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Lea Garofalo sciolta nell'acido con la complicità dello Stato

Lea Garofalo, nonostante il suo struggente appello alla più alta carica della magistratura e dello Stato, che di seguito pubblichiamo integralmente, è stata rapita in pieno centro a Milano, capitale della ‘ndrangheta e del narcotraffico, torturata e uccisa con un colpo alla testa, per infine venire sciolta nell’acido.

Il caso che approderà avanti la Corte d’Assise a partire dal prossimo 9 luglio, secondo modalità da copione in altri delitti di mafia, è stato derubricato dai giudici di Milano: da omicidio a scopo mafioso a delitto passionale.

A rivelarlo è stato il legale della famiglia della vittima, Roberto D’Ippolito, che si è detto deluso da questa decisione e pronto a chiedere il riconoscimento della modalità mafiosa.

Signor Presidente della Repubblica, chi le scrive è una giovane madre, disperata allo stremo delle sue forze, psichiche e mentali in quanto quotidianamente torturata da anni dall’assoluta mancanza di adeguata tutela da parte di taluni liberi professionisti, quali il mio attuale legale che si dice disponibile a tutelarmi e di fatto non risponde neanche alle mie telefonate Siamo da circa 7 anni in un programma di protezione provvisorio. In casi normali la provvisorietà dura all’incirca 1 anno, in questo caso si è oltrepassato ogni tempo e, permettetemi, ogni limite, in quanto quotidianamente vengono violati i nostri diritti fondamentali sanciti dalle leggi europee.

IL MIO AVVOCATO NON MI TUTELA

Il legale assegnatomi dopo avermi fatto figurare come collaboratrice, termine senza che mai e dico mai ho commesso alcun reato in vita mia. Sono una donna che si è sempre presa la responsabilità e che da tempo ha deciso di rompere ogni tipo di legame con la propria famiglia e con il convivente. Cercando di riniziare una vita all’insegna della legalità e della giustizia con mia figlia. Dopo numerose minacce psichiche, verbali e mentali di denunciare tutti. Vengo ascoltata da un magistrato dopo un mese delle mie dichiarazioni in presenza di un maresciallo e di un legale assegnatomi, mi dissero che bisognava aspettare di trovare un magistrato che non fosse corrotto dopo oltre un mese passato scappando di città in città per ovvie paure e con una figlia piccola, i carabinieri ci condussero alla procura della Repubblica di C. e lì fui sentita in presenza di un avvocato assegnatomi dalla stessa procura.

Questi mi comunicarono di figurare come collaboratore, premetto di non aver nessuna conoscenza giuridica, pertanto il termine di collaboratore per una persona ignorante, era corretto in quanto stavo collaborando al fine di arrestare dei criminali mafiosi. Dopo circa tre anni il mio caso passa ad un altro magistrato e da lui appresi di essere stata mal tutelata dal mio legale.

HO PERSO TUTTO E SIAMO ISOLATE

Oggi mi ritrovo, assieme a mia figlia isolata da tutto e da tutti, ho perso tutto, la mia famiglia, ho perso il mio lavoro (anche se precario) ho perso la casa, ho perso i miei innumerevoli amici, ho perso ogni aspettativa di futuro, ma questo lo avevo messo in conto, sapevo a cosa andavo incontro facendo una scelta simile.

Quello che non avevo messo in conto e che assolutamente immaginavo, e non solo perché sono una povera ignorante con a mala pena un attestato di licenza media inferiore, ma perché pensavo sinceramente che denunciare fosse l’unico modo per porre fine agli innumerevoli soprusi e probabilmente a far tornare sui propri passi qualche povero disgraziato sinceramente, non so neanche da dove mi viene questo spirito, o forse sì, visti i tristi precedenti di cause perse ingiustamente da parte dei miei familiari onestissimi! Gente che si è venduta pure la casa dove abitava, per pagare gli avvocati e soprattutto, per perseguire un’idea di giustizia che non c’è mai stata, anzi tutt’altro! Oggi e dopo tutti i precedenti, mi chiedo ancora come ho potuto, anche solo pensare che in Italia possa realmente esistere qualcosa di simile alla giustizia, soprattutto dopo precedenti disastrosi come quelli vissuti in prima persona dai miei familiari.

CONOSCO GiA’ IL MIO DESTINO CHE MI ASPETTA

Eppure sarà che la storia si ripete che la genetica non cambia, ho ripetuto e sto ripentendo passo dopo passo quello che nella mia famiglia è già successo, e sa qual è la cosa peggiore? La cosa peggiore è che conosco già il destino che mi spetta, dopo essere stata colpita negli interessi materiali e affettivi arriverà la morte! Inaspettata indegna e inesorabile e soprattutto senza la soddisfazione per qualche mio familiare è stato anche abbastanza naturale se così si può dire, di una persona che muore perché annega i propri dolori nell’alcol per dimenticare un figlio che è stato ucciso per essersi rifiutato di sottostare ai ricatti di qualche mai mafioso di turno. Per qualcun altro è stato certamente più atroce di quanto si possa immaginare lentamente, perché questo visti i risultati precedenti negativi si è fatto giustizia da solo e , si sa, quando si entra in certi vincoli viziosi difficilmente se ne esce indenni tutto questo perché le istituzioni hanno fatto orecchie da mercante!

CREDO ANCORA NELLA GIUSTIZIA

Ora con questa mia lettera vorrei presuntuosamente cambiare il corso della mia triste storia perché non voglio assolutamente che un giorno qualcuno possa sentirsi autorizzato a fare ciò che deve fare la legge e quindi sacrificare se pur per una giustissima causa la propria vita e quella dei propri cari per perseguire un’idea di giustizia che tale non è più nel momento in cui ce la si fa da soli e, con metodi spicci.

Vorrei Signor Presidente, che con questa mia richiesta di aiuto lei mi rispondesse alle decine, se non centinaia di persone che oggi si trovano nella mia stessa situazione. Ora non so, sinceramente, quanti di noi non abbiamo mai commesso alcun reato e, dopo aver denunciato diversi atti criminali, si sono ritrovati catalogati come collaboratori di giustizia e quindi di appartenenti a quella nota fascia di infami, così comunemente chiamati in Italia, piuttosto che testimoni di atti criminali, perché le posso assicurare, in quanto vissuto personalmente che esistono persone che nonostante essere in mezzo a situazioni del genere riescono a non farsi compromettere in nessun modo a ad avere saputo dare dignità e speranza oltre che giustizia alla loro esistenza.

Lei oggi, signor presidente, può cambiare il corso della storia, se vuole può aiutare chi, non si sa bene perché, o come, riesce ancora a credere che anche in questo paese vivere giustamente si può nonostante tutto!

La prego signor presidente ci dia un segnale di speranza, non attendiamo che quello, e a chi si intende di diritto civile e penale, anche voi aiutate chi è in difficoltà ingiustamente!

Personalmente non credo che esiste chissà chi o chissà cosa, però credo nella volontà delle persone, perché l’ho sperimentata personalmente e non solo per cui, se qualche avvocato legge questo articolo e volesse perseguire un’idea di giustizia accontentandosi della retribuzione del patrocinio gratuito e avendo in cambio tante soddisfazioni e una immensa gratitudine da parte di una giovane madre che crede ancora in qualcosa vagamente reale, oggi giorno in questo paese si faccia avanti, ho bisogno di aiuto, qualcuno ci aiuti. Please!”

Una giovane madre disperata

(Tratto dal “Quotidiano della Calabria” Giovedi 2 Dicembre 2010)

IL PROCESSO GIA’ SVUOTATO DELL’ACCUSA PRINCIPALE

La tremenda storia di Lea Garofalo e dei suoi feroci aguzzini protetti dallo Stato torna da qualche giorno a smuovere le coscienze degli italiani e dei palazzi del potere.

Il processo approderà avanti la Corte d’Assise a partire dal prossimo 9 luglio, ma secondo un copione che ricorda quello dell’Autoparco e di tanti altri delitti di mafia, è già stato svuotato dai giudici di Milano, che hanno derubricato il capo di accusa da omicidio a scopo mafioso a delitto passionale. A rivelarlo è stato lo stesso legale della famiglia della vittima, Roberto D’Ippolito, che si è detto deluso da questa decisione e pronto a chiedere il riconoscimento della modalità mafiosa.

I responsabili dell’omicidio della giovane madre coraggio barbaramente uccisa dalle cosche che controllano la lombarda insaguinata pianura padana hanno già messo a segno una prima vittoria, che toglie dignità e valore morale all’esemplare sacrificio di Lea Garofalo e Denise. E’ una storia vile e raccapricciante destinata a lasciare una macchia indelebile sulla coscienza del Paese e di tutti coloro che avrebbero dovuto proteggerla, DDA di Milano e Reggio Calabria in primis.

Il caso balza alle cronache giudiziarie nel 2009, quando la Procura di Campobasso apre un fascicolo per sequestro di persona, contro ignoti. In realtà secondo le procure Lea Garofalo, ex collaboratrice di giustizia, ha subito una sorte orribile: rapita a Milano e poi sciolta nell’acido in un capannone nel monzese; dietro questo gesto atroce risiede la mano della ‘ndrangheta e dell’ex marito della donna, Carlo Cosco.

La vicenda ha come fulcro la “casa dei calabresi” a Milano, in via Montello, palazzo in centro cittadino dove verso la fine degli anni Ottanta si stabilirono alcuni affiliati della cosca dei Garofalo, tra cui esponenti della famiglia Cosco.

In quello stesso palazzo, di proprietà dell’Ospedale Maggiore, è arrestato il fratello di Lea nel 1996 (morirà nel 2005 in un attentato a Pagliarelle, frazione di Petilia Policastro) e trova rifugio il cugino di Carlo Cosco, Vito Cosco, noto alla cronaca nera per la Strage di Rozzano, in cui persero la vita “accidentalmente”, oltre alla vittima designata, anche un pensionato e una bambina di tre anni. Lo stesso Vito Cosco, detto Sergio, sarà poi arrestato nel 2010 per il sequesto e l’omicidio di Lea Garofalo, assieme a Sabatini e all’ex convinvente della donna.

Lea Garofalo, 35 anni, proviene dunque da una famiglia malavitosa di Petilia Policastro, provincia di Crotone; nonostante ciò ha il coraggio di denunciare quanto sente e quanto sa anche di quella casa milanese, in Via Montello, da cui il marito gestisce gli affari illeciti dei Garofalo (soprattutto il traffico di stupefacenti, ma anche estorsioni e riciclaggio) e decide di parlare per la speranza di dare a sua figlia Denise una vita normale, una vita migliore.

Per questo ripone la sua vita e quella della figlia nelle mani dello Stato: diventa “collaboratrice di giustizia” (anche se giustamente come Lei stessa denuncia di reati non ne ha mai comemssi), con un programma provvisorio nel 2002 e inizia a fornire importanti informazioni in merito all’omicidio di Antonio Comberiati avvenuto nel 1995 e delle responsabilità del fratello Floriano Garofalo, di Carlo Cosco e di suo fratello Giuseppe Cosco; parla inoltre della faida scoppiata nel 1975 tra i Mirabelli e i Garofalo a Pagliarelle, che quando era molto piccola le portò via il padre, capocosca di Petilia Policastro.

