Archivio Categoria: Basilicata

Malasanità a Matera: Verità e giustizia per Rosalba Pascucci

A un anno dalla morte di Rosalba Pascucci, la giovane mamma di Bernalda deceduta per malasanità presso l’Ospedale civile di Policoro subito dopo aver dato alla luce due gemellini, il Comitato Cittadiniattivi di Bernalda e Metaponto ha promosso una campagna di mobilitazione in occasione della prima udienza fissata in mattinata presso il Tribunale di Matera.

Per sensibilizzare la comunità materana su questa vicenda, il Comitato Cittadiniattivi di Bernalda e Metaponto ha organizzato una marcia a piedi notturna di 40 km da Bernalda a Matera. Una volta raggiunto il tribunale di Matera i manifestanti hanno esposto due striscioni di solidarietà verso la famiglia Pascucci. Sul primo si chiedeva “Verità e giustizia per Rosalba e i suoi figlioletti” mentre un altro striscione era ancora più duro con un’interrogativo inquietante: “Dietro la morte di Rosalba i poteri forti?”. Dalle informazioni in possesso, rese note dalla famiglia, pare infatti che la Procura della Repubblica di Matera stia conducendo indagini quanto meno superficiali e incomplete, tentando di indirizzare il corso della Giustizia su un’unica direzione prestabilita.
I Cittadiniattivi di Bernalda e Metaponto, che da subito sono stati vicini al marito di Rosalba Andrea Buongiorno e ai suoi figlioletti, non permetteranno che su temi delicati come questo non venga fatta piena luce, convinti che solo la verità possa evitare che analoghi “effetti collaterali” possano nuovamente accadere.
Al motto “Non faremo morire Rosalba una seconda volta” il Comitato ha rivolto un appello alle associazioni, ai movimenti e a tutti i cittadini che hanno sete di verità e giustizia affinchè aderiscano al programma di mobilitazione.

Non lasceremo morire Rosalba una seconda volta”

Riportiamo di seguito la nota del comitato Cittadiniattivi di Bernalda e Metaponto e a seguire la lettera aperta di Olimpia Fuina Orioli, Presidente Onoraria del Comitato Cittadiniattivi di Bernalda e Metaponto nonchè mamma di Luca Orioli (Fidanzatini di Policoro) tragicamente scomparsi 23 anni fa e senza ancora nessuna giustizia e verità.

Si è concluso alle ore 12,30 di martedì 27 settmebre come previsto davanti al Tribunale di Matera, il sit-in iniziato alle 8,00 di martedì 27 settembre seguito alla marcia notturna a piedi di 40 Km partita da Bernalda alle 19,15 di lunedì 26 settembre. Sono state necessarie quasi 13 ore di marcia, intervallate da diverse soste di riposo, di circa due ore ognuna.
Numerose le associazioni, i movimenti lucani, i congiunti di Rosalba Pascucci e i semplici cittadini che hanno partecipato alla forte e determinata forma di protesta notturna studiata apposta per accendere i riflettori sul buio pesto di verità e giustizia in cui versano tanti casi “insabbiati ?” dalla Procura di Matera.
Numerose le spontanee attestazioni di solidarietà di cittadini, che si sono incessantemente adoperati per fornire ai marciatori ogni genere di conforto e vettovagliamento.
Presenti alla marcia anche pochissimi esponenti politici locali, come il Consigliere regionale Nicola Benedetto, l’Assessore alle Politiche sociali del Comune di Bernalda Gianbattista Mazzei, i consiglieri comunali Franca Di Giorgio e Vincenzo Galli, oltre a Federico Scasciamacchia leader del Movimento politico per Bernalda e Metaponto e Stefano Braico, dirigente di Rifondazione Comunista.
A tutti loro va il ringraziamento accorato dei parenti di Rosalba Pascucci, compreso il giovane marito Andrea Buongiorno anch’egli protagonista della lunga maratona.
Inspiegabile per contro l’assenza di Istituzioni locali e loro rappresentanze, che per Rosalba arrivarono a decretare finanche il lutto cittadino.
Alla Polizia Stradale di Matera e di Policoro, alla Polizia Provinciale di Matera, ai Vigili Urbani di Bernalda e ai Carabinieri di Matera vanno i più sentiti ringraziamenti per aver reso possibile, con grande professionalità e competenza, lo svolgersi di una inusuale e rischiosa manifestazione, salvaguardando in ogni istante del suo percorso la totale incolumità dei manifestanti.

 

Lettera aperta di Olimpia Fuina Orioli, Presidente Onoraria del Comitato Cittadiniattivi di Bernalda e Metaponto nonchè mamma di Luca Orioli (Fidanzatini di Policoro) tragicamente scomparsi 23 anni fa e senza ancora nessuna giustizia e verità.

Siamo qui, tutti insieme, per dare il primo concreto segnale di risveglio della coscienza popolare di questa nostra terra attraversata dai tanti Attila di turno, e, stanca di subire passivamente, ogni sorta di sopruso, per l’indifferenza dello Stato nei confronti dei diritti indifesi, violati, offesi, calpestati, banalizzati, forse volutamente ignorati, e, negati dall’arroganza onnipotente degli intoccabili.
Siamo qui perché il grido, il pianto, la preghiera finora consumati nel silenzio e nella solitudine murata, abbiano più forza per ristabilire lo Stato di Diritto perso.
Siamo grati al Papa per la sua recente coraggiosa affermazione che così testualmente recita “Uno Stato senza diritto è una banda di briganti”.
Aggiungo “Uno Stato senza diritti fa un popolo senza doveri”.
In tal caso il caos diventa totale e noi non possiamo permettere di andare consapevolmente alla deriva solo perché il coraggio fa paura. Poiché lo Stato è formato da tutti, noi, parte offesa di questa Società, vogliamo non essere intruppati nelle varie bande di briganti, pur se potenti e finora impropriamente vincenti. Siamo convinti che se il Male vince è perché il Bene non si attrezza adeguatamente a batterlo.
A ignorare la Costituzione, quando accadono certe brutture, non sono solo i poteri preposti alla sua difesa, ma anche chi, per paura, si confina nel popolo dei rassegnati. La forza dell’uno si costruisce sulla debolezza dell’altro. Se il diritto manca è perché il dovere è scomodo ed è facilmente svendibile.
Uniamoci numerosi alla lotta a difesa del diritto giusto. Uniamo le nostre intelligenze, le nostre volontà, le nostre competenze, la nostra forza, la nostra determinazione, le nostre sveglie coscienze, la nostra convinta fermezza, e con coraggio affrontiamo le troppe emergenze incalzanti.
Proviamo tutti insieme, tanti insieme, ad essere testimoni e protagonisti del cambiamento più urgente, l’unico che può assicurare ai nostri discendenti una vita più sana, più serena, più sicura. Contrariamente saremo complici imperdonabili delle varie bande di briganti che continueranno a popolare il nostro Stato.
Possiamo invece divenire Seminatori di Pace, di Giustizia, di Speranza.
L’omertà è il Cancro dell’attuale Società. Debelliamolo con numerosi numeri di qualità perché a chiunque volesse ignorare o fare abuso della legge come fosse una proprietà privata si possa contrapporre una forza uguale e contraria per difenderla per il bene di tutti e di ciascuno.
Matera, 27 settembre 2011

