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Edilbasso fallimento. Il Ministro Giarda lo riconosce come caso emblematico d’infiltrazione criminale mafiosa

Indagare sul fallimento della Edilbasso e sulle protezioni affaristico-mafiose all’interno dei Tribunali per contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel sistema produttivo e giudiziario.

Dopo alterne vicende e conflitti intestini tra la Procura di Padova e il Tribunale fallimentare che ha cercato di salvare l’azienda infiltrata dalle ‘nandrine, il caso Edilbasso approda in Parlamento.

Alessandro Naccarato del Partito Democratico ha presentato un’interrogazione durante il “question time” alla Camera portando all’attenzione del governo il caso dell’azienda padovana Edilbasso. Il governo ha riconosciuto la vicenda come esempio di infiltrazione criminale anche nel Nordest e ha rinnovato il suo impegno futuro.

LA VICENDA. L’interrogazione di Naccarato ha ripercorso le tappe della storia dell’Edilbasso. L’azienda padovana, entrata in una fase di difficoltà economica nel 2010, ha dichiarato fallimento nel 2011 e ha affittato un ramo d’azienda alla Faber Costruzioni Srl, dietro alla quale compare Giovanni Barone. L’uomo, ricorda Naccarato, è coinvolto in un’inchiesta della procura di Milano che ha portato all’arresto di diverse persone, tra cui Salvatore Strangio, Andrea Pavone, Ivano Perego e Pasquale Nocera, accusati a vario titolo di associazione mafiosa in varie inchieste giudiziarie.

LA RISPOSTA DEL GOVERNO. «Le forze di polizia» ricorda Giarda, «svolgono una costante e proficua attività di monitoraggio finalizzata al contrasto dei tentativi di infiltrazione». Giarda ha ricordato alcune delle misure già in atto per la lotta all’infiltrazione mafiosa: tra queste l’implementazione del quadro normativo con il Codice Antimafia e le “white list” finalizzate all’attività antimafia nell’ambito dell’Expo 2015 milanese. Per il ministro la parola chiave sulla quale si basa l’azione del governo è la trasparenza e la disponibilità delle imprese a sottoporsi a controlli. «La prossima sfida» conclude Giarda, «sarà quella di estendere il controllo all’area privata per preservarla così come quella pubblica dalla minaccia delle cosche. Effettivamente bisogna riconoscere che l’attuale congiuntura economica può costituire un terreno fertile per l’attecchimento dei tentativi della criminalità organizzata in aree geografiche finora non colpite endemicamente da fenomeni mafiosi». Per il ministro le iniziative di sostegno agli operatori economici sono un «concreto sforzo» per dare un segno tangibile della vicinanza delle istituzioni.

 

LA CONFERMA DELL’ALLARME. Nella replica di Naccarato il deputato mette l’accento sulle responsabilità di questa situazione. «Non sono rassicurato da questa risposta» spiega, «ma sono parzialmente soddisfatto per la precisione con cui ha risposto ad almeno una parte del quesito. In passato c’è stata una colpevole sottovalutazione, anche da parte del governo precedente, del fenomeno». Naccarato fa riferimento anche all’arrivo di Riina jr a Padova ma sottolinea come il problema principale sia che le infiltrazioni mafiose tendono ad annidarsi nelle pieghe della crisi. «Si corre il rischio che il Veneto diventi terra di conquista in particolare per le imprese sane, in particolare nel settore dell’edilizia. Credo che serva un’attenzione maggiore e maggiori strumenti per potenziare la prevenzione e il contrasto contro la criminalità organizzata anche i Veneto», conclude Alessandro Naccarato.

Per la Edilbasso di Loreggia giovedì doveva essere la giornata decisiva. Risolvere la questione con i creditori e dare il via all’omologa, ovvero alla procedura di liquidazione concordata. E invece c’è stato il colpo di scena. All’incontro con i giudici del tribunale fallimentare ha partecipato anche il pubblico ministero Roberto d’Angelo che, davanti ai delegati rappresentanti delle aziende creditrici, si è opposto alla omologa del concordato e questo in virtù di approfondimenti in merito alla posizione creditoria di Edilbasso fatte dalla procura in collaborazione con la Guardia di Finanza. Pm e finanzieri stanno cercando di far luce su uno stretto giro di modifiche all’assetto societario della Faber costruzioni, società che ha mantenuto i rami produttivi di Edilbasso (appalti a Padova e Verona) per far cassa e pagare i creditori.

Dopo un anno di carteggi, la procura di Padova ha di fatto aperto un fascicolo esplorativo senza indagati per capire se Edilbasso e Faber abbiano svolto tutte le attività in piena legalità. La strada più concreta per la società edile di Loreggia ora è quella del fallimento, anche se non si escludono altri salvataggi in extremis. La vicenda Edilbasso è legata a doppio nodo a quella di Giovanni Schiavon, l’imprenditore titolare della Eurostrade 90 di Vigonza, che il 12 dicembre scorso si è suicidato perché «sommerso dai crediti », ovvero soldi che non riusciva a riscuotere. L’imprenditore avanzava (tra gli altri) 110 mila euro da Edilbasso. Con il concordato ne avrebbe presi circa seimila: alla notizia non ha retto. Questo, unito ad altri crediti che non riusciva a riscuotere lo hanno portato al suicidio. Per quanto riguarda Edilbasso la prossima udienza davanti al giudice fallimentare è fissata il 21 giugno. Il parere della Procura non è in questo caso del tutto vincolante, anche se i dubbi del magistrato pesano come macigni sulle scelte.

La decisione dei magistrati civili verrà presa anche sulla base di una dettagliata relazione di 18 pagine, in cui i commissari hanno ripercorso l’ultimo anno e mezzo della storia di Edilbasso e delle aziende collegate. I dubbi vengono sollevati a pagina 11, quando si parla di una interrogazione parlamentare presentata lo scorso aprile dal parlamentare del Pd Alessandro Naccarato, in cui si chiedeva al ministro Giarda di vigilare su alcuni assetti societari non del tutto chiari, ovvero l’entrata in Faber del commercialista calabrese Giovanni Barone e Adriano Cecchi, entrambi collegati, anche se non indagati, nell’inchiesta milanese sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta della società edile Perego strade. Nel marzo del 2011 Barone acquistò il 65% delle quote della Faber per poi lasciarle in parte a Cecchi e in parte ad un avvocato di Londra. In merito a questo giro di acquisti azionari i commissari segnalano che i fratelli Basso hanno dato spiegazioni rilevando «Una certa inaffidabilità dei soggetti terzi entrati nella compagine (…) e vista l’incapacità di queste persone di poter assolvere agli impegni sottoscritti si è proceduto al riacquisto delle quote». Ora il 90% della Faber è di nuovo dei Basso, il resto è di una società sempre riconducibile a Cecchi. Ma i creditori fanno un rendiconto preciso anche del difficile rapporto tra Faber e Edilbasso: a pagina 12 si parla di affitti e cessioni e «Giroconti personali» di centinaia di migliaia di euro e la convenienza del mantenere in vita la Faber viene ritenuta dai Commissari non una soluzione effettiva ma una «mera apposizione contabile». Appuntamento il 21 giugno. E intanto le indagini della procura continuano.

MOBBING E MALAGIUSTIZIA

MOBBING E MALAGIUSTIZIA

Pubblichiamo il caso eclatante di Gianni Favro, un insegnante di musica mobbizzato dalla scuola e calpestato dalla magistratura. Egizio Trombetta che ha realizzato il servizio tiene a sottolineare che le sue interviste sul mobbing non hanno la pretesa di essere delle vere e proprie inchieste. Si tratta per intero ogni vicenda per tentare di individuare le cause che hanno successivamente scatenato le aggressioni subite dagli intervistati.

SAN MICHELE AL TAGLIAMENTO (27 gennaio 2010)

Intevistatore: Gianni, quando nasce la sua storia?

Gianni: “Inizia quattro anni fa quando cercai di studiare e aggiornarmi professionalmente. Io sono un insegnante di scuola media, insegno clarinetto. Da quel momento nasce il mio calvario, invece di essere tutelato dalla scuola per cui lavoro e dall’università dove vado a studiare, mi sono visto ostacolare in un modo che non avevo previsto. Ho avuto grandi difficoltà ad ottenere da parte della scuola le agevolazioni che mi spettavano, le centocinquanta ore. Grandi difficoltà le ho avute anche da parte del conservatorio dove stavo conseguendo altre Lauree. Sono arrivato quasi alla quinta Laurea.

”Centocinquanta ore? Di cosa stiamo parlando?

“Sono un diritto del lavoratore ad usufruire di centocinquanta ore durante l’anno scolastico per poter studiare ed aggiornarsi. Si in tratta in sostanza di permessi, ore retribuite. E’ dunque lo Stato che garantisce la formazione. Queste normative, nel nostro caso, sono garantite da Contratto Collettivo Nazionale e dal Contratto Collettivo Regionale Integrativo.