Nel 2006 la Dda di Catanzaro chiede di rendere definitiva la protezione, ma la richiesta viene respinta dalla Commissione centrale, competente per l’assegnazione della protezione a testimoni di giustizia, perché le sue dichiarazioni non avrebbero avuto rilevanza sufficiente e nessun autonomo sbocco processuale nell’omicidio del fratello legato a fatti estranei alla sua collaborazione. Lea Garofalo fa ricorso al TAR del Lazio, che riconferma la decisione della Commissione centrale giustizia. Solo un successivo appello al Consiglio di Stato annullerà la decisione impugnata del Tar Lazio e della Commissione centrale.

Questo episodio tuttavia incrina profondamente la sua fiducia nello Stato e nelle istituzioni, tanto da spingere Lea ad uscire dal programma, avendo constatato che il suo sacrificio non era servito a nulla, tanto che nessun omicidio da lei denunciato era stato perseguito: durante il periodo in cui lo Stato revoca la protezione Lea e Denise vengono anche privte dell’abitazione, finendo entrambe a dormire in automobile. Spinta dalla disperazione di vedersi voltare le spalle dallo Stato Lea decide dunque di uscire dal programma protezione e di riallacciare i rapporti con il padre della figlia, dal quale crede ancor più ingenuamente di poter venire forse perdonata e/o di ottenere quella pietà che lo Stato non le ha voluto o saputo riconoscere.

Torna a Campobasso, in una casa reperitale dallo stesso Carlo Cosco che però cerca di farla barbaramente uccidere, riuscendo a scampare al primo tentativo di rapimento grazie alla coraggiosa reazione della figlia Denise.

Lea è stretta tra l’incudine e il martello. Da una parte uno Stato complice e/o inerte dall’altra l’uomo che ha doppiamente tradito ma da cui spera una maggiore umanità quantomeno per la giovane figlia Denise. E’ così che dopo essere ancora una volta fuggita con la figlia ritorna a Milano nella tana della ‘ndrangheta. L’idea è quella di trasferirsi definitivamente in Australia anche come lavapiatti e di ottenere un piccolo aiuto per il viaggio dal padre di Denise che si finge paterno e accondiscendente, quando nel febbraio 2009, Lea Garofalo scompare per sempre.

L’ex compagno è il primo sospettato. Assieme a lui è arrestato Massimo Sabatino, che mesi prima aveva tentato di rapire la donna, mentre si trovava a casa con la figlia, fingendosi un idraulico intervenuto per un guasto alla lavatrice e mandato dallo stesso Carlo Cosco.

Era già pronta la vasca d’acido destinata alla donna, un orrore semplicemente rimandato ad un’altra data e ad un altro luogo: 24 novembre 2009, in Lombardia.

Lea Garofalo aveva portato la figlia Denise a Milano per potersi incontrare con il padre della ragazza. Lo scopo doveva essere parlare del suo futuro, ma Lea va incontro al suo orribile destino mentre Denise è con gli zii. La donna, portata in un capannone, viene torturata a lungo con lo scopo di estorcere le informazioni fornite dalla stessa agli inquirenti e vendicarsi per il gesto ritenuto inconcepibile: aver rotto il velo di omertà della famiglia e tradito il “marito”.

Per questo viene sciolta in 50 litri di acido, con lo scopo di non lasciare traccia alcuna e simulare un suo volontario allontanamento garantendo l’impunità dei suoi aguzzini.
Carlo Cosco è il primo a chiamare la polizia, resta con la figlia, che provvede poi a trasferire in Calabria sotto la vigilanza della zia Marisa e di un giovane uomo di sua fiducia con l’incarico di curarne le mosse.

Denise, quando scopre che l’uomo che le fa la corte e con cui si è fidanzata è coinvolto nella morte della madre, tenta la fuga, ma è costretta a tornare, sino al momento in cui decide di seguire le orme della madre per poterle rendere giustizia.

Denuncia il padre e rientra nel programma di protezione. Accanto a lei si costituiscono parte civile la zia, la nonna e il comune di Crotone.

Quando Lea Garofalo viene uccisa con un colpo di pistola alla nuca, dopo essere stata picchiata e torturata, non godeva di alcuna protezione da parte di quello Stato che aveva deciso di servire, a cui aveva affidato tutta se stessa e la vita della figlia.

Lo Stato è un attore ignobilmente alieno a questa vicenda, il cui vuoto pesa come un macigno. Non è e non ha ragion d’essere un alibi il fatto che Lea Garofalo abbia deciso per protesta di ritirarsi dal programma di protezione: lo sarebbe se la decisione non fosse scaturita dall’assenza di qualsiasi esercizio dell’azione penale in relazione ai vari omicidi denunciati e dal totale abbandono e illogica provvisorietà in cui Lea e la figlia sono state costrette a vivere per oltre 7 anni. Crediamo non ci sia modo peggiore per lo Stato di ripagare i propri figli migliori. Lea Garofalo non era una criminale, nonostante la vita difficile e le sue origini è andata controcorrente, ha lottato con grande coragggio per la legalità e un mondo migliore, per amore della figlia Denise e per la sua stessa dignità di donna onesta, per riscattare la sua terra. E, l’unica risposta ottenuta da quelle istituzioni in cui aveva riposto ogni speranza è stato un ignobile e assordante silenzio, anche da parte del Capo dello Stato che ha finto di non avere ricevuto nulla.

Sua figlia Denise ora attende che sia fatta giustizia per sua madre, che i carnefici paghino. Ma sin dalle prime battute la derubricazione del reato da omicidio a scopo mafioso a delitto passionale non promette un giusto processo.

Lo Stato che non ha aiutato Lea Garofalo saprà rispondere alle regole del diritto e al dolore della figlia? Saprà compiere finalmente un atto di vera giustizia o quella di Denise sarà un’altra vita spezzata da sacrificare sull’altare del narcotraffico che controlla sin dagli anni dell’Autoparco della mafia le procure delle industriose città del nord?

Interrogazione parlamentare:

http://www.camera.it/412?idSeduta=387&resoconto=stenografico&tit=00020&fase=00030

Testo della lettera di Lea Garofalo, riflessioni, spunti e ulteriori informazioni:

http://suddegenere.wordpress.com/2010/12/02/una-lettera-pubblicata-tardivamente/

http://www.19luglio1992.com/index.php?option=com_content&view=article&id=3648:lea-garofalo-lettera-al-capo-dello-stato-prima-di-morire&catid=1:lettere-aperte&Itemid=28

Il Post.it “Chi era Lea Garofalo?”

http://www.ilpost.it/2010/10/18/chi-era-lea-garofalo/

Il Fatto Quotidiano “Lea, mia madre coraggio contro le ‘ndrine”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/05/%E2%80%9Clea-mia-madre-coraggio-contro-le-%E2%80%98ndrine%E2%80%9D/141406/

LA QUESTURA DI MILANO MINACCIA DI VIETARE IL RUBY GATE'S DAY

Usando due pesi e due misure la Questura di Milano già responsabile dell’aggressione squadristica alla mia persona in occasione del processo Mills minaccia questa volta di vietare il Ruby Gate’s Day.
La notizia ci è giunta poche ore fa, senza alcuna motivazione alla base.
Alla claque filoberlusconiana non è mai stato negato di manifestare avanti al Tribunale in Via Freguglia.
A noi cittadini senza collare e padrini politici pare invece di si.
Ma noi già da lunedi li avremo mandati via tutti a partire dalla Moratti.
Martedi 31 sarà solo una festa per mandare via anche il nano piduista!
Non ci faremo intimidere sia perchè siamo pacifisti nonviolenti
sia perchè la libertà di riunione e di manifestazione del pensiero
non è soggetta a regolamentazioni (artt. 17 e 21 Cost.).
Fate circolare la notizia sui blog per spezzare il silenzio dei media siamo tanti non potranno metterci a tacere tutti!
Pietro Palau Giovanenetti
Presidente Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood
e Avvocati senza Frontiere

Ruby Gate's Day Sit-in 31-05-11 Palazzo Giustizia Milano

PARTECIPIAMO IN MASSA AL «RUBYGATE’S DAY SIT-IN» !

PER MANDARE A CASA NANO
PIDUISTA E BIANCANEVE MORATTI!

Scendiamo avanti ad ogni Tribunale in ogni parte d’Italia per fare sentire la nostra voce, difendere la legalità e la libertà di espressione del pensiero. A fianco della parte sana della magistratura per affermare il principio di  uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e il diritto ad una giustizia effettiva libera dai poteri occulti e dalle massomafie. Per rendere onore a Falcone, Borsellino e a tutti coloro i quali hanno donato le loro vite per recidere lo stretto connubio tra mafia, massoneria e istituzioni, quale collante del controllo politico-economico-mafioso del territorio.

Movimento per la Giustizia Robin Hood – Avvocati senza Frontiere

www.associazioni.milano/robinhood.it

www.avvocatisenzafrontiere.it

www.lavocedirobinhood.it

 

 

Per denunciare le vere ingiustizie e chiudere una volta per sempre con questa classe politica corrotta e massomafiosa, smascherando i veri giudici collusi e asserviti agli interessi delle cricche, come quelli che nei giorni scorsi hanno assolto Dell’Utri e il boss mafioso Vincenzo Virga ‘perché il fatto non sussiste‘, dopo quattro giudizi di merito e due di legittimità, tanto che il difensore della vittima dell’estorsione, “sconvolto per il verdetto”, ha annunciato che si rivolgerà per la terza volta alla Cassazione.

 

Per affermare che la Società civile ha ormai compreso che dalla fine del novecento la criminalità moderna non è più solo mafiosa, ma politica, economica, istituzionalizzata, collegata all’alta finanza, ai servizi segreti, alla massoneria internazionale, ai circoli esclusivi del potere, alle multinazionali del crimine, che hanno saputo usare le leggi della politica e dell’economia, prive di regole etiche, assoggettando governi e popoli, a cui impongono la loro subcultura dell’ideale del profitto e dell’associazionismo a delinquere di stampo lobbystico, produttivi solo di morte, distruzione, miseria, sfruttamento, riduzione in schiavitù e assenza di libertà.

 

INVITO A TUTTI COLORO CHE NON POTRANNO VENIRE A MILANO

 

1. ORGANIZZATEVI!

Siete in tanti a non poter essere con noi a Milano, fisicamente. Se siete in altre città organizzate iniziative collegate davanti ai vari Tribunali d’Italia: flash mob, sit-in o quant’altro il vostro senso civico e la vostra fantasia suggeriscano. Chiediamo solo che siano pacifiche e condotte in forma civile, come risposta alla gretta arroganza del potere e alla logica dello scontro che cercano di imporci.

2. RICHIEDETECI LE MAGLIETTE

Con la scritta “Io lavoro tu Ruby” e il logo di Robin Hood, da indossare il giorno del sit-in ! Chiunque potrà anche farle stampare scaricando dal ns. sito il file a breve  in rete su FACEBOOK;

3. INVIATECI

Un riscontro della vostra esperienza, che sia una fotografia di voi con la maglietta o il semplice logo o di un flash mob o un resoconto.  I vostri volti e il vostro sostegno sono il simbolo di una voce ancora viva e vitale, che questo regime di malaffare non riuscirà mai a spegnere né nessuna autoassoluzione potrà mai convincere! L’evento è taggato su facebook e twitter alla pagina di Avvocati Senza
Frontiere.