.http://www.sassilive.it/cronaca/giudiziaria/verita-e-giustizia-per-rosalba-pascucci/

Scorie tossiche e radioattive in Basilicata. Indagini insabbiate.

Rifiuti tossici ed eccellenti

di Riccardo Bocca

Parlamento. Ministero. Regione. Dopo la denuncia de “L’espresso” partono le prime iniziative per individuare le scorie di materiale pericoloso smaltite in Basilicata

(16 maggio 2005)

Sono a totale disposizione dei magistrati per indicare dove si trovano i rifiuti tossici provenienti dall’Enea di Rotondella. Già in passato ho collaborato con la giustizia e l’attendibilità delle mie dichiarazioni è stata dimostrata nei processi. Lo stesso accadrà stavolta. La mia unica richiesta è che mi vengano pagate le spese delle trasferte: un’esigenza a prima vista scontata, ma che fino a questo momento non è stata accolta da chi indaga…

A parlare in esclusiva con “L’espresso” è l’ex boss della ‘ndrangheta di cui il nostro giornale ha pubblicato lo scorso numero un esplosivo memoriale, consegnato nei giorni precedenti alla Direzione nazionale antimafia. Pagine nelle quali l’allora capo malavitoso, anonimo per ragioni di sicurezza, condannato per associazione a delinquere e traffico internazionale di stupefacenti, ha svelato episodi inediti sullo smaltimento clandestino di scorie tossiche e radioattive. Un business in cui, stando alle sue dichiarazioni, sarebbero stati coinvolti governi e mafiosi, servizi segreti e massoni, industriali e faccendieri. Tutti protagonisti di azioni tanto gravi quanto ignote all’opinione pubblica, come l’affondamento di navi cariche di bidoni tossici e il seppellimento di fusti in Somalia, terra segnata dall’assassinio dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
«Ora dipende dai magistrati», dice l’ex boss: «Se davvero sono determinati a cercare la pattumiera radioattiva, e se la politica non ostacolerà il loro lavoro, troveranno le prove dei traffici avvenuti tra gli anni Ottanta e Novanta». Un obiettivo che potrebbe rivelarsi abbordabile, almeno sul fronte italiano. Nel suo racconto, il collaboratore ha rivelato infatti una duplice operazione con cui tra il 1987 e il 1993 sarebbero stati smaltiti centinaia di fusti tossici e radioattivi in Somalia e Basilicata. La località dove scavare, sostiene l’ex boss, è Coste della Cretagna, nei pressi del fiume Vella. Un’area in cui sta cercando riscontri anche la Direzione distrettuale antimafia di Potenza, che nel 2000 ha aperto un’indagine per verificare presunte irregolarità del centro Enea. A riguardo, il silenzio del sostituto procuratore Felicia Genovese è totale. Fonti a lei vicine accolgono invece «le indicazioni dell’ex boss con il massimo interesse», annunciando che «procederanno a pieno ritmo per fornire alla popolazione le necessarie certezze».

«Non c’è dubbio che dopo le rivelazioni pubblicate da “L’espresso” le procure debbano accelerare le indagini», commenta Paolo Russo, presidente della Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti: «Io stesso, se necessario, chiederò l’intervento dell’Istituto nazionale di geofisica, capace di individuare reperti metallici a 30 metri di profondità. E intanto la nostra Commissione prepara a brevissimo una trasferta in Basilicata». Da parte sua, il presidente della Basilicata Vito De Filippo (Margherita) non ha perso tempo. Dopo l’uscita de “L’espresso” ha attivato un gruppo tecnico di supporto alla giunta con il contributo del Cnr. Inoltre è stato deciso di convocare il tavolo della trasparenza sul nucleare, ulteriore organismo di monitoraggio, mentre Carmine Nigro, presidente della Provincia di Matera, ha spiegato che per trovare i fusti verranno utilizzati anche i satelliti, disponibili grazie a una «convenzione che l’ente pubblico sta per firmare con la società Telespazio». Un quadro di intervento a prima vista apprezzabile, a cui vanno aggiunti i carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico), incaricati di indagare dal ministero dell’Ambiente.
«La questione, in un certo senso, è semplice», dice il presidente Paolo Russo: «Se le notizie del memoriale sono false, allora lo si dimostri. Altrimenti bisogna esigere la verità, per quanto scomoda». Anche per questo il nostro giornale ha contattato Tommaso Candelieri, il dirigente dell’Enea tirato in ballo dall’ex boss. Nel memoriale si legge che nel 1987 avrebbe partecipato allo smaltimento clandestino di rifiuti pericolosi in Basilicata e in Somalia, e che la cosa si sarebbe ripetuta nel 1992, quando sarebbero stati smaltiti «altri mille bidoni di rifiuti tossici e radioattivi». Per quale ragione l’ex boss della ‘ndrangheta ha fatto il suo nome? E qual è la sua versione dei fatti? Candelieri, malgrado la disponibilità de “L’espresso”, preferisce non entrare nel merito. Dichiara invece alle agenzie di stampa che «le notizie relative» alla sua «persona sono false nella loro interezza», e annuncia di avere «affidato al legale di fiducia di procedere in sede e civile e penale.