Quindi ha subito pressioni orientate a non farle prendere questi permessi straordinari

“A tal proposito è stata una denuncia pubblica da parte della Cigl di Pordenone dove si legge: pressing psicologico per evitare le assenze dei docenti attivato dai dirigenti o dai direttori amministrativi per evitare il problema delle sostituzioni. In pratica si vogliono risparmiare dei soldi sulla pelle degli insegnanti che vogliono aggiornarsi. I dipendenti pubblici che hanno intenzione di aggiornarsi stanno subendo delle vessazioni ”

Che tipo di comportamenti ha subito da parte dei suoi superiori e da parte dei suoi colleghi?

“Ho ricevuto pressioni di tipo psicologico. Le pressioni si sentono nell’aria, ma ho subito anche delle negazioni vere e proprie ad ottenere i permessi dal punto di vista burocratico. Da parte dei colleghi non posso dire che c’è stata neutralità. Il mobbizzato viene sempre lasciato solo, separato dagli altri colleghi”.

”E quindi?

“E quindi nessuno ti aiuta” Mi faccia un esempio “Lo scenario è questo, io vado a scuola e trovo degli insegnanti che nei corridoi non ti salutano,  ti evitano, anche se vuoi parlare loro di problemi didattici. Parlare col mobbizzato vuol dire esporsi, correre dei rischi, compromettersi”

Non la invitano nemmeno a prendere il caffè?

“Assolutamente no. Avevo dei grandi amici all’interno della scuola, queste amicizie sono andate perse”

Cosa intende lei per amicizia?

“Voleva dire che prima che iniziassi a studiare, più di quattro anni fa, andavamo a mangiare una pizza insieme, si collaborava nei vari progetti per la scuola e oggi mi ritrovo assolutamente isolato”

Quindi adesso va a mangiare la pizza da solo?

“Adesso sicuramente non frequento queste persone, ma non per mio volere”

Lei ha subito più mobbing verticale, da parte dei suoi superiori, o più mobbing orizzontale?

“Il mio mobbing è soprattutto verticale, in quanto sono stato licenziato  con dei pretesti inventati. Subii uno shock da licenziamento.  Trascorsi quattro giorni dal mio licenziamento ricevo una missiva che mi notifica la condanna a quattro mesi e quindici giorni di reclusione, senza processo, per danno all’erario. Secondo un dirigente io non avrei giustificato le mie assenze”

La motivazioni del licenziamento sono state dunque le assenze?

“ Le motivazioni del licenziamento sono complesse. Ci sono sei assenze considerate ingiustificate che non c’entrano con le centocinquanta ore, sono permessi di studio che avevo chiesto per sostenere esami di stato. Noi insegnanti abbiamo otto giorni all’anno di permesso per sostenere esami riconosciuti dallo Stato. Io mi sono presentato a questi esami e stranamente all’Università non mi hanno consentito di sostenerli. Quando mi sono presentato  a scuola ho giustificato le assenze come gravi problemi personali. Il preside della scuola non ha tenuto conto di queste giustificazioni e ho subito una contestazione di addebiti”

Quando è stato licenziato?

“Il 4 giugno del 2010 ho ricevuto una lettera di licenziamento”

Immagino che avrà già fatto  vertenza?

 “Ho fatto un ricorso d’urgenza prima di fare la vertenza vera e propria. Ho chiesto di tornare a lavorare prima di andare in causa in quanto il mio licenziamento è illegittimo. Ho avuto delle difficoltà. L’altro giorno ho avuto udienza dal consiglio del tribunale perché ho fatto ricorso su quanto il giudice aveva emesso in sentenza”

Ci può parlare delle cause fisiche provocate da questo periodo di stress?

“La pressione psicologica che inizia già con le prime remissioni ad attenere i permessi, credetemi è veramente dura. Dopo una prima fase si comincia ad andare dal medico per chiedere dei sonniferi, dei tranquillanti, ma anche supporto tecnico, quindi da uno psicologo o da uno psichiatra per poterti sostenere in questa situazione. Sono stato monitorato dal centro del sonno perché non riuscivo più a dormire. E’ un danno fisiologico veramente grave”.

Lei ha delle carte da mostrarmi mi sembra di capire…

“Io ho qui una mia richiesta per iscrivermi ad un corso abilitante dove il ministero mi scrive: caro professor Favro, non risulterebbero sussistere i requisiti previsti dalla normativa e per partecipare al corso abilitante”

Senta professor Favro, ma qualcuno le ha mai fatto capire che se non si fosse aggiornato avrebbe messo a repentaglio la sua stabilità lavorativa?

“Assolutamente no. Questa mia volontà di autoaggiornamento è data sicuramente dal fatto di essere musicista. Il musicista studia costantemente con lo strumento. Sarà anche una questione innata perché sono arrivato alla mia quinta Laurea. Questa mia motivazione  è stata riconosciuta intanto dalla avvocatura di stato, ma è stata anche data dagli auspici del Ministro Brunetta ”

Ma nel 2006 Brunetta non c’era ancora… “Non c’era Brunetta ma essendoci delle possibilità si cerca di sfruttarle. Fa parte dell’individuo migliorarsi ”

Quindi l’ostacolo maggiore l’ha incontrato a livello economico, per i costi che l’istituto si trovava a fronteggiare a seguito dei permessi che lei intendeva prendere. Non fu preso di mira personalmente per qualche motivo legato alla sua persona.

“Si questo è vero. Nel mio piccolo posso dire di essere stato un buon insegnante, di aver portato tanti allievi ai concorsi, la mia attività è stata certamente apprezzata anche dai genitori. Le vincite dei concorsi da parte dei miei allievi ne sono le prove. Sono diventato un insegnante scomodo perché mi sono opposto a queste negazioni”

Ma non le mai venuto mai in mente di aver tirato un po’ troppo la corda?

“Mah, se avessi preso tutte le centocinquanta ore ogni anno e avessi speculato  posso capire. Ma io ne ho prese la metà oppure ho chiesto l’adeguamento dell’orario di servizio”

Lei ha mai cercato un confronto diretto col suo dirigente? “Credo di avergli mandato un centinaio di lettere…”

In generale, le vessazioni al corpo insegnati, sono frequenti?

“L’Istat tempo fa ha fornito dei dati impressionanti per quanto in Italia sia grave questo problema. Le posso mostrare il Contratto  degli insegnanti del 2006, all’articolo 98, dice che proprio per ostacolare il Mobbing avrebbe dovuto esserci l’istituzione di un comitato paritetico sul Mobbing e uno sportello di ascolto direttamente nelle scuole. Siccome il Contratto Collettivo è legge e questi comitati paritetici non sono stati ancora organizzati, significa che le attività scolastiche sono fuori legge. Serve una figura di mediazione fra docente e dirigente. Se non vengono attivati questi comitati anti-mobbing ci sarà sempre questo grosso problema. Un plauso alla Lombardia che ha istituito un giudice di pace fra docenti e dirigenti. C’è la denuncia su La Repubblica del segretario nazionale della Gilda, un altro sindacato, secondo cui le scuole in Italia sono diventate come caserme. Chi non ubbidisce, chi cerca di far valere le proprie ragioni e i propri diritti, viene anche vessato”

Guardi la voglio tranquillizzare… non è così solo nelle scuole. “Certo ma abbiamo l’articolo 2087 del Codice Civile che parla della salute e della personalità morale del dipendente. Quindi il datore di lavoro è dovuto a salvaguardare la salute e la personalità morale del dipendente. Questo è assolutamente mancato nel mio caso e manca in tutti i casi dove si verifica una situazione di Mobbing”

Nel dicembre 2010 c’è stata una sentenza importante “La Corte di Cassazione nella sentenza numero 44083 depositata il 21 dicembre 2010 dichiara espressamente: il comportamento vessatorio continuato in pregiudizio di un lavoratore non costituisce ne maltrattamenti ne Mobbing, ma violenza privata continuata aggravata.  Quindi questa è una sentenza che apre molte porte, che apre molte possibilità di difesa per il lavoratore. Adesso, mancando una legge sul Mobbing a differenza della Francia, ad esempio, c’è però questa sentenza che però è una pietra miliare i cui giudici non possono ignorare”

Ecco ma l’aggredito come se ne può avvalere?

“Il lavoratore, appena viene aggredito si rivolga ad un avvocato e faccia valere le sue ragioni attraverso il suo avvocato prima di arrivare alle denuncie. Non esitare a denunciare il tutto alle autorità preposte”

Ma l’aggredito per far valere i suoi diritti, che tipo di contratto deve avere? “Deve armarsi di pazienza…”No no, intendo che contratto di lavoro deve avere “A tempo indeterminato”

E tutti quelli che hanno contratti a progetto non possono fare nulla “Ah no, non sono informato, non so se per i precari esiste la stessa tutela”  

Fra le sue carte ho notato l’immagine di Sakineh. Mi spiega?