 

Vi preghiamo dar conferma della Vostra adesione: adesione Facebook.com

Per conoscere le ns. attività: www.avvocatisenzafrontiere.itwww.associazioni.milano/robinhood

Scarica e diffondi il video dell’aggressione della Digos  al Presidente dell’Associazione Robin Hood davanti al Tribunale di Milano per far capire quale sia il vero volto del potere in Italia : link Youtube.com

Pietro Palau Giovannetti_ _Il contestatore_ Vergognatevi buffoni!! [www.keepvid.com]

 

 

I NOSTRI FIGLI PORTATI VIA DA UN GIUDICE: UN BUSINESS DA PIU' DI UN MILIARDO D EURO

Sono 15.624 i minorenni collocati in case-famiglia. 16.767 quelli dati in affido familiare.

UN BUSINESS DA PIU’ DI UN MILIARDO D EURO…

Sono 15.624 i minorenni collocati in case-famiglia. Sono 16.767 quelli dati in affido familiare  
Barbara e Patrizia si sono ritrovate il 2 ottobre del 2009, in una mattinata di pioggia. Barbara, 54 anni, vive in Toscana: ha mento affilato e parole decise. Patrizia, 35 anni, ha la stessa forma del viso e uguale risolutezza. Madre e figlia non immaginavano di assomigliare tanto l’una all’altra. Non si vedevano dal 1976: dal giorno in cui Patrizia venne tolta a Barbara per essere chiusa in un istituto e poi data in adozione. Si sono riabbracciate dopo 33 anni. Per scoprire di essere unite da quel mento affilato e da un’unica sorte. Perché anche a Patrizia hanno portato via un figlio: Davide, di sette anni. “Gliel’hanno sottratto ingiustamente, come successe a me” dice Barbara.
Nel soggiorno di una villa spersa nella campagna veneta, guarda la sua figlia naturale con un misto di rabbia e di dolcezza: “Questa volta, almeno, combatteremo insieme” le promette. Legate dallo stesso destino. Il destino che, dicono gli ultimi dati ufficiali, oggi travolge più di 32 mila minorenni. Il più delle volte allontanati dalle famiglie per motivi giustificati, come gli abusi sessuali, i maltrattamenti o l’indigenza.
Altre per ragioni fumose e impalpabili. Negli ultimi dieci anni il loro numero è aumentato del 29,3 per cento. Più della metà finisce in affidamento temporaneo ad altre famiglie. Il resto in quelli che prima erano chiamati istituti, ma dal 2001 sono stati più formalmente ribattezzati servizi residenziali: oltre un migliaio di comunità che ospitano 15.624 ragazzini.
Un numero enorme, che costa allo Stato mezzo miliardo di euro all’anno solo in rette giornaliere. Ma la cifra, calcolano vari esperti di giustizia minorile, andrebbe più che raddoppiata. Oggi, però, è tutto il sistema a essere sistematicamente messo in discussione. Battagliere associazioni e libri-verità parlano di “bambini rubati dalla giustizia”. Raccontano di assistenti sociali troppo interventisti, di psicologi disattenti, di una magistratura flemmatica, di interessi economici. E di errori giudiziari sempre più frequenti. Come quello in cui sono incappati due fratellini di Basiglio, ricco paesino alle porte di Milano. Il più grande ha 14 anni, la sorella dieci. Il 14 marzo 2008 la polizia locale li preleva da casa e li porta in due comunità protette.
A scuola, una maestra ha trovato un disegno che li descrive mentre fanno sesso insieme. Viene attribuito alla bambina. È invece l’atroce scherzo di una compagna di classe. È stata lei a fare quell’allusiva vignetta: lo conferma il perito grafico del tribunale, che però viene nominato solo dopo 41 giorni. Anche a causa di questo inspiegabile ritardo i ragazzini trascorrono più di due mesi in comunità. Mesi di angosce: il più grande, per la sofferenza, perde 9 chili (qui intervista VIDEO integrale). L’avvocato che si è battuto per fare affiorare la verità è un sardo con baffoni e occhi neri: Antonello Martinez. Vive anche lui a Basiglio, in una casa poco distante da quella dei fratellini. Per due mesi il legale si danna l’anima: fino a quando i bambini non tornano dai genitori con molte scuse.
E fino a ottobre, quando la procura di Milano non chiede il rinvio a giudizio per la preside della scuola, due maestre, uno psicologo e un’assistente sociale del comune. L’accusa è “falsa testimonianza “. L’udienza preliminare è fissata per il 21 gennaio.
Un disegno malinterpretato, esattamente come quello che nel 1995 avvia la macchina giudiziaria nel caso di Angela L.: la sua storia è raccontata nel libro, pubblicato dalla Rizzoli, Rapita dalla giustizia. Il padre di Angela viene accusato di abusi sessuali: un falso da cui la Cassazione lo scagionerà completamente nel 2001. Ma la figlia, di appena sei anni, prima viene reclusa in due centri d’affido temporaneo per quasi 36 mesi; poi è data in adozione a un’altra famiglia. Angela tornerà dai genitori solo nel maggio 2006: a quasi 18 anni, ben dieci dopo il suo “rapimento legalizzato “. Uno sbaglio tragico e clamoroso.
Tanto che la Corte europea per i diritti dell’uomo nell’ottobre 2008 ha condannato lo Stato italiano a risarcire la famiglia: 80 mila euro per un “buco esistenziale” durato un decennio.
Della denuncia di casi come quelli di Angela L. e di Basiglio l’avvocato Martinez ha fatto una battaglia. Da quando si è occupato dei due fratellini, ha ricevuto più di 700 segnalazioni: madri e padri disperati, disposti a tutto pur di riavere indietro i loro figli. È diventato presidente dell’associazione Cresco a casa: “Tutti” accusa “denunciano lo stesso scandalo. I nostri figli sono nelle mani degli assistenti sociali. Scrivono: “I genitori non sono idonei”. Poi mandano la relazione a un magistrato che, senza troppe verifiche, adotta un provvedimento provvisorio. Quello definitivo arriva, quando tutto va bene, anni dopo. Ma i bambini intanto sono usciti di casa”.
Il caso di Basiglio è illuminante: alle 9 di mattina il dirigente scolastico avverte i servizi sociali, che inviano un telefax al tribunale dei minorenni di Milano. Passa solo qualche ora: il giudice dispone che i bambini vengano allontanati dalla famiglia. Di sera, la polizia locale esegue. Per inciso, nessuno aveva mai chiesto spiegazioni: né ai ragazzini né ai genitori.
Martinez si infervora, è seduto in una saletta del suo studio di Milano: divani di pelle e boiserie alle pareti. “Questi sono veri sequestri di Stato” prosegue concitato. E attacca: “Ogni giorno vengono portati via 80 bambini. Li chiudono in un centro protetto per anni, e costano allo Stato in media 200 euro al giorno”.
Una cifra che farebbe lievitare considerevolmente la spesa ufficiale per l’accoglienza, stimata in mezzo miliardo di euro. Basta fare due calcoli: 200 euro al giorno fanno un totale di 73 mila euro all’anno per ogni minorenne. Che moltiplicati per i 15.624 ospiti dei centri significa oltre 1,1 miliardi di euro: più del doppio di quanto riveli la cifra in mano ai ministeri, probabilmente troppo prudente.
La gente comincia a essere diffidente. Ci accusano di avere convenienze economiche. Attacchi assurdi: che interesse potremmo mai avere a collocare un bimbo in una struttura piuttosto che in un’altra?”. Povero ammette che qualche caso di disonestà ci può essere, “come in tutte le professioni”: “Ma noi siamo dipendenti pubblici” aggiunge. “Il nostro lavoro è sempre subordinato a quello della magistratura, e quindi anche alle sue eventuali lentezze”.
Per indagare su questa presunta indolenza bisogna entrare nel tribunale dei minorenni di Roma, il più grande d’Italia. Da aprile è presieduto da un magistrato d’esperienza: Melita Cavallo.
Nei corridoi del palazzo sul lungotevere che ospita gli uffici si narra del suo interventismo. Appena insediata, Cavallo scopre che un collega ha 1.600 fascicoli arretrati: se ne intesta la metà e “consiglia” al collega il pensionamento. “La permanenza nelle casefamiglia è eccessivamente lunga” dice la presidente. “Un tempo ragionevole è un anno, non cinque, come avviene adesso. Noi magistrati stiamo diventando i notai dello sfacelo dei minori: solo quando sono stati distrutti psicologicamente li diamo in adozione”. Cavallo insiste, parla di “assistenzialismo spinto”: “Si spendono un sacco di soldi” continua. “Faccio un esempio: tre fratelli rimasti in comunità cinque anni sono costati 800 mila euro. Non era meglio, allora, dare un alloggio o un lavoro al padre? Avremmo salvato una famiglia. Invece abbiamo negato l’infanzia ai figli. E oggi i genitori sono più divisi di prima”. Anche le verifiche preliminari spesso sono deficitarie, ammette il magistrato: “Alla prima decisione si arriva con pochi elementi in mano. C’è quasi un rifiuto ad averne altri. Perché i giudici ormai sono molto condizionati e sempre più prudenti“. O, al contrario, troppo interventisti.
La Cassazione ha appena confermato l’”ammonimento” già inflitto a un sostituto procuratore del tribunale dei minorenni di Roma dal Consiglio superiore della magistratura. Nel dicembre del 2006, il pm aveva ordinato che i carabinieri prelevassero due bambini da casa della madre, per portarli in quella del padre. Adesso però i giudici della suprema corte scrivono: “L’interpretazione delle norme non può costituire un alibi per tenere comportamenti anarchici “.
Insomma, quell’allontanamento è stato “un provvedimento abnorme “, per la Cassazione.
Cavallo non commenta, ma aggiunge: “Purtroppo è diventata tesi diffusa che togliamo i bambini ai poveri per darli ai ricchi“. Questa tesi, in realtà, è sempre più frequentemente sconfessata dai fatti: anche molte famiglie abbienti finiscono nel girone degli allontanamenti. Lidia Reghini di Pontremoli, 51 anni, discende da un nobile casato toscano e vive a Roma. Ha una ragazzina di 13 anni, che ha studiato nei migliori collegi della capitale. È stata affidata a un istituto religioso nell’aprile del 2008. “Per i giudici l’ho voluta mettere contro suo padre, il mio ex convivente, che era stato arrestato per spaccio di cocaina” racconta. Dopo avere deciso l’allontanamento della madre, il tribunale dei minorenni manda gli atti alla procura ordinaria: ipotizza che la madre, con “una condotta criminosa”, abbia inflitto sofferenze psichiche alla figlia. Un’accusa abnorme.
Archiviata dal giudice nel maggio 2008, su richiesta dello stesso pubblico ministero. Ora la donna ha denunciato l’assistente sociale che aveva seguito il suo caso: la procura di Roma ha aperto un’indagine. “Mia figlia chiede solo di tornare a casa. Vuole fare una vita normale, come quella di prima ” spiega, mentre si alza dal divano a fiori verdi del soggiorno per preparare un tè. “Ogni giorno mi domando come mai sono finita in questo gorgo: non esiste alcun motivo, se non l’accanimento personale. O un interesse economico”.
Che esistano o meno tornaconti, una cosa è certa: tenere un bambino in una “comunità protetta” costa molto. E non assicura quella stabilità affettiva che potrebbe offrire una famiglia.
Anche per questo motivo il governo sta cercando in ogni modo di incentivare l’affido familiare. “Porterebbe un grande risparmio economico e soprattutto maggiore benessere per i minori” dice Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare. “La soluzione ideale sarebbe chiudere le comunità e collocare temporaneamente tutti i minori in altre famiglie: cosa che oggi è impensabile”.
Un’utopia, appunto. “Il problema è che sono pochi i genitori disponibili” dice il pediatra veronese Marco Mazzi, presidente dell’Associazione famiglie per l’accoglienza: “Su dieci richieste d’affido, riusciamo a dare risposta solo a due”. Una scelta fatta da poche coppie, e di buonissima volontà: ricevono qualche centinaio di euro al mese per un bambino che comunque alla fine non potranno mai tenere con sé.
“E bisogna garantire anche i contatti con i veri genitori, che devono vedere i minorenni periodicamente” chiarisce Mazzi. Le cose, però, spesso vanno diversamente.
Valentina Timofiy, un’ucraina bionda arrivata in Italia come badante, da più di tre anni non vede la figlia dodicenne. È stata affidata “provvisoriamente ” a una famiglia di Genova: per scoprirlo ha dovuto assoldare un investigatore privato. Nonostante molte lacrime e mille telefonate, non le hanno mai voluto dare informazioni.
Timofiy, 41 anni, oggi vive a Tortona
, in provincia di Alessandria, assieme al suo nuovo compagno. La casa è piena di ninnoli e di foto della figlia. “Le hanno fatto il lavaggio del cervello ” accusa.
La donna ha la sofferenza stampata sul volto. “L’ultima volta che l’ho vista mi ha domandato: “Mamma, perché mi hai dimenticata?”. Le ho spiegato che io penso a lei ogni minuto della giornata. Ma che mi vietano d’incontrarla“.
Timofiy comincia a piangere. Ha anche tentato di buttarsi da una finestra, ma è stata salvata dal convivente. Ormai vive senza la figlia da quattro anni. Alla fine di ottobre il tribunale dei minorenni di Milano ha deciso… di non decidere: l’ennesimo provvedimento temporaneo. I giudici hanno interrogato anche la coordinatrice del servizio sociale degli stranieri di Milano: “La signora è una madre attenta, in grado di occuparsi della figlia” ha assicurato. “Ma non è stata mai aiutata né sostenuta dai servizi sociali”. Così il tribunale ha stabilito: la madre deve riprendere a incontrare la figlia.
Quella figlia che in tre anni ha visto soltanto una volta, qualche settimana fa. Nascosta nella sua auto, è riuscita a scorgere una ragazzina con i capelli e gli occhi neri: usciva da scuola e dava la mano a una madre. Che però non era lei.
Chi finisce in queste comunità? Mancando dati nazionali, si può fare riferimento a quelli della Lombardia: per il 34 per cento sono ragazzi dai 15 ai 17 anni; il 28,1 per cento ha dagli 11 ai 14 anni; il 19,4 dai 6 ai 10 anni. Le percentuali sono simili in Veneto, dove i minori fuori famiglia sono quasi 1.700. L’età media è quindi piuttosto alta. Anche perché la permanenza in queste strutture è lunga: a Milano il 53 per cento ci resta più di due anni. Questo significa che centinaia di migliaia di euro vengono spesi per ogni ragazzino. Ciò che accade alla fine di questi allontanamenti forzati è sorprendente: in Piemonte, per esempio, quasi la metà torna a casa.
C’è un altro dato che inquieta: quasi il 77 per cento dei minori viene allontanato per “metodi educativi non idonei” e per l’”impossibilità di seguire i figli”. “Motivi soggettivi, non reali come i maltrattamenti o l’abbandono ” denuncia Gian Luca Vignale, consigliere regionale del Pdl. Il Piemonte, chiarisce, spende 35 milioni di euro all’anno per mantenere 1.179 minorenni nelle comunità. “Mentre solo un terzo di questi soldi viene stanziato per sostegni alle famiglie” considera Vignale. Il costo delle rette spesso soffoca i magri bilanci dei comuni, che a volte arrivano a chiedere un contributo ai genitori cui sono tolti i figli.
Negli anni Novanta, alla famiglia di Angela L. venne recapitata una richiesta d’indennizzo di 60 milioni di lire per i 16 mesi trascorsi dalla bambina nel centro di affido: l’equivalente di quasi 2 mila euro al mese.
Un paradosso in cui è incappata pure Antonella Causin, che vive a Santa Maria di Sala, nel Veneziano. Nello studio del suo avvocato, Luciano Faraon, sventola indignata una lettera che le è stata inviata la scorsa settimana.
I suoi figli, di 12 e 8 anni, vivono dal febbraio del 2007 in due diverse case-famiglia. Il comune ora le chiede “il pagamento delle spese per la permanenza nelle strutture “. “Vogliono la mia busta paga” spiega la donna, 44 anni, sgranando gli occhi azzurri. “Devo pure dargli soldi per avermi rovinato la vita”. Le peripezie della donna cominciano nel 2005. Si separa dal convivente, chiede l’affidamento dei figli. Viene sentita dagli psicologi: racconta che l’uomo, un maresciallo della Guardia di finanza, è finito in strani giri. È violento, distratto.
Non le credono: per i consulenti tecnici è soltanto “una madre esasperata “. Così i ragazzini sono dati al padre. Dopo dieci mesi, però, le accuse della donna diventano reali: l’ex compagno viene arrestato per spaccio di droga. “Da quel momento è cominciato l’inferno” racconta Causin. “Il maschio ha cambiato quattro famiglie e due scuole in pochi mesi. Come fosse un pacco postale”. Anche i genitori della donna avevano dato la loro disponibilità a occuparsi dei nipoti. “Invece li hanno sempre tenuti lontano da loro” racconta la signora. “Addirittura li hanno accusati di un avvicinamento indebito: ma erano andati in chiesa per la prima comunione del più grande”. La storia dimostra quanto a volte sia lenta la giustizia minorile
 