Fonte: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/rifiuti-tossici-ed-eccellenti/2109758

OMICIDIO CLAPS. COPERTURE MASSOMAFIOSE E INQUINAMENTO DELLA GIUSTIZIA

Spesso i procedimenti penali vengono insabbiati de plano o archiviati con indagini frettolose e carenti. 
Spesso i colpevoli di efferati delitti e spregevoli reati vengono prosciolti senza neanche arrivare al processo.
Spesso persone innocenti prive di mezzi economici sulla base di prove false e lacunose vengono ingiustamente condannate al posto dei veri rei, senza la possibilità di difendersi adeguatamente e venire ascoltate.
All’origine, in genere, vi è da una parte la povertà delle vittime che non gli consente di pagare profumatamente un legale e dall’altra l’assenza di responsabilità o l’ignoranza dei magistrati incaricati che spesso non leggono neppure o non hanno tempo di studiare a fondo gli atti e la materia trattata, giudicando in maniera sommaria.
Ma spesso, quando i conti non tornano, la causa va ricercata nella diffusa obbedienza dei magistrati italiani alle logge massoniche coperte e non che gli impedisce di essere sottomessi solo alla Legge.  
E’ quanto probabilmente accaduto nel caso di Elisa Claps e del P.M. Felicia Genovese, insabbiato per oltre 17 anni, le cui responsabilità di Danilo Restivo, figlio di un massone aderente alla stessa loggia del marito del P.M. 
che affossò le indagini, impedendo il sequestro degli indumenti dell’indagato, sono state recentemente portate alla luce solo grazie alla tenacia dei congiunti della vittima e della giornalista della trasmissione televisiva “Chi l’ha Visto?”, Federica Sciarelli.   
Il ritrovamento del corpo di Elisa Claps riapre una fra le pagine piu’ incandescenti ed inedite dell’inchiesta Toghe Lucane, condotta dall’allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris. A settembre 2008 la Voce aveva dedicato in esclusiva un articolo di copertina alle minuziose ricostruzioni della Procura di Salerno, cui si erano rivolti De Magistris ed i magistrati oggetto delle sue indagini. Ripubblichiamo i brani da cui emerge il collegamento fra Toghe Lucane e la scomparsa della ragazza. Con l’ombra della massoneria.
Una pagina inquietante si apre, nell’inchiesta Toghe Lucane, sulla misteriosa scomparsa della giovane Elisa Claps, avvenuta a Potenza il 12 settembre 1993. Il caso torna infatti alla luce su iniziativa dei pm Luigi Apicella e Gabriella Nuzzi che, per riscontrare ulteriormente la correttezza delle attivita’ investigative condotte da Luigi De Magistris, assumono importanti riscontri in merito alle indagini condotte da quest’ultimo a carico di Felicia Genovese e del marito Michele Cannizzaro, iscritto alla Massoneria, coinvolti – secondo quanto emerge dall’inchiesta Toghe Lucane – nel caso Elisa Claps.
Seguiamo la ricostruzione dei pubblici ministeri salernitani.
Nel 1999 il collaboratore di giustizia Gennaro Cappiello rivela come un fiume in piena particolari sulla scomparsa della ragazza, verbalizzando dinanzi al pubblico ministero della Dda di Potenza Vincenzo Montemurro. Secondo Cappiello (il quale dichiarava di aver appreso le notizie sul caso Elisa Claps da un mercante d’arte di Potenza, Luigi Memoli), a causare la morte della ragazza era stato il giovane Danilo Restivo. Il fatto sarebbe avvenuto presso la scala mobile in costruzione a quell’epoca.
Sempre stando alla versione fornita dal pentito, Maurizio Restivo, padre di Danilo, «implicato nell’indagine e poi condannato per false informazioni al pubblico ministero, aveva, per il tramite del Memoli, contattato il Cannizzaro accordandosi per la somma di 100 milioni di lire affinche’ intervenisse sulla moglie, dottoressa Genovese, titolare delle indagini riguardanti il caso della scomparsa della Claps».
In seguito alle verbalizzazioni di Cappiello, il caso Claps passa alla Procura di Salerno, competente ad indagare sulle presunte omissioni o violazioni della Genovese. Veniva accertato che quel 12 settembre 1993 Danilo Restivo era stato effettivamente in compagnia della giovane poco prima della scomparsa.
Cosa fece il pm Genovese, che era all’epoca titolare dell’inchiesta sulla scomparsa di Elisa? «Le articolate indagini esperite dalla Procura di Salerno consentivano di ricondurre la scomparsa della giovane Elisa Claps ad una morte violenta, ma non anche ad individuare nel Restivo Danilo l’autore del fatto criminoso. Invero, si acclarava che il giorno 12 settembre 1993, Restivo Danilo, effettivamente, era stato in compagnia della giovane poco prima della scomparsa; che quel giorno stesso era stato medicato presso il locale nosocomio per alcune lesioni, prodotte, a suo dire, per un’accidentale caduta, ma, verosimilmente, frutto di una colluttazione. L’esame dell’attivita’ investigativa svolta e coordinata dalla Procura di Potenza, in persona del pubblico ministero Dr. Genovese, evidenziava, tuttavia, che nella immediatezza della notizia della scomparsa, alcuna perquisizione era stata disposta ne’ sulla persona del Restivo Danilo, ne’ presso l’abitazione familiare ovvero altri luoghi nella sua diretta disponibilita’».
Il 27 gennaio 2000 depone dinanzi al pm di Salerno l’avvocato Giuseppe Cristiani, legale della famiglia Claps, il quale fra l’altro fornisce elementi circa la comune appartenenza alla massoneria di Cannizzaro e di Maurizio Restivo, padre di Danilo. Le indagini avviate all’epoca dalla Procura salernitana su questa vicenda non consentirono di «individuare nel Restivo Danilo l’autore del fatto criminoso» ed anche l’operato della Genovese venne considerato corretto.
Strettamente collegato alla scomparsa di Elisa Claps era pero’ quanto il pentito Cappiello verbalizzo’ in seguito sul duplice omicidio di stampo mafioso dei coniugi Giuseppe Gianfredi e Patrizia Santarsiero, avvenuto a Potenza il 29 aprile ‘97. Cappiello sosteneva di avere appreso quelle notizie da Saverio Riviezzi, un pregiudicato di Potenza che era stato contattato da alcuni calabresi, fra cui un certo Aldo Tripodi, uno degli esecutori dell’omicidio, per quella duplice esecuzione. Secondo il racconto del collaboratore di giustizia ai pm della Direzione Antimafia, «mandante dell’omicidio dei coniugi Gianfredi-Santarsiero era – seguiamo ancora la ricostruzione di Cappiello, cosi’ come riportata dal documento di Apicella e Nuzzi – Cannizzaro Michele, marito del sostituto procuratore dottoressa Genovese, che aveva inizialmente curato le indagini relative al duplice omicidio in questione». Quanto al movente, «il Cappiello lo riconduceva ai rapporti che il Gianfredi aveva avuto con il Cannizzaro Michele aventi natura finanziaria, assumendo che tale ultimo era un grosso giocatore d’azzardo, rapporti bilanciati da favori giudiziari di cui il Gianfredi godeva per il tramite della moglie del Cannizzaro».
Comincia dunque una lunga serie di indagini che la Procura di Salerno avvia per riscontrare le dichiarazioni di Cappiello. «Gli esiti – spiegano oggi nell’ordinanza Apicella e Nuzzi – non consentivano di ritenere acquisite fonti di prova idonee a ricondurre agli indagati i gravi fatti delittuosi iscritti a loro carico. Emergevano, tuttavia, dalle investigazioni svolte alcune significative circostanze atte a delineare il particolare contesto ambientale di consumazione dei fatti delittuosi, la condotta tenuta dalla dottoressa Genovese nelle prime investigazioni, la personalita’ del marito dottor Cannizzaro, le frequentazioni ed i suoi legami con ambienti criminosi – in particolare, con Gianfredi Giuseppe, vittima del duplice omicidio – i contatti con esponenti della criminalita’ organizzata calabrese, i suoi interessi economici che, allora, come oggi, non potevano, comunque, non apparire “inquietanti” in relazione alla natura dell’attivita’ svolta dalla moglie dottoressa Genovese, designata all’incarico di sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Potenza, nell’ambito, cioe’, del medesimo luogo di consumazione degli accadimenti delittuosi».
Dopo lunghe indagini, il pentito Cappiello sara’ considerato dall’autorita’ giudiziaria di Salerno “inattendibile”. Eppure, ad offrire uno scenario sorprendentemente simile delle due vicende (Claps e Gianfredi), era arrivata la testimonianza di un prete-coraggio della diocesi di Potenza: don Marcello Cozzi. La giovane, quel fatale giorno del 1993, aveva battuto mortalmente la testa per sottrarsi ad un tentativo di violenza messo in atto da Danilo Restivo, il cui padre, per coprire le responsabilita’ del ragazzo, avrebbe contattato il dottor Cannizzaro; questi a sua volta si sarebbe rivolto a Giuseppe Gianfredi, che avrebbe fatto sparire il cadavere con l’aiuto dei fratelli Notargiacomo, titolari di un’officina meccanica, che avevano pertanto la disponibilita’ di acido in grado di dissolvere il cadavere.
Anche stavolta le indagini furono archiviate. Si segnala intanto ancora un particolare: da alcuni accertamenti della Guardia di Finanza di Catanzaro era emerso che Luigi Grimaldi, dirigente della Squadra Mobile di Potenza all’epoca delle indagini sulla scomparsa di Elisa Claps, dopo aver ricoperto l’incarico di dirigente amministrativo presso l’Universita’ di Salerno, svolgeva l’incarico di dirigente amministrativo presso l’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza, dove Michele Cannizzaro era direttore generale.
Per concludere questa vicenda va segnalato che, sentito come teste a ottobre 2007 nel corso delle indagini sull’operato di De Magistris, ai colleghi Nuzzi ed Apicella il pubblico ministero di Potenza John Woodcock ha raccontato d’aver chiesto a marzo 2007 di astenersi in un procedimento a carico, fra gli altri, di Michele Cannizzaro in ragione del contenuto di una intercettazione telefonica fra la moglie di Cannizzaro Felicia Genovese ed il procuratore generale Vincenzo Tufano, «nella quale venivano usate espressioni particolarmente volgari sulla giornalista (Federica Sciarelli, che piu’ volte nel corso della trasmissione “Chi l’ha visto” si e’ occupata del caso Elisa Claps, ndr) e sul suo rapporto di amicizia con il magistrato (Woodcock, ndr)». Quest’ultimo riferiva inoltre «di altri emblematici tentativi di indebita strumentalizzazione del suo rapporto personale con la giornalista Federica Sciarelli, riconducibili al medesimo gruppo di soggetti indagati dal pubblico ministero De Magistris nel procedimento Toghe Lucane».