“Si tratta di un messaggio che io sto inviando . Sono stato a Roma per dodici giorni a protestare nei vari ministeri per chiedere giustizia  e di chiedere di risolvere la mia problematica. Andando in giro per i vari palazzi di Roma non ho potuto non notare affissa per i muri della capitale l’immagine di Sakineh. Per lei si sono mobilitate tutte le istituzioni. Per Gianni Favro, insegnante, perseguitato da quattro anni dalle istituzioni pubbliche dello Stato Italiano, definito democratico e civile, è ora considerato un fuori legge. Per Gianni Favro non si è mobilitato nessuno o quasi”

Mi perdono Favro, a me risulta che Sakineh stia rischiando la vita… “Io credo di aver pensato almeno cento volte al suicidio, almeno nei momenti gravi”

Come viene considerato un mobbizzato dagli amici e dai colleghi?

“Ma non solo dagli amici e dai colleghi, anche dai familiari. Viene considerato come una persona che si è fissata nei suoi diritti. Allora, intanto, non si capisce la problematica. In questo periodo ho perso tanti amici e non solo quelli di scuola. Ci si ritrova spesso ad essere incompresi. Ho perso anche la morosa, le ragazze mi stanno lontano perché capiscono che io sono in tensione, ma forse avranno anche paura della mia problematica. Con i miei amici ci si rivede davanti ad un bicchiere di vino, sono incuriositi dalla mia vicenda , ma niente possono fare. Non c’è un amico che si sia interessato veramente della mia problematica, tanto meno i miei familiari che secondo loro bisognerebbe lasciar perdere. Ma arrivati a questo punto non si può”

Senta ma i quattro mesi di reclusione li ha mai scontati?

“C’è un procedimento penale in corso, sto difendendomi in tribunale anche senza l’avvocato perché gli avvocati non stanno facendo niente per me. Gli avvocati in udienza scappano, non mi danno la possibilità di difendermi. C’è una grave debolezza degli avvocati verso le amministrazioni pubbliche. Il dipendente pubblico non viene tutelato in tribunale, dagli avvocati, ma anche dai magistrati”

Prima di iniziare l’intervista mi ha mostrato il Kit del mobbizzato. Me ne parla brevemente? Può riassumerci in cosa consiste questo Kit? “Il mio è un Kit del mobbizzato manifestante. E’ composto da megafono, le bandiere italiane, e tutta una serie di cartelloni con su scritto frasi come “Gli avvocati difendono i criminali ma non i docenti dagli abusi della scuola,  Docente in autoaggiornamento condannato illecitamente a quattro mesi di reclusione con falsità e senza processo”.

di Egizio Trombetta

http://www.egiziotrombetta.com/index.php?option=com_content&task=view&id=316&Itemid=1

MASSOMAFIA A VENEZIA. SOTTRAZIONE DI FASCICOLI RISERVATI. LA DENUNCIA DI CARLO PALERMO

I FILONI VENETI DI INDAGINE RIMASTI INESPLORATI SULLE MASSOMAFIE.

Dato il vivo dibattito sull’argomento e l’interesse che riveste per il raggiungimento delle verità nascoste pubblichiamo in calce il testo dell’emblematica lettera inviata al Ministro di Grazia e Giustizia, dall’ ex Giudice Istruttore Carlo Palermo. La missiva risale al 1996, ma è tuttora attuale, grave, nitida: un atto di accusa contro i vertici del sistema giudiziario veneziano e dello Stato, che non richiede commenti e mette in luce come la «massomafia», possa agire indisturbatamente dalla Sicilia al Veneto, facendo sparire addittura interi fascicoli contenenti atti «top secret» dagli archivi riservati della Procura dello storico capoluogo veneto, dove tra acqua, terra e cielo, governa nei secoli l’illuminismo massonico, oscurato dalle sue stesse ombre, dalle collusioni politico-finanziarie, dalla sete di potere o, per usare un eufemismo, dalle contaminazioni con il “mondo profano”. 

Negli anni ’80, Carlo Palermo, quale Giudice Istruttore, partendo dalla Procura di Trento, condusse la grande inchiesta sul traffico di armi, droga, riciclaggio e finanziamenti illeciti, che i successivi eventi e stragi che hanno insanguinato importanti città anche del Nord e centro Italia, hanno messo in evidenza essere di decisiva importanza per dipanare quello che lo stesso Carlo Palermo definì come “quarto livello” [cioè il rapporto mafia, politica, affari, massoneria, servizi segreti], e che poi costò la vita a chi, dopo di lui, ne seguì coraggiosamente le orme, dal Sostituto Procuratore Rosario Livatino sino ai giudici Falcone e Borsellino.

L’azione di Carlo Palermo fu bloccata infatti da martellanti ingerenze e persecuzioni politico-giudiziarie, durante il governo Craxi, sino all’attentato stragista di Pizzolungo, nel 1985, da cui si salvò a stento, riportando lesioni permanenti, ma che provocò la morte di Barbara Rizzo Asta e dei suoi due figli gemelli Giuseppe e Salvatore.

In un intervista, pubblicata su Antimafia 2000, a riguardo, Carlo Palermo, ebbe a dichiarare:

Nell’85, scelsi di venire a Trapani per proseguire un’attività avviata 5 anni prima a Trento. L’attentato ritengo sia da inquadrare in un progetto preventivo“. In altre parole bisognava fermare con ogni mezzo quelle indagini scomode ai poteri occulti per cui prima di lui erano già stati trucidati dalla «massomafia» una serie di altri incorruttibili magistrati e funzionari dello Stato, tra cui Ciaccio Montaldo, del quale proseguì le indagini sul rapporto mafia-politica e i traffici internazionali di armi droga, con la regia di faccendieri e piduisti e la copertura di servizi segreti deviati. 

Sull’anomalo svolgimento delle indagini ed epilogo del caso, Carlo Palermo rimarcò la “contraddizione” legata al fatto che il processo a carico dei presunti esecutori materiali, svoltosi a poca distanza dai fatti, “sfociò nelle assoluzioni“, e che “la condanna dei presunti mandanti avvenne molti anni dopo e solo per le dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, questi ultimi neppure ascoltati organicamente”.
Carlo Palermo ha poi ricordato che, all’epoca, “nonostante la chiedessi in continuazione, non vi era alcuna vigilanza sulla mia abitazione (una villetta al Villaggio Solare, in territorio di Valderice), né fu mai eseguita un’attività di bonifica lungo il percorso che facevo ogni mattina”. Per l’ex magistrato, “l’assenza di un controllo preventivo ha concorso in quest’attentato”.
“Auspico che in un futuro prossimo – ha detto Carlo Palermo – maturino i tempi e le condizioni per una ricostruzione storica”. “E’ da 23 anni che inseguo determinate piste”.

Come afferma Peppe Sini del Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo, a proposito della missiva dell’ex magistrato al Ministro di Giustizia, rimasta priva di risposte concrete: «l’effetto su chi legge la lettera è folgorante: in queste poche righe si rivelano più cose sull’Italia e sul potere che in tanti ponderosi trattati».
Per questo anche noi crediamo utile diffonderla ulteriormente: «come atto di solidarietà, come protesta contro l’ingiustizia, come impegno per la memoria e per la verità, come contributo alla lotta contro i poteri criminali ed i loro complici».

Ecco il testo della lettera di Carlo Palermo pubblicata alla fine del suo libro “Il giudice“. (Reverdito Edizioni, Trento 1997)

“Egregio  Signor Ministro,
il 30 ottobre scorso, su richiesta del Sostituto Procuratore Paolo Fortuna di Torre Annunziata, ho collaborato, a Venezia, alla ricerca di alcuni atti processuali facenti parte del fascicolo relativo al procedimento penale da me istruito a Trento in qualità di giudice istruttore negli anni 1980-84, e successivamente definito con sentenza dal Tribunale di Venezia.

Nell’occasione – presente era un sottufficiale dei Carabinieri di Torre Annunziata, e (all’inizio) il Sost. Proc. di Venezia dott. Foiadelli, che ci ha condotto sul posto -, è stato possibile constatare che quel fascicolo, che in origine era di circa 300.000 pagine processuali tutte chiuse in faldoni catalogati, si trovava invece, di fatto (all’interno di uno scantinato contenente altri archivi processuali) letteralmente sfasciato, sventrato, mancante di almeno 2/3 dell’originale. Le carte residue si trovavano ammucchiate per terra e in scatoloni aperti, con evidenti specifiche mancanze di atti originali.

Il dottor Foiadelli precisava che, tra questi atti, un’agenda del 1980 (da me sequestrata al direttore del Sismi, il generale Giuseppe Santovito), era stata legittimamente prelevata dal giudice istruttore di Roma Rosario Priore in connessione all’indagine da lui oggi condotta sulla strage di Ustica. Al di là di questo specifico rinvenimento, rimane il dato di fatto, constatabile ictu oculi, che il fascicolo in questione non esiste più: esistono solo poche e ormai inutilizzabili “carte” scompaginate, abbandonate e lasciate in luogo e modalità quasi incredibili, trattandosi pur sempre di atti processuali da custodire secondo modalità disciplinate dalla legge e suscettibili comunque di essere consultate a vari scopi. A parte l’amarezza personale per lo stato di questi incartamenti, che
costituirono il prodotto di quattro anni di lavoro di magistratura e di organi di polizia giudiziaria, non ritengo di essere personalmente in grado di valutare quali iniziative forse dovrebbero essere attivate, se non altro, per recuperare quel che rimane di quel fascicolo, che probabilmente racchiudeva la chiave dell’attentato che subii a Trapani e che ancor oggi continua a offrire spunti utili ad indagini attuali della magistratura.

Quanto sopra segnalo alla S. V. per quanto riterrà del caso.
Un cordiale saluto.
Trento 10 novembre 1996
Carlo Palermo

Opere di Carlo Palermo:

Riflessioni di un giudice, Editori Riuniti, Roma 1987; L’attentato, Publiprint, Trento 1992;

Il quarto livello, Editori Riuniti, Roma 1996;

Il giudice, Reverdito, Trento 1997; Il papa nel mirino, Editori Riuniti, Roma 1998;

Ustica, Avvenimenti, Roma 1998.

Una sintesi della sua inchiesta del 1980-1984 è stata pubblicata, in Armi & droga:

L’atto d’accusa del giudice Carlo Palermo, Editori Riuniti, Roma 1988 (con un saggio introduttivo di Pino Arlacchi).

Segnaliamo inoltre l’intervista, a cura di Michele Gambino, Armi & droga: la mia inchiesta, suppl. ad “Avvenimenti”, Roma 1992.

VERONA: UNA VOCE DI DISSENSO DAL PROFONDO NORDEST

Di fronte al silenzio delle Istituzioni, dei partiti di governo e di opposizione, nonché di tanti credenti, un gruppo di famiglie di Verona decide di gridare il proprio dissenso di fronte al modello muscolare che ispira molti politici, di centrodestra “ma anche” di centro sinistra. Capannoni e fabbriche abbandonate punteggiano il territorio di ciò che fu il “modello Nordest”. Quei luoghi, testimonianza di un lavoro che non c’è più, divengono rifugio per i disperati della terra, che, oramai, sono diretti concorrenti delle fasce più deboli dei lavoratori italiani. Cancellare con un colpo di spugna i problemi che attanagliano ogni giorni i cittadini grazie al “nemico esterno”, sia esso africano o rumeno, ed esporre la sua “punizione” davanti a televisioni e a pseudogiornalisti compiacenti, è diventato un cinico veicolo di consenso. Per il gruppo di veronesi, ciò supera il proprio livello di sopportazione umana. Nessuno è un attore, regista, montatore professionista, nemmeno dilettante, ma han ritenuto che l’urlo poteva essere udito meglio se veniva trasmesso attraverso le moderne tecnologie che il web mette a disposizione. 
L’ironia, la satira e il paradosso possono aiutare a capire la realtà che ci circonda…visto che, purtroppo, la stampa e i mass media hanno da tempo rinunciato a raccontare la cronaca dei fatti.
Per maggiori informazioni linka www.gericotv.it
Mauro Tedeschi
Per vedere il video:

Signor giudice, un suo errore mi ha messo sul lastrico. Lo corregga!

E’ la denuncia accorata di un imprenditore di 44 anni di Chioggia vittima di un giudice veneziano che ci allega la lettera che ha scritto ad un magistrato del Tribunale di Venezia, rimasta senza risposta, seppure pubblicata con risalto dalla stampa locale.

La decisione del magistrato è ritenuta basata su un presupposto completamente errato e gravemente viziata da ultra-petizione.

Il silenzio del giudice chiamato in causa non depone ovviamente a suo favore, anche perchè il provvedimento ha di fatto decapitato ogni iniziativa imprenditoriale del soggetto passivo, provocando la vendita all’asta di tutti i suoi beni, nonostante le prove documentali e le perizie di due diversi tecnici che smentivano le pretese creditorie della controparte.

Ecco la lettera.

Le scrivo questa lettera di mia iniziativa, sconsigliato vivamente dal mio legale.

Ritengo di non arrecarLe alcun disturbo, di non ledere la Sua posizione di magistrato e di rispettare sostanzialmente le regole.
Sono l’amministratore, legale rappresentante e socio accomandatario di una società immobiliare.

Da inizio 2008 stiamo sostenendo una lite contro il titolare di una ditta (ed ora i suoi eredi) per un contratto di appalto mai onorato dal predetto e che mi vede soccombere a seguito di un decreto ingiuntivo (seguito da precetto e pignoramento) che Lei ha concesso a favore della controparte. E’ ormai chiaro nel giudizio di opposizione che sono state emesse fatture “stra” gonfiate, sono stati fatturati lavori inesistenti, sono state modificate ad arte le date di esecuzione dei lavori.
Tuttavia io soccombo davanti al decreto ingiuntivo “provvisoriamente” esecutivo da Lei concesso che troverà esecuzione il 30.06.2010 (con la vendita all’asta di tutti i beni della società – circa 540.000 euro il valore di perizia – contro un credito massimo accertato dal perito di euro 20.000 ca). Lei ha concesso quel decreto sul presupposto completamente errato che 96.000 euro di fatture non fossero mai state pagate. Tuttavia la controparte non ha mai richiesto il pagamento di quelle fatture.
Io ho compiuto 44 anni il 01.07.2010, il giorno successivo alla vendita coatta dei beni della mia società. Ho iniziato a lavorare a soli 13 anni per non gravare sulla mia famiglia con il primo dei miei vezzi (il motorino); da allora sono sempre stato finanziariamente autonomo. Ho acquistato la mia abitazione a soli 29 anni ed ho avviato varie attività con il solo intento di migliorare la situazione economica generale mia e della mia famiglia. Non sono certo un “bamboccione”. La mia fedina penale è pulita e non avevo mai messo piede in un’aula di Tribunale prima del gennaio 2008. Dopo circa 30 anni di duro lavoro, senza mai una lite di qualsivoglia natura, senza mai aver recato danno a chicchessia, trovo Lei che, a seguito di un banalissimo errore, mi porta via tutto quello che ho.
Sino ad oggi, tra perizie, avvocati, interessi passivi, ecc. questa lite nella quale Lei mi ha trascinato mi è costata oltre 80.000 euro; a questi vanno aggiunti i danni agli immobili ancora in possesso della controparte ed il minore valore delle valutazioni del perito (circa 170.000 euro in meno delle tre offerte di compravendita in nostro possesso sui cespiti di Canal di Valle). Il danno arrecatomi supera abbondantemente il mezzo miliardo delle vecchie lire. A questo va aggiunto il patrimonio dell’intera società (circa 300.000 euro), la perdita dei crediti di natura fiscale, l’impossibilità di continuare ogni attività, ecc.
Valuti nel Suo intimo se un minimo di onestà intellettuale e di volontà di ammettere i propri errori e un’eventuale accelerazione dell’iter della causa di opposizione al D.I. sarebbero stati o meno opportuni. Le ricordo che Lei ha respinto ogni nostra istanza di abbreviare i tempi e che tra l’ammissione di testimoni per accertare situazioni da noi mai contestate e rinvii continui per le più svariate motivazioni la causa è rimasta bloccata per oltre 12 mesi. Ritengo vergognoso che, dopo aver appurato un errore (compiuto in buona fede), un esponente della magistratura non si attivi per correggerlo. Non mi interessano riti, procedure, metodi, ecc., ritengo che un minimo di onestà intellettuale sia migliore di qualsiasi procedura. Ritengo dall’alto della mia ignoranza del codice di procedura civile, che la legge consenta di modificare una scelta che provoca grave pregiudizio ad una parte.
Le chiedo scusa per non essermi espresso in un “legalese” adatto alla circostanza; ritengo comunque che Lei già conosca la situazione e pertanto potrà tollerare qualche lieve difetto di forma. Non posso e non voglio chiederLe di ammettere un palese errore che mi vedrà impegnato per i prossimi dieci e forse più anni della mia vita in una causa contro lo Stato e poi presso la Corte dei Conti per verificare il recupero del danno erariale nei Suoi confronti. Le comunico semplicemente che nel mio più profondo intimo, dopo aver pregato Dio perché tuteli la salute della mia famiglia, gli chiedo semplicemente che un giorno Lei possa vivere la stessa esperienza di profonda e matura giustizia che sto vivendo io (spero Lei abbia percepito il sottile sarcasmo; nel dubbio mi permetto di evidenziarlo).
E’ maturata in me la convinzione che – visto il modo in cui viene amministrata la giustizia – rispettare le regole della vita civile (siano leggi o mere norme comportamentali) non serve a nulla quando si finisce in quei tritacarne che Voi chiamate aule di giustizia. Molto meglio delinquere e sperare che vada sempre tutto bene; se così non sarà ci saranno sempre condizionali, amnistie, grazie, riduzioni di pena, sconti per buona condotta, permessi premio, prescrizioni, ecc.
Al di là delle mie preghiere, considerazioni e convinzioni personali, la mia richiesta è semplicissima. Le chiedo formalmente di attivarsi presso l’Associazione Nazionale Magistrati, affinché per pura par condicio, nelle pagine del sito dove vengono ricordati i magistrati massacrati dalla malavita, siano anche aggiunti i nomi dei cittadini massacrati ingiustamente dai magistrati. Se volesse accedere al sito per meglio capire a cosa mi riferisco l’indirizzo è: http://www.associazionemagistrati.it/articolo.php?id=154.
Antonio Duse
Chioggia (Venezia)

(29 agosto 2010)

La copia di tutto il fascicolo processuale (alto ormai tre spanne) è a disposizione di chiunque voglia visionarla.

http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=116591&sez=LADENUNCIADELGIORNO.

 

TREVISO: LA MAFIA DELLE ASTE

TRIBUNALE DI TREVISO. Maria Coletti, anziana pensionata, denuncia di essere vittima di una preordinata azione estorsiva da parte della Banca di Credito Cooperativo Alta Marca e di un gruppo di speculatori locali, che nonostante siano stati interamente soddisfatti delle rispettive pretese creditorie, aventi tra l’altro natura usuraria, ottengono illegittimamente dal Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Treviso, Umberto Donà, che l’abitazione e un annesso terreno di notevole prestigio di sua proprietà, siano messi all’asta a valori di pura ricettazione. Denunce, ricusazioni e ogni possibile forma di opposizione non sortiscono alcun effetto se non l’avvicendamento del dr. Donà, trasferito alle funzioni di Gip, coi giudici Valle e Bigi, che ne seguono supinamente le orme, senza neppure peritarsi di disporre una perizia contabile sulle somme effettivamente dovute e sull’effettivo valore dei beni pignorati nè, tantomeno, di acconsentire, pur a fronte del versamento di un acconto pari ad un quinto dell’intero importo indebitamente preteso, al pagamento rateale del residuo in 18 mensilità, mediante la cosiddetta “conversione del pignoramento“, espressamente prevista dall’art. 495 c.p.c. Dilazione che, alla luce delle precarie condizioni economiche di Maria Coletti e del suo status di pensionata e di vittima dell’usura non poteva quindi legittimamente non venire applicata.
L’immobile ha il torto di affacciarsi sui campi dell’Asolo Golf Club di proprietà della famiglia Benetton e di fare gola ai soliti speculatori immobiliari ben introdotti nel locale tribunale che, avvalendosi del clima di complicità e omertà regnante tra i magistrati di Treviso, intendono demolire tutto e costruire villette a schiera e strutture per nababbi. In buona sostanza, nessun magistrato se la sente di applicare la legge, ponendo fine a un sistema di malaffare giudiziario che, da decenni, asseconda gli illeciti interessi di un cartello di speculatori, in grado di condizionare le vendite giudiziarie e i fallimenti, attraverso la collusione di intranei ai centri di potere del Tribunale di Treviso. Non è certo un caso che al giudice Donà sia stata avvicendata la dr.ssa Franca Bigi, i quali risultano entrambi già indagati dalla Procura di Trento, per un’analoga estorsione paralegale in danno di Bernardi Nellida, patrocinata da Avvocati senza Frontiere. Né, tantomeno, può essere un caso che dopo ben otto opposizioni ad ogni singolo atto esecutivo, in cui sono state denunciate continue sparizioni di atti processuali e l’omessa fissazione delle udienze, l’immobile della signora Coletti, di mq. 525, oltre a mq. 1100 di terreno edificabile, del valore di almeno € 600.000,00, sia stato svenduto a soli € 123.000,00, in un’anomala gara senza incanto, all’unico offerente.  Tutto ciò, in assenza di qualsiasi provvedimento di sospensione dell’esecuzione e, addirittura, della stessa fissazione delle udienze di comparizione parti sulle predette opposizioni agli atti esecutivi, rimaste, tutt’oggi, inesaminate. Omissioni la cui pervicace impunità fanno venire meno il principio di legalità e il divieto di denegare giustizia, previsti dal nostro ordinamento, dando luogo ad un fenomeno ormai molto diffuso in tutto il Paese che potremmo definire di vero e proprio <dispotismo giudiziario>, che è il preludio alla soppressione anche formale dei diritti dei cittadini. A riguardo, basti dire che la povera signora Coletti e la segretaria dello studio legale che l’assiste hanno dovuto fare intervenire i Carabinieri, presso la cancelleria del Tribunale di Treviso, per potere riuscire ad esercitare il diritto di visionare il fascicolo di ufficio ed estrarre copie degli atti, previsto dall’art. 76 disp. att. c.p.c.  Senza parlare della sparizione del verbale con le offerte pervenute alla cancelleria, dapprima misteriosamente sparito, eppoi a dire del giudice dr. Valle rinvenuto nella sua stanza, senza che, però, tale verbale comprovante la liceità della gara risulti tuttora reperibile…
Dopo avere denunciato alla Procura Antimafia di Trieste l’operato dei magistrati di Treviso e l’inerzia del P.M. di Trento, Dr. De Benedetto, nei mesi scorsi i difensori della Sig.ra Coletti ottengono finalmente la sostituzione del G.E. dr.ssa Bigi, seppure ogni precedente ricusazione nei confronti dei giudici Donà, Valle e Bigi, fosse stata respinta dal Presidente del Tribunale Dr. Napolitano, il quale prima di andare in pensione pensa bene di denunciare il difensore della sig.ra Coletti al Consiglio dell’Ordine Avvocati. Mentre da parte sua la dr.ssa Bigi sporge denuncia per il preteso reato di “calunnia” alla Procura di Trento, sia nei confronti del legale che della parte, non trascurando prima però di trasferire la proprietà dell’immobile, senza preoccuparsi della pendenza di ben sei ricorsi in opposizione alla vendita, rimasti inesaminati, e del conflitto di interessi grande come la casa che ha alienato a valore vile, derivante dalla posizione di persona indagata e a sua volta parte lesa per le ipotesi di pretesa “calunnia” in suo danno.
Ma, anche con la nomina del nuovo giudice, Bruno Casciarri, seppur formalmente più corretto, la musica sembra non cambiare. Le udienze in sospeso finalmente vengono fissate, ma seppure sia stato provata l’irrisorietà del prezzo di aggiudicazione e che la sig.ra Coletti aveva già pagato sino all’ultimo centesimo quanto ancora indebitamente preteso dalla banca, a fronte di un’inesistente acquisto di titoli CTZ, mai richiesti, il Giudice dell’Esecuzione continua a tergiversare, senza provvedere a sospendere l’efficacia del decreto di trasferimento impugnato sin dal novembre dello scorso anno, mentre l’esecuzione di rilascio avviata dall’aggiudicatario prosegue indisturbata.

In tale anomalo contesto la Procura Antimafia di Trieste non ha ancora assunto alcun provvedimento a tutela della querelante sig.ra Coletti, seppure il P.M. di Trento risulti ingiustificatamente inerte, anche alle stesse sollecitazioni del G.I.P. dr. La Ganga, il quale dal 2005 ha ripetutamente e vanamente chiesto suppletive indagini a carico del dr. Donà e di altri magistrati trevigiani. Provvedimento rimasto illegittimamente ineseguito con il pretesto della pendenza di due ricorsi in Cassazione, proposti dal P.M. De Benedetto, avverso le citate richieste di suppletive indagini avanzate dal Gip. A riguardo non si può poi fare a meno di denunciare il comportamento omissivo e ostruzionistico della Procura Generale presso la Corte di Appello di Trento, che nonostante i ricorsi in Cassazione siano stati respinti da oltre due anni ha omesso di avocare le indagini e di esercitare l’azione disciplinare nei confronti del P.M. De Benedetto, che quale rappresentante della Pubblica Accusa non aveva alcun titolo né apparente interesse ad opporsi allo svolgimento delle indagini ritenute opportune dal Gip. Un’evidente inversione dei ruoli e stravolgimento delle funzioni giudiziarie, per cui ci ritroviamo a pagare lo stipendio a dei magistrati che, invece di tutelare i diritti dei più deboli, appaiono più protesi a proteggere ad oltranza gli interessi del potere e di coloro che attentano ai diritti dei cittadini, facendo perdere credibilità all’intero sistema giudiziario e speranza di legalità.
Al danno si è dulcis in fundo aggiunta la beffa, in quanto il P.M. De Benedetto ha richiesto l’archiviazione della querela relativa al caso Coletti, sostenendo falsamente e contrariamente a qualsiasi evidenza documentale trattarsi delle “medesime questioni oggetto del caso Bernardi”, per cui a suo dire sarebbe già intervenuta l’archiviazione. Cosa, invece, non corrispondente al vero, in quanto i due predetti improponibili ricorsi per Cassazione avverso le richieste di suppletive indagini avanzate dal GIP sono stati respinti, senza che in seguito siano mai state svolte le indagini a carico dei magistrati trevigiani e sia mai intervenuto alcun formale provvedimento di archiviazione, come dimostrato dall’attestazione di pendenza rilasciata dalla cancelleria del Tribunale, che è stata allegata alla Procura Antimafia di Trieste dalla quale da vari anni si attende giustizia e provvedimenti idonei a ripristinare la legalità presso il Tribunale di Treviso.
Senza contare che il Presidente della nostra Associazione, nelle more, è stato rinviato a giudizio dalla Procura di Treviso, a tempi di “giustizia scandinava”, per il preteso reato di diffamazione a mezzo internet, in qualità di responsabile del sito di Avvocati senza Frontiere, in cui si denunciano i casi Bernardi, Coletti e altri.
Eppure c’è ancora chi pensa che la mafia e la collusione dei giudici siano un fenomeno tipicamente delle regioni del Sud Italia e che la mafia giudiziaria non esista o non costituisca una priorità a cui la società civile deve porre urgentemente rimedio. N.B.: Il prossimo 14.5.08 alle ore 8.30, in pendenza di otto opposizioni ad ogni singolo atto esecutivo,  avrà luogo l’illecito spoglio paralegale dell’immobile, in assenza di qualsiasi provvedimento del G.E. di Treviso, dr. Casciarri e della DDA di Trieste.

Tratto da: “Viaggio nei tribunali più corrotti d’Italia”

Per saperne di più scarica la denuncia alla Procura di Trieste.

http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=142

 

LA SOLITA MAFIA TREVIGIANA

 

Membri della lega invocano metodi da SS contro gli immigrati, Senza strascichi giudiziari. La condanna beffa nel Paese degli insulti. Sentenza (e appello) da record per aver detto “vergogna” a una giunta leghista. Accade in provincia di Treviso

Su col morale: la giustizia sa essere velocissima. In una regione come il Veneto in cui la prima udienza di 44 processi civili è stata fissata dalla Corte d’Appello di Venezia nel 2017 (pazienza, pazienza…) un pubblico ministero di Treviso ci ha messo tre-giorni-tre a presentare appello contro l’assoluzione di una signora che aveva osato dire agli assessori comunali di Vittorio Veneto la parola «Vergognatevi!». Ai milioni di processi che impantanano i tribunali si aggiungerà anche lo strascico di questo. Quali siano gli esempi arrivati in questi anni dall’alto, li ricordiamo tutti. Una rinfrescatina? Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca capo dello Stato, fu liquidato da Vittorio Sgarbi in piazza Montecitorio come «una scorreggia fritta». Roberto Maroni spiegò che «Bossi ce l’ha duro, Berlusconi ce l’ha d’oro, Fini ce l’ha nero, Occhetto ce l’ha in (censura) ».

Gianni Baget Bozzo tuonò in diretta televisiva che «il popolo deve molto a Berlusconi. E col cazzo che questa è adulazione». Il leghista Enrico Cavaliere si avventurò dai banchi della Camera a dire: «C’è puzza di merda in questo posto». Alessandra Mussolini mandò una lettera pubblica al Senatur in cui diceva: «Si’ proprio nu chiachiello e nun tien’ manch’e palle p’ffa na vera rivoluzione». Massimo D’Alema bacchettò Carlo Ripa di Meana con il suo tipico garbo: «Dice solo cazzate». Romano Prodi sibilò a Enrichetto La Loggia, in pieno dibattito parlamentare, l’invito «Ma vaffan… » seguito da un’interrogazione parlamentare dell’offeso: «Risponde al vero che lei mi ha mandato fanculo?». Quanto ai tempi più recenti, va ricordato almeno Silvio Berlusconi, che dopo aver precisato di avere «troppa stima per l’intelligenza degli italiani per pensare che ci possano essere in giro così tanti coglioni che possano votare a sinistra», se l’è presa con chi «sputtanando il premier sputtana anche l’Italia». E poi Antonio Di Pietro, che ad Annozero ha detto «col massimo rispetto, Berlusconi è un delinquente » per incitare successivamente a «buttar fuori Minzolini a calci in culo ». E ancora Gianfranco Fini («Chi dice che gli stranieri sono diversi è uno stronzo…») e Roberto Calderoli: «È stronzo anche chi li illude».

Per non dire di Tommaso Barbato e Nino Strano che, il giorno della caduta del governo Prodi, urlarono al Senato contro Nuccio Cusumano: «Pezzo di merda, traditore, cornuto, frocio!» e «Sei una checca squallida!». E via così: potremmo andare avanti per ore. Bene: in questo contesto, in cui una parte del Paese accusa l’altra d’avere le mani lorde di sangue dei crimini staliniani e l’altra metà risponde imputando agli avversari di essere golpisti e goebbelsiani, la signora Ada Stefan si è spericolatamente spinta a contestare una decisione urbanistica della giunta comunale leghista di Vittorio Veneto. La scelta di non demolire un complesso edilizio che avrebbe dovuto diventare un «polo sportivo d’interesse nazionale » con due campi di calcio, un impianto di pattinaggio a rotelle, tribune, foresterie, palestre, parcheggi e un sacco di altre cose compresi un po’ di «spazi commerciali accessori». Una cosa grossa. Edificata su un terreno per il quale il piano regolatore prevedeva fossero «ammessi solo gli impianti per il gioco, gli spettacoli all’aperto e le attrezzature sportive».

Scelta giusta o sbagliata? Non ci vogliamo manco entrare: non è questo il punto. Il fatto è che, essendo state costruite solo le strutture commerciali e non quelle sportive, un gruppo di abitanti della zona aveva chiesto alla giunta di smetterla con le deroghe e, dato che il progetto originale era stato stravolto e dunque risultava tutto abusivo, di procedere con le ruspe. Al che l’amministrazione aveva risposto che «l’esigenza del ripristino della legalità non è sufficiente a giustificare la demolizione richiesta, occorrendo comparare l’interesse pubblico alla rimozione con l’entità del sacrificio imposto al privato». Parole discutibili. Tanto più alla luce di una serie di sentenze di sette o otto Tar (veneto compreso) e del Consiglio di Stato presentate dal legale degli abitanti della zona, Daniele Bellot, tutte molto chiare: in casi del genere l’abuso va abbattuto. Ma neppure questo è il punto. Il punto è che, durante un consiglio comunale, esasperata dalle resistenze della maggioranza all’idea di demolire il complesso, la signora Ada Stefan sbottò: «Vergognatevi! ».

Un’offesa gravissima, secondo Mario Rosset, già segretario e consigliere della Lega. Al punto di meritare una denuncia. Denuncia finita sul tavolo di un magistrato trevisano. Il quale, incredibile ma vero, decise di emettere un decreto penale che condannava la signora «per avere offeso l’onore e il prestigio del consiglio comunale di Vittorio Veneto dicendo ad alta voce, rivolta al loro indirizzo, “Vergognatevi”». Un verdetto sconcertante. Che Ada Stefan decise di non accettare chiedendo di andare a processo. Processo aperto e chiuso giorni fa nel giro di pochi minuti: per il giudice Angelo Mascolo la signora andava assolta «perché il fatto non costituisce reato, ai sensi dell’art. 129 c.p.p.». Faccenda chiusa? Macché: tre giorni dopo (tre giorni: in un Veneto in cui i magistrati sono sommersi di arretrati e, stando alla relazione della stessa presidente Manuela Romei Pasetti, «trascorrono mediamente 272 giorni tra la sentenza di 1˚ grado e l’arrivo alla Corte d’Appello») il sostituto procuratore Giovanni Cicero impugnava l’assoluzione. Il processo andrà avanti: la signora Stefan, secondo lui, va castigata. Il tutto in una provincia come Treviso.

Dove il sindaco leghista Giancarlo Gentilini ha ordinato «la pulizia etnica contro i culattoni» ed è arrivato a invocare «il linciaggio in piazza». Dove il senatore leghista Piergiorgio Stiffoni si è spinto a dire: «Gli immigrati? Peccato che il forno crematorio del cimitero di Santa Bona non sia ancora pronto» aggiungendo che «l’immigrato non è mio fratello, ha un colore della pelle diverso». Dove il consigliere comunale leghista della città capoluogo Pierantonio Fanton ha teorizzato che «gli immigrati sono animali da tenere in un ghetto chiuso con la sbarra e lasciare che si ammazzino tra loro». Dove un altro consigliere leghista, Giorgio Bettio, è sbottato tempo fa urlando che occorreva «usare con gli immigrati lo stesso metodo delle SS: punirne dieci per ogni torto fatto a un nostro cittadino». Il tutto senza particolari strascichi giudiziari. E sarebbe un reato dire «vergognatevi»? Messa così lo diciamo anche noi: vergognatevi.

 Gian Antonio Stella

da corriere.it

INDAGINI INSABBIATE

 

“Guai giudiziari per Falcone, Salvarani, Scarpellini e Tolettini”

(R.P.) “Una raffica di denunce e un ponderoso esposto indirizzato alla procura della repubblica di Trento contro alcuni big della magistratura e delle forze dell’ordine del Vicentino. A redigere il tutto Angelo Di Natale, ex collaboratore di Canale 68 Veneto, oggi tra i giornalisti di punta della Rai siciliana. La vicenda cui fa riferimento Di Natale è collegata in modo indiretto ad una serie di scoop che lo stesso giornalista firmò per Canale 68 nel 2004. Reportage nei quali si parlava di abusi commessi a danno di minori ad opera di sacerdoti in una parrocchia di Thiene, nel vicentino. Direttamente la vicenda è collegata invece al libro Mani D’Angelo che Marco Milioni (estensore de LaSberla.net) pubblicò nel 2006. Nel libro si facevano le chiose al comportamento degli inquirenti seguito agli scoop di Canale 68. Per quel libro Di Natale e Milioni sono stati querelati per diffamazione da Giorgio Falcone (attuale pm presso la procura berica) e da Giovanni Scarpellini, all’epoca dei fatti comandante dei carabinieri di Thiene e ora comandante dei vigili urbani del medesimo comune. Il processo a carico dei due ha appurato che le indagini furono insabbiate, tanto che Di Natale dopo l’assoluzione definitiva è partito al contrattacco. Ieri sono stati denunciati infatti tra gli altri: il sostituto procuratore Falcone per il reato di calunnia; il procuratore Ivano Nelson Salvarani per i reati di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale e di rifiuto di atti d’ufficio; l’ex capitano dei carabinieri Scarpellini per i reati di calunnia, di falsa testimonianza e di subornazione; il sovrintendente di polizia Flavio Bellossi per il reato di falsa testimonianza; il giornalista Ivano Tolettini de Il Giornale di Vicenza per il reato di rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio. A dare la notizia è stato lo stesso Di Natale (nella foto) il quale in merito alla vicenda ha diramato oggi una nota breve e una più articolata unitamente all’intero testo dell’esposto.

10 marzo 2009

http://www.lasberla.net/index.php/2009/03/guai-giudiziari-per-falcone-salvarani-scarpellini-e-tolettini/

LA MAFIA A VICENZA

 

«… Libertà di violazione delle leggi e delle regole, che i dirigenti pubblici, i politici e la magistratura accordano ai colletti bianchi, ai poteri forti». Pesano come macigni le parole che Fulvio Rebesani, ex consigliere comunale, uno degli esponenti di spicco del comitato contro gli abusi edilizi, nonché responsabile provinciale del sindacato inquilini Sunia, usa in una lettera aperta alla città redatta il 30 luglio. Il documento è un vero j’accuse nei confronti dell’amministrazione comunale vicentina e soprattutto nei confronti della magistratura berica. Le due istituzioni, che sono messe da un certo punto di vista sullo stesso piano, vengono anche prese di mira perché il loro comportamento andrebbe a scapito dei cittadini di Vicenza, sui quali, sempre secondo Rebesani, aleggia lo spettro di un potere non troppo dissimile da quello mafioso.

di Marco Milioni  http://www.lasberla.net/index.php/2010/08/poteri-occulti-rebesani-versus-comune-e-magistratura/

LA MAFIA A VICENZA di Fulvio Rebesani
La Lega ha scritto che il Veneto è “pulito”, non ha presenze mafiose. Un paio di giorni dopo c’è stato l’arresto a Mogliano Veneto in provincia di Treviso di Vito Zappalà, uno dei latitanti mafiosi più ricercati, condannato a 29 anni di galera. Questo tipo di persone non si muovono mai da sole e sarà interessante accertare quali suoi compari alloggino nel Veneto. Però a Vicenza abbiamo un problema formalmente di natura diversa ma parimenti grave: le zone franche, una sorta di libertà di violazione delle leggi e delle regole, che i dirigenti pubblici, i politici e la magistratura accordano ai colletti bianchi, ai poteri forti.
Abbiamo avuto la cosiddetta circolare Rossetto; una circolare diramata dagli uffici tecnici municipali durante gli anni ’90 e tenuta in piedi sino al 2002. Un provvedimento in forza del quale un dirigente, arrogandosi poteri che sono solo del consiglio comunale, ritenne di dare agli uffici tecnici medesimi disposizioni che consentivano di rovesciare le disposizioni del piano regolatore in fatto di distanze fra edifici vecchi e in edificazione. Costruire più vicino significa allargare la base degli immobili e quindi aumentare la cubatura. Migliaia di metri cubi abusivi sono stati fabbricati in questo modo, impunemente. E quando la magistratura ha inquisito quel dirigente non ha istruito un giudizio a tempi brevi ma ha atteso, atteso ed i reati considerati si sono prescritti.
Entrando in via Vecchia Ferriera dopo Ponte Alto, alla sinistra è in via di completamento un grande edificio che ammonta più o meno ad un volume di 60.000 metri cubi. L’ufficio del pubblico ministero ha tenuto nel cassetto per cinque anni la perizia, da lui disposta, che rilevava varie illegittimità. Avrebbe potuto intervenire quando si era alle fondamenta, ma ha atteso ingiustificatamente. I potenti proprietari del fabbricato ed i loro progettisti possono dormire tranquilli; tutto finirà nel fumo della prescrizione, se non interverrà prima qualche altro pubblico ministero.
A fronte di questo immobile ce n’è un altro (è il cosiddetto palazzo, ha un volume di 70.000 metri cubi) che è stato completato da quattro o cinque anni. Tale immobile è finito al centro di un processo penale sei anni dopo che il consulente del pubblico ministero aveva consegnato la relazione: sei anni di attesa ingiustificata e di cammino verso la prescrizione. Erano imputati i proprietari, i progettisti, un dirigente comunale Lorella Bressanello (moglie dell’ex sindaco Enrico Huellweck) e un altro dirigente del comune di Vicenza, Roberto Pasini: tutti assolti.
I giudici hanno negato l’esistenza del vincolo paesaggistico riconosciuto dalla Regione, autorità competente in materia, sulla base di un documento preparatorio del piano regolatore del 1979, ma poi superata dal testo del piano effettivamente approvato, che ad esso non fa alcun riferimento. Dunque con questa trovata all’italiana è caduta l’accusa. Inoltre i giudici hanno negato l’intenzionalità del dirigente. Costoro non sapevano, non volevano, non intendevano… «Ah,intendo, il suo cervel, Dio lo riposi,/in tutt’altre faccende affaccendato/a questa roba è morto e sotterrato…». Il resto ce l’ha messo la Corte d’Appello di Venezia che, a fronte del ricorso del Procuratore della Repubblica di Vicenza contro la inaccettabile sentenza assolutoria, non ha ancora fissato, a distanza di ben due anni, la data del processo.
Anche a Vicenza ci sono le vendette trasversali. Tu fai un esposto contro gli abusi di certi tecnici comunali? Ebbene loro ti puniscono con il potere che hanno. C’é stato il caso di una associata al comitato vicentino contro gli abusi edilizi alla quale è stato contestato un abuso (inestente) risalente al 1930… Ad un altro, sempre di questo comitato, hanno cercato di rilevare un difformità edilizia (sempre inventata) di cinquant’anni fa. E se non possono colpirti direttamente lo fanno contro tuoi familiari come è successo ad altro membro del comitato contro l’abusivismo edilizio.
Il comitato contro l’abusivismo edilizio ha il merito di aver scovato numerose illegittimità penali, amministrative e contabili degli uffici comunali del capoluogo berico. Sebbene con la sua azione abbia permesso alla municipalità di incassare una cifra pari 500.000 euro più euro meno, i suoi membri vanno puniti. “Che imparino a farsi gli affaracci loro!” Già, perché il comune di Vicenza è affare dei soli dirigenti comunali? Non voglio ovviamente generalizzare: le mie riflessioni riguardano l’edilizia privata e dintorni.
Il comune di Vicenza non ha soldi; a me sembra che non vada a prenderseli dove ci sono ed ha diritto di averli. Non mi riferisco all’evasione fiscale, argomento certo interessante, bensì sempre all’edilizia. Per edificare una casa bisogna pagare gli oneri di urbanizzazione ed un contributo del costo di costruzione: per l’industria c’è solo quest’ultimo gravame. L’importo di queste voci è fermo da circa vent’anni nonostante in questo periodo l’inflazione sia cresciuta di circa il 30%. Un enorme regalo agli speculatori a spese dei cittadini di Vicenza. Ma c’è un altra perdita consistente. Nell’area di via Vecchia Ferriera vi sono numerosi edifici che, approfittando del fatto che l’area è industriale, sono stati edificati pagando al comune, cioè a tutti noi, solo una spettanza pari al 10% del costo di costruzione. Di contrasto le attività installate in loco sono quasi tutte commerciali, ma non hanno corrisposto all’ente locale gli oneri di urbanizzazione, in questo caso dovuti (mediamente il 30% dei costi di costruzione). Così il nostro comune, cioè noi, non ha incassato centinaia di migliaia di euro, che non intende incassare.
C’è poi la questione della cosiddetta torre Girardi, la quale sorge a qualche centinaia di metri prima del casello autostradale di Vicenza ovest. La provincia lo ha dichiarato interamente abusivo con un provvedimento confermato presso i tribunali amministrativi; però il comune non lo demolisce prendendo a pretesto due perizie di comodo, una disposta per di più dallo stesso comune. Di più, sempre in riferimento alla vicenda della torre Girardi il comune di Vicenza non provvede nemmeno ad incassare quanto comunque gli spetta. L’assessore all’edilizia privata Pierangelo Cangini ha affermato con grande clamore che, essendoci degli abusi (bontà sua), incasserà ben 900.000 euro. Ma, secondo le leggi urbanistiche, spetterebbero al comune un bel po’ di soldi in più. Anzi una montagna di soldi in più. Sei o sette milioni di euro; cioè il valore venale dell’edificio. Anche qui l’amministrazione rinuncia ai diritti di coloro che rappresenta, cioè sempre noi.
Quanto riportato ora in modo un po’ generico per ragioni di brevità, è comunque il frutto di una analisi scrupolosa, corroborata da una documentazione completa. Ad ogni modo da questo quadro pur sommario e parziale, risulta l’impotenza, scelta liberamente, della magistratura vicentina e del comune di fronte ai poteri forti ed ai colletti bianchi. Ciò costituisce una grave ingiustizia ed iniquità, una negazione del principio di legalità e di uguaglianza di trattamento, ma è anche fonte di minor erogazione di servizi ai cittadini di Vicenza dovuta alle minori entrate a causa di queste acquiescenze rispetto ai desiderata dei vari potentati che trovano domicilio dentro e fuori i palazzi delle istituzioni. Ovviamente sono i cittadini a farne le spese. In termini di accesso agli asili nido e ai centri estivi; in termini di accesso alla assistenza domiciliare, di aiuto agli sfrattati ed alle famiglie in difficoltà sulla casa; in termini di accesso agli interventi per i giovani e per lo sport. Per caso tutti questi scompensi sono dovuti alla mancata acquisizione di quei fondi?

Fulvio Rebesani
Vicenza, 30 luglio 2010

FALLIMENTOPOLI E CRIMINALITÀ GIUDIZIARIA NEL VENETO

FALLIMENTOPOLI E CRIMINALITÀ GIUDIZIARIA NEL VENETO:

92ENNE SPOGLIATA DELLA CASA E DERUBATA DI 1 MILIARDO!

OVVERO, QUANDO IL LEGITTIMO SOSPETTO È CERTEZZA!

Castelfranco Veneto. Abitava lì, da oltre 53 anni, l’anziana novantaduenne, Erminia Moino, affetta da demenza cronica del morbo di Alzhaimer, con la figlia Nellida Bernardi che l’accudiva nella casa coniugale lasciatale dal marito in usufrutto “vita natural durante”.

Una villetta modesta ma, situata su un’importante area fabbricabile, da poco inserita nel piano regolatore, di cui, invece, da tempo miravano impossessarsi noti speculatori senza scrupoli e banche locali (forse, vicini alla mafia del Brenta), trovando, sempre, però, la ferma opposizione della famiglia Bernardi.

Uno dei difensori di “Avvocati senza Frontiere” (ASF) racconta scandalizzato che le due anziane sono state, brutalmente, gettate in strada con una procedura lampo e l’intervento della forza pubblica, nonostante le molteplici opposizioni e il diritto d’usufrutto a vita.

Ciò, senza, neppure, tenere conto che, il medico curante della A.S.L. aveva dichiarato la “intrasportabilità” della madre inferma, paralizzata su una sedia a rotelle e bisognosa di cure.

In parole povere, i giudici del Tribunale di Treviso, Ufficiale Giudiziario, CC e Prefetto non hanno voluto sentire ragioni e respingendo ogni ragionevole appello dei difensori hanno, arbitrariamente, accolto le richieste della Cassa di Risparmio di Venezia (CARIVE) e della Prisma Immobiliare (ora Basso Costruzioni s.r.l.), dando il via libera, prima alla vendita all’asta dell’abitazione, eppoi alla frettolosa esecuzione dell’anomalo sfratto, degno di paesi privi di diritti certi.

La storia affonda le sue radici nella fallimentopoli trevigiana e nei piani di recupero speculativo delle aree del centro della ricca Castelfranco Veneto. Nel ’97, la sig.ra Nellida Bernardi, titolare di un mobilificio, la cui attività è, ormai, cessata da anni, a causa dell’avanzata età, si viene a trovare, suo malgrado, vittima del racket dei fallimenti e dell’usura bancaria.

Il mobilificio non ha debiti, eccetto un fido di circa L. 600 milioni con le banche, per cui formula un piano di rientro in 10 anni, offrendo a garanzia beni immobili del valore di oltre L. 4 miliardi, tra cui un capannone industriale, sede dell’azienda, e l’annessa abitazione che la Prisma vorrebbe rilevare in blocco, trovando la ferma opposizione della famiglia, disposta a vendere tutto il resto, ma non la casa (su cui, peraltro, grava il diritto di usufrutto a vita della madre, soggetto del tutto estraneo al successivo fallimento della ditta).

A questo punto, l’Immobiliare del Basso, pur avendo sottoscritto un preliminare di compravendita per il solo capannone, recede, in quanto, inconfessatamente, interessata a demolire l’intera area (che poi rileverà dal Tribunale fallimentare), onde portare a termine, con la complicità della giunta comunale, un profittevole piano di recupero speculativo della zona, con la costruzione di un nuovo complesso residen-ziale; cosa che risulterebbe impossibile, senza impossessarsi della casa delle due reticenti anziane.

Contemporaneamente, la CARIVE, dietro probabili pressioni del Basso, respinge qualsiasi bonario accordo, chiedendo sia il fallimento della ditta (una s.n.c.) e della sig.ra Bernardi, in proprio, sia la vendita dell’abitazione personale che il Tribunale, sorprendentemente, concede, nonostante non ne sussistessero le ragioni e pendesse un’istanza di concordato preventivo, avanzata dai difensori, i quali avevano richiesto un breve termine per concludere la vendita con altri soggetti interessati ad acquistare gli immobili.

Ed è così che la sig.ra Bernardi si è vista costretta a denunciare i giudici trevigiani che hanno pronunciato l’ingiusta sentenza di fallimento, sospettando un loro interesse personale, in quanto ignari delle ricusazioni e dei procedimenti disciplinari, da parte della 1^ Commissione Referente del C.S.M., hanno continuato a giudicare sia l’opposizione a fallimento sia ogni altra causa (rivendica abitazione, opposizione approvazione rendiconto, istanza revocazione crediti ammessi e querela di falso), in violazione del principio di terzietà del giudice.

Principio che, a norma dell’art. 51, co. 1, n. 4 c.p.c., sancisce “l’obbligo di astensione del magistrato che abbia conosciuto gli atti di causa in altro grado del processo”.

Dell’abnorme caso sono stati interessati la Procura di Bologna, competente per i reati commessi dai giudici del Veneto, il Procuratore Antimafia, dr. Vigna, il Procuratore Generale presso la Cassazione e il Ministro di Giustizia, ma tutti, in spregio alle loro funzioni, da circa 6 anni, sono rimasti inerti!

In particolare, è stata denunciata l’ingiustificata decisione del Tribunale di alienare l’abitazione privata, valutata appena L. 200.000.000, a fronte di un attivo realizzato di oltre L. 2 miliardi, già in grado di soddisfare i creditori al 100%, nonché l’ancora più arbitraria decisione, priva della benchè minima motivazione, del giudice dr. Donà di rigettare l’istanza per la “riduzione del pignoramento”, con cui veniva richiesto di limitare la vendita al solo fabbricato industriale del valore di oltre L. 800.000.000; somma che ben poteva ve-nire soddisfatta l’esigua pretesa della CARIVE di L. 49.000.000.

Dulcis in fundo, si è appreso che, recentemente, il dr. Giovanni Schiavon, ex Presidente del Tribunale di Treviso, da ritenersi uno dei principali responsabili dei denunciati abusi, è divenuto poco di meno che il Capo degli Ispettori ministeriali della c.d. “task force” nazionale che dovrebbe indagare sugli illeciti commessi dai magistrati e, quindi, anche su stesso!

FIGUARIAMOCI…….!!!!

Ma c’è di più. Quei bravi magistrati della 1^ Commissione Referente del C.S.M. che avrebbero avuto il compito di vagliare i denunciati illeciti commessi dai loro colleghi di Treviso, esercitando l’azione disciplinare, hanno archiviato tutto con una motivazione che dimostra la loro cialtroneria, inadeguatezza e assoluta mancanza di serietà nella lettura degli atti.

Basti dire che, nella decisione 20.11.02, hanno sostenuto trattarsi di “presunte irregolarità commesse nella trattazione di una procedura fallimentare a carico della Prisma Immobiliare s.r.l.” e di “censure ad attività giurisdizionale per la quale non vi sarebbero provvedimenti di competenza del C.S.M.”,

Peccato per loro che il fallimento riguardi non la Prisma Immobiliare s.r.l. bensì il Mobilificio Bernardi s.n.c !!!

Si ritiene, infine, doveroso segnalare ai lettori l’abnormità della situazione venutasi a determinare, a seguito del comportamento degli organi fallimentari e delle Autorità dello Stato Italiano, per cui la sig.ra Bernardi, pur avendo diritto al residuo di circa un miliardo di lire, giàricavato, da alcuni anni, dalla vendita dei suoi immobili, si trova, tuttora, paradossalmente, a vivere in condizioni di povertà estrema, con un sussidio di appena L. 250.000 mensili, erogato dal Tribunale, mentre giudici, politici e giornalisti, strapagati da noi cittadini, sembra sappiano discutere del “legittimo sospetto”, solo quando attiene gli interessi dei potenti e, non già, nei casi ben più gravi, di interesse generale, che riguardano la stragrande maggioranza dei comuni cittadini, vittime di conclamati abusi giudiziari, i quali non hanno mezzi, nè tantomeno televisioni e avvocati di grido per fare sentire le loro ragioni!