In Italia, più di 32mila bambini vengono chiusi nelle comunità o dati in affido In Italia, più di 32mila bambini vengono chiusi nelle comunità o dati in affido.Il tribunale di Venezia ha disposto l’allontanamento dei due bambini nel dicembre del 2005, con un provvedimento provvisorio. Quattro anni dopo non solo non è stata presa alcuna decisione definitiva, ma la macchina giudiziaria è ripartita. L’avvocato della signora Causin ha denunciato i consulenti del tribunale: il legale sostiene che avrebbero falsificato i test e le dichiarazioni della donna. Il giudice ha nominato una nuova psicologa. Che in sei mesi ha incontrato la donna e il suo ex compagno appena quattro volte. Le critiche a periti tecnici, assistenti sociali e magistrati sono sempre più dure. Il criminologo Luca Steffenoni sui casi di malagiustizia minorile ha appena scritto un libro, Presunto colpevole (editore Chiarelettere).
“I tribunali hanno appaltato tutto all’esterno” sostiene. “Il processo è uscito dall’alveo delle prove, per trasformarsi in approfondimento psicologico. Gli assistenti sociali hanno diritto di vita e di morte sulle persone. Basta uno screzio tra due coniugi per far nascere patologie incurabili, che legittimano la sottrazione dei figli”. Accuse cui ribatte Graziella Povero, assistente sociale di Torino e presidente dell’Asnas, storica associazione di categoria: “C’è un’aggressione continua alle nostre decisioni. Dicono che rubiamo i bambini.  
Antonio Rossitto

Venerdì 13 Novembre 2009

Vedi anche:

http://blog.panorama.it/italia/2009/11/13/i-nostri-figli-portati-via-da-un-giudice/

Denuncia sprechi e inefficienze dell’Agenzia delle entrate sul web: licenziata dipendente

PAVIA. LICENZIATA “SENZA PREAVVISO” FUNZIONARIA DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE PER DEI COMMENTI SCRITTI SUL SITO “UGUALE PER TUTTI” www.toghe.blogspot.com  RITENUTI “altamente lesivi dell’immagine e della professionalità dell’Agenzia delle Entrate, dei suoi addetti, nonché del sistema fiscale del nostro Paese”.


Il dissenso, manifestato su un blog, nei confronti della gestione del sistema fiscale del paese non è stato ben digerito dalla Direzione generale della Lombardia dell’Agenzia delle entrate che ha deciso di rimuovere Rosa Grazia Arcifa dal posto di lavoro.

Il provvedimento le comunica “il licenziamento senza preavviso per giusta causa” per il fatto, secondo l’ente, che quelle frasi, firmate con nome e cognome veri, sarebbero “lesive dell’immagine e della professionalità dell’Agenzia delle entrate e dei suoi addetti”. Alcuni interventi, in particolare sull’amministrazione della giustizia in Italia con riferimenti anche alla normativa tributaria e all’amministrazione finanziaria, sono stati giudicati dai vertici dell’Agenzia eccessivi rispetto ai criteri di libertà di manifestazione del pensiero.

Rosa Grazia Arcifa, che svolgeva mansioni di grande rilievo proprio perché legate agli accertamenti fiscali, aveva parlato di sprechi, inefficienze e ingiustizie del sistema fiscale. In seguito al licenziamento, ha deciso di appellarsi alla libertà di critica garantita dalla Costituzione: “Andrò avanti a far valere le mie ragioni. La mia critica non era finalizzata a informare ma a stimolare un dibattito. Al dipendente- ha detto la funzionaria- deve essere riconosciuto il diritto di critica, anche aspra, nei confronti del datore di lavoro, con riferimento a fatti oggettivamente certi e comprovati”.

Il Direttore generale dell’Agenzia, Carlo Palombo ha, invece, fatto sapere che “la dottoressa ha dimostrato grave disprezzo nei confronti del datore di lavoro, esprimendo considerazioni infondate che lasciano intendere che vi sarebbe un’attività istituzionale che vede nei contribuenti vere e proprie vittime di un mero intento degli uffici dell’Agenzia di raggiungere obiettivi di produzione. Questa condotta impedisce di poter riporre nei confronti della dottoressa alcuna fiducia sul futuro adempimento della prestazione lavorativa. Peraltro l’amministrazione potrà dimostrare la legittimità del proprio operato in qualsiasi sede”.

La battaglia è appena cominciata.

*Scuola di Giornalismo Luiss

24 febbraio 2010 | 11:32

http://www.blitzquotidiano.it/economia/gli-sprechi-dell%e2%80%99agenzia-delle-entrate-denunciati-sul-web-da-una-dipendente-licenziata-258164/
Tratto da Uguale per tutti.
http://toghe.blogspot.com/2010/03/licenziata-per-dei-commenti-scritti-sul_24.html

La dott.ssa Rosa Grazia Arcifa (nella foto sopra), funzionario dell’Agenzia delle Entrate, in servizio a Pavia, è stata licenziata “senza preavviso” per dei commenti scritti sul nostro blog ritenuti “altamente lesivi dell’immagine e della professionalità dell’Agenzia delle Entrate, dei suoi addetti, nonché del sistema fiscale del nostro Paese”.
A questo link un articolo di stampa che riferisce il fatto.
http://laprovinciapavese.gelocal.it/dettaglio/pavia-critica-sul-web-il-sistema-fiscale-e-viene-licenziata/1867757

A questo link il provvedimento con il quale è stato disposto il licenziamento.
http://docs.google.com/View?id=dcczhzpx_212hmqpvm6v

A questo link una interrogazione parlamentare con risposta scritta su questa vicenda.
http://nuovo.camera.it/417?idSeduta=301&resoconto=bt52¶m=n4-06574#n4-06574

Bisogna riflettere molto sulla condizione di un Paese nel quale le più alte cariche dello Stato insultano abitualmente e senza ritegno, in piazza, in televisione e sui giornali, interi apparati dello Stato e singoli specifici funzionari (gli ultimi in ordine di tempo sono il Presidente del Consiglio che dà degli eversori ai magistrati e il Presidente dei Senatori della maggioranza che dà del bugiardo e dell’alcolizzato al Questore di Roma) e un impiegato viene licenziato senza preavviso per i commenti fatti su un blog.