IL CSM “AMICO”
Il 4 marzo 2008 De Magistris chiede alla Procura salernitana che indaga sul suo conto (e che poi lo prosciogliera’, aggiungendo ipotesi di gravi addebiti a carico dei suoi principali denuncianti), di rendere testimonianza spontanea. Dalla lunga verbalizzazione emerge, fra l’altro, l’allucinante spaccato sul ruolo del Csm cosi’ come si evince direttamente dalla lettura dell’intercettazione telefonica intercorsa il 28 febbraio 2007 tra Felicia Genovese ed un altro noto esponente di Magistratura Indipendente, Antonio Patrono, presidente della prima Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura, deputata a verificare l’apertura di una pratica di trasferimento per incompatibilita’ ambientale di De Magistris. La conversazione avviene il giorno successivo all’esecuzione delle perquisizioni nell’ambito del procedimento Toghe Lucane.
Nel commentare con Patrono le sue vicende giudiziarie, Genovese sollecita l’interessamento di altri componenti del Csm tra cui Giulio Romano, della sua stessa corrente, e Cosimo Ferri. «Tra i nominativi richiamati nella conversazione – tengono a sottolineare Apicella e Nuzzi – vi e’ quello del dottor Giulio Romano, componente della Sezione Disciplinare del Csm e relatore della sentenza emessa nei confronti del dottor De Magistris».

Rita Pennarola
Fonte: www.lavocedellevoci.it
Link: http://www.lavocedellevoci.it/news1.php?id=134
29.03.2010

QUESTORE INTIMA SFRATTO ULTRAOTTANTENNI NOSOCOMIO TINCHI

Dopo oltre 130 giorni di occupazione del tetto del nosocomio di Tinchi sembra che gli eventi stiano precitando senza alcuno scampo per i degenti tra cui alcuni vecchi partigiani bisognosi di cure da parte della struttura.

Il Questore ha infatti notificato un’ingiunzione di sgombero come denunciato da alcune associazioni locali e dal professor Pietro Tamburrano, uno dei manifestanti che hanno deciso questa forma estrema di protesta per chiedere un futuro certo per l’ospedale di Tinchi, documentando lo sperpero di denaro pubblico nel nosocomio pisticcese.

Ecco l’appello dei Comitati civici.

Siamo asserragliati dal 1° luglio 2010 sul tetto più alto dell’Ospedale di Tinchi, fiore all’occhiello della sanità pubblica in provincia di Matera, chiuso dopo ristrutturazioni milionarie per essere ceduto a una fondazione privata.

Il Questore di Matera ci sta notificando, dopo 130 giorni e notti di presidio ininterrotto, un’ingiunzione di sgombero tanto arbitraria quanto illegittima.

Temiamo da un momento all’altro un blitz delle forze di polizia.

Siamo fortemente allarmati soprattutto per l’incolumità dei tanti vecchietti, fra cui alcuni ex-partigiani ultraottantenni, che presidiano ininterrottamente il tetto più alto di quest’ospedale illegalmente chiuso da sìddette “Istituzioni”.

LA REPUBBLICA E’ FINITA!!!!

LA MAFIA HA PRESO IL DIRETTO CONTROLLO DELLE ISTITUZIONI!!!!

SIAMO IN UNO STATO FASCISTA DOVE I CITTADINI SONO CONSIDERATI SPAZZATURA!!!! 

Per saperne di più:

Antonio Forcillo – addetto comunicazione

(338-5867165)

Mix tra affari e massoneria

 

Il pm di Potenza fa luce sulle presunte attività illecite delle logge sulle quali indaga dal 2005. Dei 24 indagati 15 vivono in Toscana  Potenza, 5 giugno 2007 – “Una inquietante commistione tra massoneria, affari, politica e apparati pubblici di ogni genere e specie”. La frase eloquente è quella usata dal pm di Potenza, Henry John Woodcock, per descrivere le indagini sulle presunte attività illecite delle logge massoniche sulle quali indaga dal 2005. Anche in questo caso il magistrato potentino ha sviluppato il lavoro investigativo partendo da un filone principale: quello che circa due anni fa portò in carcere, tra gli altri, il faccendiere Massimo Pizza per una truffa ai danni di alcuni imprenditori.Contro i 24 indagati il magistrato ipotizza i reati di associazione a delinquere finalizzata a un numero indeterminato di reati contro la pubblica amministrazione. Per raggiungere questo scopo gli indagati avrebbero promosso e partecipato associazioni segrete vietate dall’art. 18 della Costituzione, in particolare costituendo strutture associative di tipo massonico la cui esistenza è stata occultata. “Ovvero – aggiunge il Pm – venivano tenute segrete congiuntamente finalità e attività sociali, rimanendo sconosciuti, in tutto o in parte, e anche reciprocamente i rispettivi soci”.Dalle intercettazioni e dalle indagini effettuate, gli indagati non apparterrebbero a famiglie massoniche conosciute, quali il Grande Oriente d’Italia (GOI) o la Grande Loggia d’Italia degli antichi liberi accettati muratori (GLDI). Infatti le due organizzazioni create dai personaggi finiti nell’inchiesta, ovvero la Gran Loggia Unita Tradizionale (GLUT) e il Grande Oriente Universale (GOU), non hanno ottenuto il riconoscimento di quelle che sono le organizzazioni massoniche più autorevoli in Italia.  Secondo gli inquirenti, le indagini hanno messo in luce un quadro “piuttosto allarmante” riferito all’attività criminosa perseguita da un gruppo di persone “legate ed espressione di ambienti massonici deviati”, riconducibili a logge ‘coperte’ e cioè a strutture carenti di quelle caratteristiche di pubblicità interna ed esterna e di reciproca conoscenza tra i componenti. Secondo quanto accertato, inoltre, le logge che hanno le connotazioni di un gruppo ‘ben organizzato’ avrebbero una capacità operativa su tutto il territorio nazionale e anche all’estero.  Per gli inquirenti potentini i soggetti coinvolti, assidui frequentatori e animatori dell’associazionismo massonico in generale, “trovano in questo contesto un ambiguo ambito privilegiato nel quale, di volta in volta, instaurare contatti, raccogliere informazioni, cementare legami, procurarsi entrature, assicurarsi appoggi e rapporti privilegiati con la Pubblica amministrazione in particolare.Sarebbero emersi interessi sterminati che riguardano opere pubbliche, costituzioni di società off shore, fino alla compravendita di istituti bancari e di lotti di idrocarburi”. Una attività che poteva godere di un articolato intreccio di relazioni con soci in affari, ex commilitoni, fratelli di logge, ex appartenenti alla P2 e compagni di partito.
Intercettazioni ambientali e telefoniche, avrebbero, infatti, permesso di accertare i forti legami con gli ambienti di alcuni partiti politici in particolare.Vivono in Toscana 13 delle 24 persone iscritte nel registro degli indagati nell’inchiesta del pm di Potenza Henry John Woodcock sulla cosiddetta ‘Massoneria occulta’. Sei gli indagati tra Viareggio e la Versilia, cinque a Livorno e due all’Isola d’Elba, dove la polizia di Potenza ha eseguito perquisizioni a Marina di Campo e Portoferraio. Il reato ipotizzato è la violazione della legge Anselmi, per aver costituito strutture associative di tipo massonico. 

da quotidiano.net

CREDITO E MALAGIUSTIZIA IN BASILICATA – ROGNE LUCANE

 

Un pm che cambia improvvisamente rotta e contraddice se stesso e il suo operato. Un maxi perizia durata mesi e mesi, costata quasi 120 mila euro e poi buttata nel cestino. Poi un’altra frettolosa, misteriosa perizia bis, una cinquantina di paginette che cercano di contrastare, senza il becco di una motivazione plausibile, il monumentale lavoro svolto in precedenza. Ciliegina sulla torta, la richiesta ormai ovvia, super scontata a quel punto, per una sfilza di imputati eccellenti: “non luogo a procedere”. Per la serie, tutto quello che avete fatto ‘nun e’ reato.
Va in scena, questa pie’ce ai confini della realta’ ma tutta dentro il pianeta malagiustiza di casa nostra, in Basilicata, e coinvolge vertici economici, politici, istituzionali da novanta. Tutti a loro volta passati ai raggi x, circa tre anni fa, dall’allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris nell’ambito della maxi inchiesta Toghe Lucane, poi scippatagli per l’alto volere del Csm. Sotto i riflettori, in particolare, la disinvolta attivita’ della Banca del Materano, una delle “dieci sorelle” (ormai cosi’ le chiamano in mezza Italia), le Popolari che al centro-sud sono confluite tra fine 1999 e inizio 2000 sotto l’ombrello del colosso creditizio emiliano romagnolo BPER (Banca Popolare Emilia Romagna), di storiche simpatie prodiane e, nel Mezzogiorno, legato all’ex segretario Dc, il nuschese Ciriaco De Mita (storico amico, a sua volta, del padrone di Parmalat Callisto Tanzi e dell’altro crakkista eccellente Sergio Cragnotti).
E’ proprio di quell’epoca, inizio 2000, la maxi fusione di una decina di popolari centro-meridionali. Spiccano fra le altre, oltre a quella del Materano, le Popolari di Salerno e dell’Irpinia. E chi non lo ricorda, lo “Sportello di Famiglia” ai tempi dell’Irpiniagate, ovvero la razzia di fondi post sisma del 1980? Una popolare, quella avellinese, presieduta per un ventennio dall’inossidabile Ernesto Valentino, grande amico di De Mita e – confermano ancora oggi nel capoluogo irpino – dell’ex ministro degli Interni e attuale vicepresidente del Csm Nicola Mancino. Banca a dir poco allegra, viste le falle in bilancio e le sofferenze arcimilionarie, dimostrate dalle frequenti visite degli ispettori di Bankitalia: 10 mila miliardi di vecchie lire, sono in parecchi a denunciare. E a documentare. Come fa un costruttore locale, Giuseppe Testa, che esposti su esposti, inoltrati in procure di mezza Italia, mette nero su bianco il “copione”, la “sola”, la classica vendita della fontana di Trevi stile Toto’ portata a segno dai vertici della BPER (che aveva appena inglobato l’Irpinia e le sue nove sorelle). «Per gestire tutta l’operazione – carica Testa – la Bper ha inghiottito, e poi cartolarizzato, un mare di crediti del tutto presunti, attraverso una societa’ di comodo creata ad hoc, la Mutina». Per la gran parte inesigibili, quei crediti; quindi carta straccia. Stesso copione a Salerno, dove e’ sceso in campo il Sinpa (sindacato nazionale piccoli azionisti), che da inizio 2000 denuncia errori, orrori e omissioni di Bankitalia proprio su questa vicenda. E in Basilicata, dove da anni sta dando battaglia un imprenditore stretto nella morsa creditizia e autore di denunce al vetriolo contro i vertici della Popolare del Materano, Michele Zito. All’affare Bper-Mutina la Voce ha dedicato una serie di articoli, a partire dall’inizio 2006. Storie di credito border line con l’usura, di malamministrazione. Di controlli che non esistono. E, soprattutto, di malagiustizia. Come ora cerchiamo di sunteggiare, tappa per tappa, anno per anno.

FIAMMATE GIALLE
Novembre 2000. Ha inizio la prima ispezione Bankitalia alla popolare materana. Dura quattro mesi, vengono rilevate palesi «inosservanze della normativa vigente». A partire dal vertice, il direttore generale Giampiero Maruggi, che allegramente «dispone, in eccesso alle sue facolta’, l’effettuazione di transazioni in proprio e di segno opposto, che hanno comportato perdite aziendali». Tra firme apocrife e crediti allegri, insomma, e’ un vero e proprio via vai di amici, «debitori agevolati», corsie preferenziali e controlli inesistenti.
Febbraio 2004. Il comando della Guardia di Finanza di Matera, che ha svolto per mesi e mesi indagini su ordine della procura di Matera, guidata da Giuseppe Chieco, redige un fascicolo di 89 pagine sull’attivita’ della Popolare. Eccone alcuni rapidi stralci. Esiste, viene sottolineato, «una sorta di sodalizio costituito al fine di perseguire nel tempo il medesimo disegno criminoso, realizzato attraverso l’attivita’ creditizia della Banca Popolare del Materano a favore di una ristretta cerchia di individui, mediante la concessione di benefits in dispregio dell’interesse comune dei sottoscrittori dell’ente creditizio e del bene patrimoniale della banca».
E via giu’ con una sfilza di «condotte penalmente rilevanti» portate a segno con «sistematicita’» da «dirigenti di banca e da professionisti in favore di una certa selezionata clientela che di fatto viene finanziata e in taluni casi sovvenzionata». «Si puo’ ipotizzare – veniva sottolineato nei roventi rilievi – l’esistenza di un ristretto comitato d’affari, realizzato attraverso la gestione clientelare del credito, la truffa, l’appropriazione indebita, il mendacio bancario, il falso ideologico». E via.
Giugno 2004. Sono trascorsi solo pochi mesi dal primo rapporto di fuoco – e’ il caso di dirlo – delle fiamme gialle, ed eccoci ad una seconda informativa, meno accalorata ma piu’ specifica: siamo a giugno 2004 e riguarda i finanziamenti facili ad una concessionaria auto, evidentemente “amica”.
Settembre 2004. Il comando del nucleo provinciale di polizia tributaria chiude le indagini e consegna al procuratore capo Chieco il “super dossier”, ossia il documento che riassume tutte le indagini fin qui svolte a carico dei vertici della Popolare. Ma il dossier “sparisce”, si volatilizza: non compare, infatti, tra i voluminosi faldoni del procedimento giudiziario. Riesce miracolosamente a ritrovarlo la procura di Salerno, che indaga sulla querelle ormai al vetriolo fra De Magistris e la pletora di “toghe lucane” (e non solo) coinvolte nella maxi inchiesta del pm di Catanzaro.
Marzo 2007. All’istituto materano arrivano di nuovo gli 007 di Bankitalia, che lavorano per tre mesi, fino al 22 giugno. Una bordata. Parole di fuoco, quelle degli ispettori, che puntano i riflettori, in particolare, sugli affaire Mutina e cartolarizzazione. Ecco cosa mettono nero su bianco: «il business plan compilato all’atto della cessione del portafoglio crediti cartolarizzato (2002) non ha stimato in modo sufficientemente attendibile il valore dei titoli junior, sui quali non erano state formulate previsioni di recupero». Il pasticciaccio brutto viene confermato dalle fiamme gialle che redigono un rapporto al calor bianco, riscontrando «violazioni alla normativa vigente» e poi chiedendo l’aiuto di una consulenza tecnica.

LA FRITTATA DI CHIECO
Cosa fa, a questo punto, l’imperturbabile Chieco? Chiude un occhio, anzi due. Perche’ gira la frittata e chiede l’archiviazione di tutto il filone d’inchiesta, sostenendo che l’operazione-cartolarizzazione e’ regolare e trasparente, come osserva la Guardia di Finanza. La quale, invece, aveva documentato esattamente il contrario, descrivendo le innumerevoli performance del “sodalizio criminoso”. Le fiamme gialle, fra le altre cose, sottolineavano le frequenti “manchevolezze” nei procedimenti di valutazione degli immobili, posti a garanzia dei crediti allegri concessi a correntisti “eccellenti”. Come nel caso di Iside Granese, toga di punta della procura lucana, che per ottenere un maxi prestito all’incredibile tasso del 3 per cento, da’ a garanzia un immobile da 150 mila euro, pluri-ipotecato (si parla di una stratosferica cifra da 1 milione e 200 mila euro).
Nel mezzo di questa tempesta, cosa pensa bene di fare il direttore generale della Popolare di Matera, Maruggi? Esattamente un anno fa, ad aprile 2008, annuncia il lieto evento: «La buona notizia – gongola – e’ che quell’iter ispettivo si e’ concluso povitivamente, non ci e’ stato mosso alcun rilievo». Non contento, aggiunge: «Per questo siamo tra quell’elite, quel gruppo ristretto di banche, non piu’ di una decina, che non subiscono rilievi dalla Banca d’Italia». Beato lui. L’unico a “non sapere” che il maxi gruppo da una decina di banche sparse per il centro sud – sotto l’attenta regia della maxi popolare, BPER – ha cartolarizzato per palate di milioni di euro i suoi debiti sdoganandoli presso i soliti, ignari, risparmiatori. «Che si ritroveranno in braghe di tela fra qualche anno – commentano parecchi a piazza Affari – cosi’ come e’ capitato con tanti crac da novanta, dai bond argentini fino a Parmalat, Cirio e compagnia bella».

SCENEGGIATA, AVANTIe#8200;TUTTA
Ma riprendiamo in rapida carrellata l’iter giudiziario. Sei anni di indagini condotte dal pm Annunziata Cazzetta, una perizia tecnica costata circa 120 mila euro, una montagna di carte e documenti prodotte da Fiamme gialle e Bankitalia in prims, una sfilza di riscontri. E poi? Mesi e mesi per formulare la richiesta di rinvio a giudizio, mesi e mesi in attesa della firma del procuratore capo Chieco. Alla fine della sceneggiata? Il gip, Angelo Onorati, a due anni dalla chiusura delle indagini, invece di decidere, rinvia. Anzi, fa peggio: ordina una nuova perizia tecnica, affidata ad Angelo Menichini, ex dirigente del defunto Banco di Napoli (poi passato sotto l’ombrello del gruppo San Paolo) e membro dell’Abi. «Quindi del tutto incompatibile – tuonano all’Adusbef, la battagliera associazione animata da Elio Lannutti che per prima ha denunciato lo scandalo Bper e annesse cartolarizzazioni a go go – per palesi conflitti di interesse, dal momento che nell’inchiesta sono indagati numerosi esponenti della stessa Abi e di vertici bancari nazionali». Come, per fare solo qualche nome, Guido Leoni (amministratore delegato Bper, indagato per appropriazione indebita), lo stesso Maruggi (associazione per delinquere, appropriazione indebita, truffa e violazione della legge bancaria), Francesco Lucifero (un cognome, un programma: presidente Banca Popolare del Mezzogiorno, stessi capi d’accusa di Maruggi), Attilio Caruso (ex presidente Banca Popolare del Materano, uguali capi d’accusa), Donato Masciandaro (presidente della Popolare del Materano, appropriazione indebita).
Ma cosa chiede Onorati al nuovo perito? Se quei vertici bancari hanno violato la legge. Tutto e niente. O meglio, il vuoto assoluto. E in poche settimane il solerte Menichini butta giu’ una cinquantina di pagine dove dice: non hanno violato la legge. «Proprio come chiedere – commentano in parecchi a Potenza – al fruttivendolo se la merce che vende e’ buona o no». Oppure all’acquaiolo se la sua acqua e’ potabile.
Ecco la comica finale. La Cazzetta fa un’inversione a U e cambia diametralmente parere, chiedendo il non luogo a procedere per gli imputati e vanificando la monumentale inchiesta precedente (perizia tecnica numero uno, lavoro degli ispettori di Bankitalia e della Gdf). Onorati ratifica e sentenzia: il fatto non costituisce reato.
Un denominatore comune in tutta questa storia di malcredito, malapolitica e malagiustizia? Emilio Nicola Buccico, senatore di An, ex sindaco di Matera, gia’ membro del Csm e, soprattutto, avvocato. Di uno stuolo di inquisiti nella maxi inchiesta Toghe Lucane scippata a De Magistris. E in ottimi rapporti con parecchi magistrati che hanno lavorato sull’affaire Bper e dintorni. Ecco cosa scrive Carlo Vulpio, fresco candidato per l’Italia dei Valori alle europee, giornalista di razza del Corsera (e per questo emarginato dai vertici del quotidiano) nel suo “Roba Nostra” (edizioni il Saggiatore): «L’amicizia e’ amicizia e Buccico e’ un amico. Del procuratore di Matera, Giuseppe Chieco, e dei pm a lui piu’ fedeli, da Paola Morelli, che aveva archiviato la pratica Marinagri (una maxi speculazione edilizia, ndr) come non avrebbe fatto nemmeno con una mansarda abusiva, ad Annunziata Cazzetta, Valeria Farina Valaori, Rosa Bia e Angelo Onorati. Mentre a Potenza Buccico e’ molto amico del procuratore generale Vincenzo Tufano e del capo della procura Giuseppe Galante. Ed e’ molto amico anche del procuratore vicario Felicia Genovese e di suo marito, il manager ospedaliero Michele Cannizzaro, che contemporaneamente sponsorizza la campagna elettorale di Buccico e si propone come uno dei volti nuovi dell’Ulivo». Protagonisti e interpreti del copione di “Toghe Lucane”.

da lavocedellevoci.it

INDUZIONE ALL'EMIGRAZIONE

100 KM DI RABBIA E DI PASSIONE

 di Antonio Forcillo

Questa non è una storia inventata, ma ciò che è accaduto realmente una settimana fa, esattamente il 26 e 27 luglio 2010.

Partenza alla mattina, alle sette in punto, dal piazzale antistante l’ospedale di Tinchi di Pisticci (MT); destinazione Potenza.

Poco più di 100 km a piedi, sulla superstrada Basentana, in marcia serrata per il Consiglio Regionale straordinario che doveva decidere sulle sorti dell’Ospedale metapontino.

Venti temerari, semplici cittadini non dipendenti né di asl né dell’ospedale, che si sono cimentati in un’impresa memorabile, quasi impossibile.

Ma non siamo all’inizio della storia, in quanto già da più di un mese, esattamente dal primo luglio, un altro gruppo di cittadini è asserragliato sul tetto più alto di quell’ospedale che si è deciso di chiudere. 

Insieme ai più giovani che si alternano nei turni massacranti di presidio continuo, per giorno e notte, alcuni autentici frammenti di storia vivente.

Uno di loro, 86 anni, ex compagno di brandina in carcere di Rocco Scotellaro ai tempi delle lotte contadine, e amico di Carlo Levi.

Quello di Tinchi è un ospedale distrettuale importantissimo; ha servito egregiamente per trent’anni 50.000 cittadini d’inverno che d’estate diventano più di 300.000, che si sono visti privare improvvisamente di quell’ultimo bene residuo, essenziale per la sopravvivenza di una vasta comunità, quella metapontina.

Qualcuno penserà che è colpa di Tremonti, dei tagli alla sanità del Governo Berlusconi…

Niente di tutto ciò!

La chiusura di quell’ospedale, vanto di tutta la Basilicata per l’ottima valenza del suo personale e dei suoi conti economici, fa parte di una strategia criminale di lungo corso che vuole indurre all’emigrazione forzata le popolazioni d’origine di questi territori, dopo che un’altra emigrazione di massa, nei decenni scorsi, le ha già pesantemente decimate.

Induzione forzata all’emigrazione in un territorio ricchissimo e rigoglioso, sicuramente il più ricco d’Europa per gli enormi giacimenti di petrolio e gas naturale qui presenti.

D’altronde, l’individuazione del sito unico delle scorie di Scanzano Jonico, distante da Tinchi meno di 15 km, già qualche anno fa sarebbe servito proprio a questo.

Abbiamo percorso i 100 km in 27 ore esatte, arrivando davanti al palazzo delle Regione stremati, alle 10 in punto del giorno dopo, sdraiandoci per terra con i piedi doloranti e roventi per le bolle e il sudore.

Un vero e proprio record, ha gridato qualcuno con il suo ultimo barlume di forza.

Alle otto di sera, dopo un’interminabile giornata di attesa spasmodica davanti al Palazzo, sotto il sole cocente e due terribili acquazzoni beccati in pieno, la maggioranza di governo lucano ha bocciato entrambe le uniche due mozioni previste, che avrebbero restituito almeno in parte i servizi e i reparti sottratti all’Ospedale di Tinchi.

Ha, cioè, deciso di non decidere; nella costanza di una consuetudine efferata e aberrante.

Quella di Basilicata, a maggioranza PD, è sicuramente l’ultima énclave o roccaforte di una sinistra dittatoriale e sanguinaria, che riesce a impedire ai sindacati e ai lavoratori di poter partecipare, alla magistratura di indagare, alle televisioni e ai giornali nazionali di trasmettere…

Con un fil di voce e di nascosto, per paura delle feroci epurazioni e ritorsioni diffuse e qui all’ordine del giorno, molti cittadini cominciano a osare dove non hanno mai osato…

Iniziano cioè a paragonare questo regime repressivo a una vera e propria reincarnazione già compiuta:   quella di CEAUSESCU!

Tinchi, 2 agosto 2010  

Antonio Forcillo

SOS – APPELLO DISPERATO IN DIFESA DI UN OSPEDALE

SOS – APPELLO DISPERATO IN DIFESA DI UN OSPEDALE

E’ l’ospedale pubblico di Tinchi di Pisticci (MT), vittima di un vero e proprio piano a dir poco criminale.

Lo stanno letteralmente smontando pezzo dopo pezzo, reparto dopo reparto.

Negli anni scorsi avevano illuso il grande bacino di utenza locale (50.000 persone in inverno e ben 350.000 come in questi giorni d’estate), che le chiusure per ristrutturazioni transitorie di molti reparti come ostetricia, sale parto, pediatria, chirurgia sarebbero servite per riammodernare il nosocomio. Così è stato, infatti sono stati spesi svariati milioni di euro solo che nel frattempo hanno deciso di chiuderlo definitivamente per “regalarlo” a una fondazione privata che si occuperà di “ricerche in neuropsichiatria infantile”,  creando ulteriori dubbi e inquietudini alla già provata popolazione costretta a inenarrabili calvari.

Dal  1° luglio hanno chiuso anche la divisione di Medicina, e da allora alcuni membri del Comitato Cittadiniattivi di Bernalda e Metaponto (che siamo semplici cittadini e non dipendenti in mobilitazione) siamo saliti a oltranza sul tetto più alto dell’ospedale.

Nei giorni prossimi smantelleranno anche gli ultimi reparti rimasti, compreso il laboratorio di analisi e il pronto soccorso.

Le rassicurazioni fornite dal Direttore Generale ASM (Azienda Sanitaria del Materano) davanti alle telecamere di Striscia la Notizia qualche mese fa, sono clamorosamente smentite dai fatti di questi giorni, probabilmente studiati ad hoc per non incappare in un nuovo servizio di Striscia che come è noto riprenderà in autunno.

Per le conseguenze sulla popolazione (molti vecchietti soli  stanno rifiutando i ricoveri negli altri ospedali che distano da Tinchi più di 40 Km, preferendo così di lasciarsi morire), sembra di essere finiti nelle grinfie di qualche criminale nazista curriculato ad Auschwitz.

Ben 12.000 (dodicimila) firme contrarie raccolte tra i cittadini di Pisticci, Marconia, Bernalda, Metaponto non contano nulla per gli aguzzini della Regione Basilicata. Il loro piano continua imperterrito.

Grazie a chi ci aiuterà diffondendo questo appello.

il Comitato Cittadiniattivi di Bernalda e Metaponto

guardate in questo link il servizio di Striscia

http://www.pisticci.com/index.php?option=com_content&view=article&id=520:gaudiano-a-striscia-la-notiziaqlospedale-di-tinchi-non-chiudeq&catid=58:cronaca&Itemid=181

e il presidio in corso ininterrottamente dal 1° luglio sul tetto più alto dell’ospedale di Tinchi

http://www.pisticci.com/index.php?option=com_content&view=article&id=830:tinchi-non-puo-chiudere-pisticcicom-documenta-lo-sperpero-di-denaro-pubblico-&catid=58:cronaca&Itemid=181

Basilicata

 

Prima di accingerVi a leggere i vari casi, pensate che si tratta di storie vere, per cui molti uomini sono morti e tante famiglie sono state distrutte dal dolore, senza ricevere alcuna tutela, da parte delle varie Autorità a cui fiduciosamente si erano rivolte. Pensate che non si tratta di casi isolati e non crediate che ciò che è capitato agli altri non possa, prima o poi, capitare, anche, a Voi od, a qualche stretto congiunto. Sarebbe il più grave errore che potreste commettere, dal quale genera l’indifferenza verso i mali della giustizia e su cui si fonda il dominio del male e della menzogna sulla Verità.