema, emettendo un’ordinanza che bloccasse le produzioni, affinché si mettessero in sicurezza gli impianti e si iniziasse a produrre in modo meno inquinante?
Il problema di base è che sono tanti i responsabili di questa situazione, ma uno in modo particolare: padron Riva, che da quando ha acquisito l’Ilva dallo Stato ha accumulato ingenti profitti senza reinvestire neanche una parte dei profitti in innovazione tecnologica e miglioramento della sicurezza interna e per la bonifica del territorio. Riva è responsabile di questa situazione, che si è drammaticamente posta negli ultimi mesi alla ribalta nazionale (ovviamente oltre che a Taranto, noi ed altri in Italia, inascoltati denunciavamo già da tempo questa terribile situazione…) quindiRiva deve mettere mano al portafoglio e fare i necessari interventi urgenti per frenare la situazione e programmare con un piano di interventi per il futuro, il risanamento e la bonifica del sito contestualmente alle produzioni, pur alternando limitazioni temporanee a queste ultime. Tutto ciò non può e non deve essere a costo zero per Riva ma con precisi impegni, senza agevolazioni (come è avvenuto nella svendita di vent’anni fa), come si vorrebbe far pagare anche oggi allo Stato (utili ai padroni e oneri alla collettività) gli errori ed i crimini commessi dalla famiglia Riva.
Noi diffidiamo dalla propaganda distorta e fuorviante fatta da pseudo rappresentanti del mondo ambientalista che non hanno niente di meglio da proporre che chiudere subito lo stabilimento (così da creare una nuova cattedrale nel deserto come successo a Bagnoli e in tanti altri luoghi), dai vari rappresentanti politici di partiti o lobby di potere, dai rappresentanti di Istituzioni ed Enti preposti alla salute e ai diritti di lavoratori e cittadini e dai sindacati gialli (FIM-Cisl e UIL-Uilm in particolare, che si è scoperto essere a libro paga dei Riva): personaggi di varia natura che non hanno a cuore il destino dei lavoratori e dei cittadini di Taranto, che hanno fatto e faranno solo gli interessi di padron Riva e dei suoi accoliti. Non bisogna chiudere ma trovare soluzioni (possibili) per riconvertire lo stabilimento a produzioni che siano utili, sostenibili per l’ambiente e compatibili con la dignità dei lavoratori. Ciò è possibile ma soprattutto è necessario! Perché le soluzioni sbrigative e liquidatorie o alla meno peggio aprono la strada al peggio…
Solo attraverso la salvaguardia dei posti di lavoro (utili e dignitosi), come unica soluzione per uscire dalla crisi, si può intraprendere una strada (difficile ma percorribile) di risanamento dell’Ilva e del territorio di Taranto.
Torino, 31 Ottobre 2012 Ass. Legami d’Acciaio Onlus
MASTROGIOVANNI. Una sentenza pionieristica da una parte e di compromesso all'italiana dall'altra che rende giustizia solo a metà
SENTENZA MASTROGIOVANNI. Una sentenza pionieristica da una parte e di compromesso all’italiana dall’altra, che rende giustizia solo a metà. Se infatti la sentenza si pone come una pietra miliare capace di abbattere il muro di omertà in materia di responsabilità medica e di misure di contenzione, purtuttavia non è stata in grado di far piena luce sulle pratiche medievalistiche in essere presso il lager psichiatrico di Vallo della Lucania che coinvolgevano tutto il personale sanitario, invece incomprensibilmente assolto.
Il Giudice nella pregiudievole situazione ambientale del Tribunale di Vallo della Lucania ha mostrato comunque notevole coraggio nel prendere le opportune distanze dal P.M. Martuscelli che aveva cercato di demolire l’impianto accusatorio originario, svolgendo le difese dei medici, sebbene la sentenza abbia poi inflitto pene molto lievi che corrispondano più o meno a quelle richieste dallo stesso P.M., il quale aveva modificato i capi d’accusa configurando il solo reato di omicidio colposo, facendo decadere l’accusa di sequestro di persona, chiedendo peraltro la condanna anche degli inferimieri… Avvocati senza Frontiere, pur dando atto trattarsi di una importante sentenza che, oltre a riconoscere il ruolo delle Associazioni no profit, quali parti civili, lascerà un segno, aprendo la strada ad una regolamentazione dei metodi di contenzione nei reparti di psichiatria e dei trattamenti sanitari obbligatori, preannuncia che proporrà appello, richiedendo al Procuratore Generale che faccia altrettanto affinché sia affermata la resposabilità anche degli infermieri quali esecutori di ordini illegittimi come alla Diaz di Genova per i fatti del G8.
La lettura integrale del dispositivo:
http://www.ondanews.it/vallo-della-lucania-processo-mastrogiovanni-condannati-i-medici-e-assolti-gli-infermieri_3053835.html
PROCESSO D'APPELLO PER ANDREA DESSENA IL GIOVANE PASTORE SARDO 22ENNE CONDANNATO ALL'ERGASTOLO SENZA PROVE
COMUNICATO STAMPA IN MERITO AL PROCESSO DI APPELLO A CARICO DI ANDREA DESSENA. UDIENZA 26.10.2012 AVANTI ALLA CORTE D’ASSISE D’APPELLO DI SASSARI
Venerdì 26 ottobre si aprirà presso la Corte d’Assise d’Appello di Sassari il processo d’appello a carico di Andrea Dessena accusato di duplice omicidio ed attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Macomer in Sardegna, in regime di isolamento.
Il giovane pastore, a seguito di un processo di primo grado, a dir poco anomalo, in cui sono state violate tutte le regole del giusto processo e in più in generale le più elementari norme di giustizia, era stato condannato avanti alla Corte d’Assise di Nuoro alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per anni tre anni.
L’imputato la cui difesa viene patrocinata dall’Associazione Avvocati senza Frontiere in considerazione della rilevanza sociale e della anomalia del caso, derivante da palese fumus persecutionis, si ribadisce, veniva condannato sulla base di un’accusa del tutto indimostrata, basata sulle dichiarazioni o meglio sulle presunte dichiarazioni di accusa di un confidente di polizia, le cui dichiarazioni non sono mai state verbalizzate, né è mai stato sentito in contraddittorio in un’aula di tribunale.
Processo, quello di primo grado, che per le modalità sommarie con le quali si è svolto, più che un processo della Repubblica democratica italiana porta alla mente i processi veneziani dell’Inquisizione, quando era sufficiente introdurre delle lettere accusatorie anonime introdotte nelle c.d. “bocche del leone”, cioè piccole fessure nei muri con la testa del leone alato in cui era possibile introdurre scritti accusatori. La malcapitata vittima di queste anomine denunce spesso non disinteressate e promananti da interessi opposti, si trovava davanti all’inquisizione e condannato al rogo, come Giordano Bruno e altre migliaia di vittime, a seguito di processi farsa celebrati in oltre 500 anni di torture, confessioni estorte, roghi e stragi di innocenti.
Per l’affermazione dei principi di legalità e giustizia la difesa di Andrea Dessena ha rivolto alla Corte d’Assise d’Appello una serie di richieste istruttorie di riapertura del processo, in particolare l’esame testimoniale del “confidente” che accuserebbe l’imputato, la trascrizione di un “cd” consegnato da un testimone che in aula ha denunciato di essere stato oggetto di minacce e pressioni da parte delle forze dell’ordine (cd che è stato acquisito agli atti ma che non è mai stato oggetto di doverosa trascrizione), perizia dei tabulati telefonici che scagionano completamente l’imputato in quanto quest’ultimo si trovava a 10 km di distanza dal luogo del delitto nonché alcuni confronti fra diversi testimoni che hanno rese dichiarazioni contrastanti sui fatti.
Venerdì prossimo pertanto la Corte d’Assise d’Appello di Sassari si pronuncerà preliminarmente sulle richieste di rinnovazione istruttoria decidendo di riaprire il dibattimento: in quest’ultimo caso fisserà un calendario di udienze per lo svolgimento del processo, riservandosi di adire la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo.
Il difensore conclude infatti l’atto di appello, affermando che la sentenza di condanna di Andrea Dessena al massimo della pena, è, si ribadisce, ingiusta in quanto sono stati violati i principi giuridici fondamento del nostro Stato di diritto, cioè i principi del “giusto processo” affermati dalla Carta Costituzionale e dai principi dettati in sede di Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
“Questa sentenza – prosegue il difensore – è tanto ingiusta quanto gravosa, dettata da un evidente pregiudizio nei confronti dell’imputato, ritenuto soggetto socialmente pericoloso ed irrecuperabile. Questa difesa si augura ma al tempo stesso ne è intimamente convinto che il Giudice superiore sappia giudicare i fatti con obiettività e soprattutto con serenità, serenità che è mancata totalmente a Nuoro ed è sufficiente leggere i verbali d’udienza”.
Per maggiori informazioni sul processo e conoscere i motivi di appello:
http://lanuovasardegna.gelocal.it/nuoro/cronaca/2012/04/12/news/il-nuovo-legale-di-dessena-e-una-condanna-ingiusta-1.3926026
http://lanuovasardegna.gelocal.it/nuoro/cronaca/2012/04/10/news/in-difesa-di-dessena-gli-avvocati-senza-frontiere-1.3796135
http://blog.libero.it/ValledelCedrino/11225174.html
Scarica il testo integrale dell’Atto di Appello:
Appello Dessena Andrea
A cura della Segreteria di Avvocati senza Frontiere