Evidentemente ormai anche l’onore e la dignità non sono uguali per tutti.

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Aggiungiamo che siamo vermanente al paradosso: La signora Arcifa è stata licenziata perché con le sue critiche avrebbe leso l’onore dell’Agenzia delle Entrate. Invero, la funzionaria Arcifa ha assunto un comportamento esemplare che non solo non lede l’onore dell’Agenzia delle Entrate, ma che al contrario le dà lustro.
Perché se i cittadini continuano ad avere fiducia nello Stato, è grazie al fatto che talvolta, in un ufficio statale, incontrano ancora persone come Rosa Grazia Arcifa, come ha affermato nel suo blog l’Avv. Paolo Franceschetti.

Quanto al comportamento dell’Agenzia delle Entrate, è noto a tutti… e non c’è bisogno della signora Arcifa per lederne l’onore. L’onore di questa agenzia è stato già leso da tempo con le cartelle pazze, con Equitalia che distrugge la vita di migliaia di contribuenti portandogli via la casa a loro insaputa, e con una legislazione nazionale che ha di fatto permesso all’Agenzia delle Entrate e ad Equitalia di porre sistematicamente in essere dei comportamenti criminali, con la garanzia dell’impunità.
La signora Arcifa, per fortuna, restituisce un minimo di dignità ad un ente statale.
Vorremmo che nello stato ci fossero solo dipendenti come la signora.

http://paolofranceschetti.blogspot.com/2010/05/tratto-da-uguale-per-tutti.html

LE MANI DELLA 'NDRANGHETA SULLA LOMBARDIA. ARRESTATI POLITICI, IMPRENDITORI E APPARTENENTI ALLE FORZE DELL'ORDINE

 
Tra gli indagati anche politici ed  appartenenti alle forze dell’ordine Volevano infiltrarsi nell’Expo 2015.
Maroni: “colpito cuore del sistema”.
ROMA
Trecento arresti tra la Calabria e il Nord Italia: è la maxi operazione più grande mai eseguita dalle forze dell’ordine (Carabinieri e Polizia) contro la ’ndrangheta. Impegnati per il blitz 3000 uomini, gli arrestati sono accusati di associazione di tipo mafioso, traffico di armi e stupefacenti, omicidio, estorsione, usura ed altri gravi reati.

Secondo gli investigatori l’indagine ha messo in evidenza una direzione strategica nella città di Reggio Calabria, cui farebbero capo i «mandamenti» della ’ndrangheta della provincia e quelli del nord Italia e dell’estero, dalle Americhe all’Australia. In pratica è stato colpito lo schema organizzativo della mafia calabrese, mutuato dalla mafia siciliana. Centoventi i fermi disposti dalla Dda di Reggio Calabria; 180 gli arresti disposti dalla magistratura di Milano. Nella rete degli investigatori sarebbero finiti tutti i capi dei clan del reggino. In manette oltre ai vertici delle cosche calabresi, anche 4 carabinieri, un direttore della ASl di Pavia.

Secondo i magistrati di Reggio Calabria e di Milano la ’ndrangheta, dopo un lento processo evolutivo, già delineato da alcuni collaboratori di giustizia nei primi anni ’90, ha raggiunto una nuova configurazione organizzativa, in grado di coordinare le iniziative criminali delle singole articolazioni, soprattutto nei settori del narcotraffico internazionale e dell’infiltrazione negli appalti pubblici. È stato documentato tecnicamente come le cosche della provincia di Reggio Calabria costituiscano il centro propulsore delle iniziative dell’intera organizzazione mafiosa, nonchè il punto di riferimento di tutte le proiezioni extraregionali, nazionali ed estere. Le indagini sarebbero partite dall’omicidio di Carmelo Novella, detto compare Nuzzo, nominato capo di questo organismo, ma fatto uccidere, il 14 luglio del 2008 in un bar di San Vittore Olona, dai calabresi per le sue tendenze giudicate eccessivamente autonomiste.

Tra gli indagati ci sono anche quattro, tra brigadieri e appuntati dei carabinieri di Rho (Milano), l’ex assessore provinciale di Milano Antonio Oliviero (per corruzione e bancarotta) e l’assessore comunale di Pavia Pietro Trivi (per corruzione elettorale). Arrestato per associazione mafiosa e corruzione anche il direttore dell’Asl di Pavia, Carlo Antonio Chiriaco. Le indagini hanno anche portato all’arresto di Francesco Bertucca, 57 anni, imprenditore edile di Pavia, e di Rocco Coluccio, biologo e imprenditore. Insieme al direttore dell’Asl di Pavia sono accusati di essere stati organici alla ’ndrangheta e di essere il punto di congiunzione con l’organizzazione agli ordini del boss Pino Neri. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, si è congratulato con il Capo della Polizia-Direttore generale della Pubblica Sicurezza Antonio Manganelli, e con il Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Leonardo Gallitelli, «per l’eccezionale operazione antimafia condotta oggi in varie regioni d’Italia». «Si tratta in assoluto – afferma Maroni – della più importante operazione contro la ’ndrangheta degli ultimi anni, che oggi viene colpita al cuore del suo sistema criminale sia sotto l’aspetto organizzativo che quello patrimoniale».

Nell’inchiesta emerge il tentativo di mettere le mani sugli appalti dell’Expo 2015. E’ stato ricostruito il tentativo di assorbire nell’organizzazione criminale importanti aziende lombarde operanti nel settore edile che versavano in condizioni di difficoltà economica, allo scopo di costituire imprese ad hoc, in grado di partecipare direttamente all’affidamento degli appalti per l’Expo 2015. Un progetto ambizioso che non si è concretizzato a causa del mancato risanamento della Perego, società attualmente sottoposta a procedura fallimentare. Nell’inchiesta, inoltre, emerge un radicamento sempre maggiore della ’ndrangheta in Lombardia e nell’hinterland. Da alcune intercettazioni e a detta degli stessi indagati, «sarebbero operativi in Lombardia 500 affiliati della ’ndrangheta».

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/201007articoli/56668girata.asp
Blitz anti-‘ndrangheta, 300 gli arresti. Le mani delle cosche sulla Lombardia.

LICENZIAMENTI, RISARCIMENTI E SGOMBERI. LA TORBIDA VICENDA DEL PIANO ALFA E GLI INTERESSI DEL SINDACO DI RHO

La bocciatura in consiglio comunale a Rho dell’Accordo di Programma sull’area Alfa Romeo di qualche mese fa era stato l’esito dell’opposizione di un blocco sociale molto ampio sul territorio, che ha avuto l’effetto di spaccare sul voto il centrodestra rhodense.
Con l’intento di influenzare l’opinione contraria diffusa in città e di conquistarne il consenso, nei giorni precedenti alla discussione in consiglio, il territorio circostante era stato invaso di manifesti che offrivano falsi posti di lavoro per un centro commerciale, quello che sarebbe dovuto sorgere sull’area Alfa, che ancora non esisteva.
La società che gestiva questa campagna pubblicitaria indecente era G.I. Group, società nell’orbita di Comunione e Liberazione, come anche il Gruppo Clas di cui il Sindaco di Rho Zucchetti è socio e Presidente. E proprio queste due società hanno vinto nei primi mesi del 2010 il primo e il secondo lotto di un appalto di Regione Lombardia per un valore di oltre 1.200.000 euro per lo sviluppo e il consolidamento del mercato del lavoro, gara di appalto a cui avevano partecipato solo 4 società.
Tra i maggiori clienti del Gruppo Clas appare anche EuroMilano Spa, società proprietaria di parte dell’area ex Alfa Romeo, che tra i maggiori progetti in corso indicati nel proprio sito internet, esplicita proprio l’intervento sull’ area di Arese, con un progetto che prevede la realizzazione di circa 260.000 metri quadri di superficie edificabile per residenziale e commerciale.
Tutte coincidenze? Non sta a noi dirlo, ma certamente il Sindaco di Rho annovererà questo caso nella categoria della “convergenza di interessi” piuttosto che del conflitto di interessi. Peccato che il Sindaco continui imperterrito ad individuare come interesse pubblico ciò che il consiglio comunale rifiuta, ciò che i cittadini non vogliono e che nemmeno compare nel programma amministrativo sulla cui base è stato eletto.
Nella vicenda del Piano Alfa c’è molto di torbido. Dopo la bocciatura del Piano Alfa in consiglio comunale contro gli oppositori si è scatenata la vendetta dei poteri forti che stavano dietro la speculazione orchestrata da Formigoni: oltre 60 lavoratori iscritti allo Slai Cobas di Innova Service, zoccolo duro dello Slai Cobas dell’Alfa Romeo sono prossimi al licenziamento, l’Assessore Tizzoni, critico verso il nuovo centro commerciale per l’impatto sul commercio locale, è stato defenestrato e il centro sociale Fornace è sotto impellente minaccia di sgombero. E per chi avesse dubbi su questa interpretazione ricordiamo la richiesta di 58 milioni di euro di danni di risarcimento presentata dalle società proprietarie dell’area Alfa nei confronti del Comune di Rho per la mancata approvazione del progetto in consiglio comunale.
L’avvicinarsi delle scadenze di Expo 2015, con l’avvio dei cantieri nel 2011, sono un’occasione ghiotta per fare man bassa di un territorio da cementificare in ogni centimetro disponibile e la traballante dimezzata giunta Zucchetti deve proseguire il mandato per concretizzare i progetti ed avviare i cantieri senza più intoppi, a costo di commissariare l’amministrazione rhodense e cancellare con ogni mezzo chi si oppone alla speculazione.

Il bando della Regione Lombardia
http://www.arifl.regione.lombardia.it/shared/ccurl/574/659/Aggiudicato%2…

I clienti del Gruppo Clas
http://www.gruppoclas.com/clienti.asp

Autore Sos Fornace: www.sosfornace.org

LA MASSOMAFIA DIETRO LA GUERRA TRA PROCURE. INTERVISTA A CLEMENTINA FORLEO

“La Massomafia dietro la guerra tra Procure” parla Clementina Forleo

12 Febbraio 2009

Sono sicuramente un giudice che va contro corrente, per questo ho avallato il titolo del libro di Antonio Massari “Un giudice contro”: contro inteso contro le correnti della Magistratura perché non condivido tante cose che, a mio avviso, hanno portato la Magistratura allo sbando negli ultimi tempi e, quindi, anche ad un bivio”.

Lo ha dichiarato Clementina Forleo in una intervista esclusiva rilasciata a Klaus Davi per il suo programma web Klauscondicio. “Un bivio – ha aggiunto – che si impone di percorrere in un senso o nell’altro per salvare la Magistratura, per salvare i singoli magistrati, le autonomie e l’indipendenza dei singoli magistrati e, quindi, per salvare i diritti dei cittadini. Perché la tutela della magistratura, dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura e del singolo magistrato poi ovviamente ricadono sui diritti dei cittadini, anche dei più inermi.

Quindi, proprio per evitare che la giustizia non generi ingiustizie, è necessario fare autocritica su tante cose che sono successe alla Magistratura, e quindi ai cittadini negli ultimi tempi. Credo che questa necessità di autocritica la stiano avvertendo negli ultimi tempi anche i miei colleghi, i cosiddetti sacerdoti della sacralità togata come li definisce Mattia Feltri, in un articolo che è stato pubblicato sulla Stampa, uno dei pochi giornali ancora liberi, non sicuramente il solo”.

2 – MAI PENSATO DI FONDARE UNA CORRENTE…
“Non ho mai pensato di fondare una mia corrente in Magistratura: sarei stata presuntuosa a pensarlo”. “Ritengo, invece, che questa sia sicuramente una necessità della Magistratura, ovvero creare un gruppo di giudici che la pensano diversamente dal pensiero unico dominante. Credo però che questo compito spetti ad altri magistrati: io sarò libera, ovviamente, di associarmi o meno.

Lo farò se lo riterrò necessario, però non ho questa presunzione. Credo che i magistrati possano compiere questo passo oggi e alcuni lo stanno compiendo: penso per tutti a Felice Lima o Antonio Ingroia, persone libere che potrebbero dare una svolta, che hanno lottato in prima persona”.

3 – CSM VITTIMA DI LOGICHE CLIENTELARI…
“Il problema è cercare di liberare l’organo di autogoverno della magistratura da questa nefasta logica delle correnti. Le parole non sono mie ma sono di quella famosa lettera di Gianfranco Fini, che è stata condivisa praticamente da tutti. Credo che siamo ormai tutti d’accordo, anche lo stesso Antonio Ingroia, che è appunto esponente di spicco di Magistratura Democratica, il quale in un bellissimo articolo de L’Espresso ha detto: “cari giudici, dobbiamo un po’ fare autocritica”.

Le correnti decidono del destino dei magistrati nel bene e nel male, sia in sede disciplinare sia come conferimento di incarichi direttivi e di promozioni. Finiscono per essere appunto dei sindacati delle toghe, finiscono per essere dei piccoli partiti. Questa logica clientelare finisce per prevalere su quella che è stata definita la meritocrazia, che ha sostituito il vecchio criterio dell’anzianità per esempio per il conferimento degli incarichi direttivi

4 – INGROIA, BASTA SERMONI. E’ ORA DI AGIRE…
“Su un punto non sono tanto d’accordo con Antonio Ingroia. Credo che ormai sia venuto il tempo di prendere un po’ in mano le redini della situazione: non si possono fare sermoni, cioè non bastano i sermoni, non basta dire comportiamoci bene.

Perché, a questo punto, è come mandare un sacerdote a celebrare una messa, a fare una predica al consiglio comunale di Napoli per risolvere la situazione, e faccio un esempio ovviamente paradossale e nessuno me ne voglia. I sermoni non bastano e occorre una volta per tutte fare questo passo: le correnti non possono avere cittadinanza, non possono avere patria di autogoverno della magistratura perché altrimenti continueranno a ricoprire incarichi direttivi le cosiddette vecchie signore”.

5 – IN TANGENTOPOLI I CAIMANI DI SINISTRA NON FURONO TOCCATI…
“Durante Tangentopoli accadde un fatto che merita di essere sottolineato. Premesso che non voglio denigrare la Magistratura nel complesso, perché la gran parte dei magistrati sono persone per bene, va detto però che c’erano, anche a causa delle correnti, delle protezioni che gran parte della Magistratura aveva avuto dalla sinistra, dal centro sinistra. Era un po’ restia ad andare fino in fondo quando si toccavano i caimani o quando c’erano da toccare dei caimani di diverso colore, se mi si consente ancora questa espressione, o dei caimani interni”.

Ieri caimani, oggi cacicchi, secondo la definizione di Gustavo Zagrebelsky, incalza Klaus Davi. “Si – risponde Forleo – condivido la sua analisi”.

6 – LASSISMO MORALE ALLONTANA LA GENTE DALLE URNE…
“La Sinistra perde nelle urne non solo perché il Premier ha delle televisioni, ma anche a seguito di un percepito diffuso di un suo certo lassismo morale. Io sono d’accordo con quello che ha detto Flores nell’ultimo numero di MicroMega: è inutile dire che Berlusconi prende più voti dell’opposizione perché Berlusconi ha le televisioni.

Magari ci sarà una fetta del popolo che vota Berlusconi per questo motivo, però non credo al popolo gregge. E quindi condivido quello che dice Flores quando spiega che il problema è che l’opposizione non è credibile, l’hanno capito tutti. La scarsa credibilità dell’opposizione ha fatto in modo che la gente o rimanesse a casa il giorno delle elezioni, oppure andasse a votare in un certo modo”.

7 – PERCHE CASCINI PUO ANDARE DALLA DANDINI E IO NON POSSO DA SANTORO?
Commentando la presenza di molti magistrati in tv, come ad esempio Cascini o Ingroia, Clementina Forleo spiega a Klaus Davi: “Sono del parere che un magistrato è prima di tutto una persona, prima di tutto un cittadino che esprime le sue opinioni come tutti gli altri e quindi può andare nelle trasmissioni tv, a meno che non ci siano ovviamente dei divieti. Non credo che il magistrato debba rimanere sotto una campana di vetro, soprattutto quando il dibattito sulla magistratura è abbastanza vivace.

Il magistrato può dire la propria opinione in qualunque sede lo ritenga opportuno; non può parlare delle proprie indagini, non può parlare delle indagini che lo riguardano, ma il magistrato è una persona come le altre. Non mi risulta che ci siano state ripercussioni di nessun tipo per chi va in tv, anzi sono persone che hanno fatto e faranno carriera”.

8 – HO PAGATO IL MIO SI ALLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE…
Il giudice ripercorre alcuni episodi della sua carriera: “Credo che ho incominciato ad essere scomoda per parecchi colleghi fin dal momento in cui ho partecipato a quel famoso convegno dell’Unione delle Camere Penali in cui osai parlare della necessità di separazione delle carriere. Era un tabù per un magistrato parlare di separazione delle carriere. E’ successa una cosa vergognosa, spero che la storia ne parlerà nei suoi libri, una cosa vergognosissima, non perché si parlava della Forleo, perché un giudice aveva osato pensarla diversamente, per altro in un convegno di studi.

Questo lo ha scritto anche il mio difensore nel ricorso al Tar, perché questa era una delle accuse che poi è caduta per fortuna, delle accuse che erano state riesumate come fatti dal CSM per esiliarmi. In quella sede ebbi a dire che la separazione delle carriere è uno strumento fondamentale per l’effettiva parità tra accusa e difesa e questo sempre a tutela del cittadino. Non ci può essere una parità tra difesa e accusa se il pubblico ministero, chiunque esso sia, anche la persona migliore del mondo, più corretta del mondo, continua ad essere un collega del giudice.

 Quando l’ho detto si è scatenato il putiferio. Si può dire tranquillamente, due anni fa sono stata volgarmente insultata, non ho querelato perché non amo querelare i colleghi ma ovviamente il tempo sarà galantuomo”.

9 – INTERCETTAZIONI INDISPENSABILI PER COMBATTERE IL CRIMINE…
Commentando il ddl sulle intercettazioni, il giudice Forleo dichiara: “Per la parte che ho seguito e che ho avuto modo di valutare, ho un po’ di perplessità sulla riforma delle intercettazioni telefoniche. Siamo tutti d’accordo che ne è stato fatto un abuso e, quindi, occorre intervenire pesantemente sulla pubblicazione di intercettazioni che non hanno alcun rilievo, che occorre intervenire pesantemente sulle gogne mediatiche, come anche ristringere il mercato delle intercettazioni.

Non sono però d’accordo sulla restrizione dei tempi, ad esempio, per alcuni reati: l’esperienza ci insegna (ne posso parlare tranquillamente perché non sono più titolare di quelle indagini) che non saremmo mai arrivati a scoprire i cosiddetti furbetti del quartierino che agivano ai danni dei tanti cittadini depredandoli dei loro risparmi, se le intercettazioni fossero state limitate a 60 giorni.

Quelle telefonate intervennero ben dopo i 60 giorni. Quindi non sono d’accordo e, peraltro, non capisco come uno strumento di prova possa essere fra i tanti limitato temporalmente rispetto alla durata massima delle indagini.
Io spero che la legge sia rivista, anche perché poi potrebbe presentare profili di incostituzionalità”.

10 – LA LEGGE NON E’ UGUALE PER TUTTI…
“La legge non è uguale per tutti e soprattutto non è uguale per i poveri cristi. L’uguaglianza della legge per tutti è uno dei principi fondamentali della democrazia moderna, stabilita dall’articolo 3 della costituzione. La diseguaglianza effettiva è dovuta da alcuni motivi fisiologici, ma anche da alcuni, purtroppo, patologici. Quindi bisogna stabilire quali possano essere le terapie per risolvere questi problemi” ha spiegato la Forleo, motivando una sua dichiarazione contenuta nel libro di Antonio Massari “Un giudice contro”.

11 – RIFORMA ALFANO, LA DIFESA D’UFFICIO VA INCENTIVATA…
“Uno dei motivi dell’effettiva disuguaglianza è lo stato della difesa d’ufficio”: “A mio avviso, è sacrosanta per tutti, ma va incentivata in tanti modi, va finanziata. Dico anche che chi si iscrive nelle liste dei difensori d’ufficio (perché non è obbligatorio essere difensori d’ufficio) poi deve fare effettivamente il difensore, anche se viene chiamato il sabato perché c’è un arrestato.

Il difensore d’ufficio non può tenere il telefono spento, altrimenti deve incorrere in sanzioni disciplinari. Questa non è un’accusa ovviamente a nessuno, perché se qualcuno si ribella si chiama in causa. Il problema è istituire dei controlli sui difensori di ufficio e anche creare degli incentivi economici, perché appunto le difese d’ufficio siano effettive.
Ripeto questa non è un’accusa, come non era un’accusa prima ai pubblici ministeri.

Saranno poi gli organi forensi che devono attivarsi per rendere effettivamente sanzionabile la lesione del diritto di difesa in questi casi. Intanto il giudice ha il dovere di segnalare al consiglio dell’ordine queste omissioni, e il consiglio dell’ordine ha anche l’obbligo di intervenire. Non mi risulta che ci siano molte segnalazioni e molti interventi”.

12 – IO MINISTRO ? MAI, NON ACCETTEREI COMPROMESSI E MEDIAZIONI…
Io ministro della Giustizia? Alla provocazione di Klaus Davi, Clementina Forleo spiega: “Sarei presuntuosa a dire di si perché un politico, soprattutto un politico impegnato in prima linea, deve avere dei requisiti, delle doti naturali che io non ho, come il compromesso o la mediazione.

Un collega ha detto che avrei dovuto essere censurata disciplinarmente per aver dichiarato in un’intervista che un giudice non deve amare il compromesso e non deve amare la mediazione. Io ritengo che il giudice debba amare il diritto, debba, al di là dei suoi fisiologici errori, ossequiare la legge, ossequiare il diritto, ma non debba mai ossequiare la mediazione e il compromesso. Se ossequia il compromesso e la mediazione il diritto è morto. Il diritto è morto”.

13 – IL CENTROSINISTRA RINASCERA’ DALLE SUE CENERI…
L’inseguimento di alcuni simboli, delle banche, della ricchezza, la contaminazione con questi modelli, può essere la morte, la tomba del centrosinistra? Alla domanda di Davi, Clementina Forleo risponde: “Sottoscrivo, anche se credo, senza prendere posizioni, che la sinistra potrà, se vorrà, risorgere dalle sue ceneri. Come? Anche qui non possiamo raccogliere domani quello che si semina oggi.

Bisogna avere il coraggio di fare quello che per anni si è predicato dovessero fare altri, ovvero liberarsi di determinate persone, soprattutto anche liberarsi di certi schemi. Quale potrebbe essere una soluzione? Anche qui, mi richiamo all’ultimo numero di MicroMega per il quale potrebbe essere una possibilità di rinascita la creazione delle cosiddette liste civiche nazionali, un progetto che non è nuovo e che è ovviamente da allargare”.

14 – SINISTRA, RINASCITA CON LISTE CIVICHE DEI SENZA PARTITO…
Soffermandosi sul progetto delle liste civiche nazionali per un possibile rilancio della Sinistra, il giudice Forleo chiarisce: “Le liste civiche nazionali rappresentano un partito dei senza partito, un partito di persone che non fanno politica per professione, per trarre quindi dei vantaggi, ma lo fanno da intellettuali, da persone libere, da persone che si vogliono impegnare in politica e, in questo momento, credo che siano tante che possano costruire questo progetto.

 Un effetto boomerang per la sinistra è quello di difendere gli accadimenti degli ultimi tempi, gli scempi recenti, al di là della rilevanza penale di determinati fatti. Se si vuole predicare bisogna anche razzolare bene, quindi, a questo punto, occorre fare autocritica, occorre a mio avviso una svolta nell’opposizione, che secondo me, nel medio lungo periodo, necessità di questo passaggio.

Non voglio fare un discorso di sinistra, non voglio dire qualcosa di sinistra, voglio solo fare una diagnosi. La destra adesso è forte, la sinistra se vuole continuare a difendere dei valori storici deve differenziarsi. Faccio un esempio. L’altro giorno leggevo un brano di Scritti Corsari di Pasolini che mi ha accompagnato durante l’adolescenza. Era un famoso discorso apparso sul Corriere della Sera del ‘73, il discorso dei capelloni: Pasolini constatava il look di giovani di sinistra e di destra, dicendo che ormai destra e sinistra sono fisicamente sovrapponibili.

Ovviamente si trattava di giovani appartenenti a gruppi di estrema destra e gruppi di estrema sinistra. Qual è la differenza tra il ‘73 e il 2009? Che probabilmente quel “fisicamente”, quell’avverbio, dobbiamo toglierlo. Quindi, per evitare di essere sovrapponibili nel bene o nel male, non voglio dare giudizi di valore ma solo giudizi di fatto, occorre ovviamente recuperare un’etica che la sinistra ha perduto, è inutile, è inevitabile”.

15 – IO DEFICIT DI EQUILIBRIO ? CI SONO MAGISTRATI DA CASO CLINICO…
Perché Magistratura Democratica ha attaccato Clementina Forleo ? Non è perché lei è andata a toccare la casta, i poteri forti della Sinistra, e allora si è scatenato un meccanismo di autodifesa?

“Io sto ai fatti e i fatti dicono che per la prima volta, almeno che mi risulti, è stata addirittura censurata una mia ordinanza, l’ordinanza con cui richiedevo l’autorizzazione alle Camere di utilizzare quelle famose telefonate. Sono stata chiamata in sede disciplinare a rispondere di questo. Sta di fatto che in Magistratura Democratica persone come Livio Pepino, come Giovanni Palombarini, mi stimavano. Piergiorgio Morosini aveva dedicato un intero numero di “Questione giustizia”, che è una loro rivista, alla mia pronuncia sul terrorismo islamico, sulla differenza tra terrorismo e guerriglia.

Giovanni Palombarini aveva scritto un articolo sul Manifesto in cui mi elogiava. Livio Pepino mi aveva inviato un libro “Andreotti. I processi, la mafia” con dedica. Poi, improvvisamente, io divento pazza. Divento una persona che dà segni di squilibrio. Addirittura il capo del mio ufficio, che da poco era un reggente, anche lui in Magistratura Democratica, dirà che la dottoressa Forleo per i fatti di Annozero, di cui naturalmente sanno tutti, ha dimostrato deficit di equilibrio.

Poi siamo al caso clinico. La cosa che mi sconvolge è che ci sono dei magistrati che sono veramente dei casi clinici, che per questioni umanitarie vengono lasciati fare i giudici perché magari li si relega a ruoli giudiziari, a ruoli giurisdizionali. Queste persone che hanno subito dei traumi, che hanno problemi possono compromettere l’interesse dei cittadini”.

16 – EUTANASIA, SONO FAVOREVOLE. CASO ELUANA, NON MI PRONUNCIO…
“Sono favorevole all’eutanasia in determinati casi e con precise garanzie. Sul caso Eluana non mi sono mai pronunciata. Questa possibilità, secondo me, rientra tra i diritti civili. Noi siamo purtroppo un po’ in ritardo con la storia per tanti motivi, come ha detto Scarpinato nel suo bel libro “Il ritorno del principe”. Siamo in ritardo con la storia rispetto ad altre democrazie occidentali, per ragioni storiche, per ragioni geografiche. Quindi non ci dobbiamo meravigliare del fatto che sui diritti civili non siamo al passo con tante altre realtà. Una persona che ha bisogno, che vuole morire con dignità deve andare in Svezia, deve andare in Olanda, se se lo può permettere e se ovviamente è conscia”.

17 – DUBBI SULLA COSTITUZIONALITA’ DEI MEDICI ANTI – IMMIGRATI…
“Ho dei dubbi sulla costituzionalità del fatto che un medico possa denunciare un paziente extracomunitario. Ci sono diritti fondamentali che non appartengono solo ai cittadini o agli stranieri regolari, ma appartengono anche agli stranieri irregolari. Questo lo dice la giurisprudenza costante, oltre che la dottrina più affermata.

 Tra questi diritti per gli stranieri irregolari, gli stessi che vorremo mandare via a pedate in un certo posto del corpo, espressioni che a me non piacciono, ci sono il diritto alla salute e il diritto alla difesa. Il diritto alla salute non può essere concretamente garantito se si rischia di andare al pronto soccorso e essere denunciati per essere clandestini. Questa degenerazione della democrazia non mi piace. Si può essere o meno d’accordo sul fenomeno immigratorio, su come regolare questo fenomeno, però ritengo che ci siano due sacrosanti diritti dei clandestini da salvaguardare: il diritto alla salute, che non può essere negato a nessuno, e il diritto alla difesa”.

18 – ANM SI E’ CONSEGNATA AL POTERE…
Condivide le critiche di Travaglio espresse sul Riformista che parla di una parte dell’ANM venduta al potere? Clementina Forleo spiega a Klaus Davi: “Condivido pienamente: c’è stato chiaramente un accordo, della serie non ve li prendere voi, ve li diamo noi. Io adesso non voglio difendere l’ufficio, perché è una vicenda e non è una persona, il cosiddetto caso De Magistris, ma quello che è successo a Salerno, quello che è successo al dottor Apicella, se fosse accaduto nel ‘92 sarebbero scesi in piazza i magistrati, sarebbero andati con i carri armati sotto Palazzo Chigi.

Se quello che è successo al dottor Apicella e ai suoi sostituti, Verasani e Nuzzi, fosse successo a Borrelli e alla dottoressa Boccassini o al dottor D’Ambrosio, saremmo alla guerra civile. E invece qui non è successo niente. Tenga conto che il provvedimento di Catanzaro è stato confermato dal Tribunale del Riesame”.

19 – LA “MASSOMAFIA” DIETRO LO SCONTRO TRA PROCURE…
C’è chi parla di “masso mafia” negli ambienti giudiziari. Qual è la sua opinione? “Il cosiddetto scontro tra procure, che scontro non è stato, trova le sue origini nei nervi che si sono toccati a Catanzaro. Perché al di là della persona di De Magistris, dei suoi possibili errori, dei suoi limiti umani e difetti, se non avesse toccato determinati tasti non staremmo certamente a parlare del caso De Magistris.

Non sarebbe nato un caso De Magistris, non sarebbe stato quello che è stato definito a mio avviso impropriamente scontro tra Procure. Come non sarebbe nato il caso Genchi. Genchi è un consulente informatico, è stato il consulente di De Magistris, e mi risulta per certo che è stato consulente della Procura di Palermo e di altri vari magistrati calabresi.

Non posso dire esattamente se Genchi abbia violato qualche regola o non l’abbia violata, questo lo appureranno gli organi deputati a farlo. Io dico soltanto che se l’ha violata, l’avrà fatto forse in precedenza, perché lo si accusa di avere conservato questi dati nei suoi archivi personali. Non so a quale scopo, ma comunque non si sa. Nessuno è andato a sindacare se li ha conservati per arrivare a stabilire chi era l’omicida di un ragazzo che era morto in terra di Calabria per cause oscure. Grazie a Genchi si è arrivato ad individuare chi erano stati gli autori.

Nessuno ha detto niente sui dati e sui numeri nei tabulati acquisiti, quindi mi viene il legittimo sospetto che, come per Luigi De Magistris e come per i giudici di Salerno, si è colpito Genchi in questo momento perché c’erano infiltrazioni in quelle delicate indagini, non del cittadino comune, ma di questa “massomafia” che è un connubio tra massoneria e mafia. Perché poi la mafia non è altro che il braccio armato di settori deviati dello Stato.

Questo lo dice Scarpinato nel “Ritorno del principe”: non possiamo pensare che la mafia sia fatta di persone con la lupara e con la coppola che fanno saltare Falcone o Borsellino. Questo lo ha detto il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore Bosellino, che ha detto e scritto sul suo sito che Genchi è stato l’uomo che ha consentito di stabilire chi ha fatto partire l’esplosivo che ha determinato la strage di via D’Amelio. Probabilmente senza Genchi, o a consulenti della portata di Genchi, con la polizia giudiziaria non si sarebbe mai arrivati a queste verità. Ci sono tante verità scomode su cui Genchi ha fatto luce”.

20 – GENCHI NEL MIRINO PERCHE’ E’ ARRIVATO A QUALCHE INTOCCABILE…
“Anche io avrei potuto usare Genchi, come avremmo potuto usarlo tutti – spiega Clementina Forleo -. E’ vero, come dicono molti, che c’è la polizia giudiziaria e che si può indagare senza il bisogno dei consulenti, ma la polizia giudiziaria purtroppo spesso ha dei limiti. Voglio solo dire che mi fa sorridere chi dice che la polizia giudiziaria possa sostituire questi consulenti, che ci sono sempre stati e sempre ci saranno, nonostante una polizia giudiziaria efficiente. Ci sono delle realtà in cui, per una serie di motivi, la polizia giudiziaria non è in grado, per i mezzi e per le strutture che ha, di fare un certo tipo di lavoro come lo fanno i consulenti.

Quindi ben vengano, nell’interesse di tutti, nell’interesse di chi muore o di chi può morire. Ben vengano i soldi spesi, perché credo che ogni cittadino debba rinunciare a un po’ di denaro che ogni mese può venirgli nel portafoglio per la propria sicurezza, la propria libertà, e per la libertà e la sicurezza dello Stato in cui vive. Tante volte, per acquisire un tabulato, e questo lo dico per diretta esperienza, occorrono anni.

Quindi, a volte, occorre in indagini delicate, in indagini in cui è necessario agire con determinata tempestività, avvalersi di consulenti di un certo spessore. Genchi per un omicidio che si era verificato qualche tempo aveva acquisito dei tabulati, se non erro, il doppio rispetto a quelli acquisiti nella famosa indagine “Why not”. Perché c’è quindi nel mirino Genchi? Perché attraverso questi tabulati si è arrivato a qualche intoccabile, credo”.

21 – UCCIDERMI ? NON HO PAURA DELLA MORTE…
“Io non ho paura della morte, anche perché chi ha paura di morire, come ha detto qualcuno, muore ogni giorno. Quello di cui ho paura, francamente, non riguarda la mia persona, bensì sono questi tentativi di delegittimazione continui, asfissianti, che provengono da settori delle istituzioni, tentativi di delegittimazione che riguardano non solo la mia persona, ma che hanno riguardato o che riguardano altre persone che hanno voluto volontariamente cantare fuori dal coro, e non per un mero capriccio. Persone che adesso stanno pagando. Credo che in questo momento nessuno abbia interesse a togliermi la vita”.

22 – PER UCCIDERE UN GIUDICE ? L’ESILIO, NON IL TRITOLO…
“Ritengo che oggi non sia comodo, e non farebbe comodo a nessuno, ammazzare un giudice. Per ammazzare una Forleo, un De Magistris, un giudice in generale, lo si delegittima, lo si manda in esilio. “Prima i giudici venivano uccisi con il tritolo. Senza paragonarmi per carità a persone che hanno dato la vita per il loro lavoro, e che hanno esternato in televisione denunciando fatti gravissimi, ritengo che adesso non è comodo e non farebbe comodo a nessuno uccidere con il tritolo. Il problema è che molti credono che in questo modo, con questa delegittimazione continua, con queste asfissie continue, a un certo punto i giudici perdano il controllo dei propri nervi. Non hanno fatto bene i conti: i nervi ce li manteniamo saldi”.

23 – PIAZZA FONTANA, LA VERITA’ NON VERRA’ MAI A GALLA…
“Sono passati tanti anni ma la verità su piazza Fontana non è arrivata, come non arriverà. Da questo punto di vista sono pessimista e disillusa. Il problema non è Zorzi, lui era uno degli esecutori secondo l’accusa, insieme a Maggi e insieme a Rognoni. Ordine Nuovo Veneto era la manovalanza, ma c’era qualcos’altro dietro. Su questo qualcos’altro, ci sono stati dei vuoti, per cui queste “manine” sono rimaste salve. E magari siedono ancora in parlamento, non lo sappiamo.

Per “manine” io intendo questi poteri occulti, questi poteri forti nel senso negativo del termine che agiscono non solo in questo, ma agiscono ad alti livelli”.

24 – MORTE DI BORSELLINO EMBLEMA DEI POTERI OCCULTI…
“La morte di Borsellino è una vicenda emblematica, un mistero su cui si spera di far luce. C’è qualcosa che Borsellino sapeva e che avrebbe potuto svelare? Perché è scomparsa la sua agenda? Perché sono stati rinvenuti degli appuntamenti con dei personaggi che hanno negato di avere avuto questi incontri? Personaggi di grosso rilievo istituzionale che sono lì. Perché abbiamo un vice presidente dell’Autority per la Privacy che, in una famosa telefonata, ebbe a dire di De Magistris: “è inutile ucciderlo, gli facciamo passare gli anni suoi a difendersi e affidiamo i soldi alla Camorra” ?

Sarebbe stata una battuta di pessimo gusto qualora i fatti non fossero stati quelli che sono stati. A volte, scherzando con De Magistris e altri colleghi, diciamo “Per fortuna c’è stato Chiaravalloti”, che è questa persona che parlava di queste cose ma anche di altro, manipolava i procedimenti con dei magistrati del posto, caldeggiava determinati processi. Diciamo: “Meno male che c’è stata questa telefonata che abbiamo avuto la fortuna di poter sentire perché siamo forse tutti un po’ tranquilli: passeremo gli anni nostri a difenderci, ma almeno sappiamo perché”. Queste persone sono tutte al loro posto e nessuno ci spiega perché”.

25 – RIFORMA CSM PER ARGINARE POTERI FORTI…
“Per arginare i poteri forti dico che il problema di base è la riforma dell’organo di autogoverno della magistratura. Se non ci fossero state delle connivenze, e questo è stato il peccato mortale di Luigi De Magistris, dei giudici di Salerno e degli altri giudici che hanno dato la vita anni fa, con questi potentati politico-economici che volevano far saltare le regole della democrazia non saremmo qui a parlare. Ci sarebbe stato sempre un giudice libero e indipendente a fare giustizia.

Perché giustizia non è stata fatta? Perché nei posti di vertice della magistratura, nei posti apicali, sono state messe persone delle correnti, non certamente per meriti ma perché dovevano rispondere e dare una mano ai potentati politico-economici che gradivano il silenzio, quantomeno su determinate vicende? Gradivano che determinati tasti non fossero toccati è evidente.

Ecco perché dico di riformare il CSM per garantire al cittadino che nei posti di comando, nei posti direttivi, soprattutto dei grossi centri, vadano persone che abbiano meriti, ma meriti non nel senso di aver sottoscritto un certo numero di sentenze o statistiche eccellenti, ma persone coraggiose e di moralità elevata”.

26 – SI ALLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE E A DUE CSM…
“Se si separano le carriere, inevitabilmente due Csm si rendono necessari. Anche De Magistris a Pescara, in occasione della commemorazione di Borsellino, ha detto le stesse cose: ben venga la separazione delle carriere, è evidente che i pubblici ministeri devono esserci. Per gli inquirenti ci devono essere le stesse garanzie di indipendenza e autonomia che ci sono per i giudici, altrimenti siamo punto e a capo”.

27 – SI ALLE UNIONI GAY…
“Non sono assolutamente contraria, non ritengo che l’omosessuale sia un diverso. Si tratta ovviamente di regolamentare il fenomeno”

28 – IN MAGISTRATURA TROPPE DONNE NEMICHE DELLE DONNE…
“La Magistratura è sicuramente è un mondo maschilista, ma questo non dipende solo dagli uomini ma anche da molte donne. Io credo che in ogni ambiente, purtroppo, le stesse donne possano essere, per ragioni psicologiche, culturali o di competizione, le peggiori nemiche delle donne. Quindi il maschilismo è un fenomeno che non attribuirei soltanto agli uomini: le donne, a volte, devono combattere con le donne, e non con gli uomini” ha spiegato il giudice Forleo intervenendo sulla questione delle pari opportunità. Ha inoltre aggiunto di essere contraria alle quote rosa in politica.

via dagospia

l’intervista su:  

 http://www.youtube.com/klauscondicio

TEMIS: il magistrato è “la voce della legge” e per questo dovrebbe parlare solo tramite gli atti giudiziali.

 

Il Generale Mori da indagato per “concorso esterno in associazione mafiosa” diventa Consulente di Expo 2015.

Il Generale Mori da indagato per “concorso esterno in associazione mafiosa” diventa Consulente di Expo 2015.

Una torta da 11 milioni di euro che fa gola alle massomafie, le quali come noto hanno messo silenziosamente forti radici in Lombardia, grazie alle connivenze di forze dell’Ordine, magistratura, politica, Opus Dei e logge massoniche.

Sapete chi hanno scelto per contrastare i tentativi di infiltrazione di mafia e ‘ndrangheta negli appalti legati alle grandi opere, di cui il Governatore Formigoni si dice certo, al punto di avere già percepito da vari segnali «un rischio ambientale notevole»…?

Poco di meno che il Generale Mario Mori e il colonnello dei Carabinieri Giuseppe di Donno…

Si proprio coloro che sono sospettati dalla DDA di Palermo della trattativa tra Stato e mafia, nell’ambito della quale si inseriscono gli attentati che costarono la vita ai magistrati Falcone e Borsellino e le bombe di Firenze, Milano e Roma della primavera 93.

Mori già accusato dalla Procura di Palermo di «favoreggiamento aggravato» a Cosa nostra insieme al maggiore Mauro Obinu, in relazione alla mancata cattura di Bernardo Provenzano, si appresta così a diventare uno dei massimi garanti del Comitato per la legalità che affiancherà la Regione lombarda, ove le massomafie controllano il territorio e gli appalti già dagli anni ’70.

Cosa che non può certo non destare allarme, tenuto conto che, come ricordato dallo stesso Mori ai magistrati di Palermo, una delle piste più importanti perseguite da Falcone e Borsellino era proprio quella degli appalti, in cui Vito Ciancimino, padre dell’odierno grande accusatore  dell’ex Generale, era “il dominus che aveva rivestito e che ancora in parte rivestiva nel condizionamento degli appalti pubblici e più in generale la sua funzione di cerniera tra il mondo politico-imprenditoriale e l’ambito mafioso”.

Accuse quelle di Massimo Ciancimino confermate dalla Dott.sa Ferrero del Ministero di Giustizia   e dalle deposizioni di due sottufficiali dei carabinieri che hanno denunciato anomalie durante la perquisizione effettuata a casa di Massimo Ciancimino nel 2005.

11 miliardi di euro in tre anni per realizzare grandi opere, tra cui quelle necessarie per l’Expo: strade, ferrovie, ma anche ospedali, che rischiano così di finire nelle fauci delle massomafie.

Formigoni tiene a precisare di non essere tenuto «in termini di legge» a prendere questa iniziativa che ove la scelta fosse ricaduta su altre figure meno sospette potrebbe apparire lodevole e come una scelta di campo contro la moderna criminalità massomafiosa dei colletti bianchi. Ma aggiunge di ritenerla «assolutamente necessaria».

Forse perché pensa che, in particolare a Milano, i rischi di infiltrazione mafiosa sono sottovalutati? Domanda d’obbligo, dopo che il Sindaco Letizia Moratti e la maggioranza del consiglio comunale hanno scandalosamente bloccato la costituzione di una commissione d’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose, in vista degli appalti legati all’Expo.

Risposta del governatore: «Non amo interferire e giudicare ciò che fanno altre istituzioni. Però nei miei colloqui con diverse autorità è da tempo che rilevo segnali di grande allarme.

Noi invece no…

MILANO: 'NDRANGHETA ARRESTATO CAPITANO DEI CARABINIERI.

‘NDRANGHETA: ARRESTATO PER CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA E CORRUZIONE IL CAPITANO DEI CARABINIERI SAVERIO SPADARO TRACUZZI, GIA’ ALLA DIA DI REGGIO CALABRIA

Postato da Enrico Di Giacomo

MILANO – Concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione: con queste accuse è finito in manette Saverio Spadaro Tracuzzi, capitano dei carabinieri già in servizio al Centro Dia di Reggio Calabria.

I magistrati ritengono che sia stato colluso con una cosca della ‘ndrangheta, quella dei Lo Giudice, fornendo notizie coperte da segreto investigativo su indagini in corso e anticipando l’adozione di provvedimenti restrittivi da parte dell’autorità giudiziaria.

GLI INCARICHI – Spadaro Tracuzzi, arrestato dai carabinieri di Reggio Calabria, era stato trasferito mesi fa nella seconda Brigata mobile di Livorno, dove è stato fermato. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa dal gip reggino su richiesta della Dda. A Reggio Calabria l’ufficiale era stato in servizio prima al Nucleo operativo ecologico, dal 2003 al 2007, e poi alla Dia fino allo scorso giugno.