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CONCORSI TRUCCATI: TRA INSABBIAMENTI E ARCHIVIAZIONI LA CREDIBILITA’ DELLA MAGISTRATURA ITALIANA SCENDE SEMPRE PIU’ IN BASSO.

In seguito alle molte richieste e al grande interesse suscitato nei nostri lettori, dalla pubblicazione degli articoli “i veli sui concorsi truccati dei magistrati” www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=140 e sul livello di credibilità sempre più basso della magistratura italiana www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=95  , vogliamo presentare un breve excursus dal 1992 ad oggi dei casi più salienti, per vedere cosa è stato fatto e se realmente qualcosa è cambiato.
Con il primo articolo del 2007 apparso sul tema un nostro anziano avvocato si domandava di quale credibilità potesse ancora godere la magistratura italiana se gli stessi concorsi per entrare a farne parte continuavano ad apparire poco trasparenti, come denunciato nei decenni precedenti da molteplici candidati, senza che si sia mai fatta piena luce sui diversi episodi di brogli e corruzione emersi in ogni parte d’Italia.
Correva l’anno 1992, quando trapelò per la prima volta che anche i concorsi per magistrati venivano truccati col beneplacito del Ministero di Giustizia e degli apparati di vigilanza: “Verbali sottoscritti da gente che non c’era, fascicoli spariti, elaborati giudicati “idonei” quando non lo erano affatto“. Passarono poi ben 13 lunghi anni prima di venire a sapere tramite un articolo di denuncia del Corriere della Sera, pubblicato nel 2005, che i gravi fatti del 1992 non avevano ancora trovato alcuna soluzione nelle aule di giustizia amministrativa italiana né tantomeno sanzione penale.
Nel 2005, nonostante l’autorevole denuncia di Silvio Pieri, ex Procuratore Generale del Piemonte, e le diverse interrogazioni parlamentari sul tema, la scandalosa vicenda del concorso truccato del 1992, risultava finita nel porto delle nebbie, così come ogni altra successiva denuncia del genere. Vale la pena qui ricordare il suggestivo episodio della fotocopiatrice integerrima che smascherò il broglio di una componente della commissione esaminatrice della sessione del marzo 2002 e al contempo magistrato di Cassazione con funzioni di sostituto P.G. presso la Corte d’ Appello di Napoli, la quale cercò di favorire la figlia di un ex componente del Csm, della corrente di Unicost, sostituendo clandestinamente durante la notte la prova giudicata negativa della sua protetta, ma venendo tradita dall’eccesso di zelo dell’incorruttibile copiatrice, utilizzata nottetempo dall’alto magistrato, che ripartendo al mattino misticamente vomitava fiumi di copie delle pagine contraffatte dalla giudice Dr.ssa Clotilde Renna.
Negli anni successivi, neppure l’agguerrito Ministro Alfano, al pari del Guardasigilli di centro-sinistra Mastella, provava a scalfire l’impenetrabile muro di gomma eretto dalla casta e dalle massomafie che la proteggono, sui criteri e le procedure che governano l’accesso alla magistratura. L’argomento, evidentemente troppo scottante anche per i falsi neoliberisti e i rampanti filoberlusconiani che sulla corruzione giudiziaria hanno prosperato, costruendo la loro fortuna economica e politica, continua così ad essere un tabù di cui nessuno si occupa.
Correva l’anno 2008, quando scoppia il nuovo caso della Fiera di Milano-Rho, in occasione dell’ennesimo Concorso Nazionale per Uditore Giudiziario truccato. Tra i 5600 aspiranti magistrati per soli 500 posti si scopre che c’è chi si può permettere di introdurre impunemente telefonini, appunti, codici “irregolari“, rispetto alle norme dettate dal concorso e addirittura libri di testo, tanto da scatenare un vero e proprio putiferio. Mentre decine di candidati urlavano in piedi “vergogna!“, un altro gruppo esprimeva il proprio sdegno chiedendo di annullare la prova.
Ma “more solito” tutto vien presto messo a tacere e il livello di preparazione e di moralità dei giudici italiani e la conseguente disponibilità a “non lasciarsi ammorbidire dal potere“, restano quelli che tutti abbiamo avanti agli occhi ogni giorno nelle aule d’udienza: aperto favoreggiamento dei più forti, nepotismo, corporativismo, prepotenza e arroganza mischiate spesso ad aperta ignoranza ed assenza di rispetto nei confronti di avvocati e soggetti più deboli. (C’è persino chi scrive durante la prova riscuotere con la “q”, chi confonde la Corte dell’Aja con la «Corte dell’Aiax», o un maturo Presidente di sezione di Corte d’Appello civile a Milano che alle soglie della pensione non conosceva neppure la differenza tra un reclamo in corso di causa ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. proposto al collegio da uno ex art. 669 septies c.p.c. proposto allo stesso giudice di merito).
La casta corrotta al pari della classe politica si protegge per autoriprodursi.
Ma la cosa che più fa scalpore nel caso del concorso di Rho è il fatto che, messi a parte i dissidi tra il Guardasigilli Alfano e il C.S.M., è lo stesso organo di autogoverno della magistratura a richiedere con voto a maggioranza la frettolosa archiviazione del caso. Tutto normale anche per il Ministero di Giustizia, nonostante le molteplici denunce inquietanti di tanti candidati che segnalavano con dovizia di particolari come durante la prova milanese fossero saltate tutte le regole del gioco e che rampolli figli di noti magistrati avessero potuto fruire del tutto indisturbati di materiale vietato.
Circostanza veramente anomala tenuto conto che il concorso per magistrati è ritenuto l’esame più controllato nel nostro Paese. I testi a disposizione dei candidati prima di venire ammessi e introdotti in aula vengono preventivamente verificati e timbrati da un’apposita commissione esaminatrice. Un cancelliere di Tribunale controlla siano realmente dei codici, che non vi siano nascosti appunti o fogli volanti e che siano conformi al bando. I nuovi brogli di Milano-Rho non potevano quindi venire liquidati, ancora una volta, laconicamente e senza alcuna indagine, per coprire le solite spinte corporative e gli oscuri interessi di chi controlla e manipola nell’ombra l’accesso in magistratura, prediligendo le logore logiche di nepotismo e di clientelismo, da cui si alimentano solo le massomafie, il malaffare e non di certo la legalità.
Le molteplici proteste dei candidati della prova svoltasi alla Fiera di Milano-Rho per cui dovette persino intervenire la Polizia Penitenziaria per proteggere la commissione esaminatrice cieca, sorda e complice, non sono quindi ancora una volta servite a nulla.
La complicità della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano.
Una cinquantina di candidati si recò in Procura a Milano per denunciare la gravità dei fatti di cui erano stati diretti testimoni, percependo che la Commissione intendesse mettere tutto a tacere per favorire i soliti raccomandati. Ma il procedimento, come di rito, viene frettolosamente archiviato, nonostante la quantità delle denunzie e la convergenza delle testimonianze, tutte acclaranti gravi irregolarità. Ciò, peraltro, senza disporre alcuna accurata necessaria indagine, seppure l’indignazione avesse inondato i siti web, estendendosi agli stessi consiglieri togati del Movimento per la giustizia e Magistratura Democratica che chiedevano un’inchiesta del Csm sulle innumerevoli irregolarità denunciate dai candidati.
Dai media si apprende della richiesta di apertura di un fascicolo da parte della 9° Commissione di Palazzo dei Marescialli con l’obiettivo di “avere cognizione oggettiva dello svolgimento delle prove concorsuali e assumere le opportune iniziative in difesa del prestigio e credibilità della magistratura la cui prima garanzia è riposta nell’assoluta affidabilità della procedura di selezione“. Ma, come denunciato, il 19 dicembre il C.S.M. definiva con una frettolosa archiviazione, eludendo ogni accertamento sullo svolgimento delle prove scritte del concorso indetto con D.M. 27/2/2008, svoltesi a Milano nei giorni 19/21 novembre 2008. La pratica era stata aperta da “I Giovani Magistrati”, all’indomani delle inquietanti notizie fornite da stampa e televisione, in ordine alle modalità di espletamento del concorso.
Dal sito www.movimentoperlagiustizia.it si apprende che nel corso della discussione plenaria, i consiglieri del Movimento per la giustizia chiesero invano il ritorno della pratica in Commissione per l’espletamento di ulteriore attività istruttoria, già inutilmente da loro richiesta anche in sede di Commissione, non condividendo la circostanza che la Commissione avesse voluto frettolosamente portare all’attenzione del plenum del C.S.M. una delibera monca, articolata sulla base di un’attività istruttoria carente, costituita essenzialmente dall’acquisizione delle sole relazioni del presidente della commissione di concorso (17, 20, 22 nov. e 1.12.08) e del direttore generale direzione magistrati del Ministero (25.11 e 9.12), nonché dalle audizioni dei commissari di concorso e di altri funzionari del Ministero di giustizia e della Procura Generale di Milano. “Nessun cenno nella delibera in esame del contenuto delle 19 missive, pervenute alla 9° Commissione anche via e-mail, delle quali più della metà regolarmente sottoscritte da candidati che segnalavano disfunzioni gravi o meno gravi riguardanti soprattutto il ritardo verificatosi il 19 novembre nella dettatura della traccia di diritto amministrativo e la presenza in loco di testi non consentiti”. Per saperne di più, in relazione alla dinamica degli eventi, i tre consiglieri dissidenti aggiungono di avere inutilmente richiesto l’audizione di alcuni dei candidati firmatari degli esposti.
Nessun cenno nella delibera del C.S.M. del contenuto della risposta del Ministro della Giustizia all’interrogazione parlamentare che, peraltro, si era sviluppata nel senso di una presa di distanza dall’operato della commissione di concorso.
Il sito dei giovani magistrati del Movimento per la giustizia denuncia poi di avere sostenuto con forza che non vi fosse alcuna urgenza di definire, in tempi così brevi, una pratica dai risvolti talmente delicati, con una delibera che, agli occhi dell’opinione pubblica, avrebbe corso il rischio di essere additata (n.d.r.: come in effetti, poi, accaduto) “come una risposta corporativa e sostanzialmente “a tutela” dell’operato della commissione di concorso“. Per di più, in una situazione in cui era in corso di indagini preliminari il procedimento aperto presso la Procura di Milano (iscritto a mod. 45), a seguito delle citate denunce pervenute dai candidati.
Del resto, diversi sono gli aspetti inquietanti mai chiariti dal C.S.M. e dalla Procura di Milano, le cui archiviazioni hanno proceduto di pari passo per mettere tutto a tacere. Secondo quanto affermato nella relazione del Presidente Fumo sarebbero stati “schermati” i settori riservati ai candidati onde evitare comunicazioni telefoniche. Questo assunto, come si legge nel sito dei giovani magistrati, è stato smentito dal Direttore generale del Ministero, dott. Di Amato, che ha ammesso la mancanza di schermatura elettronica nei padiglioni ove si svolgeva il concorso, riscontrata peraltro dal sequestro di apparecchi telefonici che risultavano funzionanti all’interno dei locali. È appena il caso di rilevare che, come si legge nella relazione ministeriale, la “possibilità di una schermatura elettronica non ipotizzabile per la sede di Roma” era stata una delle ragioni che avevano condotto l’autorità competente alla scelta di Milano quale sede esclusiva di concorso.
Quanto all’identificazione di circa 5.600 candidati con tesserini privi di fotografia e alla carenza di controlli anche dei testi e dei codici all’ingresso delle sale di esame (almeno 28.000 volumi), inutilmente proseguono i giovani magistrati di avere fatto richiesta di acquisizione di notizie più in dettaglio sui controllori (250 persone per ogni turno dislocate su 26 postazioni). Del pari, inutilmente hanno fatto richiesta di notizie sui 23 funzionari di segreteria e sui 750 addetti alla vigilanza durante le prove, che avrebbero potuto portare ad accertare le ragioni della discrasia tra l’enorme numero di addetti al controllo e gli insufficienti effetti del controllo medesimo. Accertamenti che avrebbero dovuto quindi trovare ingresso quantomeno in sede penale, onde poter escludere che l’indifferenza della commissione alle clamorose proteste dei candidati abbia inteso favorire i soliti raccomandati e che la prova invero “non fosse solo la solita farsa“.
Quanto allo svolgimento delle prove non ha poi convinto la scelta di non sorteggiare le materie nei diversi giorni di esame. “È vero che non vi era obbligo di legge in tal senso, ma è pur vero che ragioni di oppurtunità e trasparenza avrebbero dovuto indurre la commissione di concorso a procedere al sorteggio, così come le stesse ragioni inducono da anni il CSM a sorteggiare l’individuazione dei commissari di concorso”. Ma soprattutto, ciò che non ha convinto i giovani magistrati è stato l’indisturbato allontanamento del commissario, prof. Fabio Santangeli (poi dimessosi il 25.11), il giorno 19, che è stato la principale causa dell’abnorme ritardo nella dettatura della traccia di “diritto amministrativo”, avvenuta alle h.14. Parimenti, non hanno per niente convinto in particolare le giustificazioni fornite sul punto dal Presidente della Commissione, secondo il quale non sarebbe stato in alcun modo possibile trattenere nella sala il professore, senza chiarire la ragione perché non fosse stata approfondita sin dal primo momento la disponibilità di tempo del professore, evitando che partecipasse all’elaborazione dei testi. Cosa che poi provocava la ripetizione dell’operazione di individuazione /elaborazione delle tre tracce da sorteggiare, con l’ulteriore conseguenza della dettatura di una traccia ambigua, che ha causato ulteriori problemi di ordine pubblico, a causa delle diverse letture possibili.
L’esistenza di queste accertate disfunzioni ed il mancato chiarimento di aspetti essenziali ai fini di un regolare e sereno svolgimento delle prove di esame avrebbero consigliato, secondo gli esponenti del Movimento per la giustizia, maggiore cautela nell’adozione di una delibera di archiviazione da parte del CSM. In definitiva, non si è compreso che solo una adeguata istruttoria avrebbe dissipato tutti i dubbi e reso trasparente l’operato della Commissione.
Il nostro voto contrario, conclude il sito dei magistrati dissidenti, è determinato esclusivamente dall’esigenza di accertamento della verità. Esso non significa e non può significare “condanna”, ma rappresenta una decisa presa di distanza da una logica di “tutela” preventiva ed incondizionata in favore di tutti i protagonisti istituzionali della vicenda, troppo frettolosamente ritenuti attendibili, pur in difetto di quel “contraddittorio” con le voci dissonanti dei candidati, come da noi richiesto e ribadito. “Il voto contrario non significa quindi che si ritiene sussistere i presupposti per l’annullamento del concorso in via di autotutela, ma testimonia il nostro disaccordo su una risposta istituzionale del tipo “tout va très bien madame la marquise!“.
Ne deriva che “Madama la Marchesa” dovrebbe trovare del tutto preoccupante e scandaloso che anche l’ennesima indagine sui concorsi truccati in magistratura condotta dalla Procura di Milano sia stata frettolosamente archiviata in breve tempo, trascurando i molteplici riscontri probatori, che avrebbero dovuto indurre il P.M. a svolgere più accurate indagini, il quale senza neppure ascoltare le persone informate sui fatti e i candidati parti lese, prendeva invece per “oro colato” la relazione presidenziale e le sole fonti istituzionali.
E’ quindi lecito dubitare che gli inquirenti al pari dei politici e dei membri del C.S.M. abbiano agito seguendo quel profondo senso di giustizia che dovrebbe animare coloro a cui è affidata la sorte della legalità.
Cosa si può fare? La parola ai candidati, ai magistrati e ai cittadini onesti.
Basterebbero 4 semplici telecamere ben piazzate, e tutto filerebbe in piena trasparenza. Finalmente si premierebbe e tutelerebbe l’impegno di chi ha studiato seriamente: questo dovrebbe stabilirsi per legge in TUTTI i concorsi pubblici. E perché non si fa? Non c’è rispetto per i nostri figli, così si facilita l’accaparramento dei posti di responsabilità in mano agli ignoranti. Dappertutto. E’ veramente grave, questo. E’ veramente grave non reagire, non ribellarsi. (Difficile dargli torto e non riconoscere il valore deterrente e dissuasivo dell’idea).
Così si vuole un paese di baroni ignoranti“. Da Angelo (Un vero angelo di verità!).
A cosa serve questo concorso in magistratura?
A seguito degli scandalosi eventi di Rho, colgo l’occasione per esprimere ciò che ho sempre pensato in merito al concorso in magistratura. In Italia la crisi, e oserei dire la paralisi, del sistema giudiziario è dovuto principalmente alla carenza di personale giudicante, inquirente e amministrativo. Questa situazione non la si vuole affrontare politicamente, perché fa comodo alla classe dominante avere una magistratura che non funziona. Ebbene la struttura del nostro concorso in magistratura consente davvero che si sfornino magistrati quantitativamente e qualitativamente capaci di amministrare bene e velocemente la giustizia? Assolutamente no!!
E spiego il perché. Un concorso siffatto richiede una preparazione teorica estremamente elaborata e onnicomprensiva per conseguire la quale si impiegano un elevato numero di anni, in molti casi a due cifre. Se si ha poi la fortuna di passare il concorso grazie solo alla preparazione (e i fatti di Rho dimostrano che solo questa non è affatto sufficiente, o forse non è addirittura necessaria) i neo uditori saranno dei brillantissimi teorici, bravi conoscitori delle più svariate dottrine in materia giuridica, ma emeriti incompetenti da un punto di vista pratico e incapaci di amministrare la giustizia con rapidità ed efficienza, così come sarebbe ora che accadesse in un Stato normale.
E soprattutto si può essere bravi tuttologhi? Perché la magistratura non viene stratificata in competenze per materia? Magistrati che fanno solo civile, altri penale, lavoro, commerciale, fallimentare e così via. Si avrebbero così più magistrati più preparati. Dovrebbero esistere diversi concorsi in magistratura a seconda delle materie e il settore in cui specializzarsi dovrebbe essere individuato già dagli anni universitari. Solo così si potrebbero sfornare tanti magistrati, veramente seri, esperti in determinate materie e quindi capaci e professionali. E’ un’ottimizzazione di tempi e risorse. Ma quando a delle conclusioni così semplici non si vuole arrivare, è chiaro che non c’è la volontà di risolvere i problemi e non certo il modo.
Teniamoci le caste, il prestigio e il potere dei pochi, facciamo apparire come condotta deplorevole e facinorosa quella di chi denuncia i misfatti e gli scandali e non quella di chi li compie, proprio come ha fatto la commissione a Rho che anziché denunciare la gravità dei fatti scoperti dai candidati, ha minacciato questi ultimi di procedere a identificazione e a denuncia per turbativa del concorso. Viva l’Italia che se la prende con la parte lesa anziché evitare che si consumino quotidianamente lesioni dei diritti fondamentali dell’individuo. E viva l’Italia dei paradossi: giustizia inefficiente per carenza di magistrati e milioni di laureati in giurisprudenza disoccupati. Neo magistrati mostri di preparazione teorica (nel migliore dei casi) e completamente incapaci di tenere un’udienza o di scrivere una mera ordinanza di rinvio.
Da Graziella (Quali sacrosante parole! Sei una vera Robin Hood!).

Ho paura che tutti i concorsi in magistratura fatti in precedenza siano stati truccati e che solo adesso sia scoppiato lo scandalo. Basta svolgere la professione di avvocato per rendersi conto quanto siano impreparati i giovani magistrati. Anch’io al concorso ho visto i miei colleghi copiare le tracce dagli appunti fatti a fisarmonica ma per solidarietà fraterna, non ho voluto fare la spia, ma adesso che è scoppiato lo scandalo ho il dovere morale di dirlo.
Come si è potuto verificare tutto questo? Alcuni dicono che tutto ciò si è verificato a causa della negligenza dei controllori, altri dicono che la commissione voleva favorire soltanto i raccomandati. Una verità è certa, ed è che la magistratura è una casta chiusa, riservata soltanto a pochi eletti, cioè a coloro i quali hanno la fortuna di avere gli angeli in paradiso: non si spiegherebbe altrimenti il limite assurdo delle tre volte in cui si può tentare il concorso.
Mi auguro soltanto che il ministro Angelino Alfano annulli in autotutela questo concorso al fine di ripristinare la trasparenza e la legalità nel concorso in magistratura. Intanto, gli anni passano e la sospirata toga di magistrato non sembra arrivare mai: di tanti anni di studio non resta nient’altro che l’amarezza. Per non parlare poi della sofferenza dei nostri genitori che vorrebbe vederci sistemati. (Da Michele da Siracusa).

Sui Concorsi per magistrati e simili. Sono il papà di un ex concorrente al concorso. Vi invio il testo di quanto ho scritto al Tgcom, sperando che qualcuno ne faccia una battaglia.
Uno dei problemi di questi concorsi, come del resto per molti altri è l’assoluta mancanza di trasparenza. Infatti i concorsisti, molti dei quali prendono praticamente una seconda laurea, tanti sono gli anni che vengono dedicati ad una onerosa (anche economicamente) preparazione integrativa, alla fine hanno solo tre cartucce da sparare (solo tre concorsi); ma il bello è che non hanno nessun feedback dalle correzione dei compiti risultati inidonei; voglio dire che al di là del criptico giudizio non c’è altra informazione che consenta le prossime volte di “aggiustare il tiro”. Ma non sarebbe più corretto pubblicare gli elaborati anche “mascherando” le generalità dei concorrenti, semplicemente indicando, come del resto è già, l’idoneità o meno? E’ o non è un concorso pubblico per uno dei più importanti ruoli nell’ordinamento della repubblica? Ritengo ciò che è accaduto episodio ignobile e non c’è motivo di ritenere che precedentemente sia stato tutto in regola. Semplicemente, questa volta, la dilagante carenza organizzativa ha creato una situazione così ingestibile che ha avuto il pregio di fare da detonatore al peggiore approccio al concorso di chi si propone di amministrare la giustizia in modo adamantino e, dall’ altra parte per chi, parte del sistema, dovrebbe garantire che tutto si svolga nella massima serietà possibile. Credo di non sbagliarmi nel dire che ciò che avviene e le questioni che contornano il prima durante e il dopo del concorso siano la manifestazione più forte di arroganza del potere oggi riscontrabile nel nostro Paese. Non si comprende perché a tanta serietà trasmessa e percepita non corrispondano comportamenti adeguatamente qualitativi, almeno quelli esprimibili attraverso gli atti prodotti, che dovrebbero essere il vero biglietto da visita da presentare al mondo esterno.
A.M. (Una delle poche lettere firmate per capire il timore di ritorsioni da parte del sistema).

Egregio Direttore, sono un testimone oculare, aspirante magistrato. Ho letto un articolo sul vostro sito concernente il concorso a 380 posti di uditore giudiziario dove la commissione afferma che c’erano temi gravemente insufficienti. Personalmente partecipai a quel concorso e presi 19 allo scritto di amministrativo sull’acquisizione sine titulo coperto da giudicato, e non idoneo a penale. Credo che la commissione abbia esagerato dicendo quelle cose, perchè ho visto con i miei occhi che alcuni membri della stessa andavano ad aiutare i loro”pupilli”, io chiamai il Presidente presente in sala, e per risposta disse che non poteva farci nulla. Sono accadute cose strane ad esempio un mio conoscente seppe in anticipo i risultati degli scritti. Come ne venne a conoscenza? Forse perchè il padre è agganciato politicamente? E’ vero che i nomi devono restare segreti alla commissione? Ad esempio alcuni candidati non conoscevano le sentenze relative alla traccia di penale sulle scommesse clandestine e superarono lo scritto, io lessi le recensioni del Presidente Grillo sulla rivista Cassazione penale edita dalla Giuffrè e non lo superai.
Altri candidati fecero scena muta alla prova orale e presero il massimo dei voti.
Le pongo una domanda, siamo sicuri che la commissione non abbia volutamente esagerato, per mascherare le magagne come voi avete puntualmente pubblicato, avvenuta nei precedenti concorsi? La ringrazio anticipatamente, spero in un Suo riscontro.
A.S. (lettera firmata)

Pubblicato in: Responsabilità dei magistrati
L’ articolo è stato visualizzato 70914 volte al 3 agosto 2010

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A PROPOSITO DEI CONCORSI TRUCCATI IN MAGISTRATURA

Con perfetto sincronismo, mentre veniva pubblicato l’articolo sull’argomento, sul sito www.lavocedirobinhood.it , il TG1 alle ore 20,30, del 1° Agosto finalmente rendeva pubblico l’elaborato n. 668 di diritto penale nel quale il candidato  per ben due volte dimostrava l’improprio utilizzo dell’apostrofo, che è come dire l’ABC della Grammatica Italiana.

Preciso che non è l’unico e non è l’unica questione anomala, considerate anche le molteplici svisature (argomenti off limits) che hanno pervaso soprattutto gli elaborati di diritto ammnistrativo.

Nelle brevi interviste trasmesse, al TG, è singolare quella al magistrato Alberto Cisterna in organico alla DIA.

Le sue testuali parole, in riferimento alle idoneità concesse pressapoco a metà dei candidati, sono state:

“E’ un problema grave delle nostre università è un problema di cui bisogna prendere atto.., non vengono sfornati ragazzi abbastanza preparati per sostenere questo concorso. E’ un problema che va risolto con urgenza”.

Se non è politica questa…

Ma tutto ciò non spiega come sia possibile far traghettare sulla sponda degli idonei elaborati che nulla hanno a che vedere con il corretto scrivere né con i criteri stabiliti, sebbene questi ultimi siano estremamente incapsulati nella loro striminzita esposizione.

Sul punto occorre precisare che negli ultimi due concorsi, oltre alla laurea viene richiesta l’abilitazione all’esercizio della professione legale e/o il diploma di scuola di specializzazione postuniversitaria. Scusate se è poco!!

A dispetto di tutto ciò e dell’aumentato numero di candidati il numero degli idonei si è mantenuto sotto il valore di riferimento fornito dai rispettivi bandi.

Tutti asini? può darsi! Tale posizione ha una controveribilità pari a zero atteso che gli elaborati dei non idonei sono accessibili solo ai diretti interessati ed alle commissioni e non risultano, al momento, trasparenti azioni rivolte a fornire evidente prova di tutto quanto viene ripetutamente detto e ripetuto a proposito di impreparazione.

Il contesto è corroborato dalla potente schermatura di cui gode “la commissione esaminatrice” prima, durante e dopo lo svolgimento del concorso il quale presenta una singolare procedura di correzione che non prevede né voto (sotto il 12) né giudizio, né tanpoco di fornire la minuta dell’attività di correzione degli elaborati (tempi impiegati per singolo candidato per collegio), facendo di questa selezione la più discrezionale esistente (persino più di quella attuata per l’esame di maturità).

Infatti il CSM come una corazza protettrice, attua un super controllo persino sull’accesso agli atti del concorso, nonostante ne abbia deciso una volta per tutte le modalità (forum disponibile sul sito del ministero), dall’altra il concetto di insindacabilità che nel tempo si è fortemente consolidato nei tribunali amministrativi rende impermeabili le informazioni ed i ricorsi; questi ultimi quasi al 100%.

A proposito di schermatura, non si è capito a quale titolo e con quali specifiche tecniche le due funzioni rilevanti (presidente e DG ministeriale), hanno garantito la schermatura /non schermatura dei padiglioni fieristici. Forse all’insaputa di tutti sono stati contattati i gestori di telefonia mobile per provvedere a mettere “al buio” il sito e ci sono riusciti solo parzialmente. O più semplicemente l’uno riusciva ad usare il cellulare e l’altro no? Sarebbe interessante saperlo, visto che nelle 4 interrogazioni parlamentari prodotte, a nessuno è venuto in mente di chiederlo.

A.T. (lettera firmata da un candidato aspirante magistrato)
 http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=197&titolo=CONCORSITRUCCATI:TRAINSABBIAMENTIEARCHIVIAZIONI
LA CREDIBILITA’ DELLA MAGISTRATURA ITALIANA SCENDE SEMPRE PIU’ IN BASSO.

 

Racket delle case popolari: altre 400 denunce in Procura

 

Sgomberi e arresti nelle case Aler occupate abusivamente non hanno minimamente fermato i malavitosi che gestiscono migliaia di alloggi pubblici in città. Frediano Manzi che per primo ha denunciato il fenomeno, ha raccolto 400 nuove denunce di altrettanti inquilini che presto saranno presentate in Procura. «L’ultimo episodio risale appena a due giorni fa in via Asturie». Per questo impegno il fondatore di «Sos racket e usura», oggetto di quotidiane minacce, ha deciso di trasferire la famiglia in una località riservata. «Io però resto e continuo il mio impegno».
L’occupazione sistematica delle case pubbliche ha raggiunto in questi ultimi anni livelli preoccupanti perché ormai su un patrimonio di circa 75mila unità abitative, almeno 4mila sono in mano alla malavita. Facile immaginare le ricadute, prima di tutto sulle casse dell’Azienda proprietaria di questo vasto patrimonio immobiliare che non riesce a incassare gli affitti. Inoltre in questi stabili vanno insediandosi ladri, spacciatori e stranieri irregolari. Insomma un intero universo che si muove nella illegalità e nella clandestinità.
«Il sistema è semplice – spiega Manzi – contando sulla incuria delle pubbliche amministrazioni, questi criminali hanno iniziato a impossessarsi degli alloggi rimasti liberi, perché l’ultimo inquilino si è trasferito oppure è morto. Sfondano la porta, cambiano le serrature e di fatto diventano proprietari. Il solito tam tam di “radio case popolari”, provvede poi a far incontrare domanda e offerta». L’ultimo affare sabato quando una africano clandestino, dopo aver versato 3mila euro a un italiano è entrato in un alloggio di via Asturie 6, che da quel momento sarà suo. Rimarrà senza pagare l’affitto con la certezza di non essere sfrattato.
Il presidente di «Sos racket e usura» l’anno scorso aveva raccolto un voluminoso dossier sugli stabili di via padre Luigi Monti, a Niguarda, gestito dal clan di Giovanna Pesco. La donna, chiamata «signora Gabetti», venne poi arrestata insieme alla figlia e al convivente e al processo, il pm ha appena chiesto una condanna di sei anni. «Ma nulla è cambiato nel frattempo» denuncia Manzi che ha già pronto materiale nuovo da portare ai giudici. Si tratta di 400 questionari raccolti da altrettanti inquilini regolari ancora in via Monti, dove altri hanno sostituito la «signora Gabetti». Ma anche nelle vie Ciriè, Menabrea, Lessona, Console Marcello, Pascarella, Tracia e Rapallo, cioè tra Niguarda e Quarto Oggiaro. Questionari che raccontano puntualmente la stessa storia: una banda prende possesso di alcuni alloggi, li «rivende» a balordi che si barcamenano tra furti e spaccio, minacciando chiunque si ribelli. Quasi tutti gli inquilini precisano di aver presentato denunce, verbali e scritte, a polizia e carabinieri, Comune e Aler.
«C’è una sostanziale inerzia delle autorità e qualche volta anche connivenza. Basti pensare che pochi giorni fa hanno arrestato un ispettore della Gefi, società che gestisce parte del patrimonio Aler, coinvolto nel racket – accusa Manzi -. Provincia e Sindacato inquilini della Cgil si erano inoltre impegnati per distribuire e raccogliere i questionari, ma non si sono mai mossi. E io sono rimasto ancora volta solo. Ed è proprio questo isolamento che, come insegnano le storie di tante vittime di mafia, consente poi alla malavita organizzata di colpire. Per questo, dopo telefonate e fax di morte e assalti ai miei coschi di fiori, ho messo in salvo la famiglia. Ma la mia lotta continua».

 

da ilgiornale.it

A Niguarda è ancora racket degli alloggi

 

«Ho pagato 3 mila euro a un italiano»
L’arresto della «signora Gabetti» non ha fermato le occupazioni abusive controllate dalla malavita
«Io, costretta a pagare per un alloggio nel quartiere ripulito dal racket» (11 maggio 2010)
Racket case popolari, arrestate la «signora Gabetti» e la figlia (11 novembre 2010)

MILANO – Di nuovo un’occupazione abusiva. E chi è entrato nell’alloggio vuoto del Comune, in via Asturie, ha pagato il pizzo di 3.000 euro ad un italiano. Nello stesso quartiere di Niguarda, nel regno di Giovanna Pesco, alias «signora Gabetti», già arrestata lo scorso novembre, perché ritenuta la regina della gestione degli alloggi popolari. Ma, evidententemente, non era l’unica a tenere in piedi il racket.

L’ULTIMO CASO – L’altra notte, infatti, gli agenti della polizia locale, insieme ad ispettori Aler, hanno pizzicato un egiziano di 37 anni, che abusivamente era entrato in una abitazione. L’uomo ha dichiarato di aver pagato per la disponibilità dell’alloggio, 3.000 euro a un italiano. Non solo: insieme con un altro, ogni fine mese pagava una sorta di affitto. L’extracomunitario è stato denunciato per occupazione abusiva dietro compenso. Mentre l’alloggio è stato messo in sicurezza e «blindato».

UN QUARTIERE DIFFICILE – Proprio a Niguarda, nel quartiere dei blitz continui delle forze dell’ordine. Tra degrado e papponi. Cocaina e manette. Dove meno di un mese fa sei colpi di pistola sono stati esplosi contro la latteria di un pregiudicato, in via Padre Luigi Monti. E c’è chi dice che siano stati due rom in sella a un motorino. Li hanno visti. Sparavano con due pistole. Si dice anche «per fatti di droga». E, nei giorni a seguire, una rissa dietro l’altra. Sempre rom che se le danno tra di loro. Proprio nella via dello scandalo del racket degli alloggi. Dove nel giro di pochi mesi sono piovute denunce, inchieste e arresti. E il quartiere aveva tirato un sospiro di sollievo. Ma è durato poco. L’altra sera l’ennesimo sgarro alle istituzioni.

40 ANNI DI ABUSI – «Stavolta ­ ­­- sottolinea il vicesindaco Riccardo De Corato – i residenti del quartiere hanno collaborato, segnalando uno strano via vai di egiziani in quei locali. Così siamo riusciti ad interventire. Le dichiarazioni dell’egiziano sono ora al vaglio della magistratura che dovrà indagare sulla presenza di soggetti legati al racket delle case abusive nel quartiere». Gli inquilini però fanno ancora l’elenco di chi ha occupato illegalmente: una ventina di rom, molti parenti delle famiglie storiche malavitose, un egiziano, due pregiudicati. «Il problema è a monte – spiegano i detective del commissariato Greco-Turro. Negli anni ’70 e ’80 gli alloggi popolari furono occupati per necessità da meridionali che non hanno mai pagato l’affitto. Nella via Cirié i campani e i pugliesi, in via Padre Luigi Monti i siciliani e nei viali Fulvio Testi e Sarca, i calabresi. Il Comune non era attrezzato per fronteggiare l’abusivismo e quindi fece una sanatoria. Così molti pagarono le spese, ma non gli affitti. Quindi il Comune si rivolse a società private per recuperare gli alloggi. Il resto è storia d’oggi: quando ci dicono che dobbiamo sgomberare un alloggio, noi lo facciamo. Quello che segue, però, spetta alle istituzioni».

Michele Focarete

da corriere.it

STRAGE DI BOLOGNA. STRAGE DI STATO.

A 30 anni dalla strage di Bologna è ormai chiaro (quasi) a tutti che si è trattato dell’ennesima strage di Stato, come quelle che l’hanno preceduta a Milano e a Brescia (P.zza Fontana e P.zza della Loggia).

La strage di Bologna si inserisce infatti in un momento molto difficile della storia italiana degli ultimi cinquanta anni. Siamo nei cosiddetti “anni di piombo”, quando il Paese è attraversato da una crisi economica e da forti conflitti sociali. In questi anni nasce e si sviluppa in Italia il terrorismo politico, l’azione politica violenta di gruppi estremisti di destra e di sinistra, che agiscono al di fuori del normale confronto politico democratico e che, mediante la cd. “strategia della tensione” hanno l’obiettivo di provocare la crisi delle strutture democratiche dello Stato. Questa strategia si realizza attraverso una serie di attentati contro persone che svolgono in qualche modo un ruolo attivo nella vita democratica del Paese (magistrati, uomini politici, rappresentnanti delle forze dell’ordine, professori universitari), ma assume anche la forma di vere e proprie stragi nelle piazze, nelle banche, sui treni che coinvolgono anche semplici cittadini. Per la strage di Bologna vengono accusati e condannati all’ergastolo, dopo molti e lunghi processi due esponenti dell’estremismo di destra: Francesca Mambro e Valerio Fioravanti che, ancora oggi, stanno scontando la pena. I due terroristi, che hanno ammesso il loro coinvolgimento diretto in altri fatti di sangue, per quanto riguarda Bologna si sono sempre proclamati innocenti, adombrando l’intervento dei servizi segreti. Anche questa strage, dunque, è stata considerata come un atto inserito nella strategia della tensione che ha caratterizzato gli anni ‘70 e i primi anni ‘80. Ma con il passare del tempo numerose ipotesi sono state avanzate riguardo il possibile coinvolgimento di elementi diversi dall’estremismo politico in questo come di altri tragici eventi che hanno insanguinato quel periodo. Alcune di queste ipotesi sono poi diventate “verità giudiziarie”: nel corso dei processi per la strage di Bologna, ad esempio, sono stati accertati e confermati con sentenza i tentativi di alcuni elementi cosiddetti “deviati” dei servizi segreti italiani di depistare le indagini dei magistrati per evitare che fosse fatta piena luce su quello che era successo. Perché questi depistaggi? Anche a questa domanda non è ancora possibile dare una risposta certa e il comportamento degli ultiimi giorni dei più alti rappresentanti delle nostre istituzioni che hanno disertato la cerimonia, confermano l’arroganza del potere e l’assoluta assenza di volontà da parte dello Stato Italiano di raggiungere la verità e di rendere giustizia alle vittime e ai loro parenti. Di seguito pubblichiamo la ricostruzione della vicenda politico-giudiziaria a cura della Associazione dei famigliari delle vittime della strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980.  

IL 2 AGOSTO 1980 ALLA STAZIONE DI BOLOGNA ESPLODE UNA BOMBA CHE CAUSA 85 MORTI 200 FERITI
L’avvio delle indagini trovò un incredibile iniziale ostacolo nel tentativo, protrattosi per 24 ore, di mettere in dubbio la natura dolosa dello scoppio, infatti vennero ipotizzate cause fortuite quali lo scoppio di una caldaia.
Si tentò, da un lato di evitare reazioni della piazza e dall’altra, come era successo per la strage di Piazza Fontana, di ritardare il rinvenimento di tracce utili.
L’intervento della Procura della Repubblica di Bologna fu tempestivo e l’approccio serio: gli investigatori misero subito a fuoco le protezione di cui il frastagliato mondo del terrorismo eversivo di destra aveva goduto e continuava a godere a Roma malgrado la città fosse stata sottoposta negli ultimi due anni ad una escalation di violenze e di attentati (di particolare significato l’attentato al C.S.M. e l’uccisione del Giudice Amato).
Già alla fine di agosto comincia ad essere abbozzata una ipotesi accusatoria indirizzata anche verso ideatori e depistatori, ma il passaggio dell’inchiesta dalla Procura all’Ufficio Istruzione segna una sorta di inversione di tendenza: l’indagine comincia ad essere spezzettata. Viene inviata a Roma per competenza l’indagine sull’associazione eversiva. Si fanno più pesanti i depistaggi.
Eppure la strage era stata preannunciata anche un mese prima (colloquio tra Rinani e Presilio), negli ambienti dei servizi se ne troveranno addirittura tracce scritte (rapporto Spiazzi) – colloquio tra Amos Spiazzi e Ciccio Mangiameli –omicidio Mangiameli. Il giudice Amato,nelle audizioni del 25 marzo e 13 giugno 1980, davanti al CSM, aveva segnalato la pericolosità dinamitarda dei gruppi eversivi di destra (audizioni del 25 marzo e 13 giugno 1980)

  • Depistaggi : al momento dei primi arresti avvenne un incontro tra Licio Gelli (Gran Maestro della loggia massonica P2) e Elio Cioppa (Alto dirigente del S.I.S.M.I.) ‘State sbagliando tutto, la pista è quella internazionale’:
    In quel momento iniziano contrasti feroci all’interno del tribunale, in parte fomentati da pubblicazioni di stampa, che avvalorano tesi e avvenimenti fantasiosi tendenti a screditare i giudici che avevano svolto la prima parte dell’indagine, avvalorando poi un disegno massonico internazionale con l’obiettivo di portare i giudici su piste internazionali estremamente inverosimili e fantasiose. ‘IL GRANDE LABIRINTO’ giornalista PAMPARANA.
    Tutto ciò causa grande sconcerto nell’opinione pubblica e nei familiari delle vittime.
  • L’1 Giugno 1981 si costituisce
    L'”ASSOCIAZIONE TRA I FAMILIARI DELLE VITTIME DELLA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA DEL 2 AGOSTO 1980″ con lo scopo statutario di : “OTTENERE CON TUTTE LE INIZIATIVE POSSIBILI LA GIUSTIZIA DOVUTA“.
    Al momento della costituzione vi sono 44 persone, poi si associano in 300.
    Ogni 4 mesi l’Associazione va in tribunale ad incontrare i giudici, subito dopo convoca una conferenza stampa per far conoscere lo stato delle cose e la sua opinione.
    Momenti di grande tensione che i familiari hanno sempre vissuto con grande dignità non lasciandosi portare in giro da falsi consiglieri.
    Una delle cause, per cui i processi nelle altre stragi si sono chiusi con un nulla di fatto, è da ascriversi ai depistaggi che hanno avuto successo e ai collegi di difesa che si sono divisi affermando, molte volte, convinzioni di singoli avvocati. I depistaggi arrivarono a volte a provocare perfino la divisione all’interno dei collegi di difesa delle parti civili.
    L’Associazione assume posizioni molto dure nei confronti di chiunque appaia sottovalutare la gravità della mancata risposta giudiziaria all’ansia dell’accertamento della verità.
  • Il 6 Aprile 1983 assieme alle Associazioni delle stragi di Piazza Fontana, Piazza della Loggia, dell’Italicus costituisce a Milano l’Unione dei Familiari delle Vittime per Stragi
  • All’inizio del 1984 inizia la raccolta di firme in calce alla proposta di legge di iniziativa popolare per : ‘L’ABOLIZIONE DEL SEGRETO DI STATO NEI DELITTI DI STRAGE E TERRORISMO‘. Consegnata all’On. Francesco Cossiga, allora Presidente del Senato, il 25 LUGLIO 1984, corredata da circa 100.000 firme, la legge deve ancora essere discussa dal nostro Parlamento. ( oggi 28.2.1997)
  • Il 19 Gennaio 1987 inizia il processo, i giudici svolgono un
    meticoloso lavoro di analisi degli antefatti teorici partendo dal Convegno dell’Istituto Pollio, la sentenza viene emessa l’11 Luglio 1988
    I condannati per depistaggio sono tutte persone iscritte a logge massoniche e Licio Gelli è, come si è detto, il Gran Maestro della loggia massonica P2. Il Generale Pietro Musumeci e il Colonnello Giuseppe Belmonte sono alti ufficiali del S.I.S.M.I. servizio segreto militare
    Nell’estate del 1989 l’avvocato di parte civile Roberto Montorsi incontra Licio Gelli e passa dalla parte degli imputati tradendo la fiducia che gli era stata accordata.
  • Subito si scatena una campagna che cerca di squalificare tutto il lavoro dei magistrati, dell’Associazione e del Collegio di Parte Civile.
    Vi fu una campagna di stampa martellante che per tutta l’estate fino all’apertura del processo d’appello ( ottobre 1989), prendendo le difese dell’avvocato, considerava l’inchiesta frutto di un teorema, e di un intrigo del partito comunista.
    L’Associazione fu accusata di fare un’attività di spionaggio cercando di far passare come illecita la sua attività di informatizzazione degli atti del processo.
    Questa fu la preparazione del processo d’Appello, il clima di tutto il procedimento risentì di quella situazione.
  • Il processo d’Appello iniziò nell’ottobre 1989 la sentenza fu emessa il 18 Luglio 1990. TUTTI ASSOLTI DALL’ACCUSA DI STRAGE.
    Da segnalare: il Procuratore Generale aveva chiesto l’appesantimento delle pene.
    La sentenza fu definita dall’Associazione una Provocazione.
    Immediata presa di posizione dell’M.S.I. che chiese la cancellazione dalla lapide presso la stazione di Bologna della scritta ‘Strage Fascista’
    Il Presidente del Consiglio Andreotti si disse d’accordo ed il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga chiese ufficialmente scusa all’M.S.I..
  • Il 2 Agosto 1990 il Senato approva una legge che porta lo stesso titolo di quella presentata dall’Unione ‘Abolizione del segreto di stato nei delitti di Strage e terrorismo’, ma nulla ha a che fare con quella, anzi peggiora quella esistente.
  • Il 12 Febbraio 1992 le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione emette la sentenza.
    IL PROCESSO D’APPELLO VA RIFATTO !
    La Corte ha sentenziato che la sentenza d’Appello è:
    – ILLOGICA
    – PRIVA DI COERENZA
    – NON HA VALUTATO IN TERMINI CORRETTI PROVE E INDIZI
    – NON HA TENUTO CONTO DEI FATTI CHE PRECEDETTERO E SEGUIRONO L’EVENTO
    – IMMOTIVATA O SCARSAMENTE MOTIVATA
    – IN ALCUNE PARTI I GIUDICI HANNO SOSTENUTO TESI INVEROSIMILI CHE NEPPURE LA DIFESA AVEVA SOSTENUTO.
  • Inizio del 2° Processo d’Appello ottobre 1993
    CONFERMA DELL’IMPIANTO ACCUSATORIO DEL PROCESSO DI 1° GRADO.
    , termine 16 Maggio 1994
  • Il 12 giugno 1994 appare un’intervista della Mambro e Fioravanti sul Corriere della Sera; l’argomento era : ‘NOI ALL’ERGASTOLO LORO AL GOVERNO‘ si prendevano in considerazione le esperienze passate di alcuni esponenti di Alleanza Nazionale( Gasparri, Storace, Bontempo, Fini), rilevando il passato comune, la militanza comune, l’offerta di cariche elevate all’interno dell’M.S.I. in favore della Mambro.
    Circa un mese dopo viene fondato a Roma nella Sede dell’ARCI il comitato in difesa della Mambro e Fioravanti ‘E se fossero innocenti‘. Questo comitato a cui aderiscono intellettuali di tutte le estrazioni propone tesi che nulla hanno a che fare con la realtà processuale. Il materiale che in tribunale aveva fatto figure penose perché non supportato da nulla viene ora riproposto all’opinione pubblica per confonderla.
    Risposta immediata da parte dell’Associazione, viene stampato un libretto intitolato ‘Contributo alla Verità’ in cui vengono riportate le tesi del comitato confutate sulla base degli atti processuali e non con valutazioni sentimentali o ipotetiche.
    La campagna di disinformazione di questo comitato dilaga su tutti i giornali, le televisioni di stato gli concedono ampi spazi, le televisioni FININVEST dedicano almeno 3 trasmissioni di 2 ore altre televisioni ne ospitano costantemente alcuni esponenti di spicco.
    Cercano di far accreditare nell’opinione pubblica la tesi dei due capri espiatori.
  • Il 2 agosto 1995 il Senato approva di nuovo una legge che ha lo stesso titolo di quella proposta dai familiari delle vittime : ABOLIZIONE DEL SEGRETO DI STATO NEI DELITTI DI STRAGE E TERRORISMO, ma il contenuto prevede ancora la possibilità di porre il segreto di stato per quei reati.
  • Fine 1994: Viene nominato presidente della “Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi” il senatore Giovanni Pellegrino.
  • Alla fine del 1995 il senatore redige una pre-relazione stampata nel volume “Luci sulle stragi”: l’Assocciazione ne disapprova il contenuto.
  • Prima dell’inizio del processo in Cassazione gli imputati mettono in atto un ennesimo depistaggio. Richiesta di archiviazione del Giudice Giovagnoli su caso Sparti De Giglio
  • Il 22 Novembre inizia il processo in Cassazione, la sentenza viene emessa il 23 Novembre 1995.
    VIENE CONFERMATA NELLA SOSTANZA LA SENTENZA DEL 2° PROCESSO D’APPELLO.
  • Nel 1996 il senatore Pellegrino viene rieletto alla commissione e l’Associazione dirama un comunicato.
  • Il 18 giugno 1996 la Corte d’Appello di Firenze assolve Picciafuoco; il Procuratore Generale ricorre in Cassazione.
    La Cassazione assolve in via definitiva Picciafuoco
  • 2000: Esce il volume Giovanni Fasanella e Claudio Sestieri con Giovanni Pellegrino, “Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro”, Einaudi, 2000. (considerazioni di Gianni Flamini)

Vicenda Ciavardini:

A cura dell’Associazione dei famigliari delle vittime della strage della stazione di Bologna del 2 Agosto 1980. Via Polese n.22 40122 Bologna     tel. ++39-51-253925 / fax ++39-51-253725     bologna@stragi.it
Copyleft ©: Se copiate, citate la fonte

LA SOLITA MAFIA TREVIGIANA

 

Membri della lega invocano metodi da SS contro gli immigrati, Senza strascichi giudiziari. La condanna beffa nel Paese degli insulti. Sentenza (e appello) da record per aver detto “vergogna” a una giunta leghista. Accade in provincia di Treviso

Su col morale: la giustizia sa essere velocissima. In una regione come il Veneto in cui la prima udienza di 44 processi civili è stata fissata dalla Corte d’Appello di Venezia nel 2017 (pazienza, pazienza…) un pubblico ministero di Treviso ci ha messo tre-giorni-tre a presentare appello contro l’assoluzione di una signora che aveva osato dire agli assessori comunali di Vittorio Veneto la parola «Vergognatevi!». Ai milioni di processi che impantanano i tribunali si aggiungerà anche lo strascico di questo. Quali siano gli esempi arrivati in questi anni dall’alto, li ricordiamo tutti. Una rinfrescatina? Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca capo dello Stato, fu liquidato da Vittorio Sgarbi in piazza Montecitorio come «una scorreggia fritta». Roberto Maroni spiegò che «Bossi ce l’ha duro, Berlusconi ce l’ha d’oro, Fini ce l’ha nero, Occhetto ce l’ha in (censura) ».

Gianni Baget Bozzo tuonò in diretta televisiva che «il popolo deve molto a Berlusconi. E col cazzo che questa è adulazione». Il leghista Enrico Cavaliere si avventurò dai banchi della Camera a dire: «C’è puzza di merda in questo posto». Alessandra Mussolini mandò una lettera pubblica al Senatur in cui diceva: «Si’ proprio nu chiachiello e nun tien’ manch’e palle p’ffa na vera rivoluzione». Massimo D’Alema bacchettò Carlo Ripa di Meana con il suo tipico garbo: «Dice solo cazzate». Romano Prodi sibilò a Enrichetto La Loggia, in pieno dibattito parlamentare, l’invito «Ma vaffan… » seguito da un’interrogazione parlamentare dell’offeso: «Risponde al vero che lei mi ha mandato fanculo?». Quanto ai tempi più recenti, va ricordato almeno Silvio Berlusconi, che dopo aver precisato di avere «troppa stima per l’intelligenza degli italiani per pensare che ci possano essere in giro così tanti coglioni che possano votare a sinistra», se l’è presa con chi «sputtanando il premier sputtana anche l’Italia». E poi Antonio Di Pietro, che ad Annozero ha detto «col massimo rispetto, Berlusconi è un delinquente » per incitare successivamente a «buttar fuori Minzolini a calci in culo ». E ancora Gianfranco Fini («Chi dice che gli stranieri sono diversi è uno stronzo…») e Roberto Calderoli: «È stronzo anche chi li illude».

Per non dire di Tommaso Barbato e Nino Strano che, il giorno della caduta del governo Prodi, urlarono al Senato contro Nuccio Cusumano: «Pezzo di merda, traditore, cornuto, frocio!» e «Sei una checca squallida!». E via così: potremmo andare avanti per ore. Bene: in questo contesto, in cui una parte del Paese accusa l’altra d’avere le mani lorde di sangue dei crimini staliniani e l’altra metà risponde imputando agli avversari di essere golpisti e goebbelsiani, la signora Ada Stefan si è spericolatamente spinta a contestare una decisione urbanistica della giunta comunale leghista di Vittorio Veneto. La scelta di non demolire un complesso edilizio che avrebbe dovuto diventare un «polo sportivo d’interesse nazionale » con due campi di calcio, un impianto di pattinaggio a rotelle, tribune, foresterie, palestre, parcheggi e un sacco di altre cose compresi un po’ di «spazi commerciali accessori». Una cosa grossa. Edificata su un terreno per il quale il piano regolatore prevedeva fossero «ammessi solo gli impianti per il gioco, gli spettacoli all’aperto e le attrezzature sportive».

Scelta giusta o sbagliata? Non ci vogliamo manco entrare: non è questo il punto. Il fatto è che, essendo state costruite solo le strutture commerciali e non quelle sportive, un gruppo di abitanti della zona aveva chiesto alla giunta di smetterla con le deroghe e, dato che il progetto originale era stato stravolto e dunque risultava tutto abusivo, di procedere con le ruspe. Al che l’amministrazione aveva risposto che «l’esigenza del ripristino della legalità non è sufficiente a giustificare la demolizione richiesta, occorrendo comparare l’interesse pubblico alla rimozione con l’entità del sacrificio imposto al privato». Parole discutibili. Tanto più alla luce di una serie di sentenze di sette o otto Tar (veneto compreso) e del Consiglio di Stato presentate dal legale degli abitanti della zona, Daniele Bellot, tutte molto chiare: in casi del genere l’abuso va abbattuto. Ma neppure questo è il punto. Il punto è che, durante un consiglio comunale, esasperata dalle resistenze della maggioranza all’idea di demolire il complesso, la signora Ada Stefan sbottò: «Vergognatevi! ».

Un’offesa gravissima, secondo Mario Rosset, già segretario e consigliere della Lega. Al punto di meritare una denuncia. Denuncia finita sul tavolo di un magistrato trevisano. Il quale, incredibile ma vero, decise di emettere un decreto penale che condannava la signora «per avere offeso l’onore e il prestigio del consiglio comunale di Vittorio Veneto dicendo ad alta voce, rivolta al loro indirizzo, “Vergognatevi”». Un verdetto sconcertante. Che Ada Stefan decise di non accettare chiedendo di andare a processo. Processo aperto e chiuso giorni fa nel giro di pochi minuti: per il giudice Angelo Mascolo la signora andava assolta «perché il fatto non costituisce reato, ai sensi dell’art. 129 c.p.p.». Faccenda chiusa? Macché: tre giorni dopo (tre giorni: in un Veneto in cui i magistrati sono sommersi di arretrati e, stando alla relazione della stessa presidente Manuela Romei Pasetti, «trascorrono mediamente 272 giorni tra la sentenza di 1˚ grado e l’arrivo alla Corte d’Appello») il sostituto procuratore Giovanni Cicero impugnava l’assoluzione. Il processo andrà avanti: la signora Stefan, secondo lui, va castigata. Il tutto in una provincia come Treviso.

Dove il sindaco leghista Giancarlo Gentilini ha ordinato «la pulizia etnica contro i culattoni» ed è arrivato a invocare «il linciaggio in piazza». Dove il senatore leghista Piergiorgio Stiffoni si è spinto a dire: «Gli immigrati? Peccato che il forno crematorio del cimitero di Santa Bona non sia ancora pronto» aggiungendo che «l’immigrato non è mio fratello, ha un colore della pelle diverso». Dove il consigliere comunale leghista della città capoluogo Pierantonio Fanton ha teorizzato che «gli immigrati sono animali da tenere in un ghetto chiuso con la sbarra e lasciare che si ammazzino tra loro». Dove un altro consigliere leghista, Giorgio Bettio, è sbottato tempo fa urlando che occorreva «usare con gli immigrati lo stesso metodo delle SS: punirne dieci per ogni torto fatto a un nostro cittadino». Il tutto senza particolari strascichi giudiziari. E sarebbe un reato dire «vergognatevi»? Messa così lo diciamo anche noi: vergognatevi.

 Gian Antonio Stella

da corriere.it

INDUZIONE ALL'EMIGRAZIONE

100 KM DI RABBIA E DI PASSIONE

 di Antonio Forcillo

Questa non è una storia inventata, ma ciò che è accaduto realmente una settimana fa, esattamente il 26 e 27 luglio 2010.

Partenza alla mattina, alle sette in punto, dal piazzale antistante l’ospedale di Tinchi di Pisticci (MT); destinazione Potenza.

Poco più di 100 km a piedi, sulla superstrada Basentana, in marcia serrata per il Consiglio Regionale straordinario che doveva decidere sulle sorti dell’Ospedale metapontino.

Venti temerari, semplici cittadini non dipendenti né di asl né dell’ospedale, che si sono cimentati in un’impresa memorabile, quasi impossibile.

Ma non siamo all’inizio della storia, in quanto già da più di un mese, esattamente dal primo luglio, un altro gruppo di cittadini è asserragliato sul tetto più alto di quell’ospedale che si è deciso di chiudere. 

Insieme ai più giovani che si alternano nei turni massacranti di presidio continuo, per giorno e notte, alcuni autentici frammenti di storia vivente.

Uno di loro, 86 anni, ex compagno di brandina in carcere di Rocco Scotellaro ai tempi delle lotte contadine, e amico di Carlo Levi.

Quello di Tinchi è un ospedale distrettuale importantissimo; ha servito egregiamente per trent’anni 50.000 cittadini d’inverno che d’estate diventano più di 300.000, che si sono visti privare improvvisamente di quell’ultimo bene residuo, essenziale per la sopravvivenza di una vasta comunità, quella metapontina.

Qualcuno penserà che è colpa di Tremonti, dei tagli alla sanità del Governo Berlusconi…

Niente di tutto ciò!

La chiusura di quell’ospedale, vanto di tutta la Basilicata per l’ottima valenza del suo personale e dei suoi conti economici, fa parte di una strategia criminale di lungo corso che vuole indurre all’emigrazione forzata le popolazioni d’origine di questi territori, dopo che un’altra emigrazione di massa, nei decenni scorsi, le ha già pesantemente decimate.

Induzione forzata all’emigrazione in un territorio ricchissimo e rigoglioso, sicuramente il più ricco d’Europa per gli enormi giacimenti di petrolio e gas naturale qui presenti.

D’altronde, l’individuazione del sito unico delle scorie di Scanzano Jonico, distante da Tinchi meno di 15 km, già qualche anno fa sarebbe servito proprio a questo.

Abbiamo percorso i 100 km in 27 ore esatte, arrivando davanti al palazzo delle Regione stremati, alle 10 in punto del giorno dopo, sdraiandoci per terra con i piedi doloranti e roventi per le bolle e il sudore.

Un vero e proprio record, ha gridato qualcuno con il suo ultimo barlume di forza.

Alle otto di sera, dopo un’interminabile giornata di attesa spasmodica davanti al Palazzo, sotto il sole cocente e due terribili acquazzoni beccati in pieno, la maggioranza di governo lucano ha bocciato entrambe le uniche due mozioni previste, che avrebbero restituito almeno in parte i servizi e i reparti sottratti all’Ospedale di Tinchi.

Ha, cioè, deciso di non decidere; nella costanza di una consuetudine efferata e aberrante.

Quella di Basilicata, a maggioranza PD, è sicuramente l’ultima énclave o roccaforte di una sinistra dittatoriale e sanguinaria, che riesce a impedire ai sindacati e ai lavoratori di poter partecipare, alla magistratura di indagare, alle televisioni e ai giornali nazionali di trasmettere…

Con un fil di voce e di nascosto, per paura delle feroci epurazioni e ritorsioni diffuse e qui all’ordine del giorno, molti cittadini cominciano a osare dove non hanno mai osato…

Iniziano cioè a paragonare questo regime repressivo a una vera e propria reincarnazione già compiuta:   quella di CEAUSESCU!

Tinchi, 2 agosto 2010  

Antonio Forcillo

LA LOTTA DELL'OSPEDALE DI TINCHI

100 KM DI RABBIA E DI PASSIONE

 di Antonio Forcillo

Questa non è una storia inventata, ma ciò che è accaduto realmente una settimana fa, esattamente il 26 e 27 luglio 2010.

Partenza alla mattina, alle sette in punto, dal piazzale antistante l’ospedale di Tinchi di Pisticci (MT); destinazione Potenza.

Poco più di 100 km a piedi, sulla superstrada Basentana, in marcia serrata per il Consiglio Regionale straordinario che doveva decidere sulle sorti dell’Ospedale metapontino.

Venti temerari, semplici cittadini non dipendenti né di asl né dell’ospedale, che si sono cimentati in un’impresa memorabile, quasi impossibile.

Ma non siamo all’inizio della storia, in quanto già da più di un mese, esattamente dal primo luglio, un altro gruppo di cittadini è asserragliato sul tetto più alto di quell’ospedale che si è deciso di chiudere. 

Insieme ai più giovani che si alternano nei turni massacranti di presidio continuo, per giorno e notte, alcuni autentici frammenti di storia vivente.

Uno di loro, 86 anni, ex compagno di brandina in carcere di Rocco Scotellaro ai tempi delle lotte contadine, e amico di Carlo Levi.

Quello di Tinchi è un ospedale distrettuale importantissimo; ha servito egregiamente per trent’anni 50.000 cittadini d’inverno che d’estate diventano più di 300.000, che si sono visti privare improvvisamente di quell’ultimo bene residuo, essenziale per la sopravvivenza di una vasta comunità, quella metapontina.

Qualcuno penserà che è colpa di Tremonti, dei tagli alla sanità del Governo Berlusconi…

Niente di tutto ciò!

La chiusura di quell’ospedale, vanto di tutta la Basilicata per l’ottima valenza del suo personale e dei suoi conti economici, fa parte di una strategia criminale di lungo corso che vuole indurre all’emigrazione forzata le popolazioni d’origine di questi territori, dopo che un’altra emigrazione di massa, nei decenni scorsi, le ha già pesantemente decimate.

Induzione forzata all’emigrazione in un territorio ricchissimo e rigoglioso, sicuramente il più ricco d’Europa per gli enormi giacimenti di petrolio e gas naturale qui presenti.

D’altronde, l’individuazione del sito unico delle scorie di Scanzano Jonico, distante da Tinchi meno di 15 km, già qualche anno fa sarebbe servito proprio a questo.

Abbiamo percorso i 100 km in 27 ore esatte, arrivando davanti al palazzo delle Regione stremati, alle 10 in punto del giorno dopo, sdraiandoci per terra con i piedi doloranti e roventi per le bolle e il sudore.

Un vero e proprio record, ha gridato qualcuno con il suo ultimo barlume di forza.

Alle otto di sera, dopo un’interminabile giornata di attesa spasmodica davanti al Palazzo, sotto il sole cocente e due terribili acquazzoni beccati in pieno, la maggioranza di governo lucano ha bocciato entrambe le uniche due mozioni previste, che avrebbero restituito almeno in parte i servizi e i reparti sottratti all’Ospedale di Tinchi.

Ha, cioè, deciso di non decidere; nella costanza di una consuetudine efferata e aberrante.

Quella di Basilicata, a maggioranza PD, è sicuramente l’ultima énclave o roccaforte di una sinistra dittatoriale e sanguinaria, che riesce a impedire ai sindacati e ai lavoratori di poter partecipare, alla magistratura di indagare, alle televisioni e ai giornali nazionali di trasmettere…

Con un fil di voce e di nascosto, per paura delle feroci epurazioni e ritorsioni diffuse e qui all’ordine del giorno, molti cittadini cominciano a osare dove non hanno mai osato…

Iniziano cioè a paragonare questo regime repressivo a una vera e propria reincarnazione già compiuta:   quella di CEAUSESCU!

Tinchi, 2 agosto 2010  

Antonio Forcillo

4 AGOSTO 2010 PER RICORDARE FRANCESCO

 

Appuntamento a Vallo della Lucania per ricordare Francesco Mastrogiovanni

Speriamo di essere in tanti la sera del 4 agosto in  Piazza Vittorio Emanuele di Vallo della Lucania (SA), insieme alle associazioni, ai movimenti di base ed alle individualità che da un anno, senza sosta, hanno promosso in tutta Italia, insieme al Comitato verità  e giustizia per Francesco Mastrogiovanni, iniziative pubbliche per chiedere che vengano chiarite le responsabilità, a tutti i livelli, per la tragica morte dell’insegnate libertario.

 Durante il ricovero coatto, Franco venne legato mani e piedi al letto di contenzione per oltre 80 ore, senza ricevere nutrimento,  fino a quando sopraggiunse la morte per edema polmonare.

 Ad un anno di distanza dalla tragica morte del maestro più alto del mondo (come lo chiamavano i suoi scolari) il processo con giudizio immediato dovrà  delineare,  con maggiore chiarezza, i contorni di una storia intrisa di pregiudizio politico, di violenza e di disprezzo per i più elementari diritti umani.

 La richiesta di giustizia (la verità  la conosciamo già grazie ai video dell’orrore acquisiti dalla magistratura) salirà con la musica dell’Angel Galzerano Trio, con le parole di Sabatino Catapano, con le controdeduzioni tecniche del medico Agnesina Pozzi e le riflessioni del presidente della UNASAM Gisella Trincas.

Pochi giorni fa il senatore del PD, Ignazio Marino, presidente della commissione parlamentare da lui guidata nelle visite a sorpresa svolte nei mesi di giugno e luglio in alcuni ospedali psichiatrici italiani, ha confermato ciò che da anni il collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa afferma a proposito di quelle “zone del silenzio” che sono diventati gli Ospedali psichiatrici giudiziari.

 La battaglia per ottenere giustizia per Mastrogiovanni, nel primo anniversario dell’ennesimo odioso delitto di Stato, è un tutt’uno con quella per l’abolizione del TSO e delle misure di contenzione.

Angelo Pagliaro (Membro Comitato Verità  e Giustizia per Franco Mastrogiovanni